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Autore: Dusky Doll    06/08/2015    1 recensioni
Questa è la storia di Astreya, una giovane donna dal carattere forte e dal cipiglio severo, nata in un mondo corrotto, un mondo dove bisogna crescere in fretta. Il suo mistero si cela dietro i suoi capelli neri e i suoi occhi indagatori, un segreto talmente intrigante da aver attratto le mire della casta militare e di un soldato oltremodo speciale. Ma è tutto oro ciò che luccica? E cosa deciderà Astreya: si venderà all' Esercito o deciderà di combattere da sola la sua battaglia, come un lupo solitario?
NdA: Storia illustrata... da me:) Spero vi piaccia!
Genere: Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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Capitolo 26


Il palazzo piramidale si ergeva imponente di fronte a noi. Era diverso da come me lo ero figurato dall’alto del Sandpit. Era bianco come la neve, a causa di grosse piastrelle di ceramica isolante appiccicate alla facciata, ma al contempo manteneva un aspetto vetroso per via delle inserzioni di strisce fotovoltaiche che si intervallavano al materiale coibente. Ricordava vagamente una coperta patchwork sebbene il risultato finale fosse un ottimo amalgama fra i due diversi materiali e la struttura apparisse come un tutt’uno omogeneo, tra un grigio polvere, un azzurro slavato e un candido bianco marmoreo.
-Questo è la sede della Diarchia, uno dei pochi edifici del Sandpit ad avere un’espansione verticale, a partire dalla superficie-, spiegò fiera Sigma-x, avanzando verso le due vasche di sabbia che delimitavano il camminamento centrale della piazza. Erano delle sorte di aiuole dove qualcuno, forse dei giardinieri, o forse dei pazzi maniaci, aveva disegnato con un rastrello delle circonferenze concentriche, degli ovali e delle spirali, in un intricato decoro che la sabbia che pioveva dal cielo stava già cancellando. Avanzai lenta, sostenendo il peso del corpo di Fobos: infatti, dopo il primo entusiasmo iniziale, dove i suoi occhi si erano mossi senza posa da una casa all’altra e dove le sue gambe si erano avventurate tra una fessurazione, un ponteggio e svariate scalinate dell’entroterra, l’Ibrido aveva cominciato ad incedere sempre più faticosamente, fino a doversi fermare più volte, appoggiato alle ginocchia, con gli occhi chiusi e le unghie affondate nella carne. Il tutto solo per non perdere i sensi. Per un po’ mi ero limitata a tornare indietro e forzarlo ad alzarsi, ma quando persino le sue spalle avevano cominciato a tremare, avevo capito che non potevo spingerlo oltre. Lo avevo, quindi, aiutato ad alzarsi e in seguito lo avevo costretto a circondarmi le spalle con il braccio affinchè cedesse alle mie ginocchia un po’ del suo peso. Lui si era chiaramente lamentato fino alla completa afonia, ed ancora adesso i suoi occhi rimandavano lampi di umiliazione e imbarazzo, ma almeno aveva smesso di boccheggiare e tutti noi avevamo potuto accelerare il passo e giungere alla sede governativa di quel posto.
- Benvenuti al Rhind, stranieri-, rise la ragazza dai capelli viola, quando un piccolo manipolo di soldati bardati di bianco ci venne incontro con delle strane creature.
-Chi diavolo sono quei latticini? -, inveì Fobos, sollevando l’arma e puntandola verso il nutrito gruppetto di Mauriani. Ro-5 lo fermò prima che facesse una strage, ponendo la mano sulla canna dell’arma e obbligandolo ad abbassarla.
- Non osare fare cazzate del genere, quelli sono i membri della Guardia-.
Fobos roteò gli occhi, con fare visibilmente annoiato. Poi rilassò le spalle e con la coda dell’occhio mi fece segno di avvicinarmi ulteriormente a lui. Si chinò, fino a quando non fu alla mia altezza, e infine mi sussurrò poche parole all’orecchio.
-Credo che quelli non siano un comitato di benvenuto. Ho come l’impressione che ci stessero aspettando anche se non ne comprendo il motivo. Vediamo di non farci rincorrere anche da questi qui. L’Esercito basta-.
Annuii convinta. Aveva ragione.
-Per una volta hai detto la cosa giusta-, mormorai con lo sguardo fisso sugli uomini che ci venivano incontro. Erano estremamente seri, con le divise inamidate e la mano destra legata a una sorta di braccialetto ad onde radio. Probabilmente serviva a comandare le enormi Lucertole che li seguivano con il collo rugoso stritolato in un una sorta di ghigliottina di lampi blu. Ecco cosa erano le Lucertole di cui Sigma-x e Ro-5 avevano discusso sotto il rudere di metallo. Erano creature davvero mostruose con occhi vitrei e inespressivi, zampe tozze che ricordavano quelle degli alligatori e la pelle rinsecchita dal sole. Dovevano per forza essere state modificate geneticamente o non mi sarei riuscita a spiegare le loro dimensioni abnormi.
-Tu sai cosa sono quelle cose? -, mi domandò Fobos, mentre avanzavamo a rilento verso le loro bocche fameliche. Scossi la testa, scurendomi in volto e abbassando gli occhi. Non sapevo perché, ma avevo la sensazione che quelle guardie sapessero esattamente chi fossimo e perché fossimo lì.
-Sono Lucertole. Li abbiamo creati in laboratorio, appositamente per ricercare reperti metallici nel Deserto. Troviamo molte cose interessanti quando le dune si spostano, ma le più redditizie sono le lamiere e gli scarti elettrici. Valgono una fortuna, e queste bestiole le cercano come i porci i tartufi-.
-Come fanno? -, chiese disgustato Fobos, osservando quegli strani animali e provando pietà per loro.
-Li nutriamo con polvere di ferro sin da quando si schiudono le uova. Poi li affamiamo e li liberiamo nel Deserto. Il resto potete immaginarlo. Sono davvero utili anche come cani da guardia ovviamente. Sentono l’odore del ferro nel nostro sangue: infatti, se non avessero quel collare, ci avrebbero già sbranati da un pezzo-, rise Ro-5, il viso illuminato dal riverbero dei pannelli solari ormai a qualche metro sopra le nostre teste.
-Conferite, Fratelli-, urlò una guardia, quando fummo abbastanza vicini da risultare evidentemente fuori posto. Fu Sigma-x a intervenire, alzando la voce per sovrastare l’ululato del vento caldo.
- Siamo Sigma-x e Ro-5, di ritorno dalla Ronda-, dichiarò tesa. Uno dei ragazzi più bassi si staccò dal gruppo di formaggini e scivolò nella nostra direzione su quelli che mi sembravano pattini. Non mi ero effettivamente resa conto di quanto fosse liscia la pavimentazione sotto ai nostri piedi. Mi ci potevo quasi specchiare.
-E i due stranieri? C’è una multa salata per chi introduce gli Sciacalli in città-.
Ro-5 si fece avanti, porgendo anche lui il dito per la verifica identificativa delle impronte digitali.
-Non sono Sciacalli. Sono i bug di cui abbiamo trovato i chip nel Deserto, a Sud della Stazione di Borderhedge-.
Una Lucertola ci sfrecciò accanto, sibilando e passandoci la lingua biforcuta sulle gambe bollenti.
L’Ibrido fece scricchiolare i denti e, quando il rettile cercò di inerpicarsi lungo il polpaccio in direzione del ginocchio, gli stampò la suola della scarpa in mezzo agli occhi, senza pietà. La Lucertola per tutta risposta spalancò la bocca producendo un rumore simile al risucchio della breccia nel Vallum. Istintivamente rabbrividii.
-Dichiaratevi-, urlò un uomo nerboruto con una folta capigliatura giallo limone e dei baffi neri come la notte. Si fece avanti con una sorta di piccola pistola a dardi elettrici che scoppiettava minacce.
Fobos lo guardò scocciato, tirando fuori quel poco di soldato che era rimasto in lui. Lo sovrastò con la sua altezza e lo guardò con quel suo sguardo ardente e inquisitorio che tanto mi aveva terrorizzata, oltre che indispettita, i primi tempi.
-Mi chiamo Fobos, sono Generale in secondo grado dell’Accademia di Carthagyos.  Lei è la mia sottoposta, nonché Custode, Astreya-.
Il biondo squadrò da cima a fondo l’Ibrido, appuntando tutti nostri dati. Non che fossero molto più che parole all’aria per loro. Io, di mio, stavo perdendo la pazienza, desiderando decapitare con un’unica falciata tutti i presenti per poi correre all’interno di quella piramide ignobile. Iniziai a fantasticare, riscuotendomi soltanto quando vidi Ro-5 trattenere Fobos per le braccia. Vidi la mano dell’Ibrido stringere con forza la giacca della guardia che ci aveva interpellati, e i suoi denti digrignare producendo uno stridio sinistro. Le Lucertole gli stavano mordendo gli anfibi, mentre Sigma-x, preoccupata, cercava di trattare con una delle sentinelle.
-Non è un Deadly Child! Siete voi i malati! -, strillava Fobos, ruggendo in faccia al tipo come un leone rabbioso. Non sapevo che cosa fosse successo, ma non avevo mai visto Fobos così irato. Probabilmente se non fosse stato così debole, la Guardia sarebbe già stramazzata al suolo. Morta.
Corsi da Fobos, appendendomi al suo gomito e insultandolo per essere contravvenuto ai suoi stessi consigli. Prima mi diceva di stare calma e contenuta e poi lui metteva in piedi tutto quel macello. Che fine aveva fatto il Generale serafico che avevo conosciuto? Beh, forse se ne era andato assieme al suo cervello. Gli assestai un calcio sui reni e finalmente, strozzando un singulto, Fobos perse la presa sulla sua malcapitata vittima. Stavo giusto per strigliare quel gigante idiota, quando un’altra guardia, una donna agile e scattante, schizzò nella direzione di Fobos per neutralizzarlo. Subito mi mossi, indispettita e anche un po’ annoiata, e prima che il pugno della rossa impattasse sul petto di Fobos, le spazzai la gamba, posizionandole un piede sulla testa e facendole assaggiare quel pavimento lucido simile a burro. Poi, con la rabbia che mi esplodeva dentro e con la frustrazione appesa al cuore, le tirai un calcio nell’addome facendole scivolare di mano la piccola pistola. Fobos la raccolse e, senza nemmeno ringraziarmi, sparò un dardo contro il biondo dai baffi neri che nel frattempo aveva dato ordine alle Lucertole di attaccare. Ro-5 e Sigma-x rimasero in disparte preoccupati per le conseguenze che le nostre azioni avrebbero potuto avere su di loro, una volta terminato lo scontro.
-Bella idea quella di attaccare un manipolo armato-, mi lamentai, colpendo un uomo al costato e accusando il calcio di un altro. Fobos menava a destra e a manca, muovendosi rapido e sinuoso come l’angelo della Morte.
- Ti hanno chiamata Deadly Child. Sanno molto più di quello che dicono-, borbottò lui, gettando a terra la pistola a dardi e impugnando il fucile. Puntò la fila di uomini che si stavano fiondando su di noi e questi si fermarono di istinto, bloccando gli strani pattini che indossavano con un colpo di tacco.
- Se sparo, potrò aggiungere fucilazione alla lista dei desideri realizzati-, scherzò Fobos, con la luce della follia che sprizzava da ogni pagliuzza dorata dei suoi occhi.
-Smettila di fare il cretino, brutto mostro-, gli urlai, lanciandogli contro il corpo svenuto dell’ennesima Guardia. Lui lo schivò, colpendo involontariamente il naso di Ro-5, capitato nella mischia quasi per caso.
- Mi sa ma siamo spacciati-, commentai quando notai il nugolo nero che il Rhind stava vomitando in piazza. Era una mandria di rettili seguiti da altrettante guardie armate.
-No, dico, complimenti, Fobos. Sei il solito rincoglionito-.
Fobos rise. – Vorrei tanto una sigaretta-.  

 

Dopo la bravata dell’Ibrido, il mio geniale quanto andato compagno di viaggio, fummo catturati e costretti alla resa. E ora, stanchi ed affamati, ce ne stavamo seduti sul pavimento sudicio di una cella, con quattro tizi poco raccomandabili dall’altra parte del corridoio che ci fissavano estasiati. Con i nostri capelli neri e la carnagione chiara dovevamo sembrare loro delle gustose mozzarelle.
-Sei contento, Fobos? -, ringhiai, mentre uno dei carcerati di fronte mi indirizzava dei baci decisamente lascivi. L’Ibrido alzò il dito medio e glielo stampò in faccia, allungando il braccio fra le sbarre.
-Ehi, ragazzina. Perché non ti fai un giro nella nostra cella? Hai l’aria di una che non ha mai toccato un uomo-.
- E tu, lurido pezzo di merda, hai l’aria di uno che ha il buco del culo al posto della bocca-, inveì Fobos, scagliandosi contro le sbarre e lanciando uno dei suoi stivali in direzione dei quattro pervertiti. Ansimava ancora e i segni della battaglia cominciavano a rendersi visibili, prendendo la forma di lividi scuri e violacei.
-La smetti di litigare con quei relitti? Gradirei mi spiegassi che cavolo ti è preso-.
Ero nervosa, sentivo ogni fibra del mio corpo implorarmi di schiaffeggiare il viso spigoloso di quel pazzo scatenato che era diventato Fobos. Se la Guardia non gli avesse sparato una decina di sedativi, il giovane avrebbe sicuramente premuto il grilletto e cominciato a mietere vittime a caso. Si sarebbe fatto uccidere, annebbiato dagli sbalzi di umore e dall’astinenza che ormai lo faceva muovere a scatti.
-Beh, ci serviva un posto dove dormire, no? -.
Mi tolsi gli anfibi, sospirando, e incrociai le gambe sulla brandina. La cella puzzava di urina e sudore. La gente gemeva e qualche pazzo straparlava dalle celle accanto. Avremmo davvero passato una fantastica nottata lì dentro.
Chiusi gli occhi e sospirai, sperando ardentemente che Fobos tornasse se stesso o che perlomeno la piantasse di avere i nervi così a fior di pelle. Sentii il peso del ragazzo al mio fianco e il calore del suo corpo accanto al mio. Mi voltai a guardarlo: fissava gli altri detenuti e muoveva gli occhi come una tigre in gabbia. Almeno aveva richiuso le zanne in bocca e le sopracciglia erano tornate ad essere due linee dritte al centro della fronte.
-Seriamente Fobos, non vedo l’ora di riaverti indietro-.
-Come? -, chiese lui stupito, mentre la sua aurea virava su un grigio spento. Abbassò gli occhi e scrutò gli angoli sporchi della nostra gabbia, lordata dagli escrementi dei topi che ogni tanto cadevano intontiti dalle pietre sporgenti. Quelle celle dovevano essere davvero antiche.
- Mi stai snervando con tutti questi cambi di umore. Si vede che non sei lucido e ci stai cacciando seriamente nei guai-, lo rimproverai con l’intento di farlo sentire in colpa. Lo vidi riflettere sulle mie parole, silenzioso e apatico. Poi le sue spalle scivolarono di lato e il suo viso si appoggiò al mio collo. Mi irrigidii del tutto, contraendo muscoli che non pensavo nemmeno di avere.
- Mi dispiace. Mi sarebbe piaciuto conoscerti quando ancora ero io. O in un’altra realtà, dove avrei potuto mostrarmi per il ragazzo semplice che ero -.
Il suo tono di voce era cantilenante e mezzo sonnolento, ma la carica emotiva delle sue parole mi sciolse il nodo di collera in cui si era trasformato il mio stomaco. Perché doveva avere quei momenti di lucidità disarmanti?
-Non ci pensare-, dissi, dandogli una leggera pacca sulla spalla. Non aveva senso deprimerlo, non ora che la sua mente vacillava. Cercai, quindi, di cambiare discorso nel disperato tentativo di rilassarlo, ma non abbastanza da farlo dormire. Temevo, infatti, che se avesse ceduto al sonno, non si sarebbe più risvegliato.
-E’ sottosopra questa città, hai visto? -, commentai, ricordando il momento in cui ci avevano trascinato in quelle segrete. Come la maggior parte delle case, esse si trovavano nel sottosuolo della città, probabilmente dopo essere state rinvenute nel Deserto e trasportate là sotto mattone dopo mattone. Questo perché il Paese dei Mauriani era stato costruito a partire dalla terra per poi inoltrarsi in una specie di enorme bolla d’aria sotterranea, dove tutti i passaggi erano sospesi e le abitazioni che non avevano trovato strada nella roccia pendevano come nidi di rondine o come alveari rettangolari. Era una visione veramente spettacolare, a maggior ragione perché i piani che emergevano dalla terra come funghi altro non erano che delle mansarde o degli esercizi che avevano il preciso scopo di intercettare la luce del sole che flagellava il Sandpit e rimandarla sotto forma di energia a quel brulicante formicaio di costruzioni che si espandeva specularmente alla cittadina superiore. Persino le cisterne di acqua erano dei bozzoli appesi al soffitto, lasciate ai livelli più profondi e umidi laddove il freddo avrebbe conservato la freschezza di quel bene prezioso.
-Sì, mi viene il mal di mare al solo pensarci-, mormorò Fobos, tornato improvvisamente serio. Teneva gli occhi socchiusi e lo sguardo indirizzato verso i detenuti di fronte a noi, a qualche passo di distanza oltre la passatoia dei secondini.
- Quei lardosi pezzi di merda non la smettono di fissarti-, ringhiò poi, osservando uno degli uomini raccogliere il suo stivale e indossarlo con aria soddisfatta. Sbuffai.
-E tu non farci caso. Abbiamo cose più importanti a cui pensare. Tipo come convincere i Diarchi a non fucilarci o alternativamente a come scappare da qui-.
-Beh, di scappare non se ne parla, non dopo la nostra scampagnata nel Deserto. Inoltre ormai siamo qui, tanto vale tentare di scoprire qualcosa sugli eventi che hanno coinvolto il Vallum, non trovi? -.
Annuii, mentre afferravo la razione di cibo liofilizzato che una guardia bassa e muscolosa ci porgeva attraverso le sbarre. Il vassoio constava di una bacinella di acqua e due buste simili alle sacche di una flebo. Guardai il corpo emaciato di Fobos e le ossa sporgenti delle anche che gli riaffioravano dai pantaloni e, senza nemmeno pensarci, gli allungai entrambe le razioni. Lui mi guardò confuso, tenendo in mano il vassoio come fosse il corpo di una farfalla delicata.
-Devi mangiare. Sei pelle e ossa. Non so nemmeno se i Mauriani accetteranno di curarti; devi mantenerti in forze perché da sola non ce la faccio-.
Fobos aprì le buste con una smorfia, sciogliendole in acqua e lasciando che il loro contenuto insaporisse il liquido incolore.
Bevve avidamente da un lato della ciotola, mentre il liquido per la foga gli scivolava lungo il mento e gli macchiava la canotta già sporca di sangue e sabbia. Lo raggiunsi e mi sedetti nuovamente accanto a lui, meditando sulle nostre mosse successive.
-Mi hanno chiamata Deadly Child, hai detto. Ciò significa che pensano io sia un esperimento come te. Forse anche peggio dal momento che i DC sono tutti degli schizzati-.
Fobos staccò le labbra dalla bacinella e mi porse quel liquame che puzzava di erba. Scossi il capo allontanandolo.
-Se sanno della tua condizione psicologica, sicuramente sanno anche molto altro. Qui credo ci sia in ballo qualcosa di molto più grosso di un atto di ribellione di quei poveracci del Vallum-.
Deadly Child. Non avevo mai pensato che qualcuno mi avrebbe ricollegato a loro. Si trattava di un progetto militare nato almeno una decade prima per svuotare i Sanitaria. Durante la Legislatura del Presidente Dyonisus, infatti, molti avversari politici, dissidenti civili e propagandisti accaniti vennero rinchiusi nei manicomi tramite prelievo coatto e fatti sparire dalla società. Tutto aveva funzionato perfettamente finchè gli oppositori di Dyonisus avevano superato in numero i sostenitori e i Sanitaria di tutta Elladia si erano riempiti di clienti del tutto normali. Una volta decaduto il mandato del Presidente, quindi, il suo successore Lykurgo, aveva promulgato la Restoration Law, la quale prevedeva che lentamente, nel decorso del suo mandato, Sanitarium dopo Sanitarium, chi fosse risultato adatto in base alle perizie psichiatriche, fosse reintegrato come soggetto medico per la sperimentazione. In sostanza mancavano cavie per i farmaci. O almeno questo era quello che era stato velatamente dichiarato nei fascicoli che erano stati poi inviati tramite computer ad ogni dispositivo tecnologico di Elladia e ad ogni Displayfesto, gli enormi schermi delle piazze che rimandavano ventiquattr’ore su ventiquattro il canale politico della Sede.
La realtà che si era fatta largo a sgomitate tra la folla era, invece, di tutt’ altra natura. Si diceva che l’Esercito stesse lavorando a una sperimentazione nuova e che avesse bisogno di “volontari”. E chi era meglio di persone incapaci di intendere e volere, spinte solo dal desiderio di sfuggire alle quattro mura che li intrappolavano da anni? E poi, si sapeva che i militari erano alla ricerca del segreto che permetteva al Tempio di individuare nei propri fedeli quelli con la scintilla della magia. In qualche modo era trapelato che i soggetti migliori erano in realtà quelli danneggiati, quelli il cui cervello si era mantenuto in uno stato più primitivo, immaginifico e infantile, ma che possedevano un corpo robusto e sano. Chiedevano la mente di un bambino nel corpo di un individuo maturo.
Queste persone erano state, pertanto, prelevate e torturate, ma nessuna prima di Fobos era riuscita a sopravvivere e la razza Ibrida si era già estinta prima di essere stata creata. Un vero peccato.
Ma Lykurgo non era tipo da arrendersi al primo ostacolo, perciò, forte dei suoi studi biologici ed ingegneristici, aveva pianificato la creazione del Deadly Child.
In sostanza la sua idea era quella di prelevare un bambino con disturbi di personalità, ad esempio affetto da disturbo della personalità borderline, e trasformarlo in una sorta di bomba ad orologeria, una sacrificabile arma di distruzione di massa senza amor proprio. Conoscevo perfettamente il tipo di malattia perché io stessa ne ero affetta. Sbalzi di umore, dissociazione dalla realtà e sdoppiamento di personalità, il tutto associato a manie ed ossessioni oltre che a scatti di nervi e rabbia. Borderline, invece, indicava la peculiarità del disturbo, ossia quello di essere coscienti del proprio stato allucinato. Per esempio, io pensavo di avere un mostro incollato allo sterno che stringeva con i suoi artigli ossei il mio cuore, e pur sapendo che la sua esistenza non era reale, continuavo a sentirne il peso fisico, come una palla al piede.
Ad ogni modo questa condizione psichica era la migliore per il trattamento pensato da Lykurgo: infatti, il soggetto sarebbe stato abbastanza lucido da comprendere ciò che gli stava accadendo e da agire coscientemente secondo gli ordini assegnati, ma al contempo la sua mente instabile avrebbe garantito al paziente di essere elaborato e testato senza che questi si opponesse. Si dice in qualche documento sibillino della Magna Teca che un soggetto simile, alla fine, sia stato davvero portato alla luce, ma che vista la violenza sulla Natura da cui era stato generato, gli Dei abbiano deciso di eliminarlo infondendogli istinti suicidi. Da allora il termine Deadly Child viene usato per indicare persone disturbate come me che in qualche modo manifestano poco spirito di autoconservazione e decisamente troppo spirito di iniziativa. E’ ancora oggi una sorta di insulto, alla stessa maniera della parola Ibrido per quanto riguarda Fobos.
Venni riscossa dai miei pensieri proprio dall’Ibrido che, inginocchiatosi di fronte a me e reggendomi la nuca, cercava di farmi ingurgitare parte della brodaglia che lui aveva lasciato.
La guardai disgustata mentre un moto di repulsione mi spingeva contro il muro, le spalle a contatto con la nuda pietra.
-Bevila. Sarai il mio braccio, e forse anche la mia mente in effetti, quindi anche tu devi restare in forze-.
- Io non la bevo quella sbobba-, mi lamentai, mentre il bordo di plastica della ciotola mi sfiorava le labbra. Inutile dire che alla fine mi ritrovai a deglutire forzatamente quello schifo, con le dita di Fobos che mi premevano sul collo nel tentativo di farmi ingoiare il cibo liquido e insapore senza rimetterlo.
-Stavo pensando a una cosa-, disse poi mentre con la mano mi ripuliva goffamente le labbra. Era una cosa che si faceva con i bambini non con le persone adulte, perciò la situazione mi parve assai bizzarra. Arrossii involontariamente e invitai Fobos a proseguire nel suo discorso.
- Dovremmo far loro credere che tu sia davvero un Deadly Child. In questo modo potremmo avere un’arma di convincimento più unica che rara. In fondo si tratta solo di una mezza bugia-.
Ci pensai seriamente, appoggiando il mento al palmo della mano.
-In effetti anche nei documenti che hai redatto insieme a Upokrates è stato confermato il mio disturbo. Ci sarebbero prove tangibili della mia Natura-.
Fobos sorrise, autocompiacendosi della sua idea geniale.
-Se riusciamo a convincerli che siamo dalla loro parte e che vogliamo aiutare quelli del Vallum ad assaltare la Sede Governativa, forse in cambio ci cederanno qualche utile informazione-, aggiunse, poi, mentre con lo sguardo acceso mi fissava negli occhi.
-Sei un genio… allora è rimasto un briciolo di intelligenza in quel cervello bacato-, risi sincera, ammirando la prontezza di ragionamento dell’Ibrido. Gli diedi un leggero spintone sulle spalle, ma visto che i talloni di Fobos non erano ben piazzati a terra, questi scivolò all’indietro trascinandomi con sé.  Ci ritrovammo distesi sul pavimento, l’una sopra l’altro, ridendo come due completi imbecilli. Non so nemmeno perché trovassimo la situazione così divertente. In fondo eravamo imprigionati in territorio ostile, con la tremenda possibilità di essere giustiziati il giorno seguente. Forse stavamo sfogando il nervosismo che ci aveva accompagnati dal Vallum sino al Sandpit, o forse semplicemente eravamo impazziti a causa del caldo.
Mi accorsi solo alcuni istanti dopo che quella era la prima volta in cui vedevo Fobos ridere di gusto, senza ombra di sadismo o cinismo sul volto. Pensai che forse in passato, quando i suoi occhi erano ancora del colore brillante dell’erba, il suo sorriso doveva persino essere stato più bello e innocente. Non che ora fosse da meno: vederlo così a suo agio, scosso dalle risa, lo rendeva ancor più affascinante ai miei occhi. Gli passai distrattamente una mano fra i capelli, districando la lunga coda bruna e osservando intensamente gli angoli ancora arricciati delle sue labbra.
-Astreya-.
La sua voce profonda e gutturale come l’eco di un tuono mi colse alla sprovvista, facendomi accelerare i battiti del cuore fino al limite dello scoppio.
Non c’era più nemmeno l’ombra di quella serenità che avevo visto riverberarsi in tutto il suo corpo qualche secondo prima. Ora c’erano soltanto perplessità e stupore.
Mi chinai, quasi al rallentatore, trattenendo il fiato e facendo il conto alla rovescia. Era come se una calamita mi stesse attirando verso il volto pallido di Fobos, lasciandomi giusto il tempo di assaporare la vicinanza bollente del suo respiro alle mie labbra. Mi sembrava di essere impazzita: eravamo in un carcere puzzolente, con poco più dei nostri vestiti e quattro detenuti che ci fissavano senza ritegno, eppure non potevo fare altro che avvicinarmi sempre di più, calando la cappa nera dei miei capelli sulla fronte e il profilo dell’Ibrido. Solo quando le punte dei nostri nasi si sfiorarono, Fobos si decise a reagire, spostando appena il viso di lato.
-Stranieri! -, ci interruppe una voce, facendoci immediatamente scattare sull’attenti. Un secondino alto con pochi capelli sulla cocuzza lucente ci spiava dall’altro lato delle sbarre, gli occhi piccoli e stranamente chiari. – Il Segretario è venuto a farvi visita-.
Un uomo robusto con delle spalle larghe strette in un completo gessato viola e nero comparve da dietro la parete, infilando le dita inanellate di acciaio tra le fessure delle sbarre. Era abbastanza giovane, non doveva superare la quarantina, e portava i lunghi capelli viola raccolti in un codino alla base del cranio. Sorrise famelico quando il suo sguardo incontrò il nostro. Eravamo ancora seduti a terra, ma ci eravamo talmente distanziati l’uno dall’altra che fra di noi si era ricreato il solito abisso.
-Vedo che vi state adattando alla nuova sistemazione. Io sono il Segretario del Sandpit, Colossus -, si presentò laconicamente, porgendoci la mano attraverso i pali di metallo. Entrambi ci allungammo per stringerla, io forse con un po’ troppa forza, e di rimando rivelammo i nostri nomi e la nostra provenienza.
-Lei non è originario di questo posto, sbaglio? -, domandai quasi subito, certa che Colossus non rientrasse nella forchetta dei nomi adottata dai Mauriani. Loro per scelta avevano deciso di distaccarsi dall’utilizzo Elladiano di appellativi storici, ricavati da quei reperti e papiri che per anni avevamo riportato alla luce e ristrutturato. Perciò si chiamavano accostando semplicemente lettere e numeri, in maniera tale da rendere tutti uguali, con lo stesso potenziale di partenza. Niente discriminazioni, era il motto del Sandpit. Solo la nuda forza interiore era in grado di mettere in luce od oscurare un individuo.
Gli occhi di Colossus si trasformarono in una tempesta elettrica, sorridendo nuovamente con quei denti piccoli e luccicanti.
-Vedo che non le sfugge nulla. Ebbene sì, io sono Mauriano di adozione: infatti, provengo dal vostro stesso mondo. Solo ho deciso che non faceva più per me e, quindi, sono venuto qui. I Mauriani mi hanno accolto alla stessa maniera con cui hanno accolto voi, ma ben presto hanno scoperto qualcosa di me che era indispensabile per loro. Il mio intelletto-.
-Quindi lei è qui per aiutarci? -, azzardò Fobos, avvicinandosi all’uomo e chinandosi appena per osservarne i lineamenti con maggiore attenzione. Colossus annuì impercettibilmente, quasi non ne fosse sicuro.
-In un certo qual senso. Mi hanno incaricato di seguirvi durante la vostra permanenza qui, dal momento che come voi io sono un bug. Tuttavia il mio giudizio su di voi sarà imparziale, del tutto imparziale, quindi non credo che otterrete il tipo di aiuto che desiderate-.
La voce melliflua di Colossus mi fece accapponare la pelle. Ero certa che quell’uomo fosse un lupo travestito da agnello, un individuo tanto indispensabile, quanto imprevedibile.
-Vogliamo solo parlare con i Diarchi-, ammisi fronteggiando l’uomo. Lui si limitò a guardarmi pigramente i capelli nel loro fluire sulle spalle, scomposti e mezzo fuggiti dalla treccia.
- Non è quello che ho pensato vedendo i filmati di sicurezza del Rhind-, ribatté lui, alludendo all’attacco di fronte al palazzo piramidale.
- La responsabilità di quell’increscioso incidente è completamente mia. Quello che mi affligge è un problema di tipo medico, quindi spero abbiate almeno la clemenza di ascoltare, oltre alle nostre considerazioni, anche le mie scuse-.
Fobos, come al solito, era impeccabile. Spalle rigide, incedere fiero e sguardo rassicurante. Stava riuscendo a trattenere la sua malattia (se così potevo chiamarla), mostrando il Generale rispettoso che era davvero, o perlomeno fingendo alla grande.
-Sono certo che i Diarchi abbiano molti argomenti di cui discutere con voi quattro-.
Gli occhi di Fobos ebbero un guizzo e il mio cuore perse un battito.
-Quattro? -, chiedemmo all’unisono.
-Non siete i soli ad essere giunti qui, nell’ultimo periodo-, sogghignò lui, prima di andarsene soddisfatto, le mani incrociate dietro la schiena e le gambe impegnate in lunghe falcate. Solo prima di imboccare la galleria di uscita si voltò, indicandoci con la punta affilata dell’indice. –In effetti, vi stavamo aspettando-.

 

 

   
 
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