Il
palazzo piramidale si ergeva imponente di fronte a noi. Era diverso da
come me
lo ero figurato dall’alto del Sandpit. Era bianco come la
neve, a causa di
grosse piastrelle di ceramica isolante appiccicate alla facciata, ma al
contempo manteneva un aspetto vetroso per via delle inserzioni di
strisce
fotovoltaiche che si intervallavano al materiale coibente. Ricordava
vagamente
una coperta patchwork sebbene il risultato finale fosse un ottimo
amalgama fra
i due diversi materiali e la struttura apparisse come un
tutt’uno omogeneo, tra
un grigio polvere, un azzurro slavato e un candido bianco marmoreo.
-Questo
è la sede della Diarchia, uno dei pochi edifici del Sandpit
ad avere
un’espansione verticale, a partire dalla superficie-,
spiegò fiera Sigma-x,
avanzando verso le due vasche di sabbia che delimitavano il
camminamento
centrale della piazza. Erano delle sorte di aiuole dove qualcuno, forse
dei
giardinieri, o forse dei pazzi maniaci, aveva disegnato con un
rastrello delle
circonferenze concentriche, degli ovali e delle spirali, in un
intricato decoro
che la sabbia che pioveva dal cielo stava già cancellando.
Avanzai lenta,
sostenendo il peso del corpo di Fobos: infatti, dopo il primo
entusiasmo
iniziale, dove i suoi occhi si erano mossi senza posa da una casa
all’altra e
dove le sue gambe si erano avventurate tra una fessurazione, un
ponteggio e
svariate scalinate dell’entroterra, l’Ibrido aveva
cominciato ad incedere
sempre più faticosamente, fino a doversi fermare
più volte, appoggiato alle
ginocchia, con gli occhi chiusi e le unghie affondate nella carne. Il
tutto
solo per non perdere i sensi. Per un po’ mi ero limitata a
tornare indietro e
forzarlo ad alzarsi, ma quando persino le sue spalle avevano cominciato
a
tremare, avevo capito che non potevo spingerlo oltre. Lo avevo, quindi,
aiutato
ad alzarsi e in seguito lo avevo costretto a circondarmi le spalle con
il
braccio affinchè cedesse alle mie ginocchia un po’
del suo peso. Lui si era
chiaramente lamentato fino alla completa afonia, ed ancora adesso i
suoi occhi
rimandavano lampi di umiliazione e imbarazzo, ma almeno aveva smesso di
boccheggiare e tutti noi avevamo potuto accelerare il passo e giungere
alla
sede governativa di quel posto.
-
Benvenuti al Rhind, stranieri-, rise la ragazza dai capelli viola,
quando un
piccolo manipolo di soldati bardati di bianco ci venne incontro con
delle
strane creature.
-Chi
diavolo sono quei latticini? -, inveì Fobos, sollevando
l’arma e puntandola
verso il nutrito gruppetto di Mauriani. Ro-5 lo fermò prima
che facesse una
strage, ponendo la mano sulla canna dell’arma e obbligandolo
ad abbassarla.
-
Non osare fare cazzate del genere, quelli sono i membri della Guardia-.
Fobos
roteò gli occhi, con fare visibilmente annoiato. Poi
rilassò le spalle e con la
coda dell’occhio mi fece segno di avvicinarmi ulteriormente a
lui. Si chinò,
fino a quando non fu alla mia altezza, e infine mi sussurrò
poche parole
all’orecchio.
-Credo
che quelli non siano un comitato di benvenuto. Ho come
l’impressione che ci
stessero aspettando anche se non ne comprendo il motivo. Vediamo di non
farci
rincorrere anche da questi qui. L’Esercito basta-.
Annuii
convinta. Aveva ragione.
-Per
una volta hai detto la cosa giusta-, mormorai con lo sguardo fisso
sugli uomini
che ci venivano incontro. Erano estremamente seri, con le divise
inamidate e la
mano destra legata a una sorta di braccialetto ad onde radio.
Probabilmente
serviva a comandare le enormi Lucertole che li seguivano con il collo
rugoso
stritolato in un una sorta di ghigliottina di lampi blu. Ecco cosa
erano le
Lucertole di cui Sigma-x e Ro-5 avevano discusso sotto il rudere di
metallo.
Erano creature davvero mostruose con occhi vitrei e inespressivi, zampe
tozze
che ricordavano quelle degli alligatori e la pelle rinsecchita dal
sole.
Dovevano per forza essere state modificate geneticamente o non mi sarei
riuscita a spiegare le loro dimensioni abnormi.
-Tu
sai cosa sono quelle cose? -, mi domandò Fobos, mentre
avanzavamo a rilento
verso le loro bocche fameliche. Scossi la testa, scurendomi in volto e
abbassando gli occhi. Non sapevo perché, ma avevo la
sensazione che quelle
guardie sapessero esattamente chi fossimo e perché fossimo
lì.
-Sono
Lucertole. Li abbiamo creati in laboratorio, appositamente per
ricercare
reperti metallici nel Deserto. Troviamo molte cose interessanti quando
le dune
si spostano, ma le più redditizie sono le lamiere e gli
scarti elettrici.
Valgono una fortuna, e queste bestiole le cercano come i porci i
tartufi-.
-Come
fanno? -, chiese disgustato Fobos, osservando quegli strani animali e
provando
pietà per loro.
-Li
nutriamo con polvere di ferro sin da quando si schiudono le uova. Poi
li
affamiamo e li liberiamo nel Deserto. Il resto potete immaginarlo. Sono
davvero
utili anche come cani da guardia ovviamente. Sentono l’odore
del ferro nel
nostro sangue: infatti, se non avessero quel collare, ci avrebbero
già sbranati
da un pezzo-, rise Ro-5, il viso illuminato dal riverbero dei pannelli
solari
ormai a qualche metro sopra le nostre teste.
-Conferite,
Fratelli-, urlò una guardia, quando fummo abbastanza vicini
da risultare
evidentemente fuori posto. Fu Sigma-x a intervenire, alzando la voce
per
sovrastare l’ululato del vento caldo.
-
Siamo Sigma-x e Ro-5, di ritorno dalla Ronda-, dichiarò
tesa. Uno dei ragazzi
più bassi si staccò dal gruppo di formaggini e
scivolò nella nostra direzione
su quelli che mi sembravano pattini. Non mi ero effettivamente resa
conto di
quanto fosse liscia la pavimentazione sotto ai nostri piedi. Mi ci
potevo quasi
specchiare.
-E
i due stranieri? C’è una multa salata per chi
introduce gli Sciacalli in
città-.
Ro-5
si fece avanti, porgendo anche lui il dito per la verifica
identificativa delle
impronte digitali.
-Non
sono Sciacalli. Sono i bug di cui abbiamo trovato i chip nel Deserto, a
Sud
della Stazione di Borderhedge-.
Una
Lucertola ci sfrecciò accanto, sibilando e passandoci la
lingua biforcuta sulle
gambe bollenti.
L’Ibrido
fece scricchiolare i denti e, quando il rettile cercò di
inerpicarsi lungo il
polpaccio in direzione del ginocchio, gli stampò la suola
della scarpa in mezzo
agli occhi, senza pietà. La Lucertola per tutta risposta
spalancò la bocca
producendo un rumore simile al risucchio della breccia nel Vallum.
Istintivamente rabbrividii.
-Dichiaratevi-,
urlò un uomo nerboruto con una folta capigliatura giallo
limone e dei baffi neri
come la notte. Si fece avanti con una sorta di piccola pistola a dardi
elettrici che scoppiettava minacce.
Fobos
lo guardò scocciato, tirando fuori quel poco di soldato che
era rimasto in lui.
Lo sovrastò con la sua altezza e lo guardò con
quel suo sguardo ardente e
inquisitorio che tanto mi aveva terrorizzata, oltre che indispettita, i
primi
tempi.
-Mi
chiamo Fobos, sono Generale in secondo grado dell’Accademia
di Carthagyos. Lei
è la mia sottoposta, nonché Custode,
Astreya-.
Il
biondo squadrò da cima a fondo l’Ibrido,
appuntando tutti nostri dati. Non che
fossero molto più che parole all’aria per loro.
Io, di mio, stavo perdendo la
pazienza, desiderando decapitare con un’unica falciata tutti
i presenti per poi
correre all’interno di quella piramide ignobile. Iniziai a
fantasticare,
riscuotendomi soltanto quando vidi Ro-5 trattenere Fobos per le
braccia. Vidi
la mano dell’Ibrido stringere con forza la giacca della
guardia che ci aveva
interpellati, e i suoi denti digrignare producendo uno stridio
sinistro. Le
Lucertole gli stavano mordendo gli anfibi, mentre Sigma-x, preoccupata,
cercava
di trattare con una delle sentinelle.
-Non
è un Deadly Child! Siete voi i malati! -, strillava Fobos,
ruggendo in faccia
al tipo come un leone rabbioso. Non sapevo che cosa fosse successo, ma
non
avevo mai visto Fobos così irato. Probabilmente se non fosse
stato così debole,
la Guardia sarebbe già stramazzata al suolo. Morta.
Corsi
da Fobos, appendendomi al suo gomito e insultandolo per essere
contravvenuto ai
suoi stessi consigli. Prima mi diceva di stare calma e contenuta e poi
lui
metteva in piedi tutto quel macello. Che fine aveva fatto il Generale
serafico
che avevo conosciuto? Beh, forse se ne era andato assieme al suo
cervello. Gli
assestai un calcio sui reni e finalmente, strozzando un singulto, Fobos
perse
la presa sulla sua malcapitata vittima. Stavo giusto per strigliare
quel
gigante idiota, quando un’altra guardia, una donna agile e
scattante, schizzò
nella direzione di Fobos per neutralizzarlo. Subito mi mossi,
indispettita e
anche un po’ annoiata, e prima che il pugno della rossa
impattasse sul petto di
Fobos, le spazzai la gamba, posizionandole un piede sulla testa e
facendole
assaggiare quel pavimento lucido simile a burro. Poi, con la rabbia che
mi
esplodeva dentro e con la frustrazione appesa al cuore, le tirai un
calcio
nell’addome facendole scivolare di mano la piccola pistola.
Fobos la raccolse
e, senza nemmeno ringraziarmi, sparò un dardo contro il
biondo dai baffi neri
che nel frattempo aveva dato ordine alle Lucertole di attaccare. Ro-5 e
Sigma-x
rimasero in disparte preoccupati per le conseguenze che le nostre
azioni
avrebbero potuto avere su di loro, una volta terminato lo scontro.
-Bella
idea quella di attaccare un manipolo armato-, mi lamentai, colpendo un
uomo al
costato e accusando il calcio di un altro. Fobos menava a destra e a
manca,
muovendosi rapido e sinuoso come l’angelo della Morte.
-
Ti hanno chiamata Deadly Child. Sanno molto più di quello
che dicono-, borbottò
lui, gettando a terra la pistola a dardi e impugnando il fucile.
Puntò la fila
di uomini che si stavano fiondando su di noi e questi si fermarono di
istinto,
bloccando gli strani pattini che indossavano con un colpo di tacco.
-
Se sparo, potrò aggiungere fucilazione alla lista dei
desideri realizzati-,
scherzò Fobos, con la luce della follia che sprizzava da
ogni pagliuzza dorata
dei suoi occhi.
-Smettila
di fare il cretino, brutto mostro-, gli urlai, lanciandogli contro il
corpo
svenuto dell’ennesima Guardia. Lui lo schivò,
colpendo involontariamente il
naso di Ro-5, capitato nella mischia quasi per caso.
-
Mi sa ma siamo spacciati-, commentai quando notai il nugolo nero che il
Rhind
stava vomitando in piazza. Era una mandria di rettili seguiti da
altrettante
guardie armate.
-No,
dico, complimenti, Fobos. Sei il solito rincoglionito-.
Fobos
rise. – Vorrei tanto una sigaretta-.
Dopo
la bravata dell’Ibrido, il mio geniale quanto andato compagno
di viaggio, fummo
catturati e costretti alla resa. E ora, stanchi ed affamati, ce ne
stavamo
seduti sul pavimento sudicio di una cella, con quattro tizi poco
raccomandabili
dall’altra parte del corridoio che ci fissavano estasiati.
Con i nostri capelli
neri e la carnagione chiara dovevamo sembrare loro delle gustose
mozzarelle.
-Sei
contento, Fobos? -, ringhiai, mentre uno dei carcerati di fronte mi
indirizzava
dei baci decisamente lascivi. L’Ibrido alzò il
dito medio e glielo stampò in
faccia, allungando il braccio fra le sbarre.
-Ehi,
ragazzina. Perché non ti fai un giro nella nostra cella? Hai
l’aria di una che
non ha mai toccato un uomo-.
-
E tu, lurido pezzo di merda, hai l’aria di uno che ha il buco
del culo al posto
della bocca-, inveì Fobos, scagliandosi contro le sbarre e
lanciando uno dei
suoi stivali in direzione dei quattro pervertiti. Ansimava ancora e i
segni
della battaglia cominciavano a rendersi visibili, prendendo la forma di
lividi
scuri e violacei.
-La
smetti di litigare con quei relitti? Gradirei mi spiegassi che cavolo
ti è
preso-.
Ero
nervosa, sentivo ogni fibra del mio corpo implorarmi di schiaffeggiare
il viso
spigoloso di quel pazzo scatenato che era diventato Fobos. Se la
Guardia non
gli avesse sparato una decina di sedativi, il giovane avrebbe
sicuramente
premuto il grilletto e cominciato a mietere vittime a caso. Si sarebbe
fatto
uccidere, annebbiato dagli sbalzi di umore e dall’astinenza
che ormai lo faceva
muovere a scatti.
-Beh,
ci serviva un posto dove dormire, no? -.
Mi
tolsi gli anfibi, sospirando, e incrociai le gambe sulla brandina. La
cella
puzzava di urina e sudore. La gente gemeva e qualche pazzo straparlava
dalle
celle accanto. Avremmo davvero passato una fantastica nottata
lì dentro.
Chiusi
gli occhi e sospirai, sperando ardentemente che Fobos tornasse se
stesso o che
perlomeno la piantasse di avere i nervi così a fior di
pelle. Sentii il peso
del ragazzo al mio fianco e il calore del suo corpo accanto al mio. Mi
voltai a
guardarlo: fissava gli altri detenuti e muoveva gli occhi come una
tigre in
gabbia. Almeno aveva richiuso le zanne in bocca e le sopracciglia erano
tornate
ad essere due linee dritte al centro della fronte.
-Seriamente
Fobos, non vedo l’ora di riaverti indietro-.
-Come?
-, chiese lui stupito, mentre la sua aurea virava su un grigio spento.
Abbassò
gli occhi e scrutò gli angoli sporchi della nostra gabbia,
lordata dagli
escrementi dei topi che ogni tanto cadevano intontiti dalle pietre
sporgenti.
Quelle celle dovevano essere davvero antiche.
-
Mi stai snervando con tutti questi cambi di umore. Si vede che non sei
lucido e
ci stai cacciando seriamente nei guai-, lo rimproverai con
l’intento di farlo
sentire in colpa. Lo vidi riflettere sulle mie parole, silenzioso e
apatico.
Poi le sue spalle scivolarono di lato e il suo viso si
appoggiò al mio collo.
Mi irrigidii del tutto, contraendo muscoli che non pensavo nemmeno di
avere.
-
Mi dispiace. Mi sarebbe piaciuto conoscerti quando ancora ero io. O in
un’altra
realtà, dove avrei potuto mostrarmi per il ragazzo semplice
che ero -.
Il
suo tono di voce era cantilenante e mezzo sonnolento, ma la carica
emotiva
delle sue parole mi sciolse il nodo di collera in cui si era
trasformato il mio
stomaco. Perché doveva avere quei momenti di
lucidità disarmanti?
-Non
ci pensare-, dissi, dandogli una leggera pacca sulla spalla. Non aveva
senso
deprimerlo, non ora che la sua mente vacillava. Cercai, quindi, di
cambiare
discorso nel disperato tentativo di rilassarlo, ma non abbastanza da
farlo
dormire. Temevo, infatti, che se avesse ceduto al sonno, non si sarebbe
più
risvegliato.
-E’
sottosopra questa città, hai visto? -, commentai, ricordando
il momento in cui
ci avevano trascinato in quelle segrete. Come la maggior parte delle
case, esse
si trovavano nel sottosuolo della città, probabilmente dopo
essere state
rinvenute nel Deserto e trasportate là sotto mattone dopo
mattone. Questo
perché il Paese dei Mauriani era stato costruito a partire
dalla terra per poi
inoltrarsi in una specie di enorme bolla d’aria sotterranea,
dove tutti i
passaggi erano sospesi e le abitazioni che non avevano trovato strada
nella
roccia pendevano come nidi di rondine o come alveari rettangolari. Era
una
visione veramente spettacolare, a maggior ragione perché i
piani che emergevano
dalla terra come funghi altro non erano che delle mansarde o degli
esercizi che
avevano il preciso scopo di intercettare la luce del sole che
flagellava il
Sandpit e rimandarla sotto forma di energia a quel brulicante formicaio
di
costruzioni che si espandeva specularmente alla cittadina superiore.
Persino le
cisterne di acqua erano dei bozzoli appesi al soffitto, lasciate ai
livelli più
profondi e umidi laddove il freddo avrebbe conservato la freschezza di
quel
bene prezioso.
-Sì,
mi viene il mal di mare al solo pensarci-, mormorò Fobos,
tornato
improvvisamente serio. Teneva gli occhi socchiusi e lo sguardo
indirizzato
verso i detenuti di fronte a noi, a qualche passo di distanza oltre la
passatoia dei secondini.
-
Quei lardosi pezzi di merda non la smettono di fissarti-,
ringhiò poi,
osservando uno degli uomini raccogliere il suo stivale e indossarlo con
aria
soddisfatta. Sbuffai.
-E
tu non farci caso. Abbiamo cose più importanti a cui
pensare. Tipo come convincere
i Diarchi a non fucilarci o alternativamente a come scappare da qui-.
-Beh,
di scappare non se ne parla, non dopo la nostra scampagnata nel
Deserto.
Inoltre ormai siamo qui, tanto vale tentare di scoprire qualcosa sugli
eventi
che hanno coinvolto il Vallum, non trovi? -.
Annuii,
mentre afferravo la razione di cibo liofilizzato che una guardia bassa
e
muscolosa ci porgeva attraverso le sbarre. Il vassoio constava di una
bacinella
di acqua e due buste simili alle sacche di una flebo. Guardai il corpo
emaciato
di Fobos e le ossa sporgenti delle anche che gli riaffioravano dai
pantaloni e,
senza nemmeno pensarci, gli allungai entrambe le razioni. Lui mi
guardò
confuso, tenendo in mano il vassoio come fosse il corpo di una farfalla
delicata.
-Devi
mangiare. Sei pelle e ossa. Non so nemmeno se i Mauriani accetteranno
di
curarti; devi mantenerti in forze perché da sola non ce la
faccio-.
Fobos
aprì le buste con una smorfia, sciogliendole in acqua e
lasciando che il loro
contenuto insaporisse il liquido incolore.
Bevve
avidamente da un lato della ciotola, mentre il liquido per la foga gli
scivolava lungo il mento e gli macchiava la canotta già
sporca di sangue e
sabbia. Lo raggiunsi e mi sedetti nuovamente accanto a lui, meditando
sulle
nostre mosse successive.
-Mi
hanno chiamata Deadly Child, hai detto. Ciò significa che
pensano io sia un
esperimento come te. Forse anche peggio dal momento che i DC sono tutti
degli
schizzati-.
Fobos
staccò le labbra dalla bacinella e mi porse quel liquame che
puzzava di erba.
Scossi il capo allontanandolo.
-Se
sanno della tua condizione psicologica, sicuramente sanno anche molto
altro.
Qui credo ci sia in ballo qualcosa di molto più grosso di un
atto di ribellione
di quei poveracci del Vallum-.
Deadly
Child. Non avevo mai pensato che qualcuno mi avrebbe ricollegato a
loro. Si
trattava di un progetto militare nato almeno una decade prima per
svuotare i
Sanitaria. Durante la Legislatura del Presidente Dyonisus, infatti,
molti
avversari politici, dissidenti civili e propagandisti accaniti vennero
rinchiusi nei manicomi tramite prelievo coatto e fatti sparire dalla
società.
Tutto aveva funzionato perfettamente finchè gli oppositori
di Dyonisus avevano
superato in numero i sostenitori e i Sanitaria di tutta Elladia si
erano
riempiti di clienti del tutto normali. Una volta decaduto il mandato
del
Presidente, quindi, il suo successore Lykurgo, aveva promulgato la
Restoration
Law, la quale prevedeva che lentamente, nel decorso del suo mandato,
Sanitarium
dopo Sanitarium, chi fosse risultato adatto in base alle perizie
psichiatriche,
fosse reintegrato come soggetto medico per la sperimentazione. In
sostanza
mancavano cavie per i farmaci. O almeno questo era quello che era stato
velatamente dichiarato nei fascicoli che erano stati poi inviati
tramite
computer ad ogni dispositivo tecnologico di Elladia e ad ogni
Displayfesto, gli
enormi schermi delle piazze che rimandavano ventiquattr’ore
su ventiquattro il
canale politico della Sede.
La
realtà che si era fatta largo a sgomitate tra la folla era,
invece, di tutt’
altra natura. Si diceva che l’Esercito stesse lavorando a una
sperimentazione
nuova e che avesse bisogno di “volontari”. E chi
era meglio di persone incapaci
di intendere e volere, spinte solo dal desiderio di sfuggire alle
quattro mura
che li intrappolavano da anni? E poi, si sapeva che i militari erano
alla
ricerca del segreto che permetteva al Tempio di individuare nei propri
fedeli
quelli con la scintilla della magia. In qualche modo era trapelato che
i
soggetti migliori erano in realtà quelli danneggiati, quelli
il cui cervello si
era mantenuto in uno stato più primitivo, immaginifico e
infantile, ma che
possedevano un corpo robusto e sano. Chiedevano la mente di un bambino
nel
corpo di un individuo maturo.
Queste
persone erano state, pertanto, prelevate e torturate, ma nessuna prima
di Fobos
era riuscita a sopravvivere e la razza Ibrida si era già
estinta prima di
essere stata creata. Un vero peccato.
Ma
Lykurgo non era tipo da arrendersi al primo ostacolo,
perciò, forte dei suoi
studi biologici ed ingegneristici, aveva pianificato la creazione del
Deadly
Child.
In
sostanza la sua idea era quella di prelevare un bambino con disturbi di
personalità, ad esempio affetto da disturbo della
personalità borderline, e
trasformarlo in una sorta di bomba ad orologeria, una sacrificabile
arma di
distruzione di massa senza amor proprio. Conoscevo perfettamente il
tipo di
malattia perché io stessa ne ero affetta. Sbalzi di umore,
dissociazione dalla
realtà e sdoppiamento di personalità, il tutto
associato a manie ed ossessioni
oltre che a scatti di nervi e rabbia. Borderline, invece, indicava la
peculiarità del disturbo, ossia quello di essere coscienti
del proprio stato
allucinato. Per esempio, io pensavo di avere un mostro incollato allo
sterno
che stringeva con i suoi artigli ossei il mio cuore, e pur sapendo che
la sua
esistenza non era reale, continuavo a sentirne il peso fisico, come una
palla
al piede.
Ad
ogni modo questa condizione psichica era la migliore per il trattamento
pensato
da Lykurgo: infatti, il soggetto sarebbe stato abbastanza lucido da
comprendere
ciò che gli stava accadendo e da agire coscientemente
secondo gli ordini
assegnati, ma al contempo la sua mente instabile avrebbe garantito al
paziente
di essere elaborato e testato senza che questi si opponesse. Si dice in
qualche
documento sibillino della Magna Teca che un soggetto simile, alla fine,
sia
stato davvero portato alla luce, ma che vista la violenza sulla Natura
da cui
era stato generato, gli Dei abbiano deciso di eliminarlo infondendogli
istinti
suicidi. Da allora il termine Deadly Child viene usato per indicare
persone
disturbate come me che in qualche modo manifestano poco spirito di
autoconservazione e decisamente troppo spirito di iniziativa.
E’ ancora oggi
una sorta di insulto, alla stessa maniera della parola Ibrido per
quanto
riguarda Fobos.
Venni
riscossa dai miei pensieri proprio dall’Ibrido che,
inginocchiatosi di fronte a
me e reggendomi la nuca, cercava di farmi ingurgitare parte della
brodaglia che
lui aveva lasciato.
La
guardai disgustata mentre un moto di repulsione mi spingeva contro il
muro, le
spalle a contatto con la nuda pietra.
-Bevila.
Sarai il mio braccio, e forse anche la mia mente in effetti, quindi
anche tu
devi restare in forze-.
-
Io non la bevo quella sbobba-, mi lamentai, mentre il bordo di plastica
della
ciotola mi sfiorava le labbra. Inutile dire che alla fine mi ritrovai a
deglutire forzatamente quello schifo, con le dita di Fobos che mi
premevano sul
collo nel tentativo di farmi ingoiare il cibo liquido e insapore senza
rimetterlo.
-Stavo
pensando a una cosa-, disse poi mentre con la mano mi ripuliva
goffamente le
labbra. Era una cosa che si faceva con i bambini non con le persone
adulte, perciò
la situazione mi parve assai bizzarra. Arrossii involontariamente e
invitai
Fobos a proseguire nel suo discorso.
-
Dovremmo far loro credere che tu sia davvero un Deadly Child. In questo
modo
potremmo avere un’arma di convincimento più unica
che rara. In fondo si tratta
solo di una mezza bugia-.
Ci
pensai seriamente, appoggiando il mento al palmo della mano.
-In
effetti anche nei documenti che hai redatto insieme a Upokrates
è stato
confermato il mio disturbo. Ci sarebbero prove tangibili della mia
Natura-.
Fobos
sorrise, autocompiacendosi della sua idea geniale.
-Se
riusciamo a convincerli che siamo dalla loro parte e che vogliamo
aiutare
quelli del Vallum ad assaltare la Sede Governativa, forse in cambio ci
cederanno qualche utile informazione-, aggiunse, poi, mentre con lo
sguardo
acceso mi fissava negli occhi.
-Sei
un genio… allora è rimasto un briciolo di
intelligenza in quel cervello
bacato-, risi sincera, ammirando la prontezza di ragionamento
dell’Ibrido. Gli
diedi un leggero spintone sulle spalle, ma visto che i talloni di Fobos
non
erano ben piazzati a terra, questi scivolò
all’indietro trascinandomi con sé.
Ci ritrovammo distesi sul pavimento, l’una
sopra l’altro, ridendo come due completi imbecilli. Non so
nemmeno perché trovassimo
la situazione così divertente. In fondo eravamo imprigionati
in territorio
ostile, con la tremenda possibilità di essere giustiziati il
giorno seguente.
Forse stavamo sfogando il nervosismo che ci aveva accompagnati dal
Vallum sino
al Sandpit, o forse semplicemente eravamo impazziti a causa del caldo.
Mi
accorsi solo alcuni istanti dopo che quella era la prima volta in cui
vedevo
Fobos ridere di gusto, senza ombra di sadismo o cinismo sul volto.
Pensai che
forse in passato, quando i suoi occhi erano ancora del colore brillante
dell’erba, il suo sorriso doveva persino essere stato
più bello e innocente.
Non che ora fosse da meno: vederlo così a suo agio, scosso
dalle risa, lo
rendeva ancor più affascinante ai miei occhi. Gli passai
distrattamente una
mano fra i capelli, districando la lunga coda bruna e osservando
intensamente
gli angoli ancora arricciati delle sue labbra.
-Astreya-.
La
sua voce profonda e gutturale come l’eco di un tuono mi colse
alla sprovvista,
facendomi accelerare i battiti del cuore fino al limite dello scoppio.
Non
c’era più nemmeno l’ombra di quella
serenità che avevo visto riverberarsi in
tutto il suo corpo qualche secondo prima. Ora c’erano
soltanto perplessità e
stupore.
Mi
chinai, quasi al rallentatore, trattenendo il fiato e facendo il conto
alla
rovescia. Era come se una calamita mi stesse attirando verso il volto
pallido
di Fobos, lasciandomi giusto il tempo di assaporare la vicinanza
bollente del
suo respiro alle mie labbra. Mi sembrava di essere impazzita: eravamo
in un
carcere puzzolente, con poco più dei nostri vestiti e
quattro detenuti che ci
fissavano senza ritegno, eppure non potevo fare altro che avvicinarmi
sempre di
più, calando la cappa nera dei miei capelli sulla fronte e
il profilo
dell’Ibrido. Solo quando le punte dei nostri nasi si
sfiorarono, Fobos si decise
a reagire, spostando appena il viso di lato.
-Stranieri!
-, ci interruppe una voce, facendoci immediatamente scattare
sull’attenti. Un
secondino alto con pochi capelli sulla cocuzza lucente ci spiava
dall’altro
lato delle sbarre, gli occhi piccoli e stranamente chiari. –
Il Segretario è
venuto a farvi visita-.
Un
uomo robusto con delle spalle larghe strette in un completo gessato
viola e
nero comparve da dietro la parete, infilando le dita inanellate di
acciaio tra
le fessure delle sbarre. Era abbastanza giovane, non doveva superare la
quarantina, e portava i lunghi capelli viola raccolti in un codino alla
base
del cranio. Sorrise famelico quando il suo sguardo incontrò
il nostro. Eravamo
ancora seduti a terra, ma ci eravamo talmente distanziati
l’uno dall’altra che
fra di noi si era ricreato il solito abisso.
-Vedo
che vi state adattando alla nuova sistemazione. Io sono il Segretario
del
Sandpit, Colossus -, si presentò laconicamente, porgendoci
la mano attraverso i
pali di metallo. Entrambi ci allungammo per stringerla, io forse con un
po’
troppa forza, e di rimando rivelammo i nostri nomi e la nostra
provenienza.
-Lei
non è originario di questo posto, sbaglio? -, domandai quasi
subito, certa che
Colossus non rientrasse nella forchetta dei nomi adottata dai Mauriani.
Loro
per scelta avevano deciso di distaccarsi dall’utilizzo
Elladiano di appellativi
storici, ricavati da quei reperti e papiri che per anni avevamo
riportato alla
luce e ristrutturato. Perciò si chiamavano accostando
semplicemente lettere e numeri,
in maniera tale da rendere tutti uguali, con lo stesso potenziale di
partenza.
Niente discriminazioni, era il motto del Sandpit. Solo la nuda forza
interiore
era in grado di mettere in luce od oscurare un individuo.
Gli
occhi di Colossus si trasformarono in una tempesta elettrica,
sorridendo
nuovamente con quei denti piccoli e luccicanti.
-Vedo
che non le sfugge nulla. Ebbene sì, io sono Mauriano di
adozione: infatti, provengo
dal vostro stesso mondo. Solo ho deciso che non faceva più
per me e, quindi,
sono venuto qui. I Mauriani mi hanno accolto alla stessa maniera con
cui hanno
accolto voi, ma ben presto hanno scoperto qualcosa di me che era
indispensabile
per loro. Il mio intelletto-.
-Quindi
lei è qui per aiutarci? -, azzardò Fobos,
avvicinandosi all’uomo e chinandosi
appena per osservarne i lineamenti con maggiore attenzione. Colossus
annuì
impercettibilmente, quasi non ne fosse sicuro.
-In
un certo qual senso. Mi hanno incaricato di seguirvi durante la vostra
permanenza qui, dal momento che come voi io sono un bug. Tuttavia il
mio
giudizio su di voi sarà imparziale, del tutto imparziale,
quindi non credo che
otterrete il tipo di aiuto che desiderate-.
La
voce melliflua di Colossus mi fece accapponare la pelle. Ero certa che
quell’uomo fosse un lupo travestito da agnello, un individuo
tanto
indispensabile, quanto imprevedibile.
-Vogliamo
solo parlare con i Diarchi-, ammisi fronteggiando l’uomo. Lui
si limitò a
guardarmi pigramente i capelli nel loro fluire sulle spalle, scomposti
e mezzo
fuggiti dalla treccia.
-
Non è quello che ho pensato vedendo i filmati di sicurezza
del Rhind-, ribatté
lui, alludendo all’attacco di fronte al palazzo piramidale.
-
La responsabilità di quell’increscioso incidente
è completamente mia. Quello
che mi affligge è un problema di tipo medico, quindi spero
abbiate almeno la
clemenza di ascoltare, oltre alle nostre considerazioni, anche le mie
scuse-.
Fobos,
come al solito, era impeccabile. Spalle rigide, incedere fiero e
sguardo
rassicurante. Stava riuscendo a trattenere la sua malattia (se
così potevo
chiamarla), mostrando il Generale rispettoso che era davvero, o
perlomeno
fingendo alla grande.
-Sono
certo che i Diarchi abbiano molti argomenti di cui discutere con voi
quattro-.
Gli
occhi di Fobos ebbero un guizzo e il mio cuore perse un battito.
-Quattro?
-, chiedemmo all’unisono.
-Non
siete i soli ad essere giunti qui, nell’ultimo periodo-,
sogghignò lui, prima
di andarsene soddisfatto, le mani incrociate dietro la schiena e le
gambe
impegnate in lunghe falcate. Solo prima di imboccare la galleria di
uscita si
voltò, indicandoci con la punta affilata
dell’indice. –In effetti, vi stavamo
aspettando-.