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Autore: fortiX    06/08/2015    4 recensioni
Bassai dai é il nome di un kata del karate shotokan. Il termine vuol dire entrare nella fortezza. E cosa sono Sephiroth e Cloud se non due fortezze mai violate? Cloud sta aprendo la sua verso una nuova vita e si accorgerà presto che, nonstante le numerose sconfitte, il suo nemico mortale non é mai stato veramente conquistato. I segreti e le paure verranno mai svelati? Cloud avrà questo coraggio?
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Cloud Strife, Nuovo personaggio, Sephiroth, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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E’ così tenero. E in palese soggezione. Sarà una mezz’ora buona che studia e scruta la piccola nella culla, mentre scarabocchia chissà che cosa in quel diario. Di tanto in tanto, sorride, soprattutto quando lei fa le sue adorabili smorfie. Per quanto lui lo neghi, Takara gli somiglia tantissimo. Ha solo poche ore di vita e già mostra i segni inequivocabili di suo padre. Smorfie comprese! Arriccio e stringo le labbra, cercando di trattenere il risolino divertito che mi sta nascendo in fondo alla gola. Non voglio interrompere i suoi ragionamenti. Chissà se avrà l’ardire di prenderla in braccio… La voglia c’è di sicuro, tradita dalle tenere incursioni delle sue mani nella culla della bambina, dove quelle dita affusolate e forti lasciano dolci carezze sulle manine, sul pancino, sulle guanciotte. Oh! Alla fine, un dito è caduto vittima della grassoccia morsa della figlia. E’ rapida la piccola. E’ bastato un attimo di distrazione… L’espressione sconcertata di Sephiroth è a dir poco comica! Devo richiamare a me tutta la volontà per continuare a fingere di dormire e non prorompere in una fragorosa risata. Cerca di liberarsi con poco convinti strattoni, ma quella stretta è più forte di quanto immaginasse. Ora sono proprio curiosa di vedere come se la cava… Si guarda intorno un po’ spaesato, poi chiede alla piccola, sfoggiando un meraviglioso e solare sorriso con quelle labbra tutte da baciare.

-Non vuoi proprio lasciarmi, eh? –

Takara mugola e agita le estremità, scalciando e sbracciandosi. Senza mollare la presa, sia chiaro. Credo che voglia essere presa in braccio, signor Papà. Come mi avesse letto nella mente, sospira e fa passare la sua mano sotto la schiena della piccola, stando bene attento a sorreggerle la testa. Ha la mano talmente grande da essere in grado di accogliere tutto il corpicino della figlia. La solleva lentamente, mentre con la mano imprigionata cerca di tenerla in equilibrio all’interno del suo palmo. Avverto un tuffo al cuore, vedendola ondeggiare pericolosamente e, per poco, cadere a terra. Fortunatamente, i riflessi di suo padre sono felini e, con una straordinaria ripresa, l’avvicina rapidamente al suo petto. Lo avverto sospirare sollevato, mentre armeggia con la bambina nel goffo tentativo di trovarle una posizione comoda e sicura. E’ così teneramente impacciato e insicuro quest’uomo grande e grosso dal corpo sovraumano, fatto per uccidere, dagli occhi gelidi, fatti per trafiggere e condannare, e dalle mani grandi e callose, fatte per brandire mortali armi lucenti. Una figura che stride così tanto con il risoluto Generale dei SOLDIER e, forse, è proprio questa dicotomia a renderlo ancora più tenero. Sorrido, mentre lui avvicina il viso alla piccola e guida le ditina carceriere lungo la sua guancia, per farsi accarezzare da quella morbida e liscia pelle. Vedo il pollice di lui massaggiare il dorso della manina e, di tanto in tanto, stringergliela dolcemente, come per farle sentire la sua presenza. Sempre e comunque. Qualunque cosa accada. Non riesco a sentire cosa le stia sussurrando, ma credo di aver udito la parola ‘principessa’. Sorrido con orgoglio. Sì, lo è davvero: la nostra preziosa, bellissima principessa. Dal canto suo, la bambina è completamente incantata dalla voce baritonale del padre. Lo osserva con gli occhietti leggermente dischiusi - di un verde straordinario, vitale e luminoso -, completamente rapita e la boccuccia aperta in un’amabile O. E’ una scena così bella da commuovermi. Mi mordo il labbro inferiore per trattenere un singhiozzo nascente dalla gola. Non credevo che un uomo come lui potesse essere COSÍ affettuoso. E’ meraviglioso vederli insieme, l’una nelle braccia dell’altro, accarezzati dal sole del tardo mattino, mentre si conoscono a vicenda. Anche se… è strano: Takara non ha mai avuto famigliarità con la voce di Sephiroth, se non negli ultimi di giorni, quando lui è arrivato come un fulmine a ciel sereno; eppure lei è assolutamente a suo agio. Sembra che lo conosca da sempre…

Un brivido gelido mi attraversa da capo a piedi appena la parola ‘Riunione’ mi passa per la testa. E’ inequivocabile che il sangue di Jenova le scorra nelle vene, ma non riesco, non POSSO concepire che quel minuscolo, dolce, innocuo fagottino sia un mostro capace di radere al suolo il Pianeta. Eppure le potenzialità ci sono tutte. Non ho idea di come l’eredità della Calamità lo abbia contagiato, ma, a tutti gli effetti, Sephiroth è il discendente diretto di Jenova, senza nemmeno passare per migliaia e migliaia di generazioni. Prego che il mio sangue sia abbastanza forte da compensare la crudeltà di quella Bestia e che la gentilezza e la sensibilità umana di suo padre facciano il resto, così da rendere il mio tesoro una bambina come tutte le altre.

-Ma guarda, la mamma è sveglia. –

I cupi pensieri vengono scacciati via immediatamente, appena incrocio il sorriso sornione del mio Generale. E la parola ‘mamma’ mi provoca una sfarfallata all’altezza dello stomaco, per quanto strana e meravigliosa ancora mi parva. Sorrido apertamente e mi sollevo stancamente. La schiena è ancora assaltata dalle fitte del parto, mentre le gambe sono così pesanti da sembrare marmo; però riesco a mettermi seduta. Sephiroth arriva in mio soccorso per aiutarmi a sistemare meglio il cuscino per sostenere il dorso. Dopodiché, adagia con attenzione la bambina sulle mie cosce. Takara si agita appena e inizia a emettere urletti con la sua vocetta squillante, in un discorso tutto suo; di tanto in tanto interrotto da una ciucciatina al dito di suo padre accompagnata da litri e litri di saliva. Mi scappa una risatina divertita osservando l’espressione un po’ disgustata di Sephiroth e i suoi vani tentativi di liberarsi da quella morsa che non perdona. Avvolgo entrambe le braccia attorno al corpicino, mentre traggo la mia piccola a contatto col mio ventre, il posto da cui proviene. Nel frattempo, il mio amato prende posto accanto a me e fa scivolare il braccio destro dietro alle mie spalle, così che mi possa appoggiare a lui. Avverto il suo cuore possente battere e, per un attimo, mi inebrio di quel suono rombante e rassicurante, mentre il suo fiato mi accarezza i capelli come una brezza leggera e rinfrescante.  Chiudo gli occhi e mi accoccolo meglio sul suo petto, prendendo profonde boccate del deciso profumo della sua pelle pallida. Mi era mancato tanto, questo cuore, questo respiro, questo odore, questo calore… Rabbrividisco un poco, appena avverto i suoi polpastrelli lisciarmi lievemente la pelle dell’avambraccio, in un lento movimento verticale e continuo. Alzo la testa e studio i suoi lineamenti rilassati e bellissimi, mentre guarda assorto la bambina e sfoggiare un sorriso fiero.

-Da quando è nata non hai occhi se non per lei. Devo essere gelosa? –

Lo stuzzico con un filo di ironia, riottenendo la sua attenzione. Lui ridacchia.

- Anche tu non sei da meno. Credo che tua figlia abbia un talento innato ad attirare l’attenzione su di sé. –

-Già. Chissà da chi avrà preso? Ora che ci penso, anche il Presidente Shinra amava stare al centro dell’attenzione. –

Sephiroth mi fulmina con lo sguardo e io inizio a ridere.

- Non è divertente… -

- La tua espressione un po’ lo è! –

Abbasso la testa e porto la mano alla bocca, distogliendo l’attenzione dalla sua espressione così adorabilmente e fintamente offesa. Quando rialzo gli occhi, tuttavia, la mia ilarità si spegne, a causa del buio calato sul suo viso angelico.

Succede spesso, in questi giorni. Mi ha raccontato di aver visto uno dei suoi unici amici sul filo della morte. Conosco quel SOLDIER, l’ho visto spesso bazzicare per le case da tè di Garyo, ed è stato così difficile immaginarlo sull’orlo dell’inevitabile. Lui, così attaccato alla vita e alle sue sfaccettature. Uno dei pochi in grado d’insegnare al mio amato cosa vuol dire vivere, tanto da accantonare l’orgoglio e tornare da me. Sephiroth non è l’unico a ringraziare quel giovane di Banora. Ho potuto assistere al tormento zampillante dagli occhi persi del mio Generale, mentre rabbrividiva ripensando a quei terribili momenti. Gli sono stata accanto tutto il tempo, mentre quella lunga notte volgeva al termine e lui si addormentava pian piano, come un bambino dall’animo via via più alleggerito dai fantasmi della paura. E proprio in quel momento, la piccola si mosse da dentro il mio grembo, attirando l’attenzione sonnecchiante del padre. Di nuovo, il senso di colpa tornò ad adombrargli gli occhi. Mi ha parlato del Progetto G, di quei dubbi che lo hanno accompagnato fin da bambino, di quell’origine nefasta che teme d’aver trasmesso a sua figlia. Una lacrima di pentimento sfuggì al suo controllo, mentre appoggiava la fronte al grembo, in un atto di contrita deferenza. Vuole il perdono, un perdono che probabilmente non arriverà mai, tanto il male che lo hanno costretto a compiere. Sente di essere sbagliato, di portare in sé una malvagità così grande da non riuscire più a controllare e di cui non sa nulla. Se solo conoscesse la verità… brucerebbe il mondo intero dal dolore. Raggirato, castigato, imprigionato fino a spegnere ogni volontà, ogni identità, ogni onore.

Sollevo la mano e lascio che le mia dita liscino il suo mento appuntito, fino ad adagiarsi dolcemente sulla mascella ben delineata. Con delicatezza, volto il suo viso nella mia direzione, così da poterlo guardare negli occhi. Mi inebrio in quel verde mako sconfinato per un lungo istante, apprezzando ogni singola sfumatura di quell’iride limpida come una polla d’acqua cristallina. E poi, a squarciare quella luminosa perfezione, il buio. Sottile e tagliente come la lama della Masamune, cela al mondo il fuoco che brucia nel suo cuore. Un fuoco animato da tanti, troppi sentimenti repressi. Ed esiste un solo modo per sfogarli in maniera costruttiva. Mi avvicino alla sua bocca, bloccandomi a pochi centimetri da quelle labbra tanto bramate, ora leggermente dischiuse, in attesa di un bacio tramutato in sussurro.

- Io ti amo. –

Gli rivolgo uno sguardo carico di amore, mentre le sue iridi s’infiammano di ardente passione. Eccolo, il fuoco. Lo bacio dolcemente, assaggiando fino in fondo il sapore di quella morbidezza rosea. Lui risponde con garbo, ma avverto poca convinzione nelle sue azioni.

-Qualcosa non va? –

Mi osserva con uno sguardo enigmatico, profondo, come se volesse leggermi l’anima. Ho imparato a capire che quando vedo quegli occhi cupi e concentrati sta rimuginando qualcosa. Ad un certo punto, apre la bocca, ma nessun suono esce da quelle labbra, le quali vengono subitamente serrate, per poi riaperte e richiuse di nuovo. Le sue pupille feline si staccano dalle mie e iniziano a vagare per la stanza. Sembra in netto imbarazzo, come se stesse cercando le parole giuste.

- Ecco… vorrei chiederti una cosa... -, abbassa lo sguardo, sorride imbarazzato, le sue gote s’imporporano appena, - Veramente avrei dovuto chiedertelo molto tempo fa, ma… l’occasione sfumò, come sai. -

Sembra parlare più a se stesso che a me, ma ad un certo punto solleva la testa e mi fissa. C’è una strana luce in quelle giade… e non mi è nuova.

- Sono stato un idiota a non averti fatto questa domanda, quando di tempo a nostra disposizione ne avevamo molto di più e ancor più idiota ad andarmene, lasciandoti nel momento più delicato della tua vita. -, fa una pausa, durante la quale egli sospira sconsolato,- Con te ho fatto un errore dietro l’altro, però ora ho capito. -

Il mio cuore fa una capriola.

Non vorrà mica…?

Il suo sguardo si è fatto più deciso, quasi rabbioso, come a sottolineare il fastidio per aver sprecato così tanto tempo. Inconsciamente, stringo Takara a me, nella vana speranza che il suo calmo corpicino possa fermare il rullo battente che ho al posto del cuore. Sephiroth si stacca dalla parete e si acquatta sul letto. I nostri sguardi sono incatenati l’un l’altro e nessuno dei due sembra volersi arrendere. Lui prende un profondo respiro.

- Evelyn. -, una significativa pausa, durante la quale lui assapora ogni lettera del mio nome, come a convincere se stesso dell’effettiva scelta. Dal canto mio, un brivido caldo mi tronca il fiato, preparando il mio corpo alla fatidica domanda. Sembra passata una vita dall’ultima volta che mi venne rivolta, ma l’emozione non è cambiata; anzi è molto più forte.

- Vuoi sposarmi? –

Eccola! E’ ancora più bella e speciale di quanto mi ricordassi. Forse sono gli ormoni a rendermi così succube delle emozioni, o forse amo quest’uomo molto più di quanto veramente abbia mai realizzato: qualunque sia la ragione, tuttavia, io non riesco ad arrestare le lacrime di felicità che repentinamente hanno riempito i miei occhi. Stacco una mano da Takara e l’avvolgo attorno al collo di Sephiroth, traendolo a me. Lo stringo forte, mentre mi sfogo sulla sua spalla forte. Ad un certo punto, sento le sue braccia circondarmi, condurmi al suo petto.

-Sì. –

Esco dal mio nascondiglio e lo guardo, accarezzandogli la guancia, e reitero con più convinzione.

- Sì. –

La luce appare sul suo viso, rendendolo così desiderabile, così bello. Mi bacia, con molto più passione di prima, lasciandomi quasi senza fiato. Dopo poco ci stacchiamo, ma rimaniamo a occhi chiusi, le fronti unite, a respirare i rispettivi fiati.

- Saremo una vera famiglia. –

Percepisco del liquido sfiorarmi le gote. Non sono lacrime mie, realizzo.

- Giuro che non vi abbandonerò mai più, amore mio. Mai più. –

 

 

Una vera famiglia.

Quello che Tifa ha sempre desiderato, ciò che il mio peggior nemico ha ottenuto. Avverto un’ira sorda scuotermi da capo a piedi, suscitata da una profonda delusione nei confronti di me stesso. Lui, un mostro, un assassino, un maledetto è riuscito dove io ho fallito… Stringo i pugni e i denti per arginare la rabbia. E l’invidia. A volte penso che queste visioni servano solo a farmi sentire misero e meschino. Una piccola vendetta da parte di colui che definii solo e senza cuore; quando la realtà è tutto l’opposto. Mi rendo anche conto che lui aveva ragione: più si è abituati alla ricchezza, più è facile dimenticarsi delle cose semplici. Io ho avuto dalla vita privilegi che Sephiroth nemmeno si sognava: una madre, degli amici sinceri, un luogo d’origine a cui tornare… una donna innamorata pronta a tutto per me. Tutto ciò è stato barattato per… per… niente. Ero così accecato dalle luci rifulgenti delle lame di SOLDIER; dalle insegne pubblicitarie inneggianti promesse di un futuro pieno di effimera gloria; dagli occhi ghiacciati del mio idolo chiamarmi a sé, da non accorgermi di quanto fossi fortunato, di quanto amore ci fosse nella mia vita, di quanto fosse bella la tranquillità del mio villaggio. Come tanti altri ero caduto nella rete di bugie della Shinra. Rilasso appena le dita, pensando a quanto noi umani siamo incontentabili e di quanto il destino sia beffardo. Le persone vedono sempre nella ricchezza, nella notorietà, nella gloria il segreto della felicità, quando, invece, sono proprio coloro che hanno ottenuto queste sono le più tristi e sole. Al che si comprende: senza amore, senza lealtà, senza onore un umano non si sente completo, perché semplicemente non lo è. Quante volte abbiamo invidiato Sephiroth per il semplice fatto che lui aveva, a nostra detta, tutto; vedendo nel suo attico, nelle donne che lo circondavano, nel suo smisurato talento, una fortuna sfacciata, quasi immeritata, secondo alcuni fanti. Essi, infatti, addirittura sparlavano alle sue spalle inventandosi storie improbabili, andando a seminare dubbi perfino sulla sua sessualità, solo perché ritenevano assurdo rifiutare avances dalle donne, soprattutto dopo mesi lontano da esse. Nessuno immaginava che quei rifiuti non erano per mero disinteresse, ma per fedeltà. Una parola che a molti suonava così strana, perfino a chi aveva lasciato una ragazza a casa ad attenderli, di cui si erano già dimenticati. Fedeltà nei confronti del proprio cuore, quando il mondo attorno a te s’impegna ad offuscarlo con sibilanti tentazioni. Noi, sciocchi fanti, poveri di tasche e altrettanto nell’animo non avevamo compreso questi valori così semplici, di cui avevamo avuto insegnamento fin da bambini; mentre un bambino solitario cresciuto troppo in fretta e troppo crudelmente ne aveva completamente assorbito il significato. Lui è l’esempio, in tutto e per tutto.

Ora capisco il significato dietro quella frase:

 

Tell me what you cherish most. Give me the pleasure of taking it away.

[Rivelami ciò che ritieni più prezioso. Dammi il piacere di portartelo via. Sephiroth, FFVII: ACC]

 

Non la proferì per scherno, ma al fine di farmi reagire, richiamando lo spirito di Zack in mio soccorso. Non potevo arrendermi. LUI sapeva cosa avrebbe significato, che dolore avrebbe causato. Un dolore che perpetua tuttora e che di continuo mi trapassa il cuore. Un dolore dannatamente simile a quello del Geostigma.

Sbagliavo anche su questo: Sephiroth non tormentava l’umanità con la sua ferocia, ma con la sua angoscia. Penetrante, continua, profonda. Come una stoccata, spietata e senza alcuna remora. In effetti, come si fa sopravvivere a una sofferenza del genere? Comincio a credere che non fu la follia a distruggere la sua mente, ma una ragionata decisione. Era la conferma che cercava, il motivo che lo avrebbe legittimato a infliggere al mondo lo stesso dolore che provava in quel momento. Quella strana ferocia, quell’ira incontrollata, quella insensata sete di vendetta che hanno contraddistinto la sua vita avevano trovato una spiegazione, finalmente. Inoltre, lo aveva promesso a Evelyn: lui l’avrebbe raggiunta anche tra le fiamme dell’Inferno. Una crociata per liberare la sua famiglia, ecco quello che Sephiroth sta intraprendendo. Quello che tutti avevano frainteso. L’unico ad aver capito le intenzioni dell’albino è stato proprio l’uomo di fronte a me: suo padre, Vincent Valentine.

Alzo gli occhi dai miei ragionamenti e lo osservo mentre si passa la mano guantata tra i capelli corvini, accompagnando l’azione da un profondo sospiro. Gli ho permesso di leggere l’ultimo passo del diario, in quanto ho ritenuto opportuno metterlo al corrente della figlia avuta da Sephiroth. La sua nipotina. E’ difficile realizzare che il mio silenzioso compagno di viaggio ha effettivamente una certa età; sebbene l’aspetto non tradisca l’effettiva anzianità. Ancora fatico a metabolizzarlo come padre e ora scopro che è pure nonno! Oltre che essere l’unico parente ancora in vita di Takara; dal momento che i genitori di Evelyn si sono uniti al Pianeta quando lei era soltanto una bambina, almeno stando a quello che Gast mi ha riferito.

- Sei sicuro che sia ancora viva? –

Egli mi fissa con quelle iridi infuocate, studiandomi fin dentro l’animo. Sento una fitta stringermi lo stomaco, mentre quel segreto sembra risalirmi l’esofago, evocato da quello sguardo. Resisto. Non posso rivelargli la condanna della bambina: lui m’ impedirebbe di compiere il mio… dovere, se così vogliamo chiamarlo. Anche se non sono così sicuro che la ragazza potrà mai essere in salvo. Se da un parte c’è la Shinra con i suoi loschi scopi, dall’altra… ci sono io, colui designato dal Pianeta per porre fine alla sua giovane vita e… liberare il suo potere. Ho riflettuto a lungo su questa richiesta e non riesco a scacciare questa sensazione di dejà vu, come se un sacrificio del genere fosse già avvenuto.

 

Quanto sei lento, Cloud. Eppure, tu c’eri. Ed eri l’ospite d’onore.

 

La fredda e boriosa voce del Generale mi illumina. Era un evento che ho provato a dimenticare con tutto me stesso; eppure eccolo di nuovo che si ripresenta. E, questa volta, oltre ad esserne il protagonista assoluto, sono anche l’esecutore.

Aerith e il suo sacrificio. Sephiroth e la sua follia…

Due dei poteri più potenti dell’universo coalizzati contro la Shinra e la sua sete di energia. Ci voleva un’entità benevola, una benefattrice, per riabilitare il Pianeta e un mostro senza cuore per compiere un tale crimine. No, non un mostro. Un uomo che aveva perso tutto, disperato e straziato nella mente e nell’animo, pronto a far marcire la sua anima nel più profondo, lurido e schifoso buco dell’Inferno, pur di non avvertire più alcun dolore. Ma si sa, il Pianeta è un bambino capriccioso e sadico. Quale migliore occasione per rifarsi delle angherie subite da Jenova, se non avere tra le grinfie il suo figlio prediletto? E perché non aggiungere la disperazione nel negargli la visione della sua amata figlia?

 

Traitor

[Traditore. Sephiroth, FFVII, FFVII: CC, FFVII: BC]

 

Esatto. Proprio così, Sephiroth.

Questo lunga guerra ha portato fin troppo dolore ed è ora di porvi fine. E questo che andrò a compiere sarà l’ultimo sacrificio. Una sola vita per salvare quella di tutti. Uno scambio equo, in fondo. Perfino il padre della bambina sembra aver accettato quel destino, in quanto, probabilmente, preferisca vederla morta, anziché sola nelle grinfie di un Pianeta spietato. Ma Vincent… Vincent non capirebbe. Ha visto un’amata venire distrutta dal peso delle sue colpe e un figlio sprofondare nel baratro più profondo della follia. Credo sarebbe troppo assistere al sacrificio della sua unica nipote, la sintesi tra le due persone che abbiano mai contato per l’ex-Turk.

-Cloud! Mi hai sentito? –

Alzo la testa di scatto, ridestandomi dai pensieri, e appunto la mia attenzione sull’angolo in cui Vincent è stato appollaiato per questa ultima ora. Egli ha il busto proteso verso di me e ha assunto un’espressione infastidita e severa.

- I tuoi momenti di alienazione stanno peggiorando, Cloud. Forse dovresti rimanere qui con Gast, mentre io proseguo col nostro piano. –

-E farmi studiare come un topo da laboratorio da quell’insofferente del suo assistente?! Non ci penso proprio! –

-E allora, rispondi. E’ ancora viva Takara? -

- Te l’ho detto. La bambina è viva. Lo spirito di Evelyn me lo ha rivelato. -

-Quello che non capisco è perché non ti ha riferito dove è nascosta. –

Alzo le spalle.

- Non lo capisco nemmeno io, ma credo che la spiegazione sia molto semplice: non lo sa. –

-E’ uno spirito legato al Lifestream! Come fa a non saperlo? –

- E’ qui che vi sbagliate, signor Valentine. L’entità non appartiene né al mondo dei morti, né a quello dei vivi. Ella continua ad esistere nel diario, in quanto, per sua natura, trae il suo sostentamento dai ricordi. –

Steven svetta ingobbito sull’uscio, artigliato al bastone da passeggio e rinchiuso nel suo perenne cappotto nero, come per nascondere le sue fattezze malate. Sia io che Vincent gli rivolgiamo sguardi torvi e minacciosi, anche se i più mordaci vengono da parte di quest’ultimo. L’antipatia tra loro si è acuita dopo una rivelazione da parte del professor Gast: Steven, infatti, non è altri che il figlio bastardo di Hojo. Anzi, stando ai fatti attuali, in teoria, sarebbe l’unico vero figlio dello scienziato della Shinra. Come, però il ragazzo sia finito alle dipendenze del rivale di suo padre è un autentico mistero. Il motivo, tuttavia, non è difficile da immaginare. Gast ci ha svelato, infatti, che, dopo che Sephiroth venne affidato a SOLDIER, Hojo decise di usare Steven come una sorta di cornucopia, così da fungere da garanzia per la preservazione del suo intelletto e delle sue capacità. Il ragazzo, infatti, era molto portato alla scienza, ma i ritmi disumani dello scienziato nell’istruirlo peggiorarono gravemente le sue già precarie condizioni fisiche. Il fisico malaticcio di Steven non reggeva le vergate così bene come quello temprato e allenato di Sephiroth.

Hojo sa come farsi amare dai propri figli…

 

Oh no. Hojo è molto democratico. Siamo tutti cavie ai suoi occhi, parenti e sconosciuti.

 

Il mio sguardo si addolcisce. Non posso biasimare questo povero ragazzo. Posso a malapena immaginare cosa abbiano provato due bambini nelle grinfie di quel pazzo.

- Come fate ad esserne così certi? –

La voce di Vincent mi ridesta e tendo le orecchie, facendomi attento. Steven assume un’espressione infastidita, quasi scocciata, tuttavia accantona la superbia e ci fa il favore di illuminarci.

- Lo abbiamo studiato per anni, quel diario. Dalle nostre misurazioni risultava essere permeato di un’incredibile energia di origine sconosciuta. Dopo vari esperimenti, il professore ed io notammo delle fluttuazioni di quell’energia, di cui non riuscimmo a comprenderne la causa, inizialmente. – s’interrompe un attimo, aggiustandosi gli occhiali sul naso, - Scoprimmo, infatti, che non si trattava di fluttuazioni casuali, ma veri e propri schemi di comunicazione, estremamente complessi. Notammo, inoltre, che l’energia misteriosa reagiva ai ricordi evocati durante le nostre chiacchierate. Fu in quel momento che il professore ebbe l’illuminazione. –

Il viso del ragazzo viene deformato per un brevissimo istante da una smorfia di dolore, la quale lo costringe ad interrompersi e trascinarsi stancamente verso la sedia più vicina. Il dolore, tuttavia, si accentua durante l’operazione, come testimoniano le sue espressioni e i suoi gemiti a denti stretti. Quando finalmente si siede, il suo viso si distende. Per poco, dal momento che un altro paio di fitte deformano i suoi lineamenti. Mi chiedo da che cosa sia affetto. Gast è stato ben muto su questo e dubito che Steven sia così in vena di rivelazioni. Faccio per alzarmi per accertarmi che stia bene, ma lui alza la mano con un gesto secco.

-Sto bene. –

Vorrei ribattere, ma il suo sguardo tagliente m’induce a ritornare sui miei passi. Dopo poco, infatti, egli ritrova il fiato per continuare, rizzandosi, per quanto la sua postura lo permette, sulla sedia.

- I Sephera sono stati la razza più affascinante della storia Cetra, anche se gli Antichi l’hanno sempre considerata una macchia vergognosa. Essi sono la prova che Jenova e Gaia posso coesistere pacificamente, come dimostra anche la nascita della piccola Takara. –

Steven s’interrompe e sospira, affondando nella sedia. Ora la sua espressione è distesa, rivelando tutta la gioventù nascosta dietro a quella maschera di lugubre indifferenza. Si toglie gli spessi occhiali e inizia a pulirli. Possiamo finalmente vedere meglio i suoi occhi, i quali non sono piccoli e malefici come quelli di Hojo, ma grandi e sinceri. L’iride è di un marrone chiaro, quasi rossiccio, dentro cui una pupilla si apre sulla sua anima cupa e misteriosa.

- “Dal sangue rosso di Eveth e dal sangue rosso di Sephira, vestito di piume nere e bianche, del Dono sarai il Portatore. Ti attendo all’Alba, Curatore di mondi.”

Vincent ed io ci scambiamo uno sguardo perplesso, senza comprendere il significato delle parole appena proferite da Steven. Il pistolero dà fiato alla nostra perplessità.

- Ha tutta l’aria di una profezia, o sbaglio? –

- No, non sbaglia, signor Valentine. Eveth e Sephira sono rispettivamente i nomi Cetra di Gaia e Jenova. Con sangue rosso s’intende la discendenza umana delle due entità, mentre il resto… ha fatto da ispirazione al romanzo epico LOVELESS. –

-Vuoi dire che ciò che è raccontato in LOVELESS è vero? La guerra, i tre amici, la Dea… il Dono? –

-Oh sì, ma non c’è da stupirsi. LOVELESS è sempre in atto sotto i nostri occhi. Ogni giorno. Il romanzo è una metafora del viaggio che ognuno di noi intraprende per ricercare la redenzione. E’ un viaggio periglioso, che porta un uomo a perdersi, o a morire. Chi, invece, rimane verrà bersagliato dai tormenti. Vivrà nei ricordi, distrutto dalle occasioni sfumate, incapace di trovare pace, fino a che non giungerà l’inevitabile, dove ogni speranza verrà riposta al di là del baratro. E il ciclo ricomincerà ancora una volta. –

Rimaniamo ammutoliti di fronte a quella parafrasi così cruda e spietata.

- La redenzione… Jenova e il Pianeta cercano la redenzione? –

Steven annuisce lentamente.

- Ma ciò che ottengono è solo altro dolore, perché la loro anima è ormai marcia a causa di millenni e millenni di odio reciproco. E’ necessario l’intervento di un arbitro, detto “Curatore di Mondi”, un essere nato dal sangue umano di Jenova e dal sangue umano di Gaia. L’unica che corrisponde a questa descrizione è proprio Takara. –

Il giovane apprendista si blocca un istante, mentre le sue iridi lasciano intravedere una luce malinconica, prima di scomparire dietro al riflesso degli occhiali.

– Vi prego di ritrovarla sana e salva. Prima che sia troppo tardi. -

Vincent ed io ci scambiamo un’occhiata preoccupata.

- Prima che sia troppo tardi? –

Steven annuisce greve.

- Non siete gli unici sulle tracce della bambina. –

- La Shinra…? –

Lo scienziato scuote la testa. La sua espressione è terribilmente seria. Un brivido gelido mi attraversa la spina dorsale da parte a parte, caricandomi di anticipazione.

Sephiroth… Cosa…?

- Peggio. Infinitamente peggio. –

Vincent si piega verso il ragazzo. Il suo viso è una maschera d’angoscia.

- Cosa ci può essere peggio della Shinra? Deepground? –

Il ragazzo mi rivolge un lungo, profondo sguardo, ma capisco che non è rivolto direttamente a me, bensì a qualcosa nascosto dentro di me. O meglio a qualcuno.

Una paura gelida mi scuote da capo a piedi. Abbasso lo sguardo sulle mie mani e osservo stupito le dita tremare come se ogni calore fosse scomparso da esse. Sono mortalmente bianche.

- Cloud? –

La vista mi si offusca e le orecchie iniziano a fischiare. Il cuore martella impazzito nel petto, quasi fosse sul punto di esplodere, mentre la richiesta di ossigeno si fa sempre più impellente. Gocce di sudore freddo bagnano la pelle sbiancata pericolosamente. Faccio giusto in tempo a rendermi conto di ciò che sta accadendo al mio corpo che un fuoco terrificante esplode nel mio petto. I miei occhi si stringono, i denti scricchiolano, le dita si serrano fino a ferire la pelle del palmo, la pelle s’infiamma di furore.

Ira.

Vendetta.

Odio.

Un’ala nera arcuata si apre maestosa spargendo piume corvine sul terreno bagnato.

Una spada rossa infusa di mako rifulge nel cielo plumbeo, baciata dal sole di metà autunno.

Un ghigno malefico deforma un viso una volta amico.

 

 

- “My soul, corrupted by vengeance

Hath endured torment, to find the end of the journey

In my own salvation

And your eternal slumber.” -

[“La mia anima, corrotta dalla vendetta. Ho sopportato il tormento, per trovare la fine del viaggio nella mia stessa salvezza. E nel tuo eterno tormento.” LOVELESS, Atto IV.]

 

- Cosa vuol dire? –

 

- Che io vivrò, amico mio. Vivrò, mentre tu cadrai. –

 

- Perché? –

 

- Perché la Dea è dalla mia parte e tu sei indegno del suo favore. Di conseguenza, Sephiroth, dovrai pagare lo scotto per il tuo crimine. Così, la tua immeritata gloria sarà finalmente mia. –

 

- Quale crimine? Di che cosa stai parlando? –

 

-Il crimine di esistere. Quello di cui tutti noi siamo accusati. –

 

-Noi? –

 

- Capirai, amico mio. Capirai quando il tua sangue bagnerà le mie mani. –

 

- Davvero credi che sia così semplice? –

 

-Veramente… Non mi stavo riferendo a te… -

 

 

- Genesis… Genesis è sulle tracce della bambina. –

La mia voce è mozzata, un soffio così flebile che perfino io fatico a sentirmi.

-Chi è Genesis? Che sta succedendo? –

Vincent sembra sull’orlo della paranoia, saltando con lo sguardo da me a Steven e viceversa, alla ricerca di una risposta. Lo scienziato non batte ciglio e risponde, solenne.

- Genesis è colui che segnò la fine dell’epoca SOLDIER. Uno alla volta condusse i grandi eroi del Reparto a ribellarsi alla Shinra, causando disastri come quelli di Nibelheim. Fece leva sulle loro debolezze e gli condusse alla follia e alla morte. -

- E quindi? Cosa vuole da mia nipote? –

- Vuole impadronirsi del potere del Curatore di Mondi, signor Valentine. Così da poter vedere Gaia e Jenova bruciare tra le fiamme della sua vendetta. –

 

 

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5 Novembre XXXX

 

L’eco martellante dei rotori di un elicottero riempiono l’aria, assieme a chili e chili di polvere, la quale s’infila in ogni cavità dell’accampamento abbandonato. Frammenti di terreno e metallo picchiettano contro la mia divisa, i cui lembi sfiorano gli stivali e le cosce. I teli delle tende gemono tese, sull’orlo di staccarsi dalle intelaiature, provocando un fastidioso rumore simile a quello di mille fruste. Osservo distrattamente l’aeromobile nero librarsi nel cielo plumbeo e scomparire dietro alle nuvole grigie. Tira aria di tempesta, a giudicare dalle formazioni cumuliformi e scure in arrivo da est e dal vento gelido e umido che da qualche ora spira proprio da quella direzione, sempre più forte. Sento la pioggia avvicinarsi, ma la vera tempesta è già in corso dentro di me.

Genesis ha disertato.

Perché?

Tuoni possenti rombano in lontananza, incrementando il tremore che questo pensiero mi provoca. Sta succedendo di nuovo… Di nuovo una persona a me cara se ne è andata, senza alcun motivo. Senza avvertirmi, senza consultarmi.

Perché, Genesis, perché ci hai abbandonato?

Cos’hai scoperto di così terribile da macchiarti di un crimine così grande?

Perché hai trascinato con te i tuoi uomini?

L’accampamento vuoto amplifica il mio disagio, mentre cerco di visualizzare la vita frenetica che avrebbe dovuto calpestare questo terreno, su cui la pioggia sta iniziando a cadere, inesorabile. Il vento è aumentato, il freddo inizia penetrare nelle fessure dei vestiti, l’umidità si poggia sulla pelle, sui capelli, sull’umore. Nuvolette bianche escono dalle labbra ad ogni respiro, mentre le gocce piovane iniziano ad appesantirmi i capelli, scivolando lungo il collo, il petto. Dovrei rientrare per mettere al riparo il diario, ma ho bisogno di depurarmi. Ho tanti dubbi, informazioni, teorie in testa che potrebbero spaccarmi in due se non trovassi il modo di riordinare le idee. Il vento solleva la miriade di documenti nascosti nella tenda alle mie spalle. La tenda di Genesis. Piena di rapporti, articoli, risultati di esami, tutti marchiati ‘Progetto G’.

Cosa ti hanno fatto, Gen?

Gli ho letti tutti e il quadro che ne è emerso è inquietante: esperimenti su feti umani con uso di mako e… cellule J. Altri misteri, altre dannate sigle senza alcuna spiegazione!

Hollander…

Lui è la causa di tutto. La sua firma è apposta su ogni stramaledetto rapporto, in cui, fiero e gongolante, espone i suoi disumani risultati scientifici. Avverto una rabbia irrazionale divampare nel mio petto, accompagnata da un’immotivata e folle sete di distruzione e vendetta.

Perché?

Cosa sa il mio corpo che io non so? O forse, sono io che mi rifiuto di vedere chiaramente. E’ come questa nebbia: so cosa c’è al di là di essa, ma non voglio attraversarla, perché… perché…

Ho paura.

Ho paura della verità. In fondo, ne ho sempre avuto il timore: io voglio solo essere normale. Ma non lo sono, lo so. L’ho sempre saputo, ma… è troppo sperare di condurre una vita ordinaria, nonostante tutto?

L’ho sperato quando ho tenuto in braccio la mia bambina per la prima volta, quando Evelyn mi ha accettato come suo sposo e ogni momento passato a Onijin. Ho creduto a quel sogno, illudendomi, per un minuscolo, piccolo istante, che potesse finalmente realizzarsi. Ma…

Qualche giorno prima della fine della mia licenza, questa nefasta notizia è arrivata, attraverso una visita inaspettata da parte di Tseng. Stavo cullando mia figlia quando quell’uccellaccio del malaugurio bussò alla nostra porta con l’ordine di rientro immediato. Evelyn ascoltò tutto dall’altra stanza, sospettai, in quanto, quando mi avviai nella nostra camera, lei si stava già adoperando per raggruppare le mie cose. La osservai in silenzio sull’uscio, mentre lei, testardamente, continuava il suo operato. Non lo diede a vedere, come al solito, ma sapevo che dentro di sé urlava disperata. Si stava mostrando forte, la mia guerriera, ma non potevo permettere che tenesse tutto dentro. Ne basta uno solo in famiglia. Abbandonai lo stipite e la strinsi a me, rassicurandola, accarezzandola, baciandola; fino a che non ci ritrovammo distesi nel letto a fare l’amore. Non l’ultima volta, però. Giurai ad Evelyn che ce ne sarebbero state molte, molte altre. Eppure, avvertii un macigno gravarmi sull’anima, nel momento in cui contemplai la mia figura rinchiusa di nuovo nella sua prigione di pelle nera, con la zanna mortale pendente al suo fianco.

Non era cambiato assolutamente nulla.

Per quanto mi sforzi, la Shinra è sempre in grado di raggiungermi e strapparmi via dall’angolo di felicità in cui mi stavo crogiolando. Mi guardai le mani, quelle maledette mani capaci solo di uccidere, e la mia attenzione venne attratta dal brillio delle placche di metallo sui miei polsi. Catene. Il cane stava tornando dal suo padrone…

Mi voltai, cupo, e vidi Evelyn emergere dalle scale con Takara in braccio. La mia piccola, innocente principessa dormiva, placida, quieta, dolcissima. Inconsapevole. Si sarebbe svegliata e suo padre non sarebbe stato lì ad accogliere il nuovo giorno in sua compagnia. Un dolore sordo e martellante mi spezzò il cuore, mentre la salutavo con un bacio su quelle guance piene e morbide. Evelyn mi guardò comprensiva, mascherando il suo dispiacere dietro a un mesto sorriso. Strinsi le mie donne a me, assaporando il loro calore un’ultima volta, prima di tuffarmi in questa in questa tetra e fredda realtà.

Il mondo, infatti, mi sembra molto meno luminoso senza Genesis, senza la sua noiosa insistenza, le sue ridicole scenate, la sua straordinaria capacità di portare allegria e leggerezza anche nelle situazioni più disperate. Ma soprattutto, mi manca la sua amicizia. Quel modo tutto suo di tirarmi su il morale, con quel sorriso beffardo, rivolto solo ed esclusivamente a me, e quelle frecciate create ad hoc solo per farmi uscire dai gangheri. Sorrido malinconico al pensiero di tutto quello che abbiamo passato insieme, lui, Angeal ed io, e di che razza di trio scapestrato eravamo. Ripenso a tutte le baruffe a cui abbiamo dato vita per i motivi più stupidi; alle centinaia di volte che siamo stati richiamati da Lazard per aver distrutto questo o quello; alle missioni schiena contro schiena a un passo dalla morte; alle serate in giro per Midgar a combinare guai; ai tranquilli pomeriggi passati in licenza a Costa del Sol.

Ora il mondo è esattamente come questo accampamento: tetro e vuoto.

Se almeno Angeal potesse essermi in un qualche modo da sostegno… Ma, ahimè, ho compreso troppo tardi il ruolo di ricoperto da ognuno di noi nel nostro pazzo strano trio. Genesis era il parafulmine delle mie sfuriate, dal momento che spesso ne era anche la causa, mentre Angeal era il cuscinetto che mi riportava all’ordine. Assieme a Evelyn, loro sono il mio equilibrio. Mancando uno dei pilastri, sento la mia sanità mentale scricchiolare, flettendosi pericolosamente verso il baratro. Le emozioni negative, di solito il pane quotidiano del rosso, si accumulano nel petto, come un tumore, schiacciando gli organi vicini. Ho voglia di urlare, combattere, uccidere. Voglio il dolore, voglio sentire il sangue pompare nelle vene, la mia mente svuotarsi. Ma ora non mi è possibile, devo mantenere lucidità e ritegno per affrontare nel modo migliore questa crisi, ma come fare con quell’artiglio che mi gratta da sotto il petto?

Genesis… dove sei?

Ho bisogno di te, amico mio... sei l’unico capace di sopportare tutta frustrazione e la rabbia che provo in questo momento. Angeal da solo fa più danno che altro.

Tornato alla centrale operativa del Settore 22, stanziata a Meriko, una città a dieci miglia circa a ovest della catena Hourei, mi comunicarono di essere atteso dal comando per un’urgente riunione con i vertici dei Reparti militari e segreti. Il moro era già lì, richiamato anche lui dalla licenza, assieme al Consiglio di crisi, composto da Lazard, in quanto Direttore di SOLDIER, Tseng, in qualità di occhi e orecchie del Presidente e… Hojo. Doveva trattarsi di molto più di una semplice diserzione se quel topo di laboratorio aveva avuto il fegato di lasciare il suo buco degli orrori. Durante il briefing venne chiarita la presenza dello scienziato: qualcuno aveva rubato dei macchinari dalle funzionalità classificate S1 dai laboratori del Piano 67. Inoltre, nel corso delle riunione venne riferito che il professor Hollander era scomparso, assieme a dei preziosi documenti top secret, trafugati dagli archivi del Reparto Scientifico. Una fortuita coincidenza? Il rapimento non era un’opzione plausibile, in quanto il fatto avvenne quasi contemporaneamente alla diserzione di massa. Hojo è certo che Hollander sia qui in Wutai e si sia unito alla ribellione.

“Cerchiamo di non essere precipitosi, Professore. E’ presto per parlare di ribellione. Genesis è uno dei nostri agenti migliori. Sono certo che c’è una spiegazione meno drastica.”

“Se sapeste quello che so io, non direste così, Lazard.”

“E cos’è che sapreste più di noi, Professore? La prego ci illumini! O devo presumere che ci stiate nascondendo qualcosa?”

Il gelo che calò subito dopo la mia insinuazione andò a contrapporsi dallo sguardo infuocato scoccato da mio padre. Era la domanda sulla bocca di tutti, ma troppo intimoriti da quel vecchio rachitico per rivolgerla. Tutti, tranne me. Sarei andato fino in fondo per ritrovare Genesis, perfino affrontare l’ira del vecchio.

“Tu e il tuo compare siete stati richiamati solo per essere messi al corrente dei fatti e ideare la linea d’azione più congeniale per la Compagnia. Quindi, ascolta e tieni le tue irrispettose supposizioni per te, ragazzino!”

Odio quando mi chiama ‘ragazzino’. Come se lo fossi ancora, dopo tutto quello che ho fatto, dopo tutti gli incubi che mi tormentano ogni notte, dopo tutti i traumi che ho ricevuto in questi lunghi anni di servizio. Come se avessi avuto un’infanzia. Come se non me l’avessi strappata con i tuoi sporchi, luridi artigli. Battei un pugno così forte sul tavolo da sfondarlo. Tutti i presenti sobbalzarono. Tranne Hojo, sul cui ghigno scavato si dipinse un sorriso beffardo. Sentii la Bestia ringhiare da sotto lo sterno, affamata. Avrei potuto ucciderlo lì, davanti a tutti, ma Angeal ebbe il sangue freddo necessario da avvicinarsi e afferrarmi forte le spalle. La sua presenza fu capace di ridonarmi quel minimo di lucidità da trattenermi dal saltare alla gola dello scienziato e strappargli la giugulare a morsi. In fondo, non è la prima volta che attento alla sua vita. Eppure l’istinto di sopravvivenza dovrebbe suggerirgli di evitare certi comportamenti in mia presenza. Hojo, però, ha una perversione malata nello studiare i miei scatti d’ira. Non so cosa ci trovi d’interessante o divertente, ma arriverà il giorno in cui tra me e lui non ci sarà niente… E allora vedrai, padre adorato, vedrai come ti ridurrò…

Scostai Angeal e me ne andai, indignato. Poco dopo, il moro mi raggiunse per esortami a rientrare. Alla fine dei conti, eravamo lì per aiutare Genesis. Poco importava cosa nascondesse Hojo e cosa volesse la Compagnia. Io non ero dello stesso avviso; anzi lo sarei stato se avessi avuto la decenza di calmarmi. Esplosi, riversandogli addosso tutta la frustrazione, la rabbia, la preoccupazione che avevo accumulato in quei pochi giorni. Non avevo mai urlato in faccia ad Angeal, solitamente il destinatario delle mie sfuriate era l’altro banoriano, però ritenni normale per lui sopportare le irrazionalità della rabbia. In fondo, il suo migliore amico non è che fosse la persona più calma e posata del mondo. Ma mi sbagliavo. Ricevetti un pugno in pieno viso che per poco non mi ribaltò a terra. Di solito sono un buon incassatore, ma quel colpo fu così repentino e inaspettato, oltre che ben assestato, da farmi credere che mi avrebbe aperto la testa in due. Ho ancora un grosso livido giallastro, che si diparte dal lato dell’occhio fino allo zigomo, su cui ogni tanto devo metterci del ghiaccio per sedare il dolore; oltre che un brutto taglio nell’interno guancia, in via di guarigione. Inoltre, per poco non sono saltati via due denti. Ero, e sono tuttora, esterrefatto. Angeal non aveva mai alzato le mani su nessuno, nemmeno quando lo meritavano. Mi resi conto di non essere l’unico a soffrire per la scomparsa del rosso. Egoista, mi dissi, ma fui troppo arrogante per ammetterlo. Come fui troppo superbo per abbassare lo sguardo e accettare l’onta subita. Avevamo gli occhi di tutto l’accampamento su di noi, ma fu Angeal a dare l’esempio, quando il modello sarei dovuto essere io. Scosse la testa, deluso, poi si avvicinò a me, testa alta e fiera, piantando i suoi occhi blu nei miei. In quello sguardo c’erano un migliaio di emozioni diverse, ma la prevalente era pena. Pena per me, per la mia cecità, per la mia incapacità di comprendere gli altri, per il mio egoismo, per la mia ingratitudine. Il suo migliore amico era disperso chissà dove, malato, deviato, braccato e io ero solo capace di urlargli addosso. Mi odiò, tant’è che mi disse:

“Sei un ingrato. Tu, la parola ‘onore’ non sai nemmeno cosa significhi. Sai che ti dico, Generale? Va al diavolo.”

Mi sentii frantumare l’animo. In un colpo solo, avevo perso gli unici amici che abbia mai avuto nella mia vita. Io riesco solo a tirare fuori il peggio dalle persone. Perfino da quelle più buone.

Intanto, la pioggia sembra deridermi scrosciando ancora più forte. L’accampamento è scomparso e attorno a me c’è solo un umido velo bianco. Non sono mai stato particolarmente attento al clima, ma devo ammettere che questo tempaccio rispecchia perfettamente ciò che provo in questo momento.

Solitudine.

Non sono nuovo a questa sensazione, ma dopo aver conosciuto il calore dell’amicizia e la dolcezza dell’amore, rimanere di nuovo solo è ancora più doloroso di quanto ricordassi. D’istinto, il pollice destro va ad accarezzare la base dell’anulare della stessa mano. Ma non c’è nessun rigonfiamento ad attendermi. Forse avrei dovuto tenere con me la fede… Forse avrei dovuto ascoltare Angeal, forse avrei dovuto avere la decenza di chiedergli scusa, prima di partire per la perlustrazione. Forse avrei dovuto davvero mordermi la lingua.

Errori. Da quel maledetto giorno in Sala Addestramenti non ho fatto altro che commetterne uno dietro l’altro. Sta succedendo tutto troppo in fretta e io non riesco stare al passo. E’ strano, eppure, dovrei essere abituato a seguire il corso degli eventi. In guerra capita spesso di dover pensare velocemente e agire ancora più rapidamente. Ma, loro… loro sono miei… amici.

Il nostro legame è diventato qualcosa di molto più profondo del semplice “colleghi”. Con un collega non puoi parlare francamente, con un collega non puoi fare a cazzotti, con un collega non puoi ridere sopra alla scazzottata di prima, con un collega non puoi passare notte intere a chiacchierare degli argomenti più disparati, con un collega non puoi passare notti insonni ad aspettare che si risvegli dal coma. Nonostante i contrasti, tutto diveniva più facile al loro fianco. Anche sopportare le ridicole dimostrazioni pubblicitarie e le serate di gala indette dalla Shinra per rimpinguare, rispettivamente, le fila dell’esercito e le tasche di quel maiale. Ma ora, senza di loro è tutto più difficile. Sento di non essere in grado di andare avanti da solo. Quel peso che per anni mi sono caricato sulle spalle, mi sembra ora insostenibile. Tutto quello che mi è rimasto è laggiù, da qualche parte in quella nebbia. Lontano. Troppo lontano per resistere.

Rimpiango Onijin. Rimpiango il lento scorrere del tempo, la semplicità dell’essere, la pace dei sensi. Rimpiango il frusciare del vento tra i rami della foresta, lo sciabordio pigro delle acque cristalline del lago, il brillio abbacinante della neve perenne baciata dal sole. Ma, sopra a tutto: rimpiango aver lasciato la mia famiglia.

Mi manca tanto la mia bambina. Chissà quando potrò rivederla? Le nevi stavano già chiudendo i valici, quando partii. Temo che dovrò aspettare la primavera per tornare all’unico luogo che abbia mai chiamato casa. Un intero, solitario, freddo inverno lontano dalle mie donne e vicinissimo a quegli orride bestie in giacca e cravatta in quella città decadente e marcia. Mi viene il voltastomaco solo a pensarci. Spero solo che la diserzione di Genesis si possa risolvere in poco tempo, così che tutto torni come prima. Sono pronto a combattere per la sua assoluzione, sono certo che c’è una spiegazione plausibile dietro al suo comportamento. Anche se, a giudicare dagli appunti scritti di suo pugno sui documenti rinvenuti, sembra che le sue intenzioni siano tutt’altro che pacifiche. Temo che il vecchio abbia ragione. Altrimenti non riuscirei a spiegarmi il motivo dietro alla diserzione di massa. Le sue capacità oratorie sono degne del personaggio carismatico quale è e i suoi uomini nutrono in lui un grande rispetto: non dev’essere stato difficile convincerli della giustizia delle sue azioni. Vedo che fa riferimento spasso al ‘Dono della Dea’. Credevo si trattasse della sua solita fissazione per LOVELESS, ma sembra aver trovato dei collegamenti tra il romanzo epico e le ricerche di Hollander. Collegamenti che ancora non riesco a comprendere a fondo, ma che rimarcano un disegno molto più grande, il quale va al di là di Genesis stesso.

Cellule J.

Progetto G.

Terra Promessa.

Mako.

Il Dono della Dea.

LOVELESS.

Cosa hanno in comune questi termini?

Cos’è il filo conduttore che ha portato un uomo ad abbandonare tutto ciò in cui credeva per inseguire una chimera?

Cosa ha scoperto di così scandaloso per ricercare la vendetta?

Durante il viaggio per raggiungere l’accampamento, Tseng si è prodigato di mettermi al corrente dei fatti. Ho appreso che, nonostante le cure dei medici, Genesis non riusciva a più a riprendersi. Il suo corpo sembrava aver perso la capacità di guarire, poiché, anziché rimarginarsi, la ferita si estendeva ai tessuti vicini, degradandoli. Nel periodo della mia assenza, il rosso ebbe altre due ricadute, meno gravi della prima, ma abbastanza pesanti da minare gravemente il suo umore. Era diventato scostante, rabbioso, solitario. Rinunciava a tutte le missioni, perfino a quelle più semplici, per trovare una cura alla sua condizione. Fino a che, Hollander non decise di tendergli misericordioso la mano. Questo dettaglio ha fatto scattare un campanello d’allarme nella mia testa. Dal momento che lo scienziato è entrato nelle sue grazie, Genesis è cambiato ulteriormente. In peggio, però. Il ragazzo allegro e spensierato era diventato un crudele e sadico bastardo. Una luce malefica brillava in quelle iridi blu, sempre più cupe, sempre più feroci. Un onnipresente ghigno gli deformava il volto ad ogni riunione con i vertici dell’azienda.

“Sembrava volesse sbranarli tutti, in quel preciso istante.”

Così il Turk descrive il banoriano durante l’ultimo briefing prima della missione assegnatogli in Wutai. Io sono il primo a disprezzare l’ammasso di idioti ai vertici della Compagnia, anzi spesso sogno anch’io di ammazzarli con le mie mani, ma il rosso non ha mai manifestato nessun tipo di emozione, se non un leggero fastidio. E qui, la teoria della vendetta torna a galla.

Ma vendetta per che cosa?

Per averlo spinto fino al punto più miserabile che un uomo possa giungere?

Per averlo lasciato morire?

Oppure… la risposta è proprio scritta qui, tra questi fogli pieni zeppi di dati.

Genesis è uno di quei feti modificati col mako?

E’ il frutto degli esperimenti di Hollander?

I suoi genitori hanno permesso davvero che facessero una cosa del genere al proprio figlio?

Non ha senso… li ho conosciuti, i signori Rhapsodos, mi sono sembrate così brave persone. Il padre di Genesis era tra l’altro un medico coscienzioso ed appassionato; non lo ritengo capace di immolare il proprio figlio sull’altare di quella scienza folle e malata degli scienziati Shinra. A meno che… non siano stati costretti. Forse Genesis era un bambino debole, incapace di giungere alla fine della gravidanza; ma abbastanza forte da reggere una pesante infusione di mako prenatale. Forse è per questo che i livelli ematici di mako nel suo sangue sono inferiori sia a quelli di Angeal che ai miei.

Ma se questa è la spiegazione, perché vendicarsi?

Ho l’emicrania. Non so più che cosa pensare. La mente di Genesis è sempre stata complessa e contorta, ma non credevo che ci fosse un tale buco nero nella sua psiche.

Devo trovarlo. A qualunque costo.

Non ho idea di dove possa essere andato, ma giuro che lo troverò e lo riporterò indietro. Andrò in fondo a questa storia e, chissà… magari potrei capire da dove vengo anch’io… Forse Genesis è in possesso delle risposte che ho sempre cercato per tutta la vita. Forse lui può dirmi chi sono, da dove vengo, dove sto andando…

La luce si fa più chiara attorno a me, riflettuta dalle goccioline che compongono la nebbia. Un raggio timido di sole è riuscito a squarciare l’impenetrabile muro plumbeo della tempesta. Noto solo ora che ha smesso di piovere. La bruma si sta diradando pian piano, permettendomi di vedere più lontano. Riconosco le sagome dell’accampamento in rovina, il quale è beffato da una natura rinata e splendente. Il cielo esplode tra i lembi grigi delle nuvole in fuga, le quali coprono di tanto in tanto il caldo sole autunnale. La nebbia scompare e il panorama collinare al di là della recinzione di legno si presenta a me in tutta la sua variopinta bellezza. Le foglie staccatasi dagli alberi morenti vengono sollevate dolcemente da un vento gentile e tiepido, ultimo rimasuglio di un’estate ormai dimenticata.

E’ bellissimo…

Questo Paese non smette mai di stupirmi. Ogni volta è come guardarlo per la prima volta. Sento il buonumore scaldare il mio cuore, sciogliere quella stretta opprimente al petto. Respiro profondamente, annusando l’aria fresca e leggermente acidula.

Mi sento più ottimista.

Ti troverò, Genesis.

Costi quel che costi.

 

 

Promessa mantenuta!!! Capitolo scritto a tempo di record proprio! Sono molto fiera di me! *scroscianti applausi si levano dalla platea* Grazie, grazie (ma a chi si inchina? ndSeph; non lo so, tu sorridi e annuisci ndCloud).

Alloooooooooora, tra l’altro ho finalmente ho anche definito la linea narrativa definitiva da seguire! Sarà cambiata tipo 200000 volte nel corsi di questi 21 capitoli! Ma vabbé, l’importante è esserci saltati fuori. Quindi, Genesis. Mi sono ricordata che il ciccio qui non è morto, come dimostra il filmato segreto del Dirge. Inoltre volevo dare un senso a quella scena dove Seph lo manda amichevolmente a farsi marcire nel Reattore di Nibelheim (bell’amico -.-‘ ndGen). Perché?, mi sono sempre chiesta. Ok, ha fatto un casino assurdo con la ribellione e tutto, però boh, a me non sembra che meriti una risposta così. Anche perché all’inizio di tutto, Seph ha sempre cercato di stargli bello lontano per evitare appunto di fargli del male. Perché quel cambio repentino di idee? Io ho la mia teoria che le più sveglie avranno già intuito. Bene, la crisi è scoppiata e ben presto ci ritroveremo nel suo cuore. Finalmente, dico io. Ogni capitolo avrà un interessante visione sui fatti del CC e spero di poter esporre fedelmente l’umore del nostro bell’uomo. Sarà divertente!

Spero vi piaccia la versione papà di Seph. E’ così teneroso che me lo coccolerei tutto (e non solo! GNAM! Ehi! Sono un uomo sposato, io! ndSeph, Bof, tanto quella crepa prima o poi ndForti, Crudele T.T ndSeph).

Purtroppo non credo avrò tempo di scriverne un altro ancora prima delle mia lunghissima assenza (anche perché questo tour de force mi ha prosciugata!) e non so se riuscirò a scrivere mentre sarò là. Vedremo, ragazze, vedremo. Intanto godetevi questo capitoletto!

Alla prossima!

Besos

 

   
 
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