E’ così tenero. E in palese
soggezione. Sarà
una mezz’ora buona che studia e scruta la piccola nella
culla, mentre
scarabocchia chissà che cosa in quel diario. Di tanto in
tanto, sorride,
soprattutto quando lei fa le sue adorabili smorfie. Per quanto lui lo
neghi,
Takara gli somiglia tantissimo. Ha solo poche ore di vita e
già mostra i segni
inequivocabili di suo padre. Smorfie comprese! Arriccio e stringo le
labbra,
cercando di trattenere il risolino divertito che mi sta nascendo in
fondo alla
gola. Non voglio interrompere i suoi ragionamenti. Chissà se
avrà l’ardire di
prenderla in braccio… La voglia c’è di
sicuro, tradita dalle tenere incursioni
delle sue mani nella culla della bambina, dove quelle dita affusolate e
forti lasciano
dolci carezze sulle manine, sul pancino, sulle guanciotte. Oh! Alla
fine, un
dito è caduto vittima della grassoccia morsa della figlia.
E’ rapida la
piccola. E’ bastato un attimo di distrazione…
L’espressione sconcertata di
Sephiroth è a dir poco comica! Devo richiamare a me tutta la
volontà per
continuare a fingere di dormire e non prorompere in una fragorosa
risata. Cerca
di liberarsi con poco convinti strattoni, ma quella stretta
è più forte di
quanto immaginasse. Ora sono proprio curiosa di vedere come se la
cava… Si guarda
intorno un po’ spaesato, poi chiede alla piccola, sfoggiando
un meraviglioso e
solare sorriso con quelle labbra tutte da baciare.
-Non vuoi proprio lasciarmi, eh? –
Takara mugola e agita le estremità,
scalciando e sbracciandosi. Senza mollare la presa, sia chiaro. Credo
che
voglia essere presa in braccio, signor Papà. Come mi avesse
letto nella mente,
sospira e fa passare la sua mano sotto la schiena della piccola, stando
bene
attento a sorreggerle la testa. Ha la mano talmente grande da essere in
grado
di accogliere tutto il corpicino della figlia. La solleva lentamente,
mentre
con la mano imprigionata cerca di tenerla in equilibrio
all’interno del suo
palmo. Avverto un tuffo al cuore, vedendola ondeggiare pericolosamente
e, per
poco, cadere a terra. Fortunatamente, i riflessi di suo padre sono
felini e,
con una straordinaria ripresa, l’avvicina rapidamente al suo
petto. Lo avverto
sospirare sollevato, mentre armeggia con la bambina nel goffo tentativo
di
trovarle una posizione comoda e sicura. E’ così
teneramente impacciato e insicuro
quest’uomo grande e grosso dal corpo sovraumano, fatto per
uccidere, dagli
occhi gelidi, fatti per trafiggere e condannare, e dalle mani grandi e
callose,
fatte per brandire mortali armi lucenti. Una figura che stride
così tanto con
il risoluto Generale dei SOLDIER e, forse, è proprio questa
dicotomia a
renderlo ancora più tenero. Sorrido, mentre lui avvicina il
viso alla piccola e
guida le ditina carceriere lungo la sua guancia, per farsi accarezzare
da
quella morbida e liscia pelle. Vedo il pollice di lui massaggiare il
dorso
della manina e, di tanto in tanto, stringergliela dolcemente, come per
farle
sentire la sua presenza. Sempre e comunque. Qualunque cosa accada. Non
riesco a
sentire cosa le stia sussurrando, ma credo di aver udito la parola
‘principessa’. Sorrido con orgoglio. Sì,
lo è davvero: la nostra preziosa,
bellissima principessa. Dal canto suo, la bambina è
completamente incantata
dalla voce baritonale del padre. Lo osserva con gli occhietti
leggermente dischiusi
- di un verde straordinario, vitale e luminoso -, completamente rapita
e la
boccuccia aperta in un’amabile O. E’ una scena
così bella da commuovermi. Mi
mordo il labbro inferiore per trattenere un singhiozzo nascente dalla
gola. Non
credevo che un uomo come lui potesse essere COSÍ affettuoso.
E’ meraviglioso
vederli insieme, l’una nelle braccia dell’altro,
accarezzati dal sole del tardo
mattino, mentre si conoscono a vicenda. Anche se…
è strano: Takara non ha mai
avuto famigliarità con la voce di Sephiroth, se non negli
ultimi di giorni,
quando lui è arrivato come un fulmine a ciel sereno; eppure
lei è assolutamente
a suo agio. Sembra che lo conosca da sempre…
Un brivido gelido mi attraversa da capo a
piedi appena la parola ‘Riunione’ mi passa per la
testa. E’ inequivocabile che
il sangue di Jenova le scorra nelle vene, ma non riesco, non POSSO
concepire
che quel minuscolo, dolce, innocuo fagottino sia un mostro capace di
radere al
suolo il Pianeta. Eppure le potenzialità ci sono tutte. Non
ho idea di come
l’eredità della Calamità lo abbia
contagiato, ma, a tutti gli effetti,
Sephiroth è il discendente diretto di Jenova, senza nemmeno
passare per
migliaia e migliaia di generazioni. Prego che il mio sangue sia
abbastanza
forte da compensare la crudeltà di quella Bestia e che la
gentilezza e la
sensibilità umana di suo padre facciano il resto,
così da rendere il mio tesoro
una bambina come tutte le altre.
-Ma guarda, la mamma è sveglia.
–
I cupi pensieri vengono scacciati via
immediatamente, appena incrocio il sorriso sornione del mio Generale. E
la
parola ‘mamma’ mi provoca una sfarfallata
all’altezza dello stomaco, per quanto
strana e meravigliosa ancora mi parva. Sorrido apertamente e mi sollevo
stancamente. La schiena è ancora assaltata dalle fitte del
parto, mentre le
gambe sono così pesanti da sembrare marmo; però
riesco a mettermi seduta.
Sephiroth arriva in mio soccorso per aiutarmi a sistemare meglio il
cuscino per
sostenere il dorso. Dopodiché, adagia con attenzione la
bambina sulle mie
cosce. Takara si agita appena e inizia a emettere urletti con la sua
vocetta
squillante, in un discorso tutto suo; di tanto in tanto interrotto da
una
ciucciatina al dito di suo padre accompagnata da litri e litri di
saliva. Mi
scappa una risatina divertita osservando l’espressione un
po’ disgustata di
Sephiroth e i suoi vani tentativi di liberarsi da quella morsa che non
perdona.
Avvolgo entrambe le braccia attorno al corpicino, mentre traggo la mia
piccola
a contatto col mio ventre, il posto da cui proviene. Nel frattempo, il
mio
amato prende posto accanto a me e fa scivolare il braccio destro dietro
alle
mie spalle, così che mi possa appoggiare a lui. Avverto il
suo cuore possente
battere e, per un attimo, mi inebrio di quel suono rombante e
rassicurante,
mentre il suo fiato mi accarezza i capelli come una brezza leggera e
rinfrescante. Chiudo
gli occhi e mi
accoccolo meglio sul suo petto, prendendo profonde boccate del deciso
profumo
della sua pelle pallida. Mi era mancato tanto, questo cuore, questo
respiro, questo
odore, questo calore… Rabbrividisco un poco, appena avverto
i suoi polpastrelli
lisciarmi lievemente la pelle dell’avambraccio, in un lento
movimento verticale
e continuo. Alzo la testa e studio i suoi lineamenti rilassati e
bellissimi,
mentre guarda assorto la bambina e sfoggiare un sorriso fiero.
-Da quando è nata non hai occhi se non
per
lei. Devo essere gelosa? –
Lo stuzzico con un filo di ironia,
riottenendo la sua attenzione. Lui ridacchia.
- Anche tu non sei da meno. Credo che tua
figlia abbia un talento innato ad attirare l’attenzione su di
sé. –
-Già. Chissà da chi
avrà preso? Ora che ci
penso, anche il Presidente Shinra amava stare al centro
dell’attenzione. –
Sephiroth mi fulmina con lo sguardo e io
inizio a ridere.
- Non è divertente… -
- La tua espressione un po’ lo
è! –
Abbasso la testa e porto la mano alla bocca,
distogliendo l’attenzione dalla sua espressione
così adorabilmente e fintamente
offesa. Quando rialzo gli occhi, tuttavia, la mia ilarità si
spegne, a causa
del buio calato sul suo viso angelico.
Succede spesso, in questi giorni. Mi ha
raccontato di aver visto uno dei suoi unici amici sul filo della morte.
Conosco
quel SOLDIER, l’ho visto spesso bazzicare per le case da
tè di Garyo, ed è
stato così difficile immaginarlo sull’orlo
dell’inevitabile. Lui, così
attaccato alla vita e alle sue sfaccettature. Uno dei pochi in grado
d’insegnare al mio amato cosa vuol dire vivere, tanto da
accantonare l’orgoglio
e tornare da me. Sephiroth non è l’unico a
ringraziare quel giovane di Banora. Ho
potuto assistere al tormento zampillante dagli occhi persi del mio
Generale,
mentre rabbrividiva ripensando a quei terribili momenti. Gli sono stata
accanto
tutto il tempo, mentre quella lunga notte volgeva al termine e lui si
addormentava pian piano, come un bambino dall’animo via via
più alleggerito dai
fantasmi della paura. E proprio in quel momento, la piccola si mosse da
dentro
il mio grembo, attirando l’attenzione sonnecchiante del
padre. Di nuovo, il
senso di colpa tornò ad adombrargli gli occhi. Mi ha parlato
del Progetto G, di
quei dubbi che lo hanno accompagnato fin da bambino, di
quell’origine nefasta
che teme d’aver trasmesso a sua figlia. Una lacrima di
pentimento sfuggì al suo
controllo, mentre appoggiava la fronte al grembo, in un atto di
contrita
deferenza. Vuole il perdono, un perdono che probabilmente non
arriverà mai,
tanto il male che lo hanno costretto a compiere. Sente di essere
sbagliato, di
portare in sé una malvagità così
grande da non riuscire più a controllare e di
cui non sa nulla. Se solo conoscesse la verità…
brucerebbe il mondo intero dal
dolore. Raggirato, castigato, imprigionato fino a spegnere ogni
volontà, ogni
identità, ogni onore.
Sollevo la mano e lascio che le mia dita
liscino il suo mento appuntito, fino ad adagiarsi dolcemente sulla
mascella ben
delineata. Con delicatezza, volto il suo viso nella mia direzione,
così da
poterlo guardare negli occhi. Mi inebrio in quel verde mako sconfinato
per un
lungo istante, apprezzando ogni singola sfumatura di
quell’iride limpida come
una polla d’acqua cristallina. E poi, a squarciare quella
luminosa perfezione, il
buio. Sottile e tagliente come la lama della Masamune, cela al mondo il
fuoco
che brucia nel suo cuore. Un fuoco animato da tanti, troppi sentimenti
repressi. Ed esiste un solo modo per sfogarli in maniera costruttiva.
Mi
avvicino alla sua bocca, bloccandomi a pochi centimetri da quelle
labbra tanto
bramate, ora leggermente dischiuse, in attesa di un bacio tramutato in
sussurro.
- Io ti amo. –
Gli rivolgo uno sguardo carico di amore,
mentre le sue iridi s’infiammano di ardente passione. Eccolo,
il fuoco. Lo
bacio dolcemente, assaggiando fino in fondo il sapore di quella
morbidezza
rosea. Lui risponde con garbo, ma avverto poca convinzione nelle sue
azioni.
-Qualcosa non va? –
Mi osserva con uno sguardo enigmatico,
profondo, come se volesse leggermi l’anima. Ho imparato a
capire che quando
vedo quegli occhi cupi e concentrati sta rimuginando qualcosa. Ad un
certo
punto, apre la bocca, ma nessun suono esce da quelle labbra, le quali
vengono
subitamente serrate, per poi riaperte e richiuse di nuovo. Le sue
pupille
feline si staccano dalle mie e iniziano a vagare per la stanza. Sembra
in netto
imbarazzo, come se stesse cercando le parole giuste.
- Ecco… vorrei chiederti una cosa... -,
abbassa lo sguardo, sorride imbarazzato, le sue gote
s’imporporano appena, -
Veramente avrei dovuto chiedertelo molto tempo fa, ma…
l’occasione sfumò, come
sai. -
Sembra parlare più a se stesso che a me,
ma
ad un certo punto solleva la testa e mi fissa. C’è
una strana luce in quelle
giade… e non mi è nuova.
- Sono stato un idiota a non averti fatto
questa domanda, quando di tempo a nostra disposizione ne avevamo molto
di più e
ancor più idiota ad andarmene, lasciandoti nel momento
più delicato della tua
vita. -, fa una pausa, durante la quale egli sospira sconsolato,- Con
te ho
fatto un errore dietro l’altro, però ora ho
capito. -
Il mio cuore fa una capriola.
Non
vorrà mica…?
Il suo sguardo si è fatto più
deciso, quasi
rabbioso, come a sottolineare il fastidio per aver sprecato
così tanto tempo.
Inconsciamente, stringo Takara a me, nella vana speranza che il suo
calmo
corpicino possa fermare il rullo battente che ho al posto del cuore.
Sephiroth
si stacca dalla parete e si acquatta sul letto. I nostri sguardi sono
incatenati l’un l’altro e nessuno dei due sembra
volersi arrendere. Lui prende
un profondo respiro.
- Evelyn. -, una significativa pausa,
durante la quale lui assapora ogni lettera del mio nome, come a
convincere se
stesso dell’effettiva scelta. Dal canto mio, un brivido caldo
mi tronca il
fiato, preparando il mio corpo alla fatidica domanda. Sembra passata
una vita
dall’ultima volta che mi venne rivolta, ma
l’emozione non è cambiata; anzi è
molto più forte.
- Vuoi sposarmi? –
Eccola! E’ ancora più bella e
speciale di
quanto mi ricordassi. Forse sono gli ormoni a rendermi così
succube delle
emozioni, o forse amo quest’uomo molto più di
quanto veramente abbia mai realizzato:
qualunque sia la ragione, tuttavia, io non riesco ad arrestare le
lacrime di
felicità che repentinamente hanno riempito i miei occhi.
Stacco una mano da
Takara e l’avvolgo attorno al collo di Sephiroth, traendolo a
me. Lo stringo
forte, mentre mi sfogo sulla sua spalla forte. Ad un certo punto, sento
le sue
braccia circondarmi, condurmi al suo petto.
-Sì. –
Esco dal mio nascondiglio e lo guardo,
accarezzandogli
la guancia, e reitero con più convinzione.
- Sì. –
La luce appare sul suo viso, rendendolo
così
desiderabile, così bello. Mi bacia, con molto più
passione di prima, lasciandomi
quasi senza fiato. Dopo poco ci stacchiamo, ma rimaniamo a occhi
chiusi, le
fronti unite, a respirare i rispettivi fiati.
- Saremo una vera famiglia. –
Percepisco del liquido sfiorarmi le gote.
Non sono lacrime mie, realizzo.
- Giuro che non vi abbandonerò mai
più,
amore mio. Mai più. –
Una vera famiglia.
Quello
che
Tifa ha sempre desiderato, ciò che il mio peggior nemico ha
ottenuto. Avverto
un’ira sorda scuotermi da capo a piedi, suscitata da una
profonda delusione nei
confronti di me stesso. Lui, un mostro, un assassino, un maledetto
è riuscito
dove io ho fallito… Stringo i pugni e i denti per arginare
la rabbia. E
l’invidia. A volte penso che queste visioni servano solo a
farmi sentire misero
e meschino. Una piccola vendetta da parte di colui che definii solo e
senza
cuore; quando la realtà è tutto
l’opposto. Mi rendo anche conto che lui aveva
ragione: più si è abituati alla ricchezza,
più è facile dimenticarsi delle cose
semplici. Io ho avuto dalla vita privilegi che Sephiroth nemmeno si
sognava:
una madre, degli amici sinceri, un luogo d’origine a cui
tornare… una donna
innamorata pronta a tutto per me. Tutto ciò è
stato barattato per… per… niente.
Ero così accecato dalle luci rifulgenti delle lame di
SOLDIER; dalle insegne
pubblicitarie inneggianti promesse di un futuro pieno di effimera
gloria; dagli
occhi ghiacciati del mio idolo chiamarmi a sé, da non
accorgermi di quanto
fossi fortunato, di quanto amore ci fosse nella mia vita, di quanto
fosse bella
la tranquillità del mio villaggio. Come tanti altri ero
caduto nella rete di
bugie della Shinra. Rilasso appena le dita, pensando a quanto noi umani
siamo incontentabili
e di quanto il destino sia beffardo. Le persone vedono sempre nella
ricchezza,
nella notorietà, nella gloria il segreto della
felicità, quando, invece, sono
proprio coloro che hanno ottenuto queste sono le più tristi
e sole. Al che si
comprende: senza amore, senza lealtà, senza onore un umano
non si sente
completo, perché semplicemente non lo è. Quante
volte abbiamo invidiato
Sephiroth per il semplice fatto che lui aveva, a nostra detta, tutto;
vedendo
nel suo attico, nelle donne che lo circondavano, nel suo smisurato
talento, una
fortuna sfacciata, quasi immeritata, secondo alcuni fanti. Essi,
infatti,
addirittura sparlavano alle sue spalle inventandosi storie improbabili,
andando
a seminare dubbi perfino sulla sua sessualità, solo
perché ritenevano assurdo
rifiutare avances dalle donne, soprattutto dopo mesi lontano da esse.
Nessuno
immaginava che quei rifiuti non erano per mero disinteresse, ma per
fedeltà.
Una parola che a molti suonava così strana, perfino a chi
aveva lasciato una
ragazza a casa ad attenderli, di cui si erano già
dimenticati. Fedeltà nei
confronti del proprio cuore, quando il mondo attorno a te
s’impegna ad
offuscarlo con sibilanti tentazioni. Noi, sciocchi fanti, poveri di
tasche e
altrettanto nell’animo non avevamo compreso questi valori
così semplici, di cui
avevamo avuto insegnamento fin da bambini; mentre un bambino solitario
cresciuto troppo in fretta e troppo crudelmente ne aveva completamente
assorbito il significato. Lui è l’esempio, in
tutto e per tutto.
Ora
capisco
il significato dietro quella frase:
Tell me what you
cherish
most. Give me the pleasure of taking it away.
[Rivelami
ciò che ritieni più
prezioso. Dammi il piacere di portartelo via. Sephiroth, FFVII: ACC]
Non
la
proferì per scherno, ma al fine di farmi reagire,
richiamando lo spirito di
Zack in mio soccorso. Non potevo arrendermi. LUI sapeva cosa avrebbe
significato, che dolore avrebbe causato. Un dolore che perpetua tuttora
e che
di continuo mi trapassa il cuore. Un dolore dannatamente simile a
quello del
Geostigma.
Sbagliavo
anche su questo: Sephiroth non tormentava
l’umanità con la sua ferocia, ma con
la sua angoscia. Penetrante, continua, profonda. Come una stoccata,
spietata e
senza alcuna remora. In effetti, come si fa sopravvivere a una
sofferenza del
genere? Comincio a credere che non fu la follia a distruggere la sua
mente, ma
una ragionata decisione. Era la conferma che cercava, il motivo che lo
avrebbe
legittimato a infliggere al mondo lo stesso dolore che provava in quel
momento.
Quella strana ferocia, quell’ira incontrollata, quella
insensata sete di vendetta
che hanno contraddistinto la sua vita avevano trovato una spiegazione,
finalmente. Inoltre, lo aveva promesso a Evelyn: lui
l’avrebbe raggiunta anche
tra le fiamme dell’Inferno. Una crociata per liberare la sua
famiglia, ecco
quello che Sephiroth sta intraprendendo. Quello che tutti avevano
frainteso.
L’unico ad aver capito le intenzioni dell’albino
è stato proprio l’uomo di
fronte a me: suo padre, Vincent Valentine.
Alzo
gli
occhi dai miei ragionamenti e lo osservo mentre si passa la mano
guantata tra i
capelli corvini, accompagnando l’azione da un profondo
sospiro. Gli ho permesso
di leggere l’ultimo passo del diario, in quanto ho ritenuto
opportuno metterlo
al corrente della figlia avuta da Sephiroth. La sua nipotina.
E’ difficile
realizzare che il mio silenzioso compagno di viaggio ha effettivamente
una
certa età; sebbene l’aspetto non tradisca
l’effettiva anzianità. Ancora fatico
a metabolizzarlo come padre e ora scopro che è pure nonno!
Oltre che essere
l’unico parente ancora in vita di Takara; dal momento che i
genitori di Evelyn
si sono uniti al Pianeta quando lei era soltanto una bambina, almeno
stando a
quello che Gast mi ha riferito.
-
Sei sicuro
che sia ancora viva? –
Egli
mi
fissa con quelle iridi infuocate, studiandomi fin dentro
l’animo. Sento una
fitta stringermi lo stomaco, mentre quel segreto sembra risalirmi
l’esofago,
evocato da quello sguardo. Resisto. Non posso rivelargli la condanna
della
bambina: lui m’ impedirebbe di compiere il mio…
dovere, se così vogliamo
chiamarlo. Anche se non sono così sicuro che la ragazza
potrà mai essere in
salvo. Se da un parte c’è la Shinra con i suoi
loschi scopi, dall’altra… ci
sono io, colui designato dal Pianeta per porre fine alla sua giovane
vita e… liberare il suo potere.
Ho riflettuto a
lungo su questa richiesta e non riesco a scacciare questa sensazione di
dejà
vu, come se un sacrificio del genere fosse già avvenuto.
Quanto sei lento,
Cloud. Eppure, tu c’eri. Ed eri l’ospite
d’onore.
La
fredda e
boriosa voce del Generale mi illumina. Era un evento che ho provato a
dimenticare con tutto me stesso; eppure eccolo di nuovo che si
ripresenta. E,
questa volta, oltre ad esserne il protagonista assoluto, sono anche
l’esecutore.
Aerith e il suo sacrificio. Sephiroth e la
sua follia…
Due
dei
poteri più potenti dell’universo coalizzati contro
la Shinra e la sua sete di
energia. Ci voleva un’entità benevola, una
benefattrice, per riabilitare il
Pianeta e un mostro senza cuore per compiere un tale crimine. No, non
un
mostro. Un uomo che aveva perso tutto, disperato e straziato nella
mente e
nell’animo, pronto a far marcire la sua anima nel
più profondo, lurido e
schifoso buco dell’Inferno, pur di non avvertire
più alcun dolore. Ma si sa, il
Pianeta è un bambino capriccioso e sadico. Quale migliore
occasione per rifarsi
delle angherie subite da Jenova, se non avere tra le grinfie il suo
figlio
prediletto? E perché non aggiungere la disperazione nel
negargli la visione
della sua amata figlia?
Traitor
[Traditore.
Sephiroth, FFVII, FFVII:
CC, FFVII: BC]
Esatto. Proprio così, Sephiroth.
Questo
lunga
guerra ha portato fin troppo dolore ed è ora di porvi fine.
E questo che andrò
a compiere sarà l’ultimo sacrificio. Una sola vita
per salvare quella di tutti.
Uno scambio equo, in fondo. Perfino il padre della bambina sembra aver
accettato quel destino, in quanto, probabilmente, preferisca vederla
morta,
anziché sola nelle grinfie di un Pianeta spietato. Ma
Vincent… Vincent non
capirebbe. Ha visto un’amata venire distrutta dal peso delle
sue colpe e un
figlio sprofondare nel baratro più profondo della follia.
Credo sarebbe troppo
assistere al sacrificio della sua unica nipote, la sintesi tra le due
persone
che abbiano mai contato per l’ex-Turk.
-Cloud!
Mi
hai sentito? –
Alzo
la
testa di scatto, ridestandomi dai pensieri, e appunto la mia attenzione
sull’angolo in cui Vincent è stato appollaiato per
questa ultima ora. Egli ha
il busto proteso verso di me e ha assunto un’espressione
infastidita e severa.
-
I tuoi
momenti di alienazione stanno peggiorando, Cloud. Forse dovresti
rimanere qui
con Gast, mentre io proseguo col nostro piano. –
-E
farmi
studiare come un topo da laboratorio da quell’insofferente
del suo assistente?!
Non ci penso proprio! –
-E
allora,
rispondi. E’ ancora viva Takara? -
-
Te l’ho
detto. La bambina è viva. Lo spirito di Evelyn me lo ha
rivelato. -
-Quello
che
non capisco è perché non ti ha riferito dove
è nascosta. –
Alzo
le
spalle.
-
Non lo
capisco nemmeno io, ma credo che la spiegazione sia molto semplice: non
lo sa.
–
-E’
uno
spirito legato al Lifestream! Come fa a non saperlo? –
-
E’ qui che
vi sbagliate, signor Valentine. L’entità non
appartiene né al mondo dei morti,
né a quello dei vivi. Ella continua ad esistere nel diario,
in quanto, per sua
natura, trae il suo sostentamento dai ricordi. –
Steven
svetta ingobbito sull’uscio, artigliato al bastone da
passeggio e rinchiuso nel
suo perenne cappotto nero, come per nascondere le sue fattezze malate.
Sia io
che Vincent gli rivolgiamo sguardi torvi e minacciosi, anche se i
più mordaci
vengono da parte di quest’ultimo. L’antipatia tra
loro si è acuita dopo una
rivelazione da parte del professor Gast: Steven, infatti, non
è altri che il
figlio bastardo di Hojo. Anzi, stando ai fatti attuali, in teoria,
sarebbe
l’unico vero figlio dello scienziato della Shinra. Come,
però il ragazzo sia finito
alle dipendenze del rivale di suo padre è un autentico
mistero. Il motivo,
tuttavia, non è difficile da immaginare. Gast ci ha svelato,
infatti, che, dopo
che Sephiroth venne affidato a SOLDIER, Hojo decise di usare Steven
come una
sorta di cornucopia, così da fungere da garanzia per la
preservazione del suo
intelletto e delle sue capacità. Il ragazzo, infatti, era
molto portato alla
scienza, ma i ritmi disumani dello scienziato nell’istruirlo
peggiorarono
gravemente le sue già precarie condizioni fisiche. Il fisico
malaticcio di
Steven non reggeva le vergate così bene come quello temprato
e allenato di
Sephiroth.
Hojo sa come farsi amare dai propri
figli…
Oh no. Hojo
è molto
democratico. Siamo tutti cavie ai suoi occhi, parenti e sconosciuti.
Il
mio
sguardo si addolcisce. Non posso biasimare questo povero ragazzo. Posso
a
malapena immaginare cosa abbiano provato due bambini nelle grinfie di
quel
pazzo.
-
Come fate
ad esserne così certi? –
La
voce di
Vincent mi ridesta e tendo le orecchie, facendomi attento. Steven
assume
un’espressione infastidita, quasi scocciata, tuttavia
accantona la superbia e
ci fa il favore di illuminarci.
-
Lo abbiamo
studiato per anni, quel diario. Dalle nostre misurazioni risultava
essere
permeato di un’incredibile energia di origine sconosciuta.
Dopo vari
esperimenti, il professore ed io notammo delle fluttuazioni di
quell’energia, di
cui non riuscimmo a comprenderne la causa, inizialmente. –
s’interrompe un
attimo, aggiustandosi gli occhiali sul naso, - Scoprimmo, infatti, che
non si
trattava di fluttuazioni casuali, ma veri e propri schemi di
comunicazione,
estremamente complessi. Notammo, inoltre, che l’energia
misteriosa reagiva ai
ricordi evocati durante le nostre chiacchierate. Fu in quel momento che
il
professore ebbe l’illuminazione. –
Il
viso del
ragazzo viene deformato per un brevissimo istante da una smorfia di
dolore, la
quale lo costringe ad interrompersi e trascinarsi stancamente verso la
sedia
più vicina. Il dolore, tuttavia, si accentua durante
l’operazione, come
testimoniano le sue espressioni e i suoi gemiti a denti stretti. Quando
finalmente si siede, il suo viso si distende. Per poco, dal momento che
un
altro paio di fitte deformano i suoi lineamenti. Mi chiedo da che cosa
sia
affetto. Gast è stato ben muto su questo e dubito che Steven
sia così in vena
di rivelazioni. Faccio per alzarmi per accertarmi che stia bene, ma lui
alza la
mano con un gesto secco.
-Sto
bene. –
Vorrei
ribattere, ma il suo sguardo tagliente m’induce a ritornare
sui miei passi.
Dopo poco, infatti, egli ritrova il fiato per continuare, rizzandosi,
per
quanto la sua postura lo permette, sulla sedia.
-
I Sephera
sono stati la razza più affascinante della storia Cetra,
anche se gli Antichi l’hanno
sempre considerata una macchia vergognosa. Essi sono la prova che
Jenova e Gaia
posso coesistere pacificamente, come dimostra anche la nascita della
piccola
Takara. –
Steven
s’interrompe e sospira, affondando nella sedia. Ora la sua
espressione è distesa,
rivelando tutta la gioventù nascosta dietro a quella
maschera di lugubre
indifferenza. Si toglie gli spessi occhiali e inizia a pulirli.
Possiamo
finalmente vedere meglio i suoi occhi, i quali non sono piccoli e
malefici come
quelli di Hojo, ma grandi e sinceri. L’iride è di
un marrone chiaro, quasi
rossiccio, dentro cui una pupilla si apre sulla sua anima cupa e
misteriosa.
-
“Dal sangue rosso di Eveth e dal
sangue rosso
di Sephira, vestito di piume nere e bianche, del Dono sarai il
Portatore. Ti attendo
all’Alba, Curatore di mondi.” –
Vincent
ed
io ci scambiamo uno sguardo perplesso, senza comprendere il significato
delle
parole appena proferite da Steven. Il pistolero dà fiato
alla nostra
perplessità.
-
Ha tutta
l’aria di una profezia, o sbaglio? –
-
No, non
sbaglia, signor Valentine. Eveth e Sephira sono rispettivamente i nomi
Cetra di
Gaia e Jenova. Con sangue rosso s’intende la discendenza
umana delle due
entità, mentre il resto… ha fatto da ispirazione
al romanzo epico LOVELESS. –
-Vuoi
dire
che ciò che è raccontato in LOVELESS è
vero? La guerra, i tre amici, la Dea… il
Dono? –
-Oh
sì, ma
non c’è da stupirsi. LOVELESS è sempre
in atto sotto i nostri occhi. Ogni giorno.
Il romanzo è una metafora del viaggio che ognuno di noi
intraprende per ricercare
la redenzione. E’ un viaggio periglioso, che porta un uomo a
perdersi, o a
morire. Chi, invece, rimane verrà bersagliato dai tormenti.
Vivrà nei ricordi,
distrutto dalle occasioni sfumate, incapace di trovare pace, fino a che
non
giungerà l’inevitabile, dove ogni speranza
verrà riposta al di là del baratro.
E il ciclo ricomincerà ancora una volta. –
Rimaniamo
ammutoliti di fronte a quella parafrasi così cruda e
spietata.
-
La
redenzione… Jenova e il Pianeta cercano la redenzione?
–
Steven
annuisce lentamente.
-
Ma ciò che
ottengono è solo altro dolore, perché la loro
anima è ormai marcia a causa di
millenni e millenni di odio reciproco. E’ necessario
l’intervento di un arbitro,
detto “Curatore di Mondi”, un essere nato dal
sangue umano di Jenova e dal
sangue umano di Gaia. L’unica che corrisponde a questa
descrizione è proprio
Takara. –
Il
giovane
apprendista si blocca un istante, mentre le sue iridi lasciano
intravedere una
luce malinconica, prima di scomparire dietro al riflesso degli occhiali.
–
Vi prego
di ritrovarla sana e salva. Prima che sia troppo tardi. -
Vincent
ed
io ci scambiamo un’occhiata preoccupata.
-
Prima che
sia troppo tardi? –
Steven
annuisce greve.
-
Non siete
gli unici sulle tracce della bambina. –
-
La
Shinra…? –
Lo
scienziato scuote la testa. La sua espressione è
terribilmente seria. Un
brivido gelido mi attraversa la spina dorsale da parte a parte,
caricandomi di
anticipazione.
Sephiroth… Cosa…?
-
Peggio.
Infinitamente peggio. –
Vincent
si
piega verso il ragazzo. Il suo viso è una maschera
d’angoscia.
-
Cosa ci
può essere peggio della Shinra? Deepground? –
Il
ragazzo
mi rivolge un lungo, profondo sguardo, ma capisco che non è
rivolto
direttamente a me, bensì a qualcosa nascosto dentro di me. O
meglio a qualcuno.
Una
paura gelida
mi scuote da capo a piedi. Abbasso lo sguardo sulle mie mani e osservo
stupito
le dita tremare come se ogni calore fosse scomparso da esse. Sono
mortalmente
bianche.
-
Cloud? –
La
vista mi
si offusca e le orecchie iniziano a fischiare. Il cuore martella
impazzito nel
petto, quasi fosse sul punto di esplodere, mentre la richiesta di
ossigeno si
fa sempre più impellente. Gocce di sudore freddo bagnano la
pelle sbiancata
pericolosamente. Faccio giusto in tempo a rendermi conto di
ciò che sta
accadendo al mio corpo che un fuoco terrificante esplode nel mio petto.
I miei
occhi si stringono, i denti scricchiolano, le dita si serrano fino a
ferire la
pelle del palmo, la pelle s’infiamma di furore.
Ira.
Vendetta.
Odio.
Un’ala
nera
arcuata si apre maestosa spargendo piume corvine sul terreno bagnato.
Una
spada
rossa infusa di mako rifulge nel cielo plumbeo, baciata dal sole di
metà
autunno.
Un
ghigno
malefico deforma un viso una volta amico.
-
“My soul, corrupted by vengeance
Hath
endured torment, to find the end of the journey
In
my own salvation
And
your eternal slumber.” -
[“La mia anima, corrotta
dalla
vendetta. Ho sopportato il tormento, per trovare la fine del viaggio
nella mia
stessa salvezza. E nel tuo eterno tormento.” LOVELESS, Atto
IV.]
-
Cosa vuol dire? –
-
Che io vivrò, amico mio. Vivrò, mentre tu cadrai.
–
-
Perché? –
-
Perché la Dea è dalla mia parte e tu sei indegno
del
suo favore. Di conseguenza, Sephiroth, dovrai pagare lo scotto per il
tuo
crimine. Così, la tua immeritata gloria sarà
finalmente mia. –
-
Quale crimine? Di che cosa stai parlando? –
-Il
crimine di esistere. Quello di cui tutti noi siamo
accusati. –
-Noi?
–
-
Capirai, amico mio. Capirai quando il tua sangue
bagnerà le mie mani. –
-
Davvero credi che sia così semplice? –
-Veramente…
Non mi stavo riferendo a te… -
- Genesis… Genesis è sulle
tracce
della bambina. –
La mia voce è mozzata, un soffio
così flebile che perfino io fatico a sentirmi.
-Chi è Genesis? Che sta succedendo?
–
Vincent sembra sull’orlo della
paranoia, saltando con lo sguardo da me a Steven e viceversa, alla
ricerca di una
risposta. Lo scienziato non batte ciglio e risponde, solenne.
- Genesis è colui che segnò
la fine
dell’epoca SOLDIER. Uno alla volta condusse i grandi eroi del
Reparto a
ribellarsi alla Shinra, causando disastri come quelli di Nibelheim.
Fece leva
sulle loro debolezze e gli condusse alla follia e alla morte. -
- E quindi? Cosa vuole da mia
nipote? –
- Vuole impadronirsi del potere del
Curatore di Mondi, signor Valentine. Così da poter vedere
Gaia e Jenova
bruciare tra le fiamme della sua vendetta. –
/////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////
5 Novembre XXXX
L’eco martellante dei rotori di un
elicottero riempiono l’aria, assieme a chili e chili di
polvere, la quale
s’infila in ogni cavità
dell’accampamento abbandonato. Frammenti di terreno e
metallo picchiettano contro la mia divisa, i cui lembi sfiorano gli
stivali e
le cosce. I teli delle tende gemono tese, sull’orlo di
staccarsi dalle intelaiature,
provocando un fastidioso rumore simile a quello di mille fruste.
Osservo
distrattamente l’aeromobile nero librarsi nel cielo plumbeo e
scomparire dietro
alle nuvole grigie. Tira aria di tempesta, a giudicare dalle formazioni
cumuliformi e scure in arrivo da est e dal vento gelido e umido che da
qualche
ora spira proprio da quella direzione, sempre più forte.
Sento la pioggia
avvicinarsi, ma la vera tempesta è già in corso
dentro di me.
Genesis
ha disertato.
Perché?
Tuoni possenti rombano in lontananza,
incrementando il tremore che questo pensiero mi provoca. Sta succedendo
di
nuovo… Di nuovo una persona a me cara se ne è
andata, senza alcun motivo. Senza
avvertirmi, senza consultarmi.
Perché, Genesis, perché ci
hai abbandonato?
Cos’hai scoperto di così
terribile da
macchiarti di un crimine così grande?
Perché hai trascinato con te i tuoi
uomini?
L’accampamento vuoto amplifica il mio
disagio,
mentre cerco di visualizzare la vita frenetica che avrebbe dovuto
calpestare
questo terreno, su cui la pioggia sta iniziando a cadere, inesorabile.
Il vento
è aumentato, il freddo inizia penetrare nelle fessure dei
vestiti, l’umidità si
poggia sulla pelle, sui capelli, sull’umore. Nuvolette
bianche escono dalle
labbra ad ogni respiro, mentre le gocce piovane iniziano ad
appesantirmi i
capelli, scivolando lungo il collo, il petto. Dovrei rientrare per
mettere al
riparo il diario, ma ho bisogno di depurarmi. Ho tanti dubbi,
informazioni,
teorie in testa che potrebbero spaccarmi in due se non trovassi il modo
di
riordinare le idee. Il vento solleva la miriade di documenti nascosti
nella
tenda alle mie spalle. La tenda di Genesis. Piena di rapporti,
articoli,
risultati di esami, tutti marchiati ‘Progetto G’.
Cosa ti hanno fatto, Gen?
Gli ho letti tutti e il quadro che ne è
emerso è inquietante: esperimenti su feti umani con uso di
mako e… cellule J.
Altri misteri, altre dannate sigle senza alcuna spiegazione!
Hollander…
Lui è la causa di tutto. La sua firma
è
apposta su ogni stramaledetto rapporto, in cui, fiero e gongolante,
espone i
suoi disumani risultati scientifici. Avverto una rabbia irrazionale
divampare
nel mio petto, accompagnata da un’immotivata e folle sete di
distruzione e
vendetta.
Perché?
Cosa sa il mio corpo che io non so? O forse,
sono io che mi rifiuto di vedere chiaramente. E’ come questa
nebbia: so cosa c’è
al di là di essa, ma non voglio attraversarla,
perché… perché…
Ho
paura.
Ho paura della verità. In fondo, ne ho
sempre avuto il timore: io voglio solo essere normale. Ma non lo sono,
lo so.
L’ho sempre saputo, ma… è troppo
sperare di condurre una vita ordinaria,
nonostante tutto?
L’ho sperato quando ho tenuto in braccio
la
mia bambina per la prima volta, quando Evelyn mi ha accettato come suo
sposo e
ogni momento passato a Onijin. Ho creduto a quel sogno, illudendomi,
per un
minuscolo, piccolo istante, che potesse finalmente realizzarsi.
Ma…
Qualche giorno prima della fine della mia
licenza, questa nefasta notizia è arrivata, attraverso una
visita inaspettata
da parte di Tseng. Stavo cullando mia figlia quando
quell’uccellaccio del
malaugurio bussò alla nostra porta con l’ordine di
rientro immediato. Evelyn
ascoltò tutto dall’altra stanza, sospettai, in
quanto, quando mi avviai nella
nostra camera, lei si stava già adoperando per raggruppare
le mie cose. La
osservai in silenzio sull’uscio, mentre lei, testardamente,
continuava il suo
operato. Non lo diede a vedere, come al solito, ma sapevo che dentro di
sé
urlava disperata. Si stava mostrando forte, la mia guerriera, ma non
potevo
permettere che tenesse tutto dentro. Ne basta uno solo in famiglia.
Abbandonai
lo stipite e la strinsi a me, rassicurandola, accarezzandola,
baciandola; fino
a che non ci ritrovammo distesi nel letto a fare l’amore. Non
l’ultima volta,
però. Giurai ad Evelyn che ce ne sarebbero state molte,
molte altre. Eppure,
avvertii un macigno gravarmi sull’anima, nel momento in cui
contemplai la mia
figura rinchiusa di nuovo nella sua prigione di pelle nera, con la
zanna
mortale pendente al suo fianco.
Non
era cambiato assolutamente nulla.
Per quanto mi sforzi, la Shinra è sempre
in
grado di raggiungermi e strapparmi via dall’angolo di
felicità in cui mi stavo
crogiolando. Mi guardai le mani, quelle maledette mani capaci solo di
uccidere,
e la mia attenzione venne attratta dal brillio delle placche di metallo
sui
miei polsi. Catene. Il cane stava
tornando dal suo padrone…
Mi voltai, cupo, e vidi Evelyn emergere dalle
scale con Takara in braccio. La mia piccola, innocente principessa
dormiva,
placida, quieta, dolcissima. Inconsapevole.
Si sarebbe svegliata e suo padre non sarebbe stato lì ad
accogliere il nuovo
giorno in sua compagnia. Un dolore sordo e martellante mi
spezzò il cuore,
mentre la salutavo con un bacio su quelle guance piene e morbide.
Evelyn mi
guardò comprensiva, mascherando il suo dispiacere dietro a
un mesto sorriso.
Strinsi le mie donne a me, assaporando il loro calore
un’ultima volta, prima di
tuffarmi in questa in questa tetra e fredda realtà.
Il mondo, infatti, mi sembra molto meno
luminoso senza Genesis, senza la sua noiosa insistenza, le sue ridicole
scenate, la sua straordinaria capacità di portare allegria e
leggerezza anche
nelle situazioni più disperate. Ma soprattutto, mi manca la
sua amicizia. Quel
modo tutto suo di tirarmi su il morale, con quel sorriso beffardo,
rivolto solo
ed esclusivamente a me, e quelle frecciate create ad hoc solo per farmi
uscire
dai gangheri. Sorrido malinconico al pensiero di tutto quello che
abbiamo
passato insieme, lui, Angeal ed io, e di che razza di trio scapestrato
eravamo.
Ripenso a tutte le baruffe a cui abbiamo dato vita per i motivi
più stupidi;
alle centinaia di volte che siamo stati richiamati da Lazard per aver
distrutto
questo o quello; alle missioni schiena contro schiena a un passo dalla
morte;
alle serate in giro per Midgar a combinare guai; ai tranquilli
pomeriggi
passati in licenza a Costa del Sol.
Ora il mondo è esattamente come questo
accampamento: tetro e vuoto.
Se almeno Angeal potesse essermi in un
qualche modo da sostegno… Ma, ahimè, ho compreso
troppo tardi il ruolo di
ricoperto da ognuno di noi nel nostro pazzo strano trio. Genesis era il
parafulmine delle mie sfuriate, dal momento che spesso ne era anche la
causa,
mentre Angeal era il cuscinetto che mi riportava all’ordine.
Assieme a Evelyn,
loro sono il mio equilibrio. Mancando uno dei pilastri, sento la mia
sanità
mentale scricchiolare, flettendosi pericolosamente verso il baratro. Le
emozioni negative, di solito il pane quotidiano del rosso, si
accumulano nel
petto, come un tumore, schiacciando gli organi vicini. Ho voglia di
urlare,
combattere, uccidere. Voglio il dolore, voglio sentire il sangue
pompare nelle
vene, la mia mente svuotarsi. Ma ora non mi è possibile,
devo mantenere
lucidità e ritegno per affrontare nel modo migliore questa
crisi, ma come fare
con quell’artiglio che mi gratta da sotto il petto?
Genesis… dove sei?
Ho bisogno di te, amico mio... sei
l’unico
capace di sopportare tutta frustrazione e la rabbia che provo in questo
momento. Angeal da solo fa più danno che altro.
Tornato alla centrale operativa del Settore
22, stanziata a Meriko, una città a dieci miglia circa a
ovest della catena
Hourei, mi comunicarono di essere atteso dal comando per
un’urgente riunione
con i vertici dei Reparti militari e segreti. Il moro era
già lì, richiamato
anche lui dalla licenza, assieme al Consiglio di crisi, composto da
Lazard, in
quanto Direttore di SOLDIER, Tseng, in qualità di occhi e
orecchie del
Presidente e… Hojo. Doveva trattarsi di molto più
di una semplice diserzione se
quel topo di laboratorio aveva avuto il fegato di lasciare il suo buco
degli
orrori. Durante il briefing venne chiarita la presenza dello
scienziato:
qualcuno aveva rubato dei macchinari dalle funzionalità
classificate S1 dai
laboratori del Piano 67. Inoltre, nel corso delle riunione venne
riferito che il
professor Hollander era scomparso, assieme a dei preziosi documenti top
secret,
trafugati dagli archivi del Reparto Scientifico. Una fortuita
coincidenza? Il
rapimento non era un’opzione plausibile, in quanto il fatto
avvenne quasi
contemporaneamente alla diserzione di massa. Hojo è certo
che Hollander sia qui
in Wutai e si sia unito alla ribellione.
“Cerchiamo
di non essere precipitosi, Professore. E’ presto per parlare
di ribellione.
Genesis è uno dei nostri agenti migliori. Sono certo che
c’è una spiegazione
meno drastica.”
“Se
sapeste
quello che so io, non direste così, Lazard.”
“E
cos’è che
sapreste più di noi, Professore?
La
prego ci illumini! O devo presumere che ci stiate nascondendo
qualcosa?”
Il gelo che calò subito dopo la mia
insinuazione andò a contrapporsi dallo sguardo infuocato
scoccato da mio padre.
Era la domanda sulla bocca di tutti, ma troppo intimoriti da quel
vecchio
rachitico per rivolgerla. Tutti, tranne me. Sarei andato fino in fondo
per
ritrovare Genesis, perfino affrontare l’ira del vecchio.
“Tu
e il tuo
compare siete stati richiamati solo per essere messi al corrente dei
fatti e
ideare la linea d’azione più congeniale per la
Compagnia. Quindi, ascolta e
tieni le tue irrispettose supposizioni per te, ragazzino!”
Odio quando mi chiama
‘ragazzino’. Come se
lo fossi ancora, dopo tutto quello che ho fatto, dopo tutti gli incubi
che mi
tormentano ogni notte, dopo tutti i traumi che ho ricevuto in questi
lunghi
anni di servizio. Come se avessi avuto un’infanzia. Come se
non me l’avessi
strappata con i tuoi sporchi, luridi artigli. Battei un pugno
così forte sul
tavolo da sfondarlo. Tutti i presenti sobbalzarono. Tranne Hojo, sul
cui ghigno
scavato si dipinse un sorriso beffardo. Sentii la Bestia ringhiare da
sotto lo
sterno, affamata. Avrei potuto ucciderlo lì, davanti a
tutti, ma Angeal ebbe il
sangue freddo necessario da avvicinarsi e afferrarmi forte le spalle.
La sua
presenza fu capace di ridonarmi quel minimo di lucidità da
trattenermi dal
saltare alla gola dello scienziato e strappargli la giugulare a morsi.
In
fondo, non è la prima volta che attento alla sua vita.
Eppure l’istinto di
sopravvivenza dovrebbe suggerirgli di evitare certi comportamenti in
mia
presenza. Hojo, però, ha una perversione malata nello
studiare i miei scatti
d’ira. Non so cosa ci trovi d’interessante o
divertente, ma arriverà il giorno
in cui tra me e lui non ci sarà niente… E allora
vedrai, padre adorato, vedrai
come ti ridurrò…
Scostai Angeal e me ne andai, indignato.
Poco dopo, il moro mi raggiunse per esortami a rientrare. Alla fine dei
conti,
eravamo lì per aiutare Genesis. Poco importava cosa
nascondesse Hojo e cosa
volesse la Compagnia. Io non ero dello stesso avviso; anzi lo sarei
stato se
avessi avuto la decenza di calmarmi. Esplosi, riversandogli addosso
tutta la
frustrazione, la rabbia, la preoccupazione che avevo accumulato in quei
pochi
giorni. Non avevo mai urlato in faccia ad Angeal, solitamente il
destinatario
delle mie sfuriate era l’altro banoriano, però
ritenni normale per lui
sopportare le irrazionalità della rabbia. In fondo, il suo
migliore amico non è
che fosse la persona più calma e posata del mondo. Ma mi
sbagliavo. Ricevetti
un pugno in pieno viso che per poco non mi ribaltò a terra.
Di solito sono un
buon incassatore, ma quel colpo fu così repentino e
inaspettato, oltre che ben
assestato, da farmi credere che mi avrebbe aperto la testa in due. Ho
ancora un
grosso livido giallastro, che si diparte dal lato dell’occhio
fino allo zigomo,
su cui ogni tanto devo metterci del ghiaccio per sedare il dolore;
oltre che un
brutto taglio nell’interno guancia, in via di guarigione.
Inoltre, per poco non
sono saltati via due denti. Ero, e sono tuttora, esterrefatto. Angeal
non aveva
mai alzato le mani su nessuno, nemmeno quando lo meritavano. Mi resi
conto di
non essere l’unico a soffrire per la scomparsa del rosso. Egoista, mi dissi, ma fui troppo
arrogante per ammetterlo. Come fui
troppo superbo per abbassare
lo sguardo e accettare l’onta subita. Avevamo gli occhi di
tutto l’accampamento
su di noi, ma fu Angeal a dare l’esempio, quando il modello
sarei dovuto essere
io. Scosse la testa, deluso, poi si avvicinò a me, testa
alta e fiera,
piantando i suoi occhi blu nei miei. In quello sguardo
c’erano un migliaio di
emozioni diverse, ma la prevalente era pena. Pena per me, per la mia
cecità,
per la mia incapacità di comprendere gli altri, per il mio
egoismo, per la mia
ingratitudine. Il suo migliore amico era disperso chissà
dove, malato, deviato,
braccato e io ero solo capace di urlargli addosso. Mi odiò,
tant’è che mi
disse:
“Sei
un
ingrato. Tu, la parola ‘onore’ non sai nemmeno cosa
significhi. Sai che ti
dico, Generale? Va al
diavolo.”
Mi sentii frantumare l’animo. In un colpo
solo, avevo perso gli unici amici che abbia mai avuto nella mia vita.
Io riesco
solo a tirare fuori il peggio dalle persone. Perfino da quelle
più buone.
Intanto, la pioggia sembra deridermi
scrosciando ancora più forte. L’accampamento
è scomparso e attorno a me c’è
solo un umido velo bianco. Non sono mai stato particolarmente attento
al clima,
ma devo ammettere che questo tempaccio rispecchia perfettamente
ciò che provo
in questo momento.
Solitudine.
Non sono nuovo a questa sensazione, ma dopo
aver conosciuto il calore dell’amicizia e la dolcezza
dell’amore, rimanere di
nuovo solo è ancora più doloroso di quanto
ricordassi. D’istinto, il pollice
destro va ad accarezzare la base dell’anulare della stessa
mano. Ma non c’è
nessun rigonfiamento ad attendermi. Forse avrei dovuto tenere con me la
fede… Forse
avrei dovuto ascoltare Angeal, forse avrei dovuto avere la decenza di
chiedergli scusa, prima di partire per la perlustrazione. Forse avrei
dovuto
davvero mordermi la lingua.
Errori. Da quel maledetto giorno in Sala Addestramenti
non ho fatto altro che commetterne uno dietro l’altro. Sta
succedendo tutto
troppo in fretta e io non riesco stare al passo. E’ strano,
eppure, dovrei
essere abituato a seguire il corso degli eventi. In guerra capita
spesso di
dover pensare velocemente e agire ancora più rapidamente.
Ma, loro… loro sono
miei… amici.
Il nostro legame è diventato qualcosa di
molto più profondo del semplice
“colleghi”. Con un collega non puoi parlare
francamente, con un collega non puoi fare a cazzotti, con un collega
non puoi
ridere sopra alla scazzottata di prima, con un collega non puoi passare
notte
intere a chiacchierare degli argomenti più disparati, con un
collega non puoi
passare notti insonni ad aspettare che si risvegli dal coma. Nonostante
i
contrasti, tutto diveniva più facile al loro fianco. Anche
sopportare le
ridicole dimostrazioni pubblicitarie e le serate di gala indette dalla
Shinra
per rimpinguare, rispettivamente, le fila dell’esercito e le
tasche di quel
maiale. Ma ora, senza di loro è tutto più
difficile. Sento di non essere in
grado di andare avanti da solo. Quel peso che per anni mi sono caricato
sulle
spalle, mi sembra ora insostenibile. Tutto quello che mi è
rimasto è laggiù, da
qualche parte in quella nebbia. Lontano. Troppo lontano per resistere.
Rimpiango Onijin. Rimpiango il lento
scorrere del tempo, la semplicità dell’essere, la
pace dei sensi. Rimpiango il
frusciare del vento tra i rami della foresta, lo sciabordio pigro delle
acque
cristalline del lago, il brillio abbacinante della neve perenne baciata
dal
sole. Ma, sopra a tutto: rimpiango aver lasciato la mia famiglia.
Mi manca tanto la mia bambina. Chissà
quando
potrò rivederla? Le nevi stavano già chiudendo i
valici, quando partii. Temo
che dovrò aspettare la primavera per tornare
all’unico luogo che abbia mai
chiamato casa. Un intero, solitario, freddo inverno lontano dalle mie
donne e
vicinissimo a quegli orride bestie in giacca e cravatta in quella
città
decadente e marcia. Mi viene il voltastomaco solo a pensarci. Spero
solo che la
diserzione di Genesis si possa risolvere in poco tempo, così
che tutto torni
come prima. Sono pronto a combattere per la sua assoluzione, sono certo
che c’è
una spiegazione plausibile dietro al suo comportamento. Anche se, a
giudicare
dagli appunti scritti di suo pugno sui documenti rinvenuti, sembra che
le sue
intenzioni siano tutt’altro che pacifiche. Temo che il
vecchio abbia ragione.
Altrimenti non riuscirei a spiegarmi il motivo dietro alla diserzione
di massa.
Le sue capacità oratorie sono degne del personaggio
carismatico quale è e i
suoi uomini nutrono in lui un grande rispetto: non dev’essere
stato difficile
convincerli della giustizia delle sue azioni. Vedo che fa riferimento
spasso al
‘Dono della Dea’. Credevo si trattasse della sua
solita fissazione per
LOVELESS, ma sembra aver trovato dei collegamenti tra il romanzo epico
e le
ricerche di Hollander. Collegamenti che ancora non riesco a comprendere
a
fondo, ma che rimarcano un disegno molto più grande, il
quale va al di là di
Genesis stesso.
Cellule J.
Progetto G.
Terra Promessa.
Mako.
Il Dono della Dea.
LOVELESS.
Cosa hanno in comune questi termini?
Cos’è il filo conduttore che
ha portato un
uomo ad abbandonare tutto ciò in cui credeva per inseguire
una chimera?
Cosa ha scoperto di così scandaloso per
ricercare la vendetta?
Durante il viaggio per raggiungere
l’accampamento, Tseng si è prodigato di mettermi
al corrente dei fatti. Ho
appreso che, nonostante le cure dei medici, Genesis non riusciva a
più a riprendersi.
Il suo corpo sembrava aver perso la capacità di guarire,
poiché, anziché
rimarginarsi, la ferita si estendeva ai tessuti vicini, degradandoli.
Nel
periodo della mia assenza, il rosso ebbe altre due ricadute, meno gravi
della
prima, ma abbastanza pesanti da minare gravemente il suo umore. Era
diventato
scostante, rabbioso, solitario. Rinunciava a tutte le missioni, perfino
a
quelle più semplici, per trovare una cura alla sua
condizione. Fino a che,
Hollander non decise di tendergli misericordioso la mano. Questo
dettaglio ha
fatto scattare un campanello d’allarme nella mia testa. Dal
momento che lo
scienziato è entrato nelle sue grazie, Genesis è
cambiato ulteriormente. In
peggio, però. Il ragazzo allegro e spensierato era diventato
un crudele e
sadico bastardo. Una luce malefica brillava in quelle iridi blu, sempre
più
cupe, sempre più feroci. Un onnipresente ghigno gli
deformava il volto ad ogni
riunione con i vertici dell’azienda.
“Sembrava
volesse sbranarli tutti, in quel preciso istante.”
Così il Turk descrive il banoriano
durante
l’ultimo briefing prima della missione assegnatogli in Wutai.
Io sono il primo
a disprezzare l’ammasso di idioti ai vertici della Compagnia,
anzi spesso sogno
anch’io di ammazzarli con le mie mani, ma il rosso non ha mai
manifestato
nessun tipo di emozione, se non un leggero fastidio. E qui, la teoria
della
vendetta torna a galla.
Ma vendetta per che cosa?
Per averlo spinto fino al punto più
miserabile che un uomo possa giungere?
Per averlo lasciato morire?
Oppure… la risposta è proprio
scritta qui,
tra questi fogli pieni zeppi di dati.
Genesis è uno di quei feti modificati
col
mako?
E’ il frutto degli esperimenti di
Hollander?
I suoi genitori hanno permesso davvero che
facessero una cosa del genere al proprio figlio?
Non ha senso… li ho conosciuti, i
signori
Rhapsodos, mi sono sembrate così brave persone. Il padre di
Genesis era tra l’altro
un medico coscienzioso ed appassionato; non lo ritengo capace di
immolare il
proprio figlio sull’altare di quella scienza folle e malata
degli scienziati
Shinra. A meno che… non siano stati costretti. Forse Genesis
era un bambino
debole, incapace di giungere alla fine della gravidanza; ma abbastanza
forte da
reggere una pesante infusione di mako prenatale. Forse è per
questo che i
livelli ematici di mako nel suo sangue sono inferiori sia a quelli di
Angeal
che ai miei.
Ma se questa è la spiegazione,
perché
vendicarsi?
Ho l’emicrania. Non so più che
cosa pensare.
La mente di Genesis è sempre stata complessa e contorta, ma
non credevo che ci
fosse un tale buco nero nella sua psiche.
Devo trovarlo. A qualunque costo.
Non ho idea di dove possa essere andato, ma
giuro che lo troverò e lo riporterò indietro.
Andrò in fondo a questa storia e,
chissà… magari potrei capire da dove vengo
anch’io… Forse Genesis è in possesso
delle risposte che ho sempre cercato per tutta la vita. Forse lui
può dirmi chi
sono, da dove vengo, dove sto andando…
La luce si fa più chiara attorno a me,
riflettuta dalle goccioline che compongono la nebbia. Un raggio timido
di sole
è riuscito a squarciare l’impenetrabile muro
plumbeo della tempesta. Noto solo
ora che ha smesso di piovere. La bruma si sta diradando pian piano,
permettendomi
di vedere più lontano. Riconosco le sagome
dell’accampamento in rovina, il
quale è beffato da una natura rinata e splendente. Il cielo
esplode tra i lembi
grigi delle nuvole in fuga, le quali coprono di tanto in tanto il caldo
sole
autunnale. La nebbia scompare e il panorama collinare al di
là della recinzione
di legno si presenta a me in tutta la sua variopinta bellezza. Le
foglie
staccatasi dagli alberi morenti vengono sollevate dolcemente da un
vento
gentile e tiepido, ultimo rimasuglio di un’estate ormai
dimenticata.
E’ bellissimo…
Questo Paese non smette mai di stupirmi.
Ogni volta è come guardarlo per la prima volta. Sento il
buonumore scaldare il
mio cuore, sciogliere quella stretta opprimente al petto. Respiro
profondamente, annusando l’aria fresca e leggermente acidula.
Mi sento più ottimista.
Ti troverò, Genesis.
Costi quel che costi.
Promessa
mantenuta!!! Capitolo scritto a tempo di record proprio! Sono molto
fiera di
me! *scroscianti applausi si levano dalla platea* Grazie, grazie (ma a
chi si
inchina? ndSeph; non lo so, tu sorridi e annuisci ndCloud).
Alloooooooooora,
tra l’altro ho finalmente ho anche definito la linea
narrativa definitiva da
seguire! Sarà cambiata tipo 200000 volte nel corsi di questi
21 capitoli! Ma
vabbé, l’importante è esserci saltati
fuori. Quindi, Genesis. Mi sono ricordata
che il ciccio qui non è morto, come dimostra il filmato
segreto del Dirge.
Inoltre volevo dare un senso a quella scena dove Seph lo manda
amichevolmente a
farsi marcire nel Reattore di Nibelheim (bell’amico
-.-‘ ndGen). Perché?, mi
sono sempre chiesta. Ok, ha fatto un casino assurdo con la ribellione e
tutto,
però boh, a me non sembra che meriti una risposta
così. Anche perché all’inizio
di tutto, Seph ha sempre cercato di stargli bello lontano per evitare
appunto
di fargli del male. Perché quel cambio repentino di idee? Io
ho la mia teoria
che le più sveglie avranno già intuito. Bene, la
crisi è scoppiata e ben presto
ci ritroveremo nel suo cuore. Finalmente, dico io. Ogni capitolo
avrà un
interessante visione sui fatti del CC e spero di poter esporre
fedelmente l’umore
del nostro bell’uomo. Sarà divertente!
Spero
vi piaccia la versione papà di Seph. E’
così teneroso che me lo coccolerei
tutto (e non solo! GNAM! Ehi! Sono un uomo sposato, io! ndSeph, Bof,
tanto
quella crepa prima o poi ndForti, Crudele T.T ndSeph).
Purtroppo
non credo avrò tempo di scriverne un altro ancora prima
delle mia lunghissima
assenza (anche perché questo tour de force mi ha
prosciugata!) e non so se
riuscirò a scrivere mentre sarò là.
Vedremo, ragazze, vedremo. Intanto godetevi
questo capitoletto!
Alla
prossima!
Besos