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Autore: Harrys_bravery    06/08/2015    19 recensioni
Louis è un professore, ma questo Harry non lo sa. Harry è uno studente, ma quando vanno a letto insieme Louis ignora questo piccolo dettaglio. Doveva essere per una sola notte invece il destino, si sa, ha altri piani.
Dal testo:
La sua carriera poteva essere stroncata sul nascere, la sua relazione saltava se solo quel ragazzino impertinente avesse aperto quei due petali di rosa che si ritrovava al posto delle labbra. Morbide, rosee, forse il suo posto preferito su cui far riposare le proprie ma, diamine. Non era questo il punto. Il punto era che aveva fatto sesso con un suo studente. Ed era un punto terribile.
“Quindi tu mi hai portato in una stradina isolata, praticamente rapendomi per dirmi che non vuoi più venire a letto con me?” propose Harry con fare scettico e un sopracciglio arcuato.
Professor!Louis; Student!Harry
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Angolo Autrice


Sono in ritardo. Lo so. Ciao a tutti! :) Bentornati nel mondo della mia fantasia. Scusatemi per il ritardo, avevo detto che avrei pubblicato a Luglio ed invece... Gli esami si sono protratti più a lungo del previsto. Spero possiate perdonarmi però, anche perché per scusarmi vi sto lasciando questo piccolo gioiellino! Quindi, abbiamo un bel professorino sexy ed uno studente alle prese con la sua cotta. C'é un Liam dipendente dai social networks (solo per colpa di Zayn, però) e Niall. Come potete immaginare, viste le mie storie precedenti, Niall è uno dei personaggi con cui più mi diverto. Qui è quasi tragi-comico, oserei dire. Spero che lo appreziate e che non vi dispiaccia questa Fatina Smemorina! Come sempre, lascio lo spazio a piccole comunicazioni di servizio: spero di riuscire a pubblicare un'altra shot ad Agosto ma se non dovessi riuscirci vi prego di capirmi. Sono arrivata agli sgoccioli della mia carriera universitaria, mi mancano pochissimi esami ed il tempo stringe. Posso però anticiparvi che sarà una storia rossa. Insomma, preparatevi ad un Harry in lingerie ed un Louis particolarmente protettivo. Un'altra cosa importante. Voglio ricordare che nessuno ha il consenso di riportare le mie storie su altri siti senza il mio permesso. Questa è stata una delle cause del ritardo nella pubblicazione. Ho trovato plagi delle mie storie in altri siti ed ero così scoraggiata e rammaricata per questa tale mancanza di rispetto che l'idea di smettere di scrivere è stata un vero punto fisso. Non volevo, però, deludere le persone rispettose che aspettano, che mi sostengono e segnalano questi abusi. Quindi NON copiate le mie storie altrove, anche perché saranno segnalate e fatte rimuovere. Ci tenevo a dire questo. Degli ultimi eventi che hanno sconvolto il fandom non voglio nemmeno parlare, ci basta sapere che Larry é reale. Come sempre passiamo alla parte più dolce: quella in cui vi ringrazio. Grazie per il sostegno, il supporto. Grazie in anticipo a chi leggerà la storia, la aggiungerà a preferite/seguite/ricordate e a quelle anime pie che mi lasceranno una recensione dando credito a tutti i miei sforzi. Come sapete, su twitter basta evocarmi affinché io compaia e anche lì, lasciatevelo dire, siete l'amore! Quindi non mi resta che augurarvi buona lettura e alla prossima, la vostra Harrys_bravery.

 

Praying that you and me might end up together




 
Vengo io da te, vieni tu da me
Tanto quello che c’è non si può più spegnere, anche se ci sta facendo male.
Vieni tu da me, vengo io da te
Ma che differenza c’è, se mi sembra di vivere dentro una storia impossibile.
 
 
Disastrosa. La serata appena trascorsa era stata semplicemente disastrosa. E poi questa relazione in cui era intrappolato, che era semplicemente troppo… Ugh. Dio. Se solo non fosse in un locale affollato Louis avrebbe urlato. Si limitò a disegnare ghirigori astratti sulla condensa che imperlava il suo boccale di birra. Qualche goccia più audace delle altre, scivolava fino a bagnare il sottobicchiere di cartone. Louis si passò due dita sulla fronte, spostando il suo ciuffo verso destra, mantenendo i suoi fanali azzurri puntati sulla bionda doppio malto che ondeggiava placida nel bicchiere. Non era nemmeno completamente colpa di Eleanor se quella serata era finita in quella maniera. Insomma, lui ci aveva messo del suo, inutile negarlo. Ma non voleva che condividessero il suo appartamento, grazie tante. Era per una questione di spazi, una questione di… Cose da maschi. Una questione di liberà contro l’oppressione. Perché con lei in casa non avrebbe nemmeno potuto pisciare con la porta aperta. E farlo era un suo diritto. E questa era la sua terza birra o forse la quarta? Stava davvero inneggiando alla rivolta contro la sua fidanzata? Lei voleva solo passare al passo successivo ma… Semplicemente non era da Louis. Perché fare un altro passo quando si sta così bene? È come quando ti immergi nell’ acqua fredda. Il passo successivo potrebbe essere quello che porta l’acqua alla zona inguine e diamine! Lui non era pronto per tutto quello! Non era pronto a chiudere la porta quando pisciava, non era pronto a raggiungere la zona inguine, non era nemmeno pronto a lasciare il boccale che teneva tra le mani. Birra, ugh. È lei l’unica vera colpevole. Stava facendo deragliare il treno dei suoi pensieri. E non aveva nemmeno più l’età per un locale del genere, e la cosa peggiore era che dopo tutta quella birra non si sentisse nemmeno lontanamente brillo. Aveva la mente dolcemente offuscata e sapeva che da un momento all’ altro sarebbe tornato nel suo appartamento da maschi e avrebbe intasato la segreteria di Eleanor con messaggi patetici in cui la implorava di perdonarlo. Sbuffò sconsolato. Se avesse un briciolo di coraggio in più lascerebbe quella megera dagli artigli laccati di rosso che si atteggia a fashion blogger e- “Penso che la birra si sia sciolta sotto uno sguardo così truce”. Louis sollevò la testa di scatto quando si accorse che quella voce roca, e quella frase derisoria fossero rivolte a lui. “Sul serio, uhm… Intimidatorio oserei dire” continuò quella voce. Louis sbatté le palpebre un paio di volte finché i suoi occhi azzurri non misero a fuoco la figura seduta sullo sgabello accanto al suo, i gomiti posati sul bancone e l’aria di chi lo stava osservando già da un po’. Per come teneva il viso inclinato, un ciuffo di riccioli scivolava delicato sulla guancia, incorniciandogli il volto. I suoi occhi erano verdi e aveva una bocca che… Louis non sapeva se fosse la birra ma quella bocca! Era da censura. L’avrebbe fatto girare con dello scotch sulle labbra se quel ragazzo fosse stato il suo fidanzato. Se quel ragazzino fosse stato il suo fidanzato, si corresse. Il giovane parve perdere improvvisamente la presa sullo sgabello, perché sgambettò per un attimo, ma quell’ istante fu sufficiente a Louis per notarle. Gambe infinite, bellissime e toniche si estendevano per chilometri e chilometri avvolte dal denim aderente dei jeans. Se quel ragazzino fosse stato il suo fidanzato, Louis era più che sicuro che non gli avrebbe permesso di uscire di casa. Tipo mai. Era una bellezza illegale, una di quelle che paiono l’incarnazione della perfezione. “Bè, adesso sono io quello che rischia di sciogliersi” commentò il riccio con una risatina nervosa. Louis si schiarì la gola lievemente imbarazzato: stava fissando. Apertamente. “Uhm” bofonchiò il liscio passandosi le mani sul viso e, sì. Molto espressivo, complimenti Louis. Il ragazzo ridacchiò in modo adorabile portandosi la mano a coprire le labbra e mostrando due deliziose fossette. L’immagine perfetta dell’ innocenza e della perdizione mischiate in un unico corpo. Ride per la tua eloquenza specificò il cervello di Louis, che a quanto pare non era ancora totalmente annegato nella birra. “Scusami” borbottò allora, “Serataccia” cercò di giustificarsi poi. E forse era proprio ciò di cui aveva bisogno. Sfogarsi con un completo sconosciuto, uno che non avrebbe rivisto mai più. Sì, aveva decisamente bisogno di qualcuno del genere, qualcuno che non lo conosceva così tanto da poterlo giudicare. “La… ehm. La mia ragazza è un po’ appiccicosa, immagino? E voleva venire a vivere da me” farfugliò. Il ragazzo seduto accanto a lui posò la guancia sul palmo aperto della sua mano con fare interessato. “Ragazze eh? Ho capito che non facevano per me da un po’” mormorò in risposta Riccioli d’oro con la sua voce roca e graffiata. Sollevò due dita, poi, in un gesto fluido e chiese al barista la stessa birra di Louis. Il maggiore notò il barman ammiccare nel posargli il sottobicchiere sul bancone, ma non ne era sicuro. Il suo dubbio si trasformò in certezza quando, nel posare il boccale di birra, il ragazzo rivolse un occhiolino sfacciato al suo improbabile compagno di bevuta. “Hai almeno l’età per bere?” domandò a quel punto il liscio. “Certo che la ho!” ribatté Riccioli d’oro con una scrollata di spalle. Ok, andava benissimo così. Non dovevano conoscersi. Meno sapeva di lui, più facile sarebbe stato dimenticare quella serata, tutta quella birra e quelle labbra da mordere. “E comunque, non cambiare discorso! Stavamo parlando della tua ragazza” fece il giovane subito dopo aver preso un sorso della sua bevanda. Louis seguì il movimento del suo pomo d’Adamo e la gola gli si fece arsa per un attimo. “Lei vuole andare… Oltre e io no. Tutto qui” spiegò, tornando con lo sguardo sulla sua birra. “È quello che fanno le ragazze, no? Vogliono sempre di più. Così non si accontentano di un anello se non è Tiffany” ridacchiò il ragazzo riccio. Louis lo guardò per un attimo, soffermando i suoi occhi in quelli verdi e brillanti del più piccolo. “Decisamente non la mia squadra” concluse Riccioli d’oro, scolandosi un altro po’ della sua birra. “Credo che la tua sia tipo… Una fase di ribellione giovanile?” mormorò Louis passandosi le dita sul ponte del naso con fare quasi stanco; “Insomma anche io alla tua età ho avuto le mie esperienze omosessuali e-”. “Lo sapevo!” trillò a quel punto vittorioso il giovane al suo fianco; “Quel sedere non poteva appartenere ad un etero. Dio, sarebbe stato un tale spreco”. Louis ridacchiò a quel punto e “Sei simpatico…” lasciò la frase in sospeso così che l’altro potesse completarla col suo nome. “Harry. Mi chiamo Harry” gli porse una mano enorme e Louis quasi fece fatica ad inglobarla nella sua. Le sue dita affusolate si strinsero contro quelle di Riccioli- di Harry. “Io sono Louis”. “Uhm francese. Mi piace! So parlarne un po’ sai?” domandò spostandosi un ciuffo dagli occhi e portandoselo dietro l’orecchio. “Tipo? Dimmi qualcosa, dai!” lo pregò Louis. “Vediamo…” Harry si portò una mano sotto il mento con fare pensieroso. Il suo sguardo si illuminò per un attimo e poi cominciò ad elencare: “Baguette, Dessert. Abat-jour!”. Il maggiore allora scoppiò a ridere per poi ribattere: “Allora io so parlare il tedesco”. Harry si fece più vicino e si sporse verso di lui in un movimento quasi impercettibile. Le loro ginocchia si sfioravano adesso, e Louis mentirebbe nel dire che la cosa lo infastidiva. “Fammi sentire un po’” lo spronò il riccio a quel punto. Il maggiore si schiarì la gola e: “Bundesliga, Volkswagen. E, reggiti forte, hamburger”. Harry scoppiò a ridere a quel punto, le fossette in bella mostra perché apparentemente, questo Louis in skinny jeans, culo da favola e occhi azzurri era la persona più simpatica nel giro di diversi chilometri. Stava per aprire bocca e dirgli qualcos’altro quando il suo cellulare prese a squillare. “Uhm, scusami” mugugnò all’indirizzo del più grande, per poi estrarre con fatica l’apparecchio dai jeans. “Niall?” Louis lo osservò aspettare con sguardo attento una risposta. “Cosa hai dimenticato?” domandò poi, con la solita voce roca. Di certo non sarà un problema per lui trovare occupazione dopo gli studi. Doppiatore di film porno. Louis gli aveva già trovato un lavoro. “Ok, sì. Va bene, arrivo subito”. Riagganciò e, con aria dispiaciuta e un broncio dolce ad increspargli le labbra, si voltò verso Louis. “Io devo andare” bisbigliò. Ed era come se quelle parole gli costassero sofferenza fisica. Il suo intero corpo gli stava imponendo di restare. C’era urgenza nei suoi occhi, eppure non aveva ancora mosso un muscolo. “D’accordo. È stato un vero piacere scambiare due chiacchiere con te, Harry” fece cortese Louis in risposta. Il riccio si morse il labbro con fare pensieroso e suo malgrado Louis si ritrovò a seguire quel movimento. Gli incisivi del minore disegnarono impronte scure sui petali di rosa che si ritrovava al posto delle labbra. Harry parve prendere una decisione improvvisa, allora. Perché si sporse verso lo sgabello di Louis e sfilò il sottobicchiere di cartone. Prese una penna dalla tasca posteriore dei suoi jeans e scribacchiò delle cifre in una calligrafia disordinata e giovanile. Il cartone era lievemente bagnato dalla condensa, per questo l’inchiostro si sbavò, ma non importava. Le dieci cifre che componevano il suo numero di cellulare erano perfettamente visibili. Prese il rettangolino di cartone tra le mani e lo porse a Louis con le gote un po’ più rosse del solito. Si sollevò dallo sgabello con fare affrettato, poi e prima di andare via “Chiamami” disse. “Stasera. Non so cosa faremo. Se parleremo, ci diremo barzellette, faremo sesso o l’amore. Solo… Chiamami”. Detto questo, si allontanò con un bagliore di speranza negli occhi e una mano infilata nella tasca posteriore dei suoi jeans scuri. Louis lo osservò allontanarsi e poteva giurare che Harry stesse sculettando in quel modo di proposito. Sorrise, perché era così fresco e giovane e bello. Lo seguì con lo sguardo finché non scomparve oltre le porte del locale, poi osservò il sottobicchiere che teneva ancora tra le mani. Poteva passare la serata ad intasare la segreteria di Eleanor in attesa di ottenere il suo perdono, oppure poteva chiamare Harry. L’indecisione durò una manciata di secondi, poi estrasse il suo cellulare e si recò fuori dal pub.
 
 
Louis tirò un sospiro di sollievo quando, appena un’ora dopo l’incontro al locale, Harry bussò alla porta del suo appartamento. “Ehi!” mormorò il riccio sulla porta, una mano infilata nella tasca posteriore dei suoi skinny jeans e l’altra con appena tre dita sollevate in segno di saluto. Louis si trattenne dallo sporgersi a lasciargli un bacio sulla guancia perché che razza di pensiero era quello? Lo trascinò dal polso nel suo appartamento però, lasciando che le sue dita accarezzassero l’interno del polso del ragazzo. “Tutto ok con il tuo amico?” domandò Louis facendolo accomodare sul divano. “Oh sì, certo. Aveva dimenticato le chiavi. Lo fa spesso, non mi sorprende più” Harry scrollò le spalle sedendosi sul sofà. “Lo fa spesso? Dimenticare le chiavi?” domandò il maggiore sedendosi accanto a lui, scalzo, con una gamba piegata sotto il suo sedere. “Dimenticare in generale in realtà” mormorò Harry più a se stesso che al maggiore. Parve farsi pensieroso per un attimo ma poi si riscosse e lasciò correre lo sguardo lungo le pareti dell’ appartamento. Il soggiorno era sobrio, c’era un televisore al plasma ed una consolle. Qualche lattina di birra vuota era posata sul tavolino di vetro. Dalla sua posizione poté gettare un’ occhiata anche in cucina: era piuttosto piccola, con metà tavola ancora apparecchiata e qualche piatto sporco nel lavello. Harry avrebbe scommesso dieci sterline sul fatto che se solo Louis gli avesse mostrato la sua stanza, probabilmente avrebbe trovato il letto sfatto. “Quindi è questo l’ oggetto della disputa” disse ritornando con lo sguardo su Louis. Il maggiore lo stava già osservando, ma sussultò lo stesso quando i suoi occhi si immersero in quelli verdeggianti del ragazzo. “Mhmh” mugugnò in risposta, stiracchiandosi sul divano. Portò il braccio sulla spalliera, a sfiorare la schiena di Harry e il riccio sbuffò perché quella mossa era davvero vecchia. Non che gli dispiacesse, comunque. “Capisco perché non volessi condividerlo” disse allora il più giovane alzandosi e vanificando tutti gli sforzi di Louis per stare più vicini. Il maggiore lo guardò con aria interrogativa. “La tua casa è maschilista, Lou” ridacchiò allora Harry facendo il giro del divano e posizionandosi alle sue spalle. Sollevò tre dita e disse “Ha le Tre D”. “Le tre cosa?” chiese allora il liscio con lo sguardo impregnato di ilarità. “Disordine, disinteresse e disorganizzazione” specificò allora Harry, per poi incamminarsi a passo di marcia verso la cucina. Louis ridacchiò ma non poté fare a meno di seguirlo perché adorava il modo in cui quel dannato ragazzino si muoveva in casa sua, come se la conoscesse da una vita e non da due soli minuti. Eleanor, quando arrivava, guardava tutto con aria un po’ schifata. Spostava gli indumenti di Louis prendendoli con la punta delle dita e poi si sedeva nell’unico angolo sterile ed incontaminato della casa che riusciva a trovare. “Tovaglia ancora sul tavolo e piatti sporchi” indicò Harry passando; “Disorganizzazione”. Louis sbuffò seguendolo mentre si muoveva in una nuova stanza. Lo studio probabilmente. Difficile dirlo dal momento che la scrivania era praticamente sommersa di libri. Pesanti manuali di storia, libri di grandi filosofi e qualche foglio stampato che svolazzava qua e là. “Disordine” puntualizzò allora il riccio per poi dirigersi nella stanza successiva, quella da letto. E din din dove sono le sue dieci sterline? “Letto sfatto vuol dire disinteresse”. “Oppure” e questa volta la voce di Louis proveniva da un punto davvero vicino alle sue orecchie. Harry non si era nemmeno reso conto di quanta poca distanza ci fosse tra di loro finché le mani piccole del liscio non si posarono gentilmente sui suoi fianchi. Lo tirò verso di sé in modo che la schiena ampia di Harry collidesse con suo petto. “Oppure vuole dire aspettare qualcuno per cui provi interesse” bisbigliò direttamente nel suo orecchio, per poi mordicchiargli il lobo. Al riccio sfuggì un gemito roco. Era quello che voleva fare infondo. Una serata di sano sesso e via, poi non si sarebbero visti mai più. Ed era quello che voleva anche Louis. Voleva sfogarsi con Harry in tutti i modi possibili, anche quello se necessario. E poi non lo avrebbe visto mai più. Con un gesto audace, il più giovane spinse il bacino contro l’inguine di Louis. Il liscio gli morse il collo per evitare di ansimare a voce alta. Nemmeno quello fosse un incoraggiamento, Harry cominciò a strusciare il sedere contro il rigonfiamento che premeva sulle sue natiche. “Lou… Mmh” il maggiore strinse le dita tra i riccioli del giovane e lo spinse verso il basso, finché non raggiunse i novanta gradi. Le mani di Harry strinsero il bordo del materasso. Ansimava pesantemente perché Louis dietro di lui stava emulando l’atto sessuale. Un gemito più forte degli altri sfuggì dalle labbra carnose del minore nonostante gli incisivi stessero mordendo il labbro inferiore. Il maggiore passò la mano sulla sua schiena fino a toccare le indentazioni di ogni singola vertebra. “Ti prego, Loueh” Harry sembrava quasi sgomento mentre implorava per ricevere più attenzioni. Louis lasciò scivolare il pollice tra le labbra del riccio, portando il labbro inferiore verso il basso e bagnandosi lievemente il dito. “Sei così bello” sussurrò Louis direttamente nelle sue orecchie, piegandosi fino a far collidere il suo petto con la schiena larga e muscolosa di Harry. “Per favore? Possiamo… I vestiti” il riccio aveva gli occhi lucidi d’eccitazione e la mente annebbiata, ed era uno spettacolo stupendo con tutti i capelli disordinati a causa delle mani frenetiche di Louis e l’erezione a premere contro la patta dei pantaloni (sempre a causa di Louis). Il maggiore, allora, prese in mano la situazione. Fece girare il riccio e gli sollevò la maglietta e oh. Tatuaggi. Louis voleva baciarli e morderli tutti, uno ad uno, ma erano troppi. Si perse ad osservare la rete intricata di macchie d’inchiostro che costellava il suo petto. Una farfalla, una rosa, dei chiodi, un’ ancora. “Meglio di ciò che mi aspettassi” mormorò avvinghiandosi ad un suo pettorale e succhiando un livido violaceo in corrispondenza dell’ ala di un uccello. Harry passò la mano nei suoi capelli, spostandolo verso il basso, verso il suo capezzolo. Louis non si fece ripetere l’invito e cominciò a succhiare e mordicchiare il capezzolo fino a renderlo turgido. Le dita del più piccolo si immersero nei capelli fini di Louis fino a spingerlo più in basso. Mise la lingua tra i denti in un sorriso tutt’altro che innocente mentre continuava a condurre il maggiore più giù, in ginocchio. “Piccolo impertinente” mormorò Louis, mentre già portava le mani alla patta dei pantaloni di Harry. Glieli sbottonò lentamente passandosi la lingua sulle labbra. Dio. Quelle labbra erano così sottili e piccole che il riccio aveva vagheggiato il suo cazzo intrappolato lì dentro per tutta la serata. “Solo per una sera, ok?” mormorò Louis, il fiato caldo che si infrangeva sul punto più delicato ed esposto di Harry. “Sì. Solo per oggi” rispose il minore. Perché erano quelli i patti. Solo una sera, poi ognuno alle proprie vite. Harry stava per aggiungere qualcosa ma Louis prese in bocca la sua intera lunghezza in quel momento quindi ogni commento si spense e venne sostituito da un gemito. Poteva benissimo godersi la bocca di Louis. Godersi il corpo di Louis. Godersi Louis che spingeva accaldato dentro di lui. Per una sera. Una sola. Era questo che pensavano entrambi mentre si sdraiavano sul letto nudi e abbracciati. Mentre Harry finalmente congiungeva le loro labbra per scoprire che il maggiore aveva il sapore di menta mischiato a quello del suo sperma. Era a questo che pensavano mentre si univano diventando una cosa sola. Ma il destino, si sa, ha altri piani.
 
 
Harry Styles era particolarmente felice quel giorno. Lo zaino in spalla, i capelli acconciati in uno chignon disordinato e l’uniforme scolastica come sempre modificata. Sì perché nonostante lui dicesse il contrario a sua madre, abbottonare solo tre miseri bottoni per lasciar intravedere i tatuaggi era contro il regolamento. Il cravattino con il logo della scuola stampato sulla punta oscillava mollemente da un lato all’ altro del collo. Il cielo era nuvoloso e prometteva acqua ma non importava. Era felice quel giorno, euforico. E aveva tutte le ragioni per esserlo. Per prima cosa, da lontano intravedeva già la testa bionda del suo migliore amico che lo aspettava per andare a scuola insieme. Poi, aveva vissuto una delle nottate di sesso migliori della sua vita il weekend precedente e ne era ancora appagato, grazie tante. Ma soprattutto, soprattutto, la sua più grande spina nel fianco del liceo, anche conosciuta con il nome di Professoressa Cole, era in maternità. Maternità! Sì perché a quanto pare c’era stato qualcuno abbastanza coraggioso da… Ma non era questo il punto! Il punto era che Harry non avrebbe dovuto preoccuparsi di beccarsi il debito in storia e filosofia, perché era più che sicuro che grazie al nuovo supplente tutto sarebbe andato liscio come l’olio (esami finali inclusi). Chiamò Niall a gran voce e lo vide già intento a spostare mille post-it da un blocchetto per attaccarli in ogni posto disponibile: lo zaino, i quaderni, ne aveva perfino uno appuntato sulla camicia con la sua classe e la sezione scribacchiati sopra. Niall era il suo migliore amico da quando Harry ne aveva memoria, e si premurava di ricordarlo continuamente al ragazzo, perché lui, di memoria, non ne aveva affatto. Era lo smemorato per eccellenza. Una volta, quando erano ancora alle scuole elementari, Niall aveva dimenticato il suo nome. Harry aveva pianto per l’intera giornata fino al momento in cui la madre del bambino, la Signora Horan, non lo venne a riprendere e gli spiegò il suo problemino. Avevano trovato la soluzione dei post-it da un paio di anni, ma la cosa gli stava lievemente sfuggendo di mano. Le mura della stanza di Niall erano tappezzate di foglietti dai colori più sgargianti, usati per appuntarsi di tutto. Dalla data del compleanno di suo nipote, agli appuntamenti con i suoi amici. Nonostante questa piccola pecca, era davvero impossibile non amare Niall. Aveva una zazzera bionda ed una risata contagiosa a cui era impossibile resistere. Chiunque veniva travolto da quell’ uragano di energie e buonumore. Doveva essere di origini irlandesi. Forse. O meglio, Niall se ne uscì con quella frase un giorno a mensa dopo aver trovato un post-it verde nella tasca dei suoi jeans. “Ehi Nialler” lo salutò il riccio, sottraendogli il post-it che aveva tra le mani e appiccicandoglielo in fronte. “Ah, ah. Divertente Harry. Davvero” sbuffò mentre si staccava il foglietto e tentava di rimuovere la parte adesiva con le unghie. “Allora com’è andato il weekend?” e questa era la cosa migliore dell’essere amico di Niall. Eri praticamente in una botte di ferro. Potevi raccontargli di tutto, perfino i tuoi segreti più oscuri e lui l’avrebbe dimenticato nel giro di qualche ora. “Alla grande!” fece infatti mettendogli un braccio intorno alle spalle ed incamminandosi; “Sono stato con un ragazzo che uhm” fece ammiccante. “Davvero?” Harry annuì, “Un uomo ad essere precisi. La sua esperienza ci è tornata utile in una cosetta o due” ridacchiò. “Caspita Haz! Questa devo proprio appuntarmela” fece Niall mentre si tastava il giubbetto alla ricerca di una penna e un nuovo post-it. “Appuntarti cosa?” chiese Harry dopo appena due minuti di ricerche vane. Il biondo si bloccò di colpo e lo fissò con sguardo stralunato per un po’. “Io… Non lo so” le sue sopracciglia si aggrottarono con fare pensieroso; “Non ricordo” aggiunse. “È tutto ok” lo rassicurò il riccio con una pacca sulla spalla. Si fermarono poi davanti ad una villetta a schiera, ad aspettare il terzo elemento del loro gruppetto. “Non è un caso che i gruppi siano sempre da tre?” pensò ad alta voce il più piccolo in quel momento. Niall lo guardò con aria interrogativa; “Ma sì, pensaci! I tre moschettieri, i tre porcellini”. Il biondo parve illuminarsi a quel punto perché aprì il quaderno e prese a frugare tra le pagine ricoperte di post-it appiccicosi. “I tre topolini ciechi” disse trionfante non appena trovò il foglietto corrispondente. “Stai migliorando” si complimentò Harry. In quel momento il cancelletto si aprì e comparve il loro terzo ehm topolino cieco. Liam Payne, muscoloso, con i capelli sempre acconciati in una cresta e l’uniforme striata in modo impeccabile, stava già facendo gli occhi dolci allo schermo del suo cellulare. C’era una cosa da sapere a tal proposito. Zayn, il fidanzato di Liam (di un paio di anni più grande di lui) era in erasmus. Stava studiando in Spagna e Payne, tra Skype e Facetime, era diventato telefono-dipendente. “Va bene amore, io vado. Baci” disse schioccando le labbra in direzione della fotocamera. “Questa cosa deve finire” sbuffò Harry quando lo vide avvicinarsi; “Ma se non lo fa mai!” disse Niall sinceramente contrariato. Il riccio alzò gli occhi al cielo. “Buongiorno ragazzi” li salutò allora Liam facendo un cenno con la mano. E una volta che il gruppo si era formato, potevano camminare fino a scuola, per poi occupare i loro banchi vicini, da bravi amici inseparabili che erano. “Oh mio Dio!” urlò Harry con una faccia fintamente scioccata; “Riesco a vedere le tue dita! Quindi il tuo cellulare non è tipo… Un prolungamento del tuo braccio? Non sei una sorta di uomo bionico?”. Liam lo schiaffeggiò amichevolmente sulla guancia per lavare via quell’espressione sciocca. “Scusami” cominciò, “Se il mio ragazzo è in una città piena di bellezze mediterranee e non voglio diventare un Alce” scrollò le spalle in un gesto disinteressato. Niall si frugò tra le tasche ma non trovò nessun post-it riferito a quell’animale quindi si limitò a fissare l’amico con aria interrogativa. “Ha le corna” spiegò allora Liam esasperato. Harry si intromise mettendo un braccio sulle spalle del biondo e uno su quello del castano; “Su, su non litigate” disse camminando attraverso il portone della scuola. “Oggi è un giorno felice. Addio professoressa Cole e benvenuto nuovo supplente” fece con sguardo sognante. “Speriamo che sia sexy” aggiunse poi, guadagnandosi una spallata da Liam. Sexy, comunque, lo sarebbe stato.
 
 
Louis si sistemò la montatura nera sul naso, abbottonò la camicia fino all’ultimo bottone e si rimirò per l’ultima volta nello specchio. Primo giorno, ugh. Poteva farcela, però. Aveva studiato a lungo per diventare insegnante e questa era la sua prima supplenza. Avrebbe occupato l’intero secondo quadrimestre e Louis era pronto. Non c’era nessun collega burbero, nessun preside altezzoso e nessuno studente maleducato che gli avrebbe messo il bastone tra le ruote. Si sistemò il ciuffo spostandolo verso destra, prese la sua ventiquattrore e lasciò il suo appartamento. Carico di aspettative, di speranze si diresse a passo di marcia verso l’unica scuola superiore della cittadina. Un piccolo impertinente. Ecco cosa gli avrebbe messo i bastoni tra le ruote. E lui l’aveva già chiamato così una volta.
 
 
Quando il nuovo professore arrivò, Harry era intento ad aiutare Niall con i suoi post-it fuori controllo, quindi si perse la sua entrata trionfale. Una volta sollevato lo sguardo, infatti, l’insegnante stava già scrivendo in una calligrafia ordinata e classica il suo nome alla lavagna. Mr. Tomlinson eh? Bè doveva essere il giorno fortunato di Harry perché quella non era di certo la professoressa Cole, senza contare che il nuovo acquisto sembrava assolutamente sexy a giudicare dal suo fondoschiena. Stranamente familiare, ma decisamente attraente, . “Salve ragazzi” cominciò una voce melodiosa e, diamine, perché quella sensazione di familiarità non andava via? Ma Harry conobbe la risposta fin troppo presto. Non appena l’insegnante si girò per fare il suo consueto discorso di incoraggiamento agli alunni, il riccio rimase folgorato, scioccato dall’ uomo che si ritrovò difronte. Louis. Tipo, quel Louis. Quello che l’aveva aperto con le dita e poi lo aveva penetrato e… E tutto il resto. Era così diverso da quella sera. Occhiali per prima cosa. Dove erano finiti quegli occhiali quella sera di quel weekend? Era fottutamente ovvio che con degli occhiali lui avrebbe capito che fosse un professore. Il suo magari. Per non parlare della t-shirt, sostituita per l’ occasione da una camicia. Dio, quanti anni aveva Louis? La testa iniziò a vorticargli e la gola gli si fece riarsa mentre ascoltava un lungo discorso sul piano di studio e i filosofi da portare all’esame oppure il periodo della guerra fredda su cui si sarebbero soffermati di più. Era sicuro che Louis, il professore non l’avesse ancora visto. Liam gli posò un amano sulla coscia e chiese “Ehi. Tutto bene?”. Forse fu quel breve bisbiglio, l’unico suono diverso dalla voce del Professor Tomlinson ad attirare l’attenzione dell’ insegnante su di loro. Probabilmente gli avrebbe chiesto la ragione del chiacchiericcio finché non posò lo sguardo in quello verde del riccio. No. No. Semplicemente no. Non poteva essere. Era al suo primo incarico e chi si ritrovava in classe? La sua (meravigliosa, irripetibile, sensazionale, irripetibile) scopata del sabato sera. Lo fissò per un attimo col sopracciglio arcuato e il cuore che galoppava ad una velocità prossima alla possibilità di infarto. Quella sera, non solo aveva tradito la sua fidanzata con un ragazzo, ma peggio. L’aveva tradita con uno studente. Tossì quando si rese conto che l’intera classe lo stesse fissando dal momento che aveva interrotto il suo discorso all’improvviso. Distolse lo sguardo da quello verdeggiante di Harry e continuò il suo monologo sull’ importanza della filosofia mentre la sua mentre continuava a ribellarsi e ad urlare che non era fottutamente possibile. La sua carriera poteva essere stroncata sul nascere, la sua relazione saltava se solo quel ragazzino impertinente avesse aperto quei due petali di rosa che si ritrovava al posto delle labbra. Morbide, rosee, forse il suo posto preferito su cui far riposare le proprie ma, diamine. Non era questo il punto. Il punto era che aveva fatto sesso con un suo studente. Ed era un punto terribile.
 
 
Non voleva destare sospetti, Louis. Per questo non disse nulla, ma aspettò pazientemente la fine delle lezioni nel parcheggio scolastico. Attese che il fantomatico Harry, che aveva imparato facesse Styles di cognome, comparisse dal portone. O meglio, una parte di lui desiderava davvero tanto che quel riccio dall’equilibro precario e i fianchetti sottili fosse semplicemente una sua visione dovuta al troppo stress. Quando se lo vide sfilare davanti agli occhi, però, capì che non fosse un miraggio. Il riccio parlava animatamente con il suo compagno di banco biondastro, mentre strappava foglietti colorati dai suoi vestiti, e con la spalla spintonava l’altro amico, che stava parlando con lo schermo del suo cellulare. Vide i due compagni allontanarsi ed Harry rientrare nel complesso scolastico. Quello doveva essere il suo momento, doveva approfittarne. Il riccio aveva probabilmente lasciato il libro sotto il banco, perché quando uscì di nuovo dal portone diversi minuti dopo, con il libro di letteratura sotto il braccio, il parcheggio era quasi deserto. Louis lo afferrò dal polso allora e corse verso la sua auto. “Ma che diavolo?” chiese Harry preso alla sprovvista, mentre arrancava nel tentativo (vano) di stare dietro al maggiore. Il professore gli aprì la portella posteriore dell’ auto e “Entra e nasconditi finché non usciamo del perimetro scolastico”  ordinò spingendo il riccio in auto. Lui corse al sedile anteriore, accese il motore, ingranò la marcia e partì. “Cos’è? Un nuovo gioco erotico? Sesso e Rapimento?” chiese Harry con i capelli arruffati a causa della posizione, la voce che proveniva come ovattata dalla spugna dei sedili. “Ssh! Non dire nemmeno quella parola e soprattutto non associarla a noi due!” quasi urlò Louis, sbattendo le mani sul volante mentre guidava a tutto gas per le stradine poco affollate della città. “Mi pare di capire” disse Harry sputacchiando i suoi stessi riccioli che per la posizione gli erano finiti in bocca; “Che qualcuno abbia un problema con la nottata passata insieme” terminò, sollevandosi e sporgendosi verso i sedili anteriori. Louis accostò in una stradina isolata e si voltò verso il ragazzo. “Dimmi almeno che sei maggiorenne” parve implorare, perché almeno quello avrebbe alleviato il peso sulla sua coscienza. “Ma ti pare? Ho diciannove anni” Harry rise del suo volto preoccupato. “Grazie al cielo” mormorò il maggiore. Si sollevò gli occhiali per passarsi stancamente le dita sul ponte del naso. “Questi ti donano un sacco. Avresti dovuto metterli quella sera” sussurrò direttamente nel suo orecchio e Diavolo tentatore che non era altro! Louis si allontanò come scottato e gli puntò il dito contro. “Tu!” disse facendo affondare il dito direttamente nel pettorale scoperto di Harry, pessima mossa se l’autocontrollo era il suo obiettivo; “Tu mi hai fregato! Non mi avevi detto che fossi ancora uno studente”. “Non che tu me l’abbia chiesto comunque” ribatté il riccio sciogliendosi i capelli. Pessima, pessima mossa. Louis non poteva permettersi di andare a letto con Harry di nuovo. Se la prima volta ignorava la sua età e il fatto che fosse un suo studente, adesso ne aveva piena coscienza. “Perché erano questi i patti” ribatté infervorato; “Meno sapevo di te, più facilmente ti avrei dimenticato”. “Oops!” esclamò allora il ragazzo con aria fintamente innocente. Non riusciva, nonostante gli incisivi mordessero il labbro inferiore, a trattenere il suo sorriso. “Perché diamine sei così di buonumore si può sapere? Quello che è successo è sbagliato e non deve ripetersi. Sono qui proprio per assicurarmi di questo” disse Louis osservando la figura del più piccolo dallo specchietto retrovisore. “Quindi tu mi hai portato in una stradina isolata, praticamente rapendomi per dirmi che non vuoi più venire a letto con me?” propose Harry con fare scettico e un sopracciglio arcuato. Certo, detta in quel modo e ad una distanza così ravvicinata non sembrava più una buona idea, grazie tante. “Harry” mormorò posandosi mollemente contro il sedile; “Rischio la mia carriera”. “Quindi la tua ragazza rompipalle non occupa nessun posto in questa discussione?” domandò allora il più piccolo posando docilmente la guancia contro il sedile su cui Louis era seduto. E no. Paradossalmente la paura più grande del liscio era perdere il lavoro al suo primo incarico, non perdere la sua relazione perché… Perché forse nel profondo sapeva che era finita già da un po’. “Anche” mormorò invece in risposta. Harry sbuffò e tornò a posare la schiena sui sedili posteriori. “Allora portami a casa” la richiesta del riccio arrivò flebile. Louis si morse il labbro. Era così giovane, ancora così speranzoso tanto da riuscire a vedere il lato migliore anche in una persona come lui. Anche in una persona risucchiata da una relazione che lo vedeva infelice, una persona insoddisfatta sul lavoro che non vuole nemmeno convivere con la sua fidanzata storica. Avrebbe voluto dirgli che non era così semplice, che quella notte gli era piaciuta, gli era piaciuta un sacco ma a che pro? Accese il motore pronto a ritornare in centro e un attimo prima di ingranare la marcia sentì il fiato caldo di Harry sul suo collo. Si girò stranito, appena in tempo per far cozzare le sue labbra contro quelle morbide del riccio. Piccolo impertinente pensò. Harry posò tanti bacetti a stampo contro la bocca di Louis, così da fargli schiudere le labbra. Insinuò la lingua nella bocca del maggiore che si ritrovò a ricambiare con ardore. Era assurdo che un ragazzino riuscisse a risvegliare in lui sensazioni assopite da tempo. Farfalle nello stomaco, fuochi d’artificio dietro le palpebre socchiuse e una sorta di elettricità che collegava i loro corpi. Louis immerse una mano nei ricci ribelli di Harry e se lo trascinò più vicino, nonostante l’ingombro del sedile tra i loro corpi. Quando si separarono, respirarono per un po’ a fatica, l’uno sulle labbra dell’ altro. “Ogni storia d’amore che si rispetti ha il suo bacio d’addio” disse Harry, sporgendosi per lasciare un ultimo bacetto a stampo sulle labbra sottili e rosee di Louis. Il maggiore rimase con le labbra protese anche quando il riccio si allontanò, quasi nel tentativo di prolungare il contatto. Che avesse vissuto la sua storia d’amore più intensa in a malapena due giorni?
 
 
Nelle settimane seguenti, Louis fece pace con Eleanor. Le disse che l’aveva semplicemente colto di sorpresa con una proposta così improvvisa e che forse sarebbe stato meglio non affrettare i tempi. Naturalmente, si guardò bene dal parlargli di Harry e di quello che c’era stato tra di loro. Qualunque cosa fosse. Comunque, se il piano originario era sapere il meno possibile del riccio così da dimenticarlo in fretta, Louis stava fallendo su tutta la linea. Harry aveva diciannove anni, due migliori amici e una sorella maggiore. Questo era quello che riusciva a captare in classe di tanto in tanto dalle sue conversazioni. Grazie al suo mestiere, invece, sapeva che Harry se la cavava egregiamente nelle materie scientifiche e che le discipline umanistiche erano invece una vera e propria sfida per lui. Cercava di non guardarlo tanto mentre spiegava al resto della classe, perché (che lui lo ammettesse o no) Harry lo distraeva. Soprattutto da quando l’aveva sorpreso a fissarlo mordendo il tappo della penna. Ma non ci riusciva. Il suo sguardo era come calamitato nella sua direzione ed era piuttosto certo che il riccio non stesse ascoltando affatto la lezione, ma stesse vagheggiando qualcosa che davvero Louis non voleva sapere. “Styles!” lo richiamò quel giorno, quando quel dannato ragazzino che si divertiva a farlo impazzire si presentò in classe con mezzora di ritardo, il cravattino allentato e la camicia quasi totalmente sbottonata. “Non siamo in un night club. Aggiusta immediatamente la divisa scolastica” impose rabbioso, quasi geloso del fatto che qualcun altro potesse vedere quei territori che lui aveva esplorato e marchiato con la sua bocca. “Errore mio, prof. Credevo le piacessero gli strip club” bisbigliò tornando a sedersi vicino ad Horan. E Dio, Dio, Dio. Louis aveva venticinque anni, un incarico ufficiale ed una relazione (in)stabile alle spalle. Perché diavolo quel ragazzino impertinente si divertiva a giocare in quel modo con lui? Gli avrebbe messo due. Così, per ripicca. Per frustrazione sessuale.
 
 
Non si erano più sentiti da quel giorno. Non si erano più parlati, se non in veste di insegnante-studente, dal giorno in cui si erano scambiati il loro ultimo bacio. Ma Harry davvero non poteva accettare che fosse l’ultimo. Il professor Tomlinson stava assegnando le pagine da studiare in quel preciso istante e Niall le stava appuntando su un post-it colorato mentre Liam aveva già l’applicazione di Skype aperta. “Ah a proposito!” aggiunse il suo professore preferito prima di chiudere il registro; “Ho fissato il compito in classe di storia per la prossima volta”. Un coro di lamentele generali si alzò dai suoi compagni di classe. Harry strinse i pugni contro la sua bic mentre appuntava sul diario che di lì a due giorni ci sarebbe stata la verifica.  Avrebbe preso un voto pessimo perché non aveva esattamente studiato volta per volta, come al contrario Louis si era raccomandato che facesse. Non poteva prendere un’ insufficienza anche col professor Tomlinson, era inaudito! Gli doveva come minimo un otto per i servigi sessuali che si erano scambiati. Fu in quel momento che gli si accese la lampadina. Louis. Louis era la causa e la soluzione. Sorrise mettendo a posto il diario. Si affrettò a sistemare le sue cose e lasciò l’aula prima di tutti gli altri.
 
 
Louis voleva davvero dire di essere sorpreso nel trovare Harry appoggiato alla sua auto a fine giornata, ma semplicemente non lo era. E ci sperava, oh se ci sperava. Si avvicinò con la sua ventiquattrore in mano e gli occhiali che riposavano sullo scollo della sua camicia. “Non so cosa tu stia cercando di fare ma togliti immediatamente dalla mia macchina” disse senza rallentare. Aprì l’auto col telecomando e gettò malamente la sua borsa nei sedili posteriori. Il tempo di passare alla postazione del guidatore e prendere posto che Harry si era già accomodato sul sedile del passeggero con tanto di cintura di sicurezza allacciata. “Ragazzino, sul serio. Qual è il tuo problema?” domandò esasperato accendendo il motore, ma con un sorrisino sghembo che increspava il suo viso. “Tu” rispose Harry senza pensarci, “O meglio” aggiunse in fretta gesticolando; “Le tue materie”. Louis sbuffò una risata mentre cominciava a guidare lontano dalla scuola. “Non puoi mettere un compito senza prima consultarmi!” s’impuntò il più piccolo a quel punto. Incrociò le braccia sul petto e sbuffò sollevando un ciuffo riccio che gli ricadde in modo adorabile sul volto. Dio, era un tale ragazzino. “Cosa sei? Il mio segretario?” fece allora ridacchiando. “Sul serio, Lou! Sarà tutta colpa tua se andrò male. Non mi permetti di seguire la lezione… Mi distrai”. Ah era reciproco quindi? Louis accostò in una stradina secondaria e spense il motore. Qualcosa gli diceva che quella chiacchierata sarebbe andata per le lunghe. “Quindi?” chiese slacciandosi la cintura e posando il braccio con fare sciolto contro il sedile, ostentando una sicurezza che in realtà non gli apparteneva. “Quindi questa volta sono io che ti rapisco” rispose Harry con sicurezza schiacciandogli l’indice contro il naso alla francese. Louis lo scacciò manco fosse una mosca fastidiosa. “Anzi. Faccio di più” disse poi facendo indugiare un attimo di troppo lo sguardo sulle labbra sottili e rosee di Louis. Quello sarebbe stato il suo punto debole, sempre. “Ah si?” chiese il liscio scettico; “Sì” confermò Harry con un sorriso furbo. “Ti sto ufficialmente ricattando” annunciò poi. Louis strabuzzò gli occhi. Forse Harry non era il ragazzino ingenuo e sprovveduto che si era immaginato, forse c’era un vero diavoletto nascosto dietro quegli strati di muscoli tonici, forme longilinee e fossette profonde. “Quindi mi aiuterai a studiare. O dirò a tutti quello che è successo tra di noi” concluse con sguardo ammiccante. Louis lo guardò in malo modo. Si passò con fare stanco le mani sul ponte del naso e disse “Harry”. Parve quasi un gemito, un’implorazione. “Lou, ti prego. Non posso andare male. Ci sono gli esami finali quest’anno” disse congiungendo le mani e sbattendo gli occhioni. Quelle ciglia lunghe fino all’ inverosimile e quegli occhi verdi ai limiti della legalità erano la sua arma prediletta. “Hai un paio di giorni per studiare, puoi farcela benissimo senza il mio aiuto” tentò muovendo la mano con fare suggestivo. Harry scosse la testa spedendo i suoi ricci di qua e di la; “Non ce la farò mai… Se avessi un minimo indizio sulle domande..?” provò con un’audacia di cui il maggiore non lo credeva capace. “Non esiste! Non ho intenzione di imbrogliare” rispose prontamente. “Allora sei in un vicolo cieco, professore”. Impertinente. Piccolo ragazzino impertinente che lo chiamava in modo così, oh, così sexy ed eccitante. “Harry sappiamo entrambi che… uhm. Insomma…” tentò di spiegare Louis. Diamine era un insegnante perché non riusciva ad esprimersi a dovere? Era colpa di quel dannato ragazzino. Gli scombinava i neuroni e glieli rimetteva in un ordine in cui l’unico pensiero coerente era Andiamo a letto insieme. “C’è questa cosa uhm” tossì per poi riprendere, “Questa attrazione tra di noi. Sappiamo entrambi come andrebbe a finire se io e te ci ritrovassimo soli a casa mia. Di nuovo”. Harry rise sporgendosi verso di lui, attaccò le labbra al suo orecchio e bisbigliò “Ma è proprio quello in cui spero”. Gli leccò il lobo dell’ orecchio in modo sensuale per poi scendere a lambire il suo collo. Louis raccolse un ciuffo dei suoi capelli ricci e lo tirò per allontanarlo da sé. Un mugolio di dissenso scappò dalle labbra di Harry. “Non posso permettermi che accada, ragazzino” disse tenendolo lontano da sé. Era come se entrambi i loro corpi fossero calamite. Calamite destinate ad attrarsi e a respingersi in continuazione. Erano stati due volte in quell’automobile ed entrambe le volte erano sfociate in qualcosa. Louis davvero non poteva dirsi indifferente alla freschezza di Harry, ai suoi ricci, ai suoi occhi verdastri e alle sue labbra calde. Il minore, d’altro canto, non riusciva a resistere all’esperienza di Louis, ai suoi modi così gentili e da adulto, al suo fascino di professore. “In questo caso” mormorò riportando le labbra sulla giugulare del liscio, “È un peccato che tu non abbia scelta”.
 
 
Ricatto. Quello era un ricatto bello e buono. Se si fosse rifiutato di aiutare Harry, lui avrebbe spifferato quello che c’era stato tra loro. Se l’avesse aiutato, d’altro canto, era pronto a scommettere che sarebbero finiti a letto insieme. Perché c’era elettricità tra loro. Louis non riusciva davvero a spiegarlo, ma era come una piccolo scossa elettrica sotto pelle, che si diradava e che pizzicava. Si placava soltanto quando le sue mani erano finalmente sul corpo del riccio. Sbuffò mentre raccattava le sue scarpe lasciate in giro per il salotto e le metteva nella scarpiera apposita. Gli toccava anche sistemare, perché quel ragazzino impertinente sarebbe arrivato di lì a poco. Se solo lo avesse visto Eleanor. Gli aveva chiesto di dare una forma accettabile a quell’ accumulo di panni sporchi e libri che Louis chiamava casa almeno un centinaio di volte. Lui aveva risposto con un mormorio intorno al collo della sua birra e con i piedi sul tavolino di vetro. E adesso, eccolo li, che riordinava per un ragazzino di nemmeno vent’anni con cui non doveva assolutamente finire a letto perché era un suo studente e perché avrebbe tradito la sua fidanzata. Solo che Harry gli dava nuovi stimoli, per così dire. Il campanello suonò, interrompendo i suoi tentativi di mettere ordine e anche i suoi pensieri. “Buonasera, Prof” salutò Harry con un sorriso tutto fossette e il manuale di storia sotto il braccio. “Puoi… ugh. Non chiamarmi così?” domandò facendosi da parte e lasciandolo entrare. “Perché? Ti ricorda che ormai hai una certa età?” sbuffò sdraiandosi in malo modo sul divano, così, come se fosse a casa propria. “No, mi ricorda che ho scopato con un ragazzino e che lo farei altre mille volte in angolazioni e posizioni diverse. Grazie tante” questo avrebbe voluto rispondere, ma si limitò a mordersi il labbro. Scostò i piedi di Harry dal divano e ci si sedette sopra. Mise un cuscino tra di loro e all’ occhiata interrogativa del riccio rispose con un “Rispetto degli spazi personali” scrollando le spalle. Harry rise, allora. Perché Louis gli lasciava intendere tante cose, o semplicemente diceva cose che cambiavano tutto, così, senza neanche accorgersene. E poi lo faceva sentire così desiderato. “Come vuole” rispose allora, poi si perse per un attimo ad osservarlo. Aveva i capelli sparati in direzioni diverse, sembrava così diverso dal ruolo che si costringeva ad impersonare in classe. Dei pantaloni di tuta slavati coprivano le sue gambe toniche e un tank top lasciava quasi intravedere un suo capezzolo (oltre ad una distesa di pelle dorata). Louis si sporse verso di lui allora, e quasi come un riflesso incondizionato, Harry schiuse le labbra e abbassò le palpebre. Tutto ciò che ricevette però, fu uno scappellotto dietro la nuca. “Ahi!” urlò allora indignato portandosi la mano a massaggiare il punto dolorante; “Ti stai già distraendo” lo accusò Louis. “Credevo che il cuscino delimitasse lo spazio personale e tu hai appena infranto il mio” sbuffò con le guance gonfie e lievemente arrossate; “Preparati a subire la mia vendetta”. “Sei un tale ragazzino” mugugnò Louis in risposta. Prese i suoi occhiali dal tavolino e li indossò. “Apri il libro, coraggio” lo spronò poi, prendendo il manuale. Passò così gran parte della serata, con Louis che spiegava e rispiegava lo stesso passaggio perché Harry si era perso ad osservare il movimento delle sue labbra, con il riccio che ripeteva diligentemente e cercava di memorizzare sottolineando i paragrafi con mille colori diversi. Quando gli aveva chiesto aiuto, Louis non credeva che Harry fosse determinato ad impegnarsi e invece era proprio così. E ne era piacevolmente sorpreso. “Pausa” mugugnò il minore un’ora dopo, il tappo dell’evidenziatore in bocca ed una molletta dal colore improponibile a tenergli indietro il ciuffo riccioluto. “D’accordo” accordò il liscio. Si levò gli occhiali da vista e posò la testa sullo schienale. Chiuse gli occhi stanco non tanto per l’aver spiegato un capitolo intero, quanto per essere stato a stretto contatto col riccio senza averlo nemmeno sfiorato. Lo spossava, era una fatica fisica. Sollevò un braccio e se lo mise sul volto, a schermare gli occhi dall’impertinente luce artificiale che filtrava dalle sue palpebre serrate. Fu in quel momento che lo sentì e quasi sussultò. Qualcosa di umido premuto contro il suo capezzolo. Sobbalzò e cercò di allontanare la… la bocca di Harry dal suo capezzolo. Cristo. “Si può sapere cosa diavolo stai facendo?” quasi urlò nel tentativo di mettere più distanza possibile tra i loro corpi; “Avevo detto che mi sarei vendicato” si giustificò il riccio scrollando le spalle. “No, Harry. Diamine non farlo!” si infervorò alzandosi dal divano. Il ragazzo rimase forse stupito dalla sua reazione perché lo fissò con sguardo sorpreso. Le gote arrossate per l’imbarazzo e quel senso di rifiuto che gli faceva montare la nausea fino alla bocca dello stomaco. “Harold” lo richiamò dopo, ritornando sul divano. Prese il suo volto tra le mani e lo guardò serio. I suoi penetranti occhi blu si specchiarono in quelli lucidi del più piccolo. “Ascolta, ragazzino. C’è… Troppo in ballo, capisci?” domandò scostandogli gentilmente una ciocca riccia dietro l’orecchio. Harry si morse il labbro inferiore che aveva cominciato a tremolare ed annuì. Spostò gli occhi verso il basso perché non era in grado di reggere lo sguardo di ghiaccio di Louis. Il maggiore sospirò e si sporse a premergli un bacio sulla fronte. Solo Dio sapeva quanto si stava impegnando per rifiutarlo. “S-solo” cominciò con voce lievemente tremula, “Se solo non fosse così complicato…” aggiunse risollevando lo sguardo verso di lui. Deglutì a fatica, premendo la guancia contro il palmo aperto di Louis. “Io… Ti piacerei? Almeno un po’?” chiese con aria speranzosa. Il liscio sorrise della sua semplicità, e gli accarezzò la guancia. “Ma tu mi piaci già” gli rivelò per poi lasciargli un dolce bacio a stampo sulle labbra tremanti. “È solo che… Non possiamo. Lo capisci questo, ragazzino?” domandò dolce, accompagnando ogni parola con una carezza. Harry annuì e si sforzò di sorridere perché riconobbe che anche per Louis dovesse essere un momento difficile. Erano le persone giuste al momento sbagliato. Louis aveva già una relazione ed un lavoro che gli impediva categoricamente di poter vedere Harry. Stava già rischiando grosso. “Ok” bisbigliò allora, stringendosi contro il suo petto. Il maggiore gli cinse le spalle e lo cullò per un po’. Posò un bacio delicato tra i suoi ricci quando lo credette addormentato. Era un amore impossibile, illegale, proibito.
 
 
Se c’era una cosa che quelle tre settimane di lavoro gli avevano insegnato, era il fatto che Harry fosse una grandissima, gigantesca spina nel fianco. Proprio così. Louis aveva usato dolcezza e amore nello spiegargli che dovevano entrambi soffocare i loro sentimenti, ma il ragazzo era talmente ottuso che quella conversazione non parve minimamente scalfire la sua volontà, la sua autostima. Si era messo in testa che avrebbe conquistato il suo professore e, fosse l’ultima cosa che possa fare, lui doveva conquistare quell’ uomo. Per questo pochi giorni dopo la sua sessione di ripetizioni straordinarie, per così dire, se lo ritrovò di nuovo davanti alla porta di casa come la grandissima spina nel fianco che era. Teneva sollevato un foglio e sorrideva in modo smagliante quando Louis aprì la porta. Il maggiore si stampò un’ aria interrogativa in faccia, al che Harry rispose con un “Ho preso otto!”. Si fiondò in casa sdraiandosi sul divano perché, nel caso in cui Louis non l’avesse già detto, era una grandissima spina nel fianco. “Harry” lo richiamò quando lo vide levarsi le scarpe per poter poggiare i piedi sul sofà; “Lo so. Ho corretto io il compito”. Il riccio annuì contento per poi sollevarsi sulle sue gambe magre, e toniche, e infinite, e sexy e dirigersi in cucina. Sollevò una calamita a forma di pesciolino variopinto e la utilizzò per appendere al frigorifero il suo compito in classe. “Sono stato bravo non è così?” chiese inorgoglito, indicando con la punta del mento la verifica e soprattutto il voto scritto con la penna rossa. Louis si limitò a sbuffare e ad annuire, per poi ritornare in salotto. “Ehi!” lo richiamò il minore pestando i piedi per terra, “Stai mettendo in ombra il mio momento di gloria” s’imbronciò sedendosi per terra ai piedi del divano. “Sei ancora qui?” mormorò infine sollevando lo sguardo dal televisore. Harry annuì salendo sul divano e gattonando verso Louis. Il più grande deglutì a causa della posizione. Harry era a cavalcioni su di lui. Poteva chiaramente sentire le sue ginocchia ossute premere contro i suoi fianchi e le sue mani posarsi sul suo petto per ottenere maggiore stabilità ed equilibrio. “Perché diamine finiamo sempre in situazioni del genere?” chiese Louis esasperato. Era solo umano, dannazione! Aveva già rifiutato Harry, peccato che la sua determinazione pareva essere di ferro, tanto da non riuscire a scalfirla. E non aveva poi questo grande autocontrollo quando si trattava di lui: era già tanto che avesse ancora i vestiti addosso. “Non ho intenzione di cedere” s’impuntò Harry sporgendosi verso di lui, fino a soffiarglielo sulle labbra. “Questo lo avevo notato” mugugnò Louis in risposta portando le mani intorno ai fianchi del riccio in caso di… In caso di instabilità dovuta ad un maremoto, grazie tante. “Mi piaci, Lou” borbottò con sguardo imbarazzato contro le sue labbra. “Non è vero, ragazzino” sorrise il maggiore a quel punto passandogli una mano lungo tutta la schiena. “Ti attira soltanto l’idea di sedurre qualcuno più grande di te. Qualcuno che non puoi avere” disse. “È come il fascino della divisa, no?” continuò abbandonando la sua mano sulle fossette di venere del più piccolo; “Non ti piaccio io, ma il ruolo che interpreto”. Harry sbuffò sonoramente a quello, perché poteva anche essere più giovane di Louis, ma di certo sapeva cosa voleva. E voleva lui. Che fosse un insegnante, un inserviente della mensa o uno studente. “Questa è la cosa più stupida che io abbia mai sentito” borbottò incrociando le braccia al petto; “Perché non vuoi darci una possibilità?”. E Louis aveva un centinaio di risposte a quella domanda, la maggior parte delle quali coinvolgevano la moralità oppure il tribunale. “Ragazzino” mugugnò allora spazientito. Harry smontò dalla sua posizione e si sedette composto sul divano. Lo sguardo rivolto verso il basso e il labbro inferiore tenuto a bada dai suoi incisivi. Fece vagare lo sguardo ovunque tranne che sulla figura di Louis. Sulle pareti spogli e della casa, sull’arredamento scialbo e anonimo, perfino su alcune cornici che ritraevano il ragazzo con una donna. “Quindi è lei” fece alzandosi e prendendo in mano la foto. Louis annuì semplicemente. “Sono sicuro che sia un’arpia” borbottò a quel punto. Il maggiore rise perché, bè non era poi così lontano dalla realtà. Eleanor era davvero senza cuore quando ci si metteva. Tutta presa dalla sua carriera e l’apparenza di donna vissuta. “Scommetto che neanche ti appaga a letto” Louis si strozzò con la sua saliva a quello, perché di certo non era una cosa di cui doveva rendere conto ad Harry. Notando il suo repentino cambiamento d’umore, il minore decise di premere ancora un po’ su quel tasto. “Sono sicuro che la notte con me ti sia piaciuta più di qualsiasi altra notte con lei”. Non dire che è vero, quello pareva essere l’unico pensiero coerente che Louis era in grado di formulare. Il fatto era che… Ricordava in modo fin troppo vivido le gambe di Harry stringersi intoro al suo bacino, la sua erezione sobbalzare ad ogni spinta e i suoi capelli madidi di sudore sparsi su tutto il cuscino. Con Eleanor era… Sesso. Arrivati ad un certo punto pareva quasi un dovere farlo, un po’ perché stavano insieme da tanto, un po’ perché arrivava quel momento della serata in cui non sapevano più che dirsi e semplicemente come automi si dirigevano in camera da letto. Con Harry questo non era mai successo. Non gli era mai capitato di rimanere senza cose da dire e nella maggior parte dei casi, doveva farsi violenza per non finire a letto con lui. Louis sapeva benissimo quanto scorretto fosse questo confronto ma non poté trattenersi dal farlo. Harry era una ventata d’aria fresca nella sua vita monotona. “Va’ a studiare per domani” lo cacciò a quel punto Louis. “Ma il professore” mormorò sempre con quel tono a metà tra il sensuale e l’ironico, con quel tono che Louis avrebbe voluto mordergli le labbra per come quella parola suonasse melodiosa; “Ha detto che domani spiega”. “Bè il professore ha cambiato idea. Domani ti interrogo. Va a ripetere gli ultimi due filosofi, tesoro” bisbigliò schioccandogli un bacio a stampo sulle labbra.
 
 
Louis lo interrogò, comunque. Ed Harry prese un altro otto, perché a quanto pare per il liscio era impossibile anche solo scendere sotto quel voto quando si trattava di lui. Harry stava diventando sempre più pressante. Louis non era sicuro del fatto che sarebbe riuscito a resistergli a lungo. Si presentava a casa sua con una scusa sempre diversa, con pizza, prosecco o semplicemente se stesso. Non facevano niente di che, naturalmente. Louis aveva una resistenza ancora abbastanza ferrea, grazie tante. Rimanevano sul divano di solito con una mano del maggiore incastrata tra i ricci di Harry, e parlavano, parlavano e parlavano. Il minore gli parlava di tutto. Della sua famiglia, dei suoi hobby, di Niall e dei suoi post-it. Gli aveva anche chiesto di essere più clemente con lui a scuola, non era mica colpa sua se aveva una memoria a dir poco vacillante. Quando Louis era abbastanza distratto, o semplicemente quando il peso dello sguardo di Harry si faceva così pesante da fargli dimenticare tutte le altre implicazioni possibili, il riccio riusciva sempre a rubargli un bacio. Il che era male, naturalmente. Louis stava sviluppando la temuta Sindrome della mamma chioccia. Voleva proteggere Harry da qualsiasi cosa potesse ferirlo, deluderlo o fargli male. Voleva tenerlo tra le braccia e raccontargli dei suoi anni all’ università, del suo patrigno. Ma più di tutto, voleva trovare la forza di dirgli che non amava Eleanor, che era quasi intrappolato e che moriva dalla voglia di essere salvato. Magari da lui.
 
 
Anche quella sera suonò il citofono. Louis nemmeno si sorprese, semplicemente sorrise e si diresse verso la porta. Quella strana relazione che si stava creando tra lui ed Harry era in grado di appagarlo in un modo a lui del tutto sconosciuto fino a quel momento. Era come se vivesse in apnea fino al momento in cui Harry bussava alla sua porta, e poi poteva tornare a respirare. Dio, era fottuto. Ed Harry era decisamente una spina nel fianco. A scuola si scambiavano solo degli sguardi di sfuggita, Louis era il professore lì. Ma la sera… era tutta un’altra storia. Quando Louis era… solo Louis e poteva concedersi di ammettere che il riccio gli piacesse. Quella sera, se lo ritrovò sulla porta con uno scatolone tra le mani. Louis incrociò le braccia al petto e posò la spalla contro lo stipite mentre lo guardava con entrambe le sopracciglia alzate. “Ehi” sussurrò Harry, la voce che proveniva ovattata dietro lo spesso strato di cartone; “Una mano?” domandò arrancando qualche passo dentro l’appartamento. Il liscio sbuffò e gli levò lo scatolone dalle mani. “Si può sapere che intenzioni hai oggi, Harold?” chiese posando a terra la scatola pesante. Harry chiuse la porta dietro di loro e gli rubò un bacio innocente sulle labbra. Louis, per tutta risposta, lo schiaffeggiò delicatamente. Era inutile negarlo. Ci stava prendendo gusto a fare quello prezioso, quello che si faceva desiderare. Soprattutto perché Harry non pareva demordere, anzi. Ad ogni rifiuto tornava alla carica più forte di prima. Questo era uno degli aspetti che l’insegnante preferiva. “Stavo pensando, Lou” mugugnò prendendo dal polso un elastico blu e cominciando a legare i suoi capelli in una coda arruffata. Louis ci mise una mano dentro perché . Gli ricordava un batuffolo d’ovatta. Harry lo scacciò, allora continuando il suo discorso; “Casa tua è così anonima. Riflette il professore scorbutico che c’è in te. Serve un tocco più… Giovanile”. E così dicendo si piegò ad aprire lo scatolone: era pieno di cianfrusaglie di ogni genere. Quadri, lampade, soprammobili, perfino una piccola pianta grassa. “Non mi pare che ti dispiacesse la prima volta che ci sei venuto” fece Louis circondandogli i fianchi e facendo collidere il proprio petto contro la schiena ampia e muscolosa di Harry; “Anzi, mi pareva proprio che ti piacesse. Soprattutto la camera da letto” aggiunse poi lasciandogli un bacio appiccicoso e umido sul collo. “Questo perché” mormorò il riccio in risposta, mentre si affrettava a mettere distanza tra i loro corpi, “Avevo bevuto e non ero esattamente interessato all’ arredamento”. Louis, che ormai aveva imparato a conoscerlo bene, sapeva che niente lo avrebbe distolto dall’ obiettivo che si era prefissato, nemmeno la promessa di una nottata focosa. E se per quella sera si era messo in testa che dovesse mettere a soqquadro la sua casa trasformandola in una specie di tana per adolescenti in preda alla crisi ormonale, chi era lui per impedirglielo? Eleanor gli aveva proposto mille volte di aggiungere quel quadro, quella lampada o comprare quella scrivania ma lui non gli aveva mai dato retta. “Quindi” cominciò Harry con le maniche di una camicia dalla fantasia improponibile arrotolate fino ai gomiti, “Cominciamo da questa?”. Estrasse una tendina le cui setole erano poste in scala cromatica fino a comporre l’arcobaleno. “Non ho intenzione di metterla da nessuna parte” disse Louis irremovibile. Perché, andiamo!, quella era fin troppo gay anche per uno come lui. “Ma secondo me in cucina ci sta da Dio” mormorò invece il riccio, sollevandosi su quelle gambe graciline e dirigendosi verso la stanza. “Harry no!” lo richiamò Louis rincorrendolo. La risata del riccio riempì l’appartamento. Era come se un’eco la riproducesse da punti diversi e quel suono così melodioso continuava nelle orecchie di Louis all’ infinito. Pensò che era quello essere innamorati. Era sentire quella risata roca, graffiata e cristallina e volerne di più. Vedere quegli occhi meravigliosi piegarsi fino ad incurvarsi e le fossette spuntare e volerne essere la causa. Ogni giorno, sempre. Si morse il labbro inferiore mentre arrestava la sua corsetta, in tempo per vedere Harry appendere la tenda sulla porta della cucina. “Che ne dici?” chiese allora con gli occhi luminosi, i ricci ribelli che già fuoriuscivano dalla sua coda. Mostrò il pollice rivolto verso il basso e fece una faccia schifata. “Perfetto, allora” proseguì Harry inarrestabile. Una forza della natura, una dannata spina nel fianco. Prese un orrendo svuota tasche a forma di noce di cocco e di diresse verso lo studio di Louis. “Credo che questo si sposi benissimo con l’ambiante” annunciò contento una volta che l’ebbe posato sulla scrivania. “Sì?” chiese Louis con l’ilarità dipinta nello sguardo e un’aria vagamente divertita; “Avevo pensato ad una di quelle statuette classiche”. Perché quello sarebbe stato più serio, più adulto, senza dubbio più adatto all’ ambiente. “Certo che ci avevi pensato. Sei un tale vecchio, Lou” sbuffò prendendo una guancia tra le dita e tirandolo lievemente. Si sporse poi per lasciargli un bacio dolce che il liscio fu ben lieto di accettare. Che razza di situazione! Louis davvero non riusciva a dirgli di no, tipo mai. Si era convinto che potessero frequentarsi al di fuori dell’ ambiente scolastico come amici ma loro si baciavano dannazione. Tipo sempre, ogni volta che ne avevano la possibilità. “Ed ora” fece Harry ritornando allo scatolone; “Il punto forte”. Si sciolse i capelli perché era una maledetta reginetta del dramma e lanciò l’elastico a Louis. Il maggiore alzò gli occhi al cielo e si mise l’elastico blu al polso. “Lou, ti presento Kona” disse sollevando dallo scatolo una, Gesù, una lampada a forma di danzatrice hawaiana. Aveva il busto abbronzato e, dai fianchi larghi, partivano i filamenti del gonnellino di paglia che nascondevano alla perfezione la lampadina e rendevano la luce soffusa. “Non esiste” disse categorico Louis; “Kona torna nello scatolone”. Harry mise un broncio con i fiocchi per poi sussurrare “Secondo me sta benissimo sul tavolino del salotto. Tu cosa ne pensi Kona?”. “Provami! Provami!” bisbigliò facendo la vocina piccola di una donna, mentre scuoteva la lampada facendo muovere la finta paglia del gonnellino. “Dio” bisbigliò Louis passandosi le dita sul ponte del naso. “Grazie Lou!” Harry chiaramente non sapeva leggere il linguaggio del corpo perché quello era sicuramente un no. Attaccò la lampada alla presa e l’accese. La luce delicata era quasi arancio e rendeva soffuso tutto ciò che c’era intorno. “Tadà!” fece Harry tutto inorgoglito con lo sguardo luminoso che metteva in secondo piano quella stupida lampada- Kona. Louis sorrise avvicinandoglisi. Gli circondò i fianchi e posò (lievemente a fatica) il mento sulla sua spalla, mentre osservavano entrambi quella danzatrice hawaiana dal sedere luminoso. Ogni singola volta che Harry era entrato in casa sua si era lasciato qualcosa dietro. A partire dal suo compito in classe, ancora appeso sul frigorifero, fino a… Ugh Kona. Harry non faceva che rinfrescare, far sbocciare e fiorire un ambiente altrimenti spento e scialbo. “Ragazzino impertinente che non sei altro” bisbigliò contro il collo del minore, mentre i suoi ricci gli solleticavano lo zigomo. Harry sorrise e si strinse di più tra le braccia del maggiore.
 
 
Eleanor era raggiante quella sera. Aveva ottenuto una promozione sul lavoro e aveva chiesto a Louis di festeggiare in un ristorantino chic in centro. Il liscio odiava quel posto. Era uno di quei locali frequentato da gente snob e con la puzza sotto il naso (gente come Eleanor), che ti squadravano dall’ alto in basso credendosi (per un motivo o per l’altro) superiori. Louis era stato costretto ad indossare un completo elegante e il colletto della camicia gli prudeva dove l’ultimo bottone strisciava contro il suo pomo d’Adamo. Per cena, c’era solo finger food e sushi. Niente in confronto all’ hamburger con patatine e ketchup che aveva mangiato con Harry la sera precedente. A proposito di Harry, Louis si stava impegnando parecchio per non far rotolare il suo nome fuori con nonchalance in qualche conversazione. Eleanor stava muovendo in modo suggestivo la mano smaltata e adornata di anelli, parlando di questo o quel servizio fotografico. Il liscio osservava truce il suo piatto e ogni tanto si ricordava di dare segni di vita annuendo. “A te come sta andando a scuola?” chiese la ragazza quando finì il suo sproloquio su tutti i vantaggi della sua nuova posizione lavorativa. “Uhm… Bene. I ragazzi paiono interessati e… Sì. Me la sto cavando” rispose continuando a fissare il suo piatto, sperando che quel carpaccio con pepe rosa gli dicesse come dovesse essere mangiato. Non voleva mica far sfigurare Eleanor, non sia mai. “I ragazzi sono tutti sciocchi a quell’ età” tagliò corto la ragazza, “Sarà semplice quindi”. Louis si ritrovò a inghiottire l’insulto, perché Dio. Stava per difendere Harry a spada tratta nonostante la situazione non riguardasse lui in particolare. Era andato, cotto, fregato. “Non è facile come credi” borbottò comunque. Eleanor parve riconoscere il suo malumore perché posò la mano sulla sua, sulla tovaglia elegante del tavolo e lo spronò a guardarla. “Certo che no” disse, ma sembrava tutt’altro che sincera. Louis le rispose con un sorriso di circostanza tornando a fissare il suo piatto e richiamando con la sua mente una vecchia puntata di Master Chef in cui qualcuno si destreggiava col finger food. “E questo?” chiese improvvisamente Eleanor, pizzicando e tirando l’elastico blu che riposava al polso di Louis da diversi giorni ormai. “È un elastico” rispose semplicemente scrollando le spalle. Dovette farsi violenza per evitare di sorridere. Era l’elastico di Harry, profumava del suo balsamo e lui l’aveva tenuto a sua insaputa. “Non ricordo di averne lasciato uno a casa tua” disse la ragazza sospettosa. “Non è tuo, infatti. L’ha perso una ragazza in classe e… L’ho preso per ridarglielo. Tutto qui” mentì spudoratamente e non se ne pentì nemmeno per un attimo. Non esitò nemmeno un istante, se quello significava proteggere lui ed Harry. Eleanor lo guardò con un sopracciglio sollevato ed un’aria sospettosa. Stava per dire qualcosa, ma fortunatamente lo squillare del telefonino di Louis le impedì di parlare. “Ti avevo detto di spegnerlo” sbuffò ritirando la mano da quella del fidanzato e incrociando le braccia sul petto. “È mia madre. Potrebbe essere un’emergenza, scusami” disse alzandosi e dirigendosi verso la porta perché di certo non voleva che quegli pseudo-vip potessero ascoltare la sua conversazione. Tanto più che al telefono non era affatto sua madre. La scritta Ragazzino infatti, lampeggiava sul display. “Harry, cosa c’è?” chiese rispondendo al telefono. “Lou!” lo richiamò il giovane dall’altro capo. La voce pareva quasi un sussurro, il liscio poteva scommettere che Harry si stesse mordendo il labbro inferiore. “Non mi hai più risposto ai messaggi” si giustificò con fare insicuro. Louis si passò la mano sul ponte del naso “Sono al ristorante, Haz” biascicò slacciandosi l’ultimo bottone della camicia. Un senso di ribellione lo pervase solo a causa di quel misero gesto. “Sei con lei?” la voce poco più di un bisbiglio, sapeva che non avrebbe dovuto chiederlo, che era ovvio che Louis stesse con lei. Era la sua fidanzata dopotutto. “Sì” rispose semplicemente il maggiore. Non aveva senso indorare la pillola, Harry sapeva benissimo che Louis non era suo. “Uhm” lo sentì borbottare il liscio. Sorrise, perché adorava quella gelosia incondizionata come adorava tutto il resto di lui. “P-puoi promettermi una cosa?” domandò a quel punto. Louis sorrise; “Tutto ciò che vuoi” lo rassicurò. “Non fare l’amore con lei?” sembrava una domanda più che una richiesta, ma forse era solo a causa del fatto che Harry non si sentisse nella posizione esatta per avere delle pretese. “Non prima che… Sì insomma, non prima che tu l’abbia fatto con me” disse ancora. Ed era ovvio che non avesse smesso di sperarci. Come poteva se anche Louis alimentava le sue fantasie con baci e carezze, vedendosi tutte le sere e coccolandosi sul divano? Nel profondo, anche il maggiore continuava a contemplare quell’ idea come qualcosa di proibito ma che, in quanto tale, continuava ad avere un certo fascino. “Te lo prometto” disse allora, prima che il suo cervello potesse pensare a tutti i sottintesi di quelle tre semplici parole. Riagganciò e ritornò dalla sua fidanzata.
 
 
Il cipiglio arrabbiato tra le sopracciglia di Eleanor non era scomparso nemmeno per un attimo da quando era tornato al tavolo. Non si era neanche lievemente attenuato. Anche in quel momento, mentre Louis guidava verso il suo appartamento, la ragazza teneva le braccia incrociare e fissava la strada che si muoveva sinuosa fuori dal finestrino. “Mi hai fatto fare una figuraccia” disse una volta parcheggiata la macchina di fronte casa del liscio; “Nel mio ristorante preferito per giunta”. Louis alzò gli occhi al cielo frugando nelle tasche dei suoi pantaloni alla ricerca delle chiavi. “Cosa voleva di poi così importante tua madre? Dico io” continuò a ruota libera entrando nell’ appartamento e accendendo la luce; “Che educazione è? Lasciare una ragazza da sola al tavolo mentre-” si bloccò improvvisamente, immobile dopo appena due passi nel salotto. “Cosa è successo qui?” chiese stranita. “Ho… Rimodernato un po’?” propose Louis perché per qualche strana ragione il ragazzo per cui ho una cotta, che tra l’altro è un mio studente, mi ha stravolto casa non sembrava un’ipotesi contemplata. Eleanor scoppiò a ridere a quel punto, smuovendo un paio di oggetti per poi toccare con le sue dita dalla manicure ben curata la gonnellina di paglia di Kona. “Sei tornato adolescente per caso?” chiese con lo sguardo a metà tra il divertito e il disgustato. “Mi piaceva” Louis si limitò a scrollare le spalle perché tutto sembrava così sbagliato in quel momento. Eleanor nell’appartamento in cui passava ore ed ore con Harry, Eleanor che toccava e giudicava tutto ciò che Louis e Harry avevano costruito insieme. Eleanor. “È una delle cose più kitsch che io abbia mai visto” aggiunse con quel suo tono civettuolo e cattivo. “Non mi importa” rispose allora Louis stringendo i pugni contro le cosce; “Non mi importa se non ti piace e se fa a cazzotti con il colore della carta da parati. Non mi importa se Armani ha detto che le ballerine hawaiane sono fuori moda. Non mi importa”. Il suo sfogò stranì Eleanor che lo guardò sorpresa. “Stavo solo uhm…” criticando avrebbe voluto concludere Louis, ma si morse la lingua. “Non fa niente. Possiamo festeggiare la mia promozione?” propose poi con fare ammiccante. Si avvicinò a Louis e posò le mani sui suoi pettorali. Le dita si mossero rapide fino a sfiorare i bottoni per tirarli fuori dalle asole. Il liscio la bloccò dai polsi. “Non mi va adesso” si giustificò semplicemente, ritirandosi nella sua camera da letto per spogliarsi dagli abiti scomodi. Eleanor rimase ancor più stranita dall’intera serata. Qualcosa non andava e lei avrebbe capito cosa. Louis intanto si gettò sul letto, stanco come dopo aver affrontato una delle fatiche di Ercole. “Ho mantenuto la promessa x” digitò e lo inviò ad Harry.
 
 
“Quindi questo Zayn studia in Spagna?” domandò come conferma Louis tentando di manovrare le bacchette cinesi che Harry gli aveva messo tra le mani. Avevano ordinato del cibo cinese d’asporto perché a detta del riccio “Non puoi dire di aver mangiato il pollo finché non lo assaggi con le mandorle”. E chi era Louis per dirgli di no? (Oltre che il suo professore, ugh). Il risultato era una cena semi-disastrosa in cui Harry aveva già spazzolato tutto il pollo e gli involtini primavera mentre Louis mostrava notevoli difficoltà nel maneggiare le bacchette e quindi recuperare i suoi spaghetti di soia. “Mhmh” confermò il minore con la bocca piena. “Lo tradisce” asserì Louis convinto. Aveva optato per una tecnica nuova, tentava di arrotolare gli spaghetti intorno alla sottile striscia di legno, ma quelli puntualmente sgusciavano via. “Cosa? No!” ribatté Harry prontamente; “Liam è convinto che sentendosi il più possibile lui non abbia il tempo di pensare a qualcun altro” spiegò brevemente tornando a concentrare la sua attenzione sul suo piatto. Louis sbuffò all’ennesimo tentativo fallito e sbatté il suo contenitore di cartone sottile sul tavolino. Harry rise con le gambe incrociate all’ indiana sul tappeto. Il liscio gli fece il dito medio perché era chiaramente lui l’adolescente tra i due, grazie tante. Si sollevò e fece per dirigersi verso la cucina ma il minore lo bloccò dal polso. “Dove vai?” domandò con sguardo crucciato; “Ad ordinare una pizza, Harry. Dove se no?” rispose acido ma con un sorriso mite dipinto sul volto. Il riccio rise ancora di più allora. Lo fece risedere sul tappeto e si sollevò dal suo posto. Si accomodò al centro esatto delle gambe di Louis, mentre il respiro del liscio accarezzava il suo collo in modo delicato. Louis gli circondò i fianchi con entrambe le braccia. Harry si protese a recuperare gli spaghetti di soia e con un gioco sapiente delle dita, afferrò i bastoncini e li immerse nel nido di spaghetti. Ne recuperò un mucchio e lo portò alle labbra di Louis con uno sguardo vittorioso dipinto sul volto. “Ecco. Vecchio musone che non sei altro” disse recuperandone ancora. Louis, con la bocca piena, si limitò a far scontrare delicatamente le loro teste in segno di diniego. “Pensi… Che lo tradisca davvero?” chiese quando gli spaghetti furono tutti divorati dal maggiore; “Università, sangria e sesso. Un mix letale” mugugnò contro il suo collo. “Stai riducendo la Spagna a della sangria?” chiese Harry girandosi e trovandosi faccia a faccia con il suo professore. Louis gli mordicchiò in naso e il minore emise un suono simile ad un miagolio. “No. Ho detto anche sesso, stupido” aggiunse spingendolo sul tappeto e cominciando a fargli il solletico. Nessuno dei due avrebbe saputo dire bene come, ma tra una risata e l’altra (dovuta alle dita invadenti di Louis), tra un bacio ed un altro, si ritrovarono uno sull’altro sdraiati sul tappeto. Il liscio sovrastava la figura di Harry reggendosi sulle braccia per non pesargli addosso. Non appena si rese conto della posizione, il più piccolo ebbe un sussulto. Louis, notandolo, gli accarezzò dolcemente lo zigomo, scendendo fino alla guancia e abbassandosi poi per posargli un bacio dolce sulle labbra. “Vuol dire che possiamo?” chiese Harry speranzoso, mordendosi il labbro inferiore. “Non dovremmo” gli ricordò Louis. “Non è la risposta alla mia domanda, Tomlinson. Sta per prendere un due” cantilenò muovendo le mani sulla t-shirt di Louis, fino a tastare i pettorali. Gli pizzicò un capezzolo per ripicca e godette del sibilo contrariato che ne derivò. “Posso giustificarmi, professor Styles?” lo imitò allora Louis piegandosi a lambire il collo con la lingua. La nuca di Harry si incurvò, manco fosse un riflesso involontario, e i suoi capelli ricci si sparpagliarono sul tappeto ed in parte direttamente sul parquet. “Sarà il nostro segreto. Te lo giuro” mugugnò sotto di lui, mentre Louis passava a toccare la patta dei suoi pantaloni. “Farà bene ad esserlo” mormorò con fare seducente mentre stringeva nel palmo della mano l’erezione quasi totalmente formata attraverso il denim dei jeans. Harry gemette piano e spinse il bacino verso l’alto alla ricerca di più attrito, di più sollievo. “Ti prego, Lou” e questa volta Louis era davvero intenzionato ad accontentarlo, a prenderlo lì direttamente su quel tappeto, ma. Ma a quanto pare qualcuno doveva odiarlo. Qualcuno di potente perché il telefono di Harry cominciò a squillare. Il riccio gemette contrariato mentre alla cieca allungava la mano per cercare il cellulare sul tavolino. Si trascinò dietro delle scatole vuote del ristorante cinese e Louis gli morse la clavicola in risposta. Fu soddisfatto di vedere l’impronta dei suoi denti sul corpo di Harry, così ci soffiò sopra. “È Niall” biascicò il giovane accettando la chiamata. Louis era intenzionato a dedicargli comunque le sue attenzioni, infatti aveva cominciato a portarsi l’indice lungo del minore alla bocca ma qualcosa lo fece desistere. Harry ascoltò per un breve istante, infatti, e poi disse “Arrivo subito”. Si sollevò quasi di scatto rifilando una gomitata a Louis. “Devo andare. Niall, lui-” “Vai” lo interruppe il maggiore. Perché lui era l’adulto della situazione e se Harry stava andando via con un’erezione tra le gambe, doveva essere davvero qualcosa di serio. “Grazie per aver capito, Lou” sussurrò piegandosi a lasciargli un bacio frettoloso sulle labbra screpolate. Quando passò davanti allo specchio, Harry dovette riconoscere di non essere un bello spettacolo. I suoi jeans erano stretti in un punto, i boxer bagnati. Un bottone della sua camicia era saltato e la sua clavicola era arrossata. Capelli sparati in tutte le direzioni completavano il quadro da perfetto ragazzo scopato. Chiuse gli occhi cercando di ignorare quell’ immagine, cercando di ignorare che la possibilità di avere Louis dentro di sé era appena sfumata e si diresse verso la porta.
 
 
Niall stava singhiozzando al telefono. Harry aveva solo recepito questo dato fondamentale e aveva cominciato a correre verso casa sua. Non aveva la minima idea di cosa fosse successo, sperava solo che non avesse dimenticato suo nipote di nuovo. Diventava sempre sensibile quando si trattava dei membri della sua famiglia. Eppure aveva un albero genealogico appeso difronte alla sua scrivania, bastava dargli un’occhiata. Harry tentò di reprimere nella parte minore del suo cervello in fatto che in quel momento potesse essere a letto con Louis, sudato, accaldato e ansante. Cercò di non pensarci, altrimenti si sarebbe ritrovato con un problema ancor più evidente nella zona inguine. Bussò forte una volta arrivato a casa del biondo. Niall gli aprì la porta con gli occhi lucidi utilizzando un post-it come fazzoletto di carta. “Cos’ è successo?” chiese subito Harry entrando. Si passò una mano nei capelli per attenuare la sua aria stravolta, per quanto possibile. Niall si sedette ad un capo del tavolo facendogli un cenno con la testa per farlo accomodare dall’altro. “E-ero uscito con Amy” cominciò a raccontare con voce tremula. Amy. Aveva una cotta immemore per quella ragazza. Harry lo sapeva perché con grande probabilità lei era l’unica cosa di cui Niall si ricordava costantemente (per la gioia del riccio, che non ne poteva più di sentire quanto belli fossero i suoi capelli corvini). Finalmente quel giorno l’irlandese si era fatto coraggio e le aveva chiesto di uscire, ma a quanto pare qualcosa era andato storto. “L’ ho chiamata May. Ti rendi conto?” disse Niall con gli occhi sgranati e lo sguardo incredulo. “May! E lei ha detto che mi son sbagliato con una delle troiette che mi porto a letto” il ragazzo tirò su col naso. Harry si passò una mano sul volto. Voleva che Louis fosse li, di sicuro avrebbe saputo cosa fare. Era lui l’adulto infondo. Era lui che risolveva i casini nella coppia, Harry si limitava a crearli. Coppia. Il riccio rimase folgorato dalla rivelazione. Aveva cominciato a pensare a lui e Louis come una coppia. Certo una coppia anomala, in cui uno dei due partner non fa che resistere alle avances dell’ altro, ma pur sempre una coppia. Scosse la testa e si concentrò sul punto. Louis non era lì e doveva aiutare il suo migliore amico. “Avrai un’altra possibilità con lei, non devi abbatterti. Gliela chiederò io stesso se necessario” propose. Mh. Colpo fiacco. Il morale del biondo rimase a terra. Sbuffò e si sporse sul tavolo per recuperare un paio di post-it ed una penna. “Ti voglio bene” scribacchiò sopra con una calligrafia elegante. Prese il post-it e glielo appiccicò sulla fronte. “Questa è l’unica cosa che hai bisogno di non dimenticare mai, intesi?” propose con un sorriso tutto fossette. Niall staccò il post-it e lo attaccò vicino all’albero genealogico della famiglia, così che potesse vederlo tutti i giorni e non dimenticarlo mai. Si accovacciò tra le sue braccia poi, e sospirò. “La mia Fatina Smemorina” lo prese in giro Harry pizzicandogli il naso. Niall rise e il riccio decise che poteva essere un buon inizio.
 
 
Quando successe Louis non poté proprio evitarlo. Davvero. Non ci aveva nemmeno provato perché, ugh. Il campanello non faceva che suonare e suonare mentre lui era sotto la doccia. “Un attimo” aveva urlato, ma quello non la smetteva di trillare. Insomma. Non poteva mica uscire ed aprire la porta nudo e bagnato. No, quello sarebbe stato senza dubbio sconveniente. All’ennesimo suono decise di uscire dalla doccia e urlare contro chiunque ci fosse dall’altro lato della porta. Non aveva preso un accappatoio perché era nel decalogo del ragazzo che vive da solo uscire dalla doccia nudo e lasciare le impronte sul pavimento, grazie tante. Indossò la t-shirt bianca che aveva prima che decidesse di farsi la doccia e un paio di boxer che prese alla rifusa dal cassetto. In meno di un secondo la magli si appiccicò al suo corpo bagnato diventando aderente e trasparente. Louis improvvisò una corsetta mentre raggiungeva il salotto e, dopo aver abbassato la maniglia, tirò all’ indietro i suoi capelli fradici. Harry aveva la bocca spalancata. Tutto si aspettava, ma non un Louis bagnato, con la maglietta attaccata al suo torso manco fosse una seconda pelle e dei boxer striminziti ad aprirgli la porta. Si leccò il labbro superiore mentre faceva scorrere ininterrottamente lo sguardo tra i pettorali del maggiore, poi giù fino all’ombelico e più giù fino al sottile strato di pelle lasciato scoperto dall’ intimo. Si osservarono per un attimo in silenzio poi, nemmeno ci fosse un tacito accordo tra loro, Louis lo tirò dentro l’appartamento per il polso e chiuse la porta sbattendoci Harry contro. “È questo il tuo piano per evitare di andare a letto insieme, mh?” chiese il minore, piacevolmente schiacciato tra il legno duro della porta e il petto ansante e umido di Louis. “Forse sto solo testando il tuo autocontrollo” soffiò direttamente sulle sue labbra il maggiore, intrufolando una mano sotto la t-shirt verde militare di Harry. Percorse il suo intero petto con il palmo della mano aperto e pizzicò uno dei capezzoli passando. Poi scese con la mano fino a tastare l’orlo dei jeans stretti. Mise la mano nei pantaloni e con il solo indice passo e ripassò la mezza erezione di Harry, mentre il liscio mugugnava contro il suo collo. Louis rise di fronte a quelle reazioni. Harry era un piccolo fiore sbocciato e lui era pronto a coglierlo per tenerlo con sé. Baciò le labbra carnose e morbide del minore e si impossessò della sua lingua, facendola danzare con la sua. Il sapore di Harry era così famigliare ormai, che avrebbe potuto riconoscerlo tra mille. Quando si allontanò, il minore si protese con la testa come nel tentativo di prolungare il contatto tra le loro labbra. Louis rise, allora. Estrasse la mano dai suoi pantaloni e corse verso il bagno spogliandosi degli abiti bagnati. Il minore sbuffò. Il suo professore, il suo amante, il ragazzo di cui era innamorato era un tale ragazzino. Buffo che a pensarlo fosse proprio lui. Si tolse gli stivaletti e i calzini lasciandoli davanti alla porta e corse anche lui verso il bagno. Sentì Louis canticchiare sotto la doccia e dal vetro smerigliato riusciva ad intravedere il muoversi sinuoso delle sue braccia sul suo corpo mentre si insaponava. Si tolse la maglietta e a fatica, saltellando su un piede solo si tolse i jeans. Contò fino a tre prima di abbassare anche i boxer e aprire il vetro della doccia. Non appena mise un piede nell’ abitacolo stretto, il vapore gli afflosciò i ricci, prima che il getto d’acqua lo colpisse arrossandogli il petto. Strinse le mani contro i fianchi di Louis e si morse il labbro per trattenere un sorriso trovandoli scivolosi a causa del bagno schiuma. “Ho un pessimo autocontrollo” sussurrò nel suo orecchio. Il maggiore si rigirò in quello strano abbraccio e si mise in punta di piedi per baciarlo. “Ci speravo” sussurrò. Prese poi del sapone tra le mani e cominciò a passarlo lungo tutto il corpo del riccio, facendo attenzione e sfregando con più forza in punti particolari, quali l’interno coscia, i glutei e il basso ventre. Harry ridacchiò quando Louis passò, con fare da mamma chioccia, le mani sotto le sue ascelle facendogli il solletico. La risata gli si spense in gola quando Louis impugnò la sua erezione. Mosse il polso velocemente, l’attrito completamente annullato a causa del sapone. Harry arrancò fino a fermarsi con la schiena contro le piastrelle fredde del muro. Inarcò la schiena gemendo, mentre Louis inseriva un dito per prepararlo. Lo mosse in avanti ed indietro, premendo direttamente sulla prostata di Harry per dargli piacere. I ricci completamente fradici si erano appiccicati al suo collo, fino ad incollarsi alle sue spalle, quasi completamente allisciati. “Ti prego” mugugnò il minore, con le mani che cercavano un appiglio che non c’era sulla parete. Louis non perse tempo allora. Aveva aspettato fin troppo che quel corpo meraviglioso, giovane e ancora acerbo tornasse ad essere suo. Era ancora meglio stavolta. Ora che si conoscevano, ora che si amavano. Fece voltare Harry, finché non lo trovò nella posizione che preferiva: le mani contro la parete, il busto piegato e il sedere esposto. Si piegò per mordere una natica bianca e perlacea e tutto ciò che ottenne fu un gemito e il sedere di Harry che si sporgeva ancora di più. Lubrificò la sua erezione con dell’altro bagno schiuma ed entrò dentro il riccio, piano, adagio. Portò le dita di una mano nella bocca di Harry, così che il riccio potesse mugugnarci attorno, mentre con l’altra mano si mantenne contro la parete. Spinse più forte quando sentì le mani del riccio cedere. Lo mantenne con il suo braccio, lasciando la sua bocca libera di emettere gemiti che parevano suoni prodotti direttamente dagli angeli del paradiso. “Sono così pieno di te” riuscì a gemere Harry prima di venire sporcando la parete. Louis non aspettava altro che un piccolo input. Con un’ ultima, fatale, spinta si liberò nel corpo di Harry mordendogli la spalla. Così, il minore l’aveva avuta vinta anche su quello. Harry sorrise spingendolo sotto il getto d’acqua e baciandolo. Sorrise sulle sue labbra quando Louis gli strizzò le natiche. “Non è romantico? Un bacio sotto la pioggia” bisbigliò tornando a baciarlo di nuovo. Dannata spina nel fianco.
 
 
Una volta eliminata la resistenza iniziale, per Harry fu sempre più facile ottenere ciò che voleva. Come sempre si ritrovava a casa di Louis ogni sera. Era più o meno una tappa obbligata. Era lì, sera dopo sera, che era nato il loro amore e Harry era affezionato a quelle quattro pareti non più spoglie e a Kona che ondeggiava il suo gonnellino rischiarando l’atmosfera. Mancava poco più di un mese alla fine della scuola e della supplenza di Louis e il riccio ne era così felice! Il maggiore era sempre sotto pressione per il fatto che lui fosse un suo studente, per il fatto che una sbandata del genere poteva costargli la carriera. Ovviamente quello non era il solo ostacolo. Ce n’era un altro con i setosi capelli castani e la vita sottile. Eleanor. Louis non l’aveva ancora lasciata. Erano, però, diventati davvero poco cauti. In previsione dell’ esame finale, Harry passava tutte le sere a casa del suo insegnante. Ripassava tutte le discipline e quando dava una risposta corretta, Louis lo premiava in modi diversi: con un bacio, un pompino o una spinta più forte. Il liscio era talmente coinvolto da Harry, talmente appagato da tutto ciò che erano diventati quasi da dimenticare che fossero a tutti gli effetti amanti. Aveva trascurato davvero troppo la sua ragazza. Rifiutava inviti uno dietro l’altro e anche quando si vedevano il loro contatto più intimo era un bacio a fior di labbra (per il quale, tra l’altro, Louis non poteva evitare di sentirsi in colpa nei confronti di Harry). Era ovvio che la ragazza avesse cominciato a sospettare qualcosa. Gli scriveva di continuo, una volta si era anche presentata a casa sua senza preavviso e, come nei peggiori cliché, Louis aveva fatto nascondere Harry nell’ armadio. “Basta studiare per oggi” mugugnò il riccio chiudendo il libro di matematica. Il professore gli pizzicò adorabilmente il fianco; “Di questo passo ti servirà un anno intero per prepararti all’esame”. Harry riemerse dalle scartoffie e gli integrali in cui era immerso per dire: “Non è colpa mia se sei un fattore di distrazione”. Louis rise premendogli un bacio dolce contro le labbra. “Certo. Il mio ragazzo è un tale ragazzino impertinente” mormorò con aria melodrammatica. Harry lo fissò con la bocca spalancata. Il mio ragazzo. Louis come al solito non parve dare peso alle parole perché cominciò a raccattare i libri del riccio e gli chiese cosa volesse per cena. Tipico. Harry l’aveva capito ormai. Louis parlava, diceva una frase che cambiava tutto e poi si comportava come se niente fosse successo. Come se non fosse una gran cosa. Ma era una gran cosa. Era una cosa gigantesca. Il riccio si mise l’anima in pace, sbuffò e lo raggiunse in cucina.
 
 
“Ho visto un ragazzo uscire da qui”. Così esordì Eleanor, entrando come un tornado nell’appartamento di Louis. Il professore la accolse con un asciugamano in testa e i capelli completamente fradici. Era quasi sera ed effettivamente un ragazzo c’era stato. Harry. Che era anche il motivo per cui aveva fatto una doccia. Troppo sudato dopo il… Movimento. “Lo so” disse scrollando le spalle; “Gli ho dato ripetizioni di storia. Che fai mi controlli ora?”. Era così difficile fare quello indignato quando era completamente dalla parte del torto. Ma doveva proteggere Harry. Se stesso, ed Harry. “C’è qualcosa che non va?” chiese a quel punto la ragazza. Sembrava quasi dolce, il che era assolutamente inedito. Lei non era dolce, nemmeno lontanamente. Posò la sua mano femminile e affusolata sul suo braccio e lo guardò con occhi supplichevoli. Louis si sentì improvvisamente in colpa. Per tutto quello che stava facendo alle sue spalle, ma davvero ormai non poteva più rinunciare ad Harry. Gli era entrato sotto pelle. Era come un formicolio costante, mai fastidioso però. Ti dava calore e ti faceva sentire leggero. E Louis aveva bisogno di tutto quello nella sua vita. Di Harry. Le prese la mano e si dipinse il sorriso più falso che poté sulle labbra. “Va tutto bene” disse sporgendosi a baciarla, immaginando però le labbra di qualcun altro.
 
 
“Quindi Niall mi aveva già detto che si sarebbe giustificato in filosofia ma se ne era dimenticato” stava raccontando Louis ad un Harry alle prese con i fornelli. Il grembiule striminzito del liscio a proteggerlo dagli schizzi di sugo. “Uhm, non è l’unico che si dimentica ciò che dice” mugugnò il riccio girando la pasta con un cucchiaio di legno che lui stesso aveva portato a casa di Louis. Come potesse cucinare senza rimaneva un mistero. “Che stai borbottando?” domandò a quel punto il professore, stringendo le braccia contro la vita del riccio e posando la testa mollemente tra le sue scapole. Harry sospirò. Era un tale caso perso. Lui non era riuscito a pensare niente di diverso da il mio ragazzo mentre Louis… Bè lui nemmeno se lo ricordava. “Niente” disse scrollandoselo di dosso; “La pasta è pronta”. Sì, ci era rimasto male. Era una rivelazione importante e voleva semplicemente che il maggiore gli desse lo stesso peso che gli stava attribuendo lui, tutto qui. Louis si sedette a tavola e aspettò come un bambino birichino che Harry gli mettesse la pasta asciutta nel piatto. Il riccio, dal canto suo, scosse la testa esasperato e si limitò a riempirgli il piatto. Si accomodò poi di fronte a lui e cominciò a mangiare in silenzio. Si stava comportando da ragazzino, lo sapeva benissimo, ma indovina? Lui era  un ragazzino quindi ne aveva tutto il diritto. Louis si portò la prima forchettata alle labbra e le sue papille gustative cominciarono a fare la ola. “Mmh! Io ti amo, Harry Styles” asserì convinto. Il minore strabuzzò gli occhi all’ inverosimile. La forchetta gli ricadde sul piatto con un rumore quasi assordante. Non dire niente. Non fare come al solito. Non dire niente. Lo pregò mentalmente. Louis lo fissò per un attimo poi aggiunse: “Insomma è o non è la migliore pasta asciutta del mondo?”. “Lo stai facendo di nuovo!” sbottò a quel punto Harry. Il maggiore lo guardò stranito ma quando si rese conto dell’agitazione che stava smuovendo il ragazzo gli prese la mano e intrecciò le dita con le sue, quasi per calmarlo. “Facendo cosa?” chiese con un fil di voce. Spaventato alla sola idea che quella potesse essere la loro prima litigata colossale. “Dici qualcosa e poi te la rimangi. Non dirla affatto allora!” fece Harry concitato, sottraendo la mano dalla presa del più grande. “Harold io-” “Hai detto che sono il tuo ragazzo. Hai detto di amarmi” lo interruppe bruscamente. Gli occhi gli si fecero improvvisamente umidi mentre il peso di quelle parole gli gravava sulle spalle come un macigno. La voglia di sapere se fossero vere o no, la paura di scoprire la verità. Quando vide gli occhi vacui di Louis, Harry si alzò dalla sedia e corse verso il salotto. Stava recuperando la sua giacca in fretta per andare via. Non voleva vedere quegli occhi vuoti. Quegli occhi sorpresi, come se gli avesse rivelato qualcosa di inaspettato. Prese il suo giubbino e si diresse verso la porta. Tirò su col naso solo una volta. Non appena posò la mano sulla maniglia “Le intendevo”. Sentì alle sue spalle. Si girò lentamente per osservare Louis. Aveva i pugni stretti intorno alle cosce e “Le intendevo sul serio quelle parole” ripeté. “È solo… Uhm. Autodifesa, immagino? Avevo paura che fosse troppo presto, che un impegno così grande potesse spaventarti vista la tua età” spiegò scrollando le spalle, un’aria desolata dipinta sul volto. “Le intendevi?” chiese il più piccolo azzardando un passo verso Louis. Il maggiore annuì e spalancò le braccia. Gli occhi più azzurri che mai ed un sorriso luminoso da fare invidia al mondo. Harry tirò su col naso e si gettò tra le braccia di Louis senza pensarci due volte. Posò la testa sulla sua spalla e si beò della sensazione delle braccia del maggiore serrate intorno al suo corpo. Voleva rimanere lì. Racchiuso in quelle braccia, sorretto e protetto. “Anche io” bisbigliò mentre Louis passava una mano tra i suoi ricci. Un miagolio gli sfuggì dalle labbra e sentì il petto di Louis sollevarsi per ridacchiare contro di lui. “Anche io ti amo” disse sollevando il volto e fissando Louis direttamente negli occhi. “Certo che lo fai. Sei il mio ragazzino impertinente, ricordi?” Harry ridacchiò mentre una lacrima sfuggiva al suo autocontrollo. Lo amava così tanto.
 
 
Dopo quella rivelazione, ad Harry parve di vivere in una favola. Restava a dormire da Louis e lo salutava la mattina per andare a scuola in due modi separati senza insospettire nessuno. Studiavano insieme, cenavano insieme e nella maggior parte dei casi facevano l’amore per poi addormentarsi abbracciati. Ma, si sa, la vita vera è tutt’altro che rose e fiori. Quella mattina avevano davvero fatto tardi. La sveglia non aveva suonato e quando Harry si era stiracchiato aveva notato che mancavano poco più di dieci minuti al suono della campanella. Aveva svegliato Louis in fretta e furia, niente in confronto ai baci o ai pompini del buongiorno a cui l’aveva abituato di solito. “Che diavolo..?” mormorò il liscio, la voce resa roca da tutto il sonno, la lingua ancora impastata. “È tardissimo, Lou” lo informò il riccio alzandosi dal letto e recuperando i suoi boxer abbandonati sul pavimento. “Ho la prima ora oggi?” chiese Louis sperando in una risposta negativa così da poter restare a dormire ancora un po’. “Sì! Vieni nella mia classe” rispose Harry scrollandolo. Prese la divisa scolastica che ormai lasciava sempre a casa del suo ragazzo e cominciò ad indossarla. “D’accordo, uhm. Ok” mugugnò il liscio stiracchiandosi sul letto. “Vado! Niall mi starà aspettando” disse Harry. La camicia della divisa mezza sbottonata, i pantaloni dalla patta ancora aperta e il cravattino completamente disperso. Si sporse per lasciare un bacio sulle labbra di Louis e non storse nemmeno il naso a causa dell’alito mattutino. Quella sì che era una prova d’amore! “Sbrigati Lou, sì?” chiese prendendo lo zaino. “Ci vediamo in classe” fece Louis in risposta, rigirandosi tra le lenzuola sfatte. Altri cinque minuti. Lui poteva decisamente permetterseli. Era il professore, come gli ricordava Harry ansimando ogni volta che facevano l’amore. Sorrise al solo pensiero. Quel ragazzino era, Dio, era tutto ciò che avrebbe mai potuto desiderare. Dolce, premuroso, adorabile e… distratto pensò mentre sentì il campanello suonare. Aveva di sicuro dimenticato qualcosa. Indossò la prima t-shirt slavata che trovò sul suo cammino (di Harry, si rese conto dopo aver notato quanto fosse larga) e andò verso la porta. “Cosa hai dimenticato?” chiese aprendola. “Il mio ragazzo” rispose stizzita Eleanor. Louis sussultò. Non si aspettava di vederla lì. In anni ed anni di relazione non era mai passata da lui di mattina e non restava nemmeno a dormire (poteva prendere i germi dell’ arredamento non coordinato in casa di Louis). Quindi quando se la ritrovò davanti, con sguardo furente e le mani contro i fianchi seppe di essere spacciato. “Dai lezioni anche di mattina presto adesso?” chiese spingendolo nell’ appartamento e chiudendosi la porta alle spalle. Louis non sapeva cosa dire. L’unico pensiero coerente che la sua mente era in grado di formulare era cazzo, cazzo, cazzo. “Mi stai tradendo non è vero?” chiese lei fredda. Glaciale come era sempre stata. Louis si incamminò nella stanza da letto per mettere distanza tra di loro, per schiarirsi le idee perché quella vicinanza e quelle domande serrate lo stavano davvero mettendo alle strette. Eleanor non mollò la presa, comunque. Lo seguì fino alla sua stanza e nonostante Louis le desse le spalle rincarò la dose: “Mi tradisci con un ragazzo? Hai una mente così fottutamente malata?!”. Stava sbraitando arrabbiata ma poi qualcosa richiamò la sua attenzione. Qualcosa posata contro la testiera del letto. Rabbrividì perché non era come si era immaginata, era peggio. Un cravattino era posato contro il ferro battuto. Sopra, in bella mostra, era stampato lo stemma della scuola superiore dove insegnava Louis. Lo guardò con gli occhi sgranati e la bocca spalancata in modo incredulo. “È un tuo studente”. Non era una domanda, non era nemmeno un’affermazione. Era una semplice costatazione. Louis l’aveva tradita con un ragazzo che tra l’altro era un suo alunno. Il maggiore decise di voltarsi in quel momento. Si passò una mano sul ponte del naso e carezzò le palpebre chiuse con le dita. Voleva dirle che le dispiaceva ma proprio non ci riusciva. Non gli dispiaceva tutto quello che stava vivendo con Harry. Affatto. “Lo sai che puoi perdere il tuo lavoro?” chiese ancora incredula. Louis annuì allora. Era la prima volta che accennava ad una risposta da quando tutto quell’interrogatorio era cominciato. “Lou…” bisbigliò affranta prendendogli la mano; “Non voglio metterti nei guai per una sbandata temporanea”. Sbandata temporanea è così che aveva definito il ragazzo che amava. “È per questo che ti offro il mio silenzio, e il mio perdono” disse prendendogli la mano. “Io ti amo e se… Se tu lo vuoi posso provare a perdonarti” Louis non voleva il suo perdono, Louis non voleva lei. Voleva Harry e la libertà di amarlo alla luce del sole. Ma voleva, necessitava, del suo silenzio. Per la sua carriera e per la tranquillità di Harry. “Sì” bisbigliò stringendole la mano. “Sì non è così?” chiese El con voce dolce e melodiosa. Si spinse la testa di Louis contro il petto e lo accarezzò. “Chissà che momenti orribili hai dovuto passare” disse mentre lo accarezzava. Il liscio voleva urlare. Erano stati i momenti più belli della sua vita, perché nessuno riusciva ad accettarlo? Si limitò a restare in silenzio, a prendere quelle carezze che lo facevano sentire colpevole. “Non lo dirò a nessuno. Ma devi smettere di vederlo. Passerò a prenderti da scuola e andremo a pranzo fuori. Che ne dici?” propose e sembrava quasi serena. Come se stesse facendo una buona azione. Harry gli aveva dato la libertà che Louis non era mai riuscito a guadagnarsi davvero. Ed ora eccolo lì: di nuovo in gabbia, in balia delle decisioni di qualcun altro. “Abbiamo bisogno di ritrovarci. Verrò a stare un po’ da te, mh?” continuò imperterrita. “Magari gettiamo via quella lampada orrenda però” ridacchiò come se fosse una battuta, come se facesse ridere. A Louis non veniva da ridere nemmeno un po’. “Va bene?” si costrinse ad annuire e a ricambiare il bacio che gli posò sulle labbra. “Ugh. Alito mattutino Louis, davvero? Avresti potuto avvertirmi” mormorò schifata allontanandosi. Harry gli mancava già. “Andiamo ti accompagno a scuola” lo spronò. Aveva appena fatto cosa? Accettato un patto? Ceduto ad un ricatto? Doveva lasciare Harry e restare con lei per evitare che i suoi sforzi fossero vani, che i progressi scolastici del riccio non crollassero a causa di questo orribile scoop. Non doveva più vederlo. E non importava quanto facesse male. Lo stava facendo per loro. Sospirò, sperando che Harry avrebbe capito e che magari un giorno l’avrebbe perdonato. “Ti amo” mormorò a fior di labbra, manco fosse una preghiera, sperando comunque che giungesse al destinatario.
 
 
Louis non rispondeva. Era la decima chiamata che gli faceva eppure non rispondeva. Quel giorno in classe era stato parecchio strano. Sfuggevole quasi. Evitava accuratamente il contatto visivo e nonostante avesse fatto una domanda di verifica a quasi tutta la classe il suo nome non era mai saltato fuori. All’ inizio Harry aveva pensato che fosse semplicemente stanco, avevano dormito davvero poco in effetti. Ma quando arrivò a casa di Louis per pranzo e la trovò vuota cominciò davvero a preoccuparsi e a tormentarsi. Andava tutto bene quella mattina perché diavolo si stava comportando così adesso? Fece partire l’ennesima chiamata ma ancora una volta l’unica risposta fu quella della segreteria telefonica. Attese fino a sera, nella speranza di poter dormire da lui, ma riconobbe la macchina di Eleanor nel vialetto quindi decise di girare i tacchi e tornare a casa. Il giorno successivo fu anche peggio. Louis lo evitava manco avesse la peste. Era il primo dei professori a lasciare l’edificio scolastico, così che Harry non avrebbe potuto seguirlo nel parcheggio. L’automobile di Eleanor era sempre nel vialetto e il cellulare era costantemente staccato. Che Louis avesse fatto una scelta di cui non lo aveva nemmeno reso partecipe? Non poteva rispondergli perché Eleanor era con lui o semplicemente non voleva più sentirlo? Quel limbo, quelle domande senza risposta non facevano che tormentarlo. Si era già mangiucchiato le pellicine delle mani e i suoi denti avevano creato solchi nel labbro inferiore a forza di morderlo. “Andiamo! Rispondi!” sussurrò in direzione del telefono. Quando sentì la telefonata aprirsi sospirò di sollievo. “Lou!” lo chiamò non appena percepì dei rumori dall’ altro capo. “Non sono Louis” rispose una voce femminile. Harry non la conosceva ma non poteva che essere Eleanor. L’algida signora delle nevi. “Farai bene a non chiamarlo più, ragazzino” quell’appellativo suonava così spregevole e meschino pronunciato da quelle sue labbra. “Se non l’avessi notato, Louis ha fatto la sua scelta. E non sei tu” disse fredda, gelida, per poi riagganciare. Harry rimase a fissare lo schermo per un tempo che parve infinito. Non sapeva nemmeno che Louis fosse in procinto di scegliere. Non sapeva nulla. Perché non gliene aveva parlato? Louis era l’adulto, dannazione! Era lui quello maturo tra i due. Quello che avrebbe dovuto prendere in mano la situazione ed esporla. Invece si era nascosto. Aveva scelto una vita monotona ed infelice piuttosto che quella piena ma rischiosa da vivere insieme a lui. Non poteva biasimarlo, certo. Ma mancava così poco. Meno di un mese e avrebbero potuto essere liberi. Louis gli aveva parlato continuamente di tutti i posti in cui avrebbe voluto portarlo, le passeggiate mano nella mano, finalmente alla luce del sole. Era tutto una bugia. Un tremolio improvviso s’impossessò del corpo di Harry. Il cellulare gli cadde ma non gli diede peso. Si portò una mano a scostare i capelli ricci dal volto e respirò in affanno. Louis gli aveva mentito. Era un codardo, un farabutto. E nonostante ciò, lui lo amava.
 
 
Inconsapevolmente, i giorni successivi furono i più difficili della vita di entrambi. Louis era circondato, annientato dalla presenza ingombrante di Eleanor. Ad Harry, invece, toccava il compito di vivere senza conoscere la verità. Con l’idea d’esser stato un semplice capriccio temporaneo, un passatempo per Louis. L’aveva illuso, si era illuso, si era innamorato e adesso soffriva. In classe era addirittura difficile guardare il professore in faccia, figuriamoci seguire la spiegazione. Non era abituato a stare attento in classe, comunque. Lui aveva una lunga lezione privata, poi. Louis dal canto suo, pareva altrettanto afflitto. Non guardava Harry, non menzionava Harry, tentava perfino di non far cadere l’occhio sul suo nome in registro. Poi, pian piano, com’è ovvio che sia ci si abitua. Il riccio si era abituato a vedere Louis solo nell’edificio scolastico da ormai un paio di settimane, si era abituato a sentire la sua voce parlare solo di noiose nozioni filosofiche, si era abituato a dormire da solo. Louis non avrebbe mai potuto abituarsi all’ingombrante presenza di Eleanor nella sua vita e nel suo appartamento, invece. Il ripiano sul lavandino era stracolmo di smalti, trovava capelli in giro per casa e il rumore delle sue scarpe col tacco era a dir poco assordante. Rivoleva Harry indietro ogni giorno più ardentemente, ma non poteva. Doveva essere quello forte dei due, quello che si caricava il peso di tutto sulle spalle e lo portava in silenzio. Col rischio di essere considerato uno stronzo.
 
 
Che quella mattinata fosse diversa, si percepiva a pelle. Niall non si fece trovare fuori dalla porta ad aspettarlo per esempio. Non sarebbe andato a scuola quel giorno. Quando arrivò da Liam, il ragazzo uscì senza il telefono ed un espressione che ad Harry sembrava fottutamente familiare. Era l’espressione che lui stesso aveva dipinta sul volto continuamente da un paio di settimane. Da quando Louis non ne aveva voluto sapere più nulla di lui. “Va tutto bene?” chiese esitante quando il ragazzo lo affiancò. Camminarono in silenzio per una lunga tratta passandosi un sassolino, almeno finché Harry non lo calciò troppo lontano. C’era qualcosa che non andava. Lo si sentiva nell’aria. “E a te?” chiese Liam invece. Il riccio sorrise amaro e “No” articolò a fatica. Una sensazione fin troppo conosciuta lo prese. Nodo alla gola, occhi lucidi e senso di soffocamento. Non lo avrebbe mai superato. Non sarebbe mai riuscito ad andare oltre tutto ci che erano stati lui e Louis. “Idem” rispose allora Liam; “Vuoi che cominci io?” propose. Harry annuì perché Liam gli era mancato. Era stato così preso da Zayn e da tutti quei dannati social networks che il riccio si era quasi abituato a confidarsi solo con Niall. Ma adesso era qui e potevano riprendere da dove si erano interrotti. “Zayn mi ha tradito” rivelò. Niente giri di parole, la verità nuda e cruda. Louis aveva ragione, allora. Louis aveva ragione su tante cose. “Mi dispiace” disse seriamente intristito. Portò una mano sulla spalla dell’ amico come a dargli conforto. “Anche a me” cominciò Liam; “Mi dispiace d’esser stato così cieco. La verità era sotto il mio naso. Mi dispiace d’aver trascurato te e Niall. Mi dispiace per tutto” spiegò. Prese la mano che Harry aveva posato sulla sua spalla e la strinse. Il riccio ricambiò la stretta. “Con la sua coinquilina, Haz. Ti rendi conto?” rise amaro. “Tu invece?” chiese a quel punto. Ed Harry non voleva tirarsi indietro. Voleva che non ci fossero più segreti tra di loro, voleva che tornassero quelli di sempre. “Ho avuto una storia… Dio, non so nemmeno se sia lecito chiamarla così. Insomma, sono stato con Louis” disse continuando a camminare. Vide l’edificio austero profilarsi a pochi metri da loro, mentre una folla di insegnanti e studenti si affrettavano ad entrare. Louis sicuramente era tra quelli. “Louis?” chiese Liam con aria confusa. “Il Professor Tomlinson” disse a quel punto. L’amico bloccò la camminata e lo guardò stupefatto. “Porca troia, Harry” gridò. Poi scoppiò inspiegabilmente a ridere, “Avevi sempre detto di volere un ragazzo più grande. Ce l’hai fatta alla fine eh?”. Harry sorrise. Niente drammi. Liam non era scandalizzato, non lo trovava un mostro. Era semplicemente il suo migliore amico e aveva bisogno di lui. “Ho cambiato idea. I ragazzi più grandi sono… ugh” terminò la frase a metà non riuscendo a trovare l’aggettivo più appropriato. “Cosa è successo?” chiese Liam ricominciando a camminare e spingendo giocosamente lo zaino di Harry col proprio. “La sua ragazza. Lui ha scelto lei” sussurrò con lo sguardo vacuo. I ricordi delle notti passate insieme ancora troppo vividi perché smettesse di fare male. “Se ne pentiranno entrambi” sentenziò Liam in modo profetico a quel punto; “Questo è poco ma sicuro”. E Harry sorrise. Perché è vero, due cuori spezzati non ne facevano uno sano ma a volte potevano camminare l’uno di fianco all’altro. E il peso si fa sempre più leggero se sono in due a portarlo.
 
 
Che qualcuno cessi quella tortura. Dio, Harry stava per esplodere. Due ore consecutive con Louis che continuava a parlare, spiegare e fare qualche sporadica domanda per accertarsi di avere l’attenzione degli studenti. Aveva deciso, in una sorta di autodifesa, di escludere tutto ciò che riguardasse Louis. Di chiuderlo fuori. Era per questo che anziché essere attento alla lezione stava scarabocchiando da un’ora e mezza sul suo quaderno. Erano per lo più disegni astratti, qualche parola profonda e dei cuoricini spezzati. “Panta Rei” continuò a dire Louis; “Qualcuno sa cosa vuol dire?” chiese poi. Liam alzò la mano. “Payne” gli concesse allora la parola il professore. Harry si voltò verso il suo compagno per ascoltare la risposta. Liam stava reagendo molto meglio di lui alla rottura. Usciva tutte le sere e aveva perfino bloccato Zayn su tutti i social possibili per evitare di vedere le foto condivise dal suo ex. “Tutto scorre” rispose allora, diligente come sempre. “Esatto. Qualcun altro sa spiegarmene il significato?” propose allora Louis. Queste lezioni dialogate erano una cosa che Harry avrebbe decisamente cancellato se solo fosse possibile. “Riguarda il tempo?” propose un suo compagno di classe, e il riccio perse di nuovo interesse e tornò a disegnare fantasie tribali sul suo quaderno. “Spiegati meglio” lo spronò l’insegnante. Harry voleva solo tagliarsi via le orecchie. Non ce la faceva più ad ascoltare quella voce. Quella voce che prima gli sussurrava dolci ti amo e adesso era piatta e spenta. “Uhm, non possiamo cambiare il passato?” propose un’altra sua compagna di classe. “No. Non proprio ma è un’altra questione filosofica interessante. Tu lo faresti Emily? Cambieresti qualcosa del tuo passato?” la ragazzina annuì. “E tu Styles? Torneresti indietro se potessi?” chiese Louis a bruciapelo. Harry sollevò lo sguardo scosso. Era la prima volta che si rivolgeva a lui dopo settimane e… Cosa? Gli stava chiedendo se avrebbe cambiato la loro storia? Non poteva credere che fosse così sciocco. Harry annuì, comunque. “Per cambiare dei momenti?” continuò il suo professore imperterrito. Aveva bisogno di quella risposta, Louis. Voleva sapere quanto aveva ferito Harry. Voleva che il riccio leggesse quanto gli mancava e che capisse cosa stava succedendo, il ricatto a cui aveva ceduto. Harry fece una risatina amara e poi disse: “Per viverli di nuovo”.
 
 
Non aveva detto nulla ad Harry per proteggerlo. Si era allontanato da lui per far sì che potesse vivere tranquillamente l’ultimo mezzo mese da liceale. Non gli aveva detto di aver scelto Eleanor solo per fare in modo che la sua carriera non colasse a picco. Per fare in modo che gli esami finali del riccio non ne risentissero. Eppure, dopo quelle brevi battute scambiate a lezione, Louis sentiva il bisogno di dirgli qualcosa. Non era troppo tardi per Harry. Era troppo tardi solo per lui. Ma lui poteva vivere una vita infelice, non gli sarebbe importato. Era quella maledetta spina nel fianco, quel ragazzino impertinente che meritava tutte le cose più belle del mondo. Per questo aspettò in un angolo del cortile che Harry uscisse. Perché voleva dirgli qualcosa. Quando intravide la sua figura snella e longilinea per poco non gli venne un colpo. Gli  mancava così tanto poter mettere le mani su quel corpo meraviglioso, gli mancavano le loro chiacchierate fino a tarda notte, finché gli occhi di Harry non cedevano e lui si ritrovava a fissarlo addormentato e a chiedersi cosa avesse fatto di buono per meritarsi quel ragazzino. “Harry” lo richiamò, perché stava andando dal lato opposto. Il riccio si girò e lo guardò con occhi feriti. Uno sguardo che Louis non avrebbe mai voluto che fosse dedicato a lui. “Io vado” sussurrò Liam dandogli una pacca sulla spalla. Harry annuì ringraziandolo con lo sguardo e poi si incamminò verso Louis. “Sali?” propose il liscio aprendo la macchina col telecomando. Il giovane rise. Non voleva più nascondersi, ma era l’unica possibilità di stare con lui anche solo per qualche attimo. Doveva dirgli addio? Doveva implorarlo di tenerlo con sé? Non lo sapeva. Per questo decise di spegnere il cervello e semplicemente entrare. “Siamo tornati alle origini eh?” chiese quando Louis mise in moto. Conosceva già la stradina buia in cui sarebbero arrivati, ci erano stati quando la loro storia era solo all’inizio e Louis aveva paura anche solo di respirare la stessa aria di Harry. Il maggiore si limitò a fare una risatina nervosa. Lo portò nella stradina che il riccio si aspettava e spense il motore. Erano stati in silenzio per tutto il tragitto e questo non era mai successo a loro due. Avevano sempre qualcosa da dirsi. Sempre. Louis si slacciò la cintura di sicurezza e si girò verso di lui. Lo guardò intensamente e poi, con mani tremanti, cercò quelle di Harry e le prese tra le sue. Era il primo contatto che avevano dopo settimane, al riccio era concesso di tremare un po’, grazie tante. Un groppo gli salì fino alla gola, inibendogli le vie respiratorie. Voleva che Louis lo stringesse, voleva piangergli sulla spalla, prenderlo a pungi e poi baciarlo forte. Voleva tutto. Tutto. “Lo so che sono l’ultima persona con cui tu voglia parlare. O comunque l’ultima da cui vuoi sentire questo discorso” bisbigliò il maggiore. Con il pollice aveva cominciato a fare dei piccoli ghirigori sulla mano. Lo accarezzava e disegnava forme invisibili. Harry fu costretto a distogliere lo sguardo. Non poteva resistere, non guardando le mani piccole di Louis tenere le sue. “Ma ora ti dirò una cosa a cui nessun adolescente crede mai” continuò il maggiore con l’accenno di un sorriso sul volto. “Ti innamorerai di nuovo” Harry emise un mugolio frustrato a quella rivelazione. Una lacrima cominciò a solcare il suo volto. Non era quello che voleva sentirsi dire. Non era quello che aveva sperato. Voleva solo che Louis lo stringesse e dicesse di amarlo. “Ssh, Ehi” lo richiamò l’insegnante quando il minore abbassò la testa per nascondere la sua aria sofferente. Lasciò una delle sue mani per scostargli i ricci che gli erano caduti sul viso. Quello era il loro addio. Lo sapevano entrambi, quindi Louis voleva vederlo in faccia, voleva ricordare ogni singolo dettaglio per ricostruire quel viso angelico di continuo nella sua testa. “Succederà di nuovo e sarà… Grandioso! Sarà meglio della prima volta” lo rassicurò scacciando via una lacrima con il suo pollice. “Saprai cosa fare e cosa evitare. Saprai, facendo un confronto con i tuoi amori passati, che sei sulla strada giusta. E io voglio che tu lo sia, Harry. Lo voglio con tutto il cuore” un singhiozzo scappò all’autocontrollo del riccio. Le lacrime si fecero troppe perché Louis potesse scacciarle con la sua mano, così si limitò ad accarezzare le gote umide e arrossate del suo amore. Del suo ragazzino, della sua personale spina nel fianco. “Sii felice e lascia agli altri la possibilità di innamorarsi di te. Perché è il regalo più grande che tu possa fare a qualcuno. Te lo assicuro” ridacchiò mentre gli occhi gli si inumidivano. Poteva assicurarglielo, poteva giurarglielo perché lui l’aveva provato in prima persona. E voleva dirgli che lo amava, che non avrebbe mai smesso. Ma gli sembrava così ingiusto tenerlo legato a sé. Voleva che fosse libero di scegliere e sbagliare, perché era questo che tutti si aspettavano da uno della sua età. “Di-dimmi solo se quella volta” cominciò Harry con voce tremante. Dovette ripetere la frase un paio di volte perché proprio non riusciva a soffocare i singhiozzi che gli stavano squassando il petto. Odiava gli addii. “Ti dissi: non so se faremo sesso o l’amore” sussurrò con lo sguardo puntato sulle sue mani. Le sue dita si stavano torturando tra di loro, i palmi erano sudati ma non voleva essere in nessun altro posto. Voleva essere lì, con Louis. “Era..?” non riuscì a terminare la domanda che un singhiozzo lo interruppe. “Era amore. È sempre stato amore con te” rispose Louis capendo dove il riccio volesse andare a parare. Gli sollevò il viso con l’indice portandolo a fissarlo dritto dritto negli occhi. Quello sguardo smeraldo umido a causa delle lacrime proprio non riusciva a sopportarlo. “Sei la mia grande storia d’amore, Harold” rivelò e poi si avvicinò per lasciargli un bacio sulle labbra. L’ultimo. Harry strinse le mani nei suoi capelli manco fossero la sua ancora di salvezza. Trasmise in quel bacio tutto il suo dolore, la sua disperazione. Le guance del riccio si rigarono di nuove lacrime mentre Louis lo cullava tra le braccia. Sapevano entrambi per cosa era quel bacio. Già perché, ogni storia d’amore che si rispetti ha il suo bacio d’addio.
 
 
Il ballo di fine anno era l’unica cosa che riusciva a distrarre Harry. Non aveva più parlato con Louis e la scuola era agli sgoccioli e lui era triste. Non per gli esami finali o sciocchezze del genere, no. Per il fatto che la scuola gli garantiva la possibilità di vedere Louis. Di osservarlo da lontano, di vagheggiarlo, di ascoltare la sua voce melodiosa. Stava studiando duramente nel tentativo di distrarsi ma solo il ballo sembrava catturare la sua attenzione. Era finito, grazie all’ aiuto di Liam, nel comitato. L’amico aveva pensato che sarebbe stato un ottimo modo per evitare che pensasse troppo a Louis e aveva ragione. Il fatto che lui non avesse un principe azzurro o un cavaliere da portare al ballo, non significava che non avrebbe voluto dare la possibilità a quelli più fortunati di lui di vivere una serata magica. Gli esami si sarebbero svolti pochi giorni dopo il ballo e di lì, Harry si sarebbe lasciato il liceo alle spalle e inevitabilmente Louis. Non era così che aveva progettato. Aveva sperato che il giorno dell’ esame arrivasse il più in fretta possibile, così da poter stare con Louis alla luce del sole e invece… “Ho saputo i nomi dei professori di sorveglianza al ballo” esordì Liam entrando e portando con sé uno scatolone pieno di lustrini da appendere alle pareti. Harry si morse il labbro inferiore in attesa dell’informazione. Una parte di lui sperava che Louis fosse lì, che lo guardasse nel suo completo elegante e rimpiangesse cosa aveva perso. Un’altra, preferiva che l’insegnante fosse da tutt’altra parte, così magari si sarebbe ubriacato e avrebbe trovato qualcuno con cui sfogarsi anche solo per una volta. La tensione lo stava letteralmente divorando. “Il professor Tomlinson sarà uno dei sorveglianti” disse allora. Harry non sapeva come sentirsi, ma il semplice fatto di poter vedere Louis una volta in più lo rassicurava nonostante non avrebbe dovuto. “Bisogna dire ad Ash che non può più correggere il succo con la grappa allora” commentò semplicemente. Liam sorrise e gli diede una pacca affettuosa sulla schiena; “È giovane. Conosce questi trucchetti” gli diede manforte l’amico. La discussione venne interrotta da Niall che sventolava un post-it verde fosforescente. “Ragazzi tra poco c’è il ballo” disse tutto esaltato. Harry scoppiò a ridere e Liam obbligò il biondo a dare una mano con gli striscioni.
 
 
Il ruolo del sorvegliante equivaleva al ruolo del guasta feste. Louis lo sapeva. Odiava gli insegnanti che erano messi di guardia perfino quando lui era uno studente. Osservò il modo in cui la palestra era stata decorata. Striscioni argento luccicanti riflettevano la luce colorata della palla stroboscopica. Avevano perfino allestito un piccolo bancone con degli sgabelli che davano l’aria di una pub. Louis si appuntò mentalmente di andare a controllare che servissero solo analcolici. Il dj aveva già cominciato a suonare la sua musica assordante e pian piano i ragazzi cominciavano a popolare l’ambiente. Di Harry ancora nessuna traccia. Non che gli interessasse, chiaramente. Sapeva che era uno degli organizzatori del ballo, quindi ci sarebbe stato al cento per cento. Aveva perfino litigato per essere lì: Eleanor lo voleva con sé ad una qualche sfilata di moda di cui a lui davvero non interessava niente. Era stata carina e gentile per il primo periodo, poi era tornata l’arpia di sempre e Louis aveva ricominciato a soffocare nella sua vita piatta. Il professore continuò a guardarsi intorno, sbottonandosi l’ultimo bottone della camicia. L’atmosfera cominciava a scaldarsi. Vide Liam, l’amico di Harry, entrare con un affascinante completo azzurro. Sapeva che non avrebbe dovuto fissare la porta, che doveva andare a separare quella coppietta che sembrava intenzionata a farlo sul tavolo del buffet, ma proprio non riusciva a distogliere lo sguardo. Immaginò di essere tornato a diversi anni prima, quando c’era stato il suo ballo ed immaginò che di lì a poco sarebbe comparso il suo cavaliere. Il cuore prese a battergli forte. Vide entrare Niall con un elegante completo nero e la stravagante cravatta rosa a strisce bianche. Mancava solo lui. Le mani presero a tremargli dall’emozione, nonostante fosse abbastanza sicuro che Harry non avrebbe corso verso di lui come in un patetico film romantico di seconda categoria. Uno di quelli che piacevano tanto al riccio e che era solito propinargli la sera, quando erano sdraiati sul divano. Ed eccolo lì, mentre faceva il suo ingresso trionfale. Era l’unico a non indossare un completo. Aveva dei jeans neri a dir poco vertiginosi, le sue gambe erano fasciate come da una seconda pelle e indossava degli stivaletti neri. La sua camicia era (stranamente) abbottonata fino all’ultimo bottone, era bordeaux a pois bianchi. Il lungo ciuffo era portato all’indietro mentre dei setosi boccoli gli incorniciavano il viso e cadevano quasi a sfiorargli il collo. Louis lo fissò a bocca aperta. Anche adesso che non era più suo, anche adesso che poteva guardarlo solo da lontano, quel ragazzo impertinente continuava ad essere una spina nel fianco. Sì, perché metteva a dura prova l’autocontrollo di Louis. Decise di distrarsi, allora, e andare a separare la coppietta che stava quasi per procreare in pubblico.                                                                                                                                            Quando Harry lo vide, Louis stava sbraitando contro una giovane coppia. Ridacchiò nel vederlo accanirsi su di loro anche più del dovuto. Era un ballo, infondo! Era tornato il solito vecchio Lou, con i suoi skinny jeans e le lenti a contatto al posto degli occhiali. Harry lo amava così tanto. Non aveva un accompagnatore quella sera. Lui, Liam e Niall si erano presentati in gruppo nonostante il biondo affermasse convinto di avere un appuntamento (chiaramente non ricordava con chi, ugh). Continuò a tenere gli occhi sul professore e si morse il labbro inferiore quando lo sguardo gli cadde sulle curve morbide del suo sedere. Fu in quel momento che Louis decise di voltarsi e i loro occhi si trovarono per un istante, un secondo effimero. Harry arrossì sotto quello sguardo turchino e Louis accennò un sorriso cortese. Dio, sarebbe stata una serata lunga. Il riccio pregò che Ashton fosse riuscito a correggere i drink.
 
 
Harry era al suo terzo drink. Ash era un asso nello spacciare cocktail colorati come semplici succhi di frutta. Era seduto al bancone da più di mezz’ora e stava osservando la condensa sul suo bicchiere scivolare sempre più giù, proprio come il suo morale. Louis stava sorvegliando la palestra e si erano incrociati almeno un paio di volte. C’era imbarazzo tra loro, ma tutto sommato il professore sembrava stare bene. Era così ingiusto. Harry stava soffrendo come un cane bastonato, mentre Louis tornava a casa dalla sua fidanzata, ew. Disgustoso. Si scolò un altro bicchiere e guardò la palestra alla ricerca dell’ oggetto dei suoi desideri. Lo trovò mentre osservava con fare scettico i bicchieri che Ashton rifilava a tutti. “Succo alla pera” diceva e ci aggiungeva un occhiolino poco rassicurante. Harry doveva andare avanti. Doveva voltare pagina o sarebbe rimasto invischiato in quella storia per sempre. Guardò il ragazzo seduto accanto a sé. Non male, davvero. Occhi azzurri e capelli biondo cenere. Un affascinante piercing gli bucava il labbro inferiore. Perfetto. Era proprio ciò di cui aveva bisogno. L’esatto opposto di Louis. Così giovane da pensare che un piercing potesse essere una buona idea. Si sporse verso il suo sgabello e sussurrò “Ti va un altro giro?”. Il ragazzo lo guardò sorpreso, parve scannerizzarlo per un attimo per decidere se fosse o no una buona idea. Annuì, comunque. Chiese ad Ashton qualcosa da bere e poi si rivolse di nuovo al ragazzo. Era perfino più giovane di lui, Dio. “Allora…” “Luke” si presentò il ragazzo. “Luke” ripeté Harry, vedendo come suonava il nome pronunciato dalla sua voce. Male. Non aveva nulla della pronuncia francese di Louis. “Mi piace” mentì però, con un sorriso. Ashton servì loro i due drink colorati con tanto di ombrellino. “È bello qui” disse il ragazzo prendendo un sorso dalla sua cannuccia; “Complimenti. Ho sentito che fai parte del comitato”. Harry ghignò. Quel Luke sarebbe stato un piacevole passatempo. “Faticoso ma soddisfacente” fece il riccio. Posò con nonchalance la mano dietro lo schienale dello sgabello del giovane e prese in modo suggestivo a succhiare dalla sua cannuccia. “Hai un accompagnatore per stasera?” chiese sfacciato come non mai. Impertinente avrebbe detto Louis e no. Non stava funzionando. Ogni cosa gli ricordava il suo insegnante. “No, sono venuto in gruppo” rispose intanto il ragazzo con le gote rosse. “Oh, davvero? Anch’io” disse avvicinandosi ancora. Era praticamente sporto nello spazio personale di Luke, non che al ragazzo dispiacesse, comunque. “Potremmo portare la festa altrove” propose a quel punto Harry, sussurrando direttamente nell’ orecchio del ragazzo. Sentì Luke tremare e mentre il ragazzo stava per rispondere una voce parecchio irritata interruppe la conversazione. “Che sta succedendo qui?” sbottò Louis. Le braccia incrociate contro il petto e l’espressione davvero infastidita. Harry scoppiò a ridergli in faccia, non sapeva se per colpa dei drink o semplicemente per il fatto che Louis fosse ancora geloso di lui. “Cosa vuoi ancora?” chiese ignorando completamente Luke che sembrava spaventatissimo all’idea di riceve un rimprovero. “Drink alcolici ed effusioni” sbottò l’insegnante, poi lo afferrò per un braccio e lo tirò con forza; “Vieni con me”. Harry lo seguì senza nemmeno premurarsi di salutare Luke. Louis lo condusse fuori dalla palestra, in una delle aule completamente deserte dal momento che l’intera folla si trovava al ballo. “Quindi fai così con tutti?” chiese il maggiore chiudendosi la porta alle spalle. Harry lo guardò con un sopracciglio sollevato. “Li rimorchi al bar e poi ti fai scopare per bene?” continuò a sputare adirato. Era davvero furioso. Il minore si accomodò sulla cattedra e lo osservò. Le sue pupille erano dilatate per l’ira e i muscoli delle sue braccia guizzavano a causa dell’intensità con cui tentava di mantenere la calma. “Qual è il tuo problema?” chiese allora a quel punto. Così, semplicemente. Seduto a gambe larghe sulla cattedra, il capo lievemente inclinato ad osservarlo con sguardo interrogativo ma al contempo dolce. “Il mio problema? Tu sei il mio problema, Harry” fece Louis quasi urlando. Si avvicinò fino ad incastrarsi perfettamente tra le sue gambe e gli puntò l’indice contro il petto. “Sei una tale spina nel fianco! Mi hai messo a soqquadro casa, mi hai cambiato l’esistenza e hai messo a dura prova il mio autocontrollo. Quindi adesso non puoi semplicemente andartene in giro a rimorchiare altra gente. Non sotto i miei occhi, non come hai rimorchiato me!” continuò arrabbiato. “E sai qual è la parte peggiore? Che ti amo e che sto cercando di allontanarmi da te per il bene di tutti ma mi rendi tutto così difficile che-” “Aspetta” lo interruppe Harry. Prese tra le mani i pugni serrati di Louis e li sciolse, intrecciando le loro dita insieme. Era così dolce e così tranquillo che il liscio quasi si pentì della sfuriata che aveva appena fatto. “Che significa  che lo stavi facendo per il bene di tutti? Perché mi hai lasciato, Lou?” domandò stringendo la presa delle sue mani. Il professore fece cenno di no con la testa e nascose il volto nell’ incavo del collo del riccio. Voleva solo rimanere lì per sempre. Nascosto, a contatto con la pelle calda di Harry, col suo profumo ad invadergli le narici. “Coraggio, tesoro. Puoi dirmelo” mormorò Harry, accarezzandogli dolcemente i capelli e stringendo, con l’altro braccio, la vita di Louis. Sembrava quasi che i ruoli si fossero invertiti, che fosse Harry l’adulto della situazione e che Louis fosse invece il ragazzo capriccioso. “Eleanor ci ha scoperti” cominciò a mormorare. Nascosto lì dov’era, quelle confessioni parevano più semplici. Era assai più facile dire tutto quello senza guardare Harry negli occhi. Ogni parola portava le labbra sottili di Louis a sfiorare il collo del riccio. “Ha detto che se… Se smettevo di vederti senza darti alcuna spiegazione avrebbe tenuto la verità per sé. Io non avrei rischiato la carriera e tu non avresti rischiato di perdere l’anno. L’ho fatto per noi” sussurrò sollevando lo sguardo. Era la prima volta che si concedeva di essere debole. Di esserlo davanti ad Harry e al riccio stava bene così. Voleva tutto di Louis, i suoi momenti di luce e ancor più quelli di buio. Sorrise, il minore, scostandogli dei capelli dalla fronte. “Certo. Grazie per averlo fatto” mormorò accarezzandolo. Louis annuì e poi premette il naso contro lo zigomo del ragazzo. “È che… Pensavo di poter essere infelice se questo significava garantire a te la felicità, ma. Ma non sono così forte, Harlod” mugugnò lasciando dei dolci baci sulla guancia arrossata di Harry. “Va bene così, Lou” lo richiamò il più piccolo, “E sai perché?” chiese premendo adorabilmente l’indice contro il naso alla francese di Louis. “Perché posso essere felice solo con te al mio fianco” sorrise quando vide gli occhi del maggiore aprirsi in segno di commozione. “E ci ho pensato alle parole che mi hai detto, davvero. So che posso innamorarmi di nuovo il punto è che io non voglio” sussurrò portando le braccia dietro il collo di Louis. “O meglio. Io mi sono già innamorato di nuovo, ma ancora di te. Sempre e solo di te” il professore, a quella rivelazione, si alzò sulle punte dei piedi e schiacciò le sue labbra contro quelle di Harry. La posizione era scomoda perché le sue braccia erano incastrate contro il collo del più piccolo ma non gli importava. Gli importava soltanto poter sentire la bocca di Harry sulla sua, tornare a respirare. “Mi sei mancato così tanto, ragazzino impertinente che non sei altro” soffiò direttamente sul suo viso. Allontanò le lacrime che stavano bagnando il volto del riccio con i palmi delle sue mani. “Niente più lacrime, amore. Basta” lo pregò baciandogli le guance, le palpebre chiuse e umide e mordendogli delicatamente il naso. Il minore rise a quel gesto e se lo portò ancora più vicino. “Sono lacrime di gioia. Promesso” sussurrò prima di baciarlo ancora. Perché poteva, perché quel bacio che si erano scambiati in auto non era l’ultimo, perché Louis era suo. Dalla palestra partì una canzone romantica. La percepivano come ovattata e non riuscivano a distinguerne le parole ma il ritmo lento e la musica dolce lasciavano intendere che si trattasse di una canzone d’amore. “Sei venuto con un accompagnatore?” chiese Louis a quel punto. Harry negò con il capo e ne valse davvero la pena perché le labbra dell’insegnante si schiusero in un sorriso abbagliante. “Mi concedi questo ballo, allora?” propose porgendogli la mano e facendo un passo indietro. Il riccio, allora, fece un piccolo saltello scendendo dalla cattedra; “Con piacere mio principe” rispose. Incrociò le braccia dietro la nuca di Louis e sospirò contento quando sentì le mani del maggiore stringergli i fianchi. Tutto era al posto giusto. Certo non erano in palestra a ballare sotto le luci luminose e sotto gli occhi di tutti. Ma ad Harry non importava. C’erano lui e Louis che dondolavano a ritmo di musica. C’erano i loro cuori che battevano all’unisono manco fossero uno solo. Andava tutto bene. “Che facciamo adesso?” domandò nascondendo il capo sulla spalla del suo insegnante. Louis fece strisciare una mano lungo tutta la schiena di Harry, tastando il raso morbido della camicia, fino ad immergerla nei suoi ricci. “Aspettiamo. Fai i tuoi esami in tranquillità e poi risolveremo tutto. Te lo prometto” sussurrò ondeggiando dolcemente. Sembrava un movimento quasi oscillatorio, un tentativo di cullare Harry fino a farlo addormentare. E il minore si lasciò andare sospirando contento. “Ti amo tanto” bisbigliò prima di chiudere le palpebre e lasciarsi guidare in quel ballo pigro, intimo, che trasmetteva amore da tutti i pori.
 
 
Louis mantenne la promessa, comunque. Non che Harry gli avesse dato la possibilità di sottrarsi a quell’ obbligo, anzi. Lo chiamava quasi tutti i giorni, inizialmente con la scusa di non aver ben capito questo o quell’altro filosofo, poi aveva cominciato ad esordire con un “Amore mio” strascicato che causava un tumulto nel cuore di Louis. Si divertiva anche a sentire tutte le scuse che il maggiore campava in aria per allontanarsi da Eleanor di volta in volta. Una volta gli aveva risposto dicendo: “Buonasera Signor preside”. Harry aveva riso all’ infinito durante quella telefonata e Louis si era semplicemente beato di quel suono idilliaco. Con un po’ di fortuna e qualche buona scusa, il liscio era riuscito a raggiungere Harry a casa sua il giorno prima del suo esame orale. Gli aveva fatto un in bocca al lupo particolare (vietato ai minori, quasi) e poi l’aveva baciato forte rassicurandolo. Sarebbe andato tutto bene ed erano ad un passo dal loro lieto fine. La supplenza di Louis, infatti, era arrivata al termine e stava solamente aspettando che Harry fosse libero dal vincolo delle scuole superiori per lasciare quell’arpia di Eleanor una volta per tutte. Finiti gli esami, infatti, la ragazza non avrebbe più potuto ostacolare la carriera scolastica del suo bel riccio, e soprattutto non avrebbe più potuto interferire con quella di Louis, che aveva ormai portato a termine il suo incarico. Per questo, quando Harry seppe il suo voto finale, chiamò il suo ragazzo al settimo cielo. “Ti amo, ti amo!” non faceva che ripetere mentre saltellava di qua e di là per la felicità. Il suo voto era davvero ottimo ma non era quella la cosa migliore, no. Erano liberi. Louis non era più il suo professore, Harry non era più uno studente. Il maggiore lasciò Eleanor quella stessa sera, dicendole di non amarla più e di aver trovato di meglio. La ragazza si era chiusa la porta alle spalle augurandogli ogni male possibile ma Louis nemmeno le diede retta. Gettò nella spazzatura tutti i segni della presenza della ragazza in casa e recuperò Kona dallo sgabuzzino in cui El l’aveva segregata. Chiamò Harry a quel punto e gli disse che aveva una sorpresa per lui. Quando il riccio arrivò, trovò una lunga scia di candele illuminate ad accoglierlo e a guidarlo fino alla camera da letto. Aveva già gli occhi lucidi e le mani tremanti. Una volta aperta la porta, scoprì altre candele e vide che il letto era cosparso di petali di rosa. “Congratulazioni, amore” disse una voce allegra alle sue spalle. Si voltò e corse da Louis gettandogli le braccia al collo. Il liscio trasalì e sollevò i due flûte di spumante per evitare che cadessero rovinosamente a terra. Brindarono al soddisfacente risultato di Harry, al loro amore che per la prima volta pareva una sorta di strada spianata. Il riccio si sdraiò con fare seducente sul letto, poi. Prese una manciata di petali e li sparse sul suo corpo; “A chi va un po’ di sesso legale per festeggiare?” propose. Louis rise dalla sua posizione mentre già posava un ginocchio sul materasso. Harry si protese a baciarlo ma le sue labbra non furono abbastanza veloci per soffocare la frase che Louis pronunciò: “Ragazzino impertinente”.
 
 
FINE.
 
 
 

 

  
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