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Autore: Porrima Noctuam Tacet433    06/08/2015    1 recensioni
Sempre Geoffrey Martewall, ma attraverso occhi diversi.
Hector- "...aveva capito che c’erano ancora troppe ferite che il suo animo indomito tentava di sanare ogni giorno, troppa voglia di liberarsi da qualcosa."
Brianna-" Lo aveva visto dalle finestre e non aveva capito subito perché la paura l’avesse attaccata a tradimento, così all’improvviso. Poi la verità le si era rivelata in un modo così evidente che Brianna non aveva potuto continuare ad ignorarla."
Gant-"« Dovete sentirvi molto solo, sir. » gli aveva sputato addosso Gant, con una calma solo apparente.
Martewall aveva fermato il suo passo ma non si era voltato.
Jerome-"E sapeva anche che non avrebbe ascoltato il suo ordine.
Sembrava nato per essere diverso dagli altri, e, di conseguenza, per essere allo stesso tempo dannatamente irritante e dannatamente insostituibile."
Etienne-"Erano state poche le volte in cui aveva provato ad immaginare cosa pensasse.
Forse perché se c’era una cosa che Etienne detestava, era fallire. E da quel punto di vista, Martewall rappresentava un fallimento continuo."
Guillaume-" « Cercate solo… » disse, senza più voltarsi « Di non fare per orgoglio o paura la mia stessa fine. » "
...
Genere: Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Geoffrey Martewall, Un po' tutti | Coppie: Geoffrey/Brianna
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Henry De Bar

Amicizia

 

 

Henri de Bar non amava particolarmente osservare le persone. Spesso non provava interesse nell'interpretare i loro comportamenti, e trovava più rispettoso farsi gli affari propri, dato che lui non aveva un compito politico affidatogli dalla corona come Jean o come Henri de Grandprè.

Era difficile che qualcuno suscitasse la sua curiosità, perchè la sua discrezione era inattaccabile quanto quella di Sancerre risultava inesistente verso tutti. In molti avrebbero potuto scambiarla per disinteresse, o menefreghismo.

 E di questo Henri si dispiaceva, ma non poteva farci nulla.

 La prima volta che aveva visto Geoffrey Martewall, non aveva potuto fare a meno di provare un brivido potente di curiosità. Lo ricordava ancora molto bene, il cavaliere bardato di nero, col leone d'oro sulla livrea e l'elmo calato sul viso. L'aveva visto scambiarsi uno sguardo con lo sceriffo senza pietà e si era chiesto subito che faccia potesse esserci sotto a quell'elmo.

 La sua curiosità era aumentata quando si era svegliato su una branda dell'accampamento, il fianco che pulsava dolorosamente e i medici intenti ad estrarre un pezzo della lancia del suo avversario dall'addome.

 Si era imposto, con la mente ancora terribilmente confusa, di non provare rabbia. Quella di Sancerre sembrava essere più che abbastanza per un semplice torneo, e Henri non voleva incoraggiare le idee folli che gli sarebbero potute venire in mente.

 Il cavaliere inglese se ne andò il giorno dopo, ma Henri, stranamente, non smise subito di pensare a lui. Ogni tanto gli tornava in mente. E gli tornava in mente la sua sconfitta, il cavaliere spaventoso che gli piombava addosso come un ariete. Sapeva che presto lo avrebbe rivisto, in guerra. 

 « Pronto, Henri?» aveva chiesto Sancerre, avvicinandosi a lui e circondandogli le spalle con un braccio in una stretta cameratesca. « Andiamo a spaccargli il cuore davvero. » aveva aggiunto, sorridendo.

 E Henri sapeva a chi si riferiva.

 Derangale era una questione privata di Jean, mentre, secondo Sancerre, Geoffrey Martewall doveva essere il suo conto in sospeso personale.

 Henri si chiese se fosse davvero così, ma non riuscì a darsi risposta.

 

 

*

 

 

Vi era sempre qualcosa di inspiegabilmente triste nell'osservare il suo sguardo freddo. O forse non era tanto tristezza, quanto un sottile senso di disarmata impotenza e confusione.

 Henri andava fiero del rispetto che sapeva di ricevere da parte dell'inglese. Sperava che un giorno lui stesso avrebbe potuto essere uno dei compagni d'arme che poteva ripagare di ciò che aveva perso con il tradimento e la morte di Derangale. Ma la distanza tra i cavalieri francesi e Geoffrey Martewall era palpabile, e non era data solo da uno stretto che separava due coste, né dal fatto che fossero stati nemici così a lungo.

 Non solo.

 In lui c'era qualcosa di diverso che nessuno poteva ignorare. Nei momenti in cui ci pensava,Henri era ancora più felice che al suo fianco ci fosse Sancerre, disposto a ridere su ogni cosa, ad annullare ogni differenza. Henri non avrebbe saputo farlo. Non per egoismo, ma semplicemente perchè non riusciva ad eliminare o ignorare ciò che si sforzava di capire.

 Non gli erano mai piaciuti gli enigmi, eppure in Martewall c'era qualcosa di nascosto che lo attirava. Il suo compagno Derangale era stato molto più semplice da capire, e per questo Henri poteva immaginare cosa lo avesse colpito dell'amico Geoffrey.

 Lo aveva guidato verso di lui la ricerca di un'anima più complessa e tormentata della sua, il fascino di un dubbio persistente.

E si chiedeva se Geoffrey sentisse la mancanza dello sceriffo, se gli sembrasse solo un ricordo molto lontano. Sancerre gli aveva confessato di essere sul punto di chiederglielo, una volta, ma di essersi subito frenato.

 « Ho sentito la tua voce nella testa che mi diceva di non immischiarmi negli affari altrui.» aveva detto, ironico.

 Henri aveva sorriso appena, orgoglioso dell'amico.

 Sperava solo che, almeno per un po' di tempo, Geoffrey avesse avuto un'amicizia come la sua. E che potesse averla di nuovo.

 

*

 

Henry de Bar era razionale e lucido. Sempre.

La sua calma pacata era una qualità che possedeva fin dalla nascita, e che aveva poi fatto in modo di sviluppare una volta che aveva intuito che avrebbe avuto da misurarsi con Etienne de Sancerre per molto tempo.

Era orgoglioso nella sua tollerante e solo in apparenza distante tranquillità. Non era incapace di sostenere un confronto, nè di arrabbiarsi, ma si sapeva controllare ammirevolmente. Era semplicemente se stesso, mite e fiero, fermo nei suoi principi saldi, incrollabile e rassicurante.

Per questo, sebbene durante i primi tempi ogni volta che guardasse il cavaliere inglese ricordasse il dolore della sua lancia nel fianco, le vertigini e la terra che si faceva vicinissima in un battito di ciglia, il cavaliere nero che gli si era lanciato addosso con una forza e una velocità a cui non poteva fare altro che soccombere, non lo aveva mai guardato con sospetto.

Ricordare era qualcosa di più forte di lui. Ma giudicarlo male quando lo stesso Jean voleva che fosse accettatto dagli altri come lo era da lui, gli sembrava senza senso.

Ma, anche se per lui, e forse solo per lui, era possibile non provare diffidenza verso Geoffrey Martewall, non provare curiosità era davvero impossibile. Persino per una persona discreta come Henry de Bar.

Ma era così difficile soddisfare la curiosità, che Henry si sarebbe sentito a disagio, come sempre, nel farsi troppe domande, come se osasse troppo nel desiderare qualcosa che Martewall aveva il diritto di nascondere.

E tuttavia sapeva che sarebbe arrivato ad avere un'opinione obiettiva del cavaliere sassone, utilizzando informazioni basate su ciò che vedeva e non vedeva, senza nessun ostacolo creato da impulsi o da pensieri nati grazie a rancori o giudizi frettolosi.

Geoffrey non gli avrebbe messo alcuna fretta, agendo come faceva di solito, senza preoccuparsi di doversi guadagnare la fiducia dei compagni d'arme del Falco. Non tentava di apparire più amichevole, né meno scontroso e non aveva mai cercato di giustificare il suo antico legame con Derangale, o di rinnegare la loro amicizia passata. Non voleva perdono e non voleva approvazione.

Usciva da ogni schema che Henry potesse immaginare. Nessuna sua azione, neanche la più piccola, era mai sembrata scontata o prevedibile.

Henry respirò lentamente l'aria fredda delle terre inglesi. Sapeva di sale e di foreste. Sapeva di pioggia.

E di pericolo.

Come Martewall, in effetti.

« non mi aspettavo di vedere anche voi, signor conte. »

Henri lo osservò per un attimo, interdetto. Era raro, estremamente raro, che Geoffrey cominciasse un discorso, se non era strettamente necessario. Puntò gli occhi nei suoi, grigi e fermi, e lui ricambiò senza imbarazzo, attendendo la sua risposta.

Forse, per lui, lo era, necessario.

Forse voleva davvero, per una volta, sapere lui qualcosa da De Bar. Il motivo della sua presenza nel suo castello, per esempio.

« Volevo vedervi anche io, come Jean. » rispose, arrivando subito al punto come era abituato a fare. Geoffrey non tradì un'espressione, nessuna emozione modificò i suoi tratti, ma per lui l'attesa non era finita e De Bar si mise a pensare a come portare avanti il discorso.

« Con tutto quello che è successo, non penso di avervi ringraziato come avrei dovuto. Ci avete aiutato a prendere Gant, dopo che avevate salvato la vita di Jean. Il vostro aiuto è stato inestimabile, e penso che oramai nessun francese avrà più dubbi sul vostro senso dell'onore. »

Geoffrey distolse lo sguardo da lui e lo puntò sul panorama nebbioso fuori dalle bifore in pietra, incrociando le braccia sul petto.

« Non l'ho fatto per questo. Ho scoperto che, alla fine, tutto ciò che mi importa ormai è di essere sicuro io stesso del mio onore. Quando non lo sono stato ho commesso molti errori. E vi è comunque qualcosa per cui dovrei chiedere perdono anche a voi...»

« La cattura di Jean...» intuì Henri, colpito dal discorso di Martewall, avvertendo tra le parole un costante senso di rimorso, o forse la sottile paura di sbagliare di nuovo e una severità ferrea verso se stesso.

D'altra parte, tutti avevano paura di qualcosa.

Geoffrey annuì dopo qualche secondo e si sforzò di osservare di nuovo il volto di Henri.

« e il fatto di aver difeso e appoggiato per così tanto un uomo che non conoscevo davvero, di non essermi accorto della vera natura di Derangale...» vi era stata una lieve esitazione nel pronunciare l'ultima parola, come se il barone fosse stato sul punto di pronunciare il nome proprio del suo vecchio amico ma ci avesse ripensato all'ultimo istante, preferendo chiamarlo per cognome in modo più distaccato possibile.

Il conte gli regalò uno dei suoi sorrisi rari e ben poco distesi, ma rassicuranti. Anche se non riusciva a credere che Geoffrey avesse davvero bisogno della sua rassicurazione, così come era strano sentirlo scusarsi per qualcosa che avvenuto due anni prima.

« Commettiamo tutti degli errori. Etienne vi direbbe di dimenticarli in un bicchiere di vino in più. Io invece sono convinto che ciò che avete fatto voi per sdebitarvi sia molto più adeguato. » gli disse Henri, non riuscendo, però, a sembrare ironico, ma solo serio e pacato come al solito.

Geoffrey rimase immobile ma i suoi sembrarono, per un solo momento, adombrarsi, prima che la freddezza, di nuovo, non lasciasse più spazio ad altro.

« Mi dispiace davvero per l'esito della guerra del vostro principe. Avrei davvero voluto che la mia terra avesse un re come lui. » tornò a dire, dopo parecchi istanti di silenzio. A Henri sarebbe piaciuto per una volta, poter intuire più di quella minima parte che riusciva a vedere dei suoi pensieri. Però gli sembrava, allo stesso tempo, che Martewall stesse, lentamente, abbattendo un poco le difese. Che potesse, questa volta, desiderare di essere compreso. La sua anima pareva più aperta di quanto l'avesse mai vista, e Henri allora si chiese perchè stesse accadendo proprio con lui.

Il conte apprezzò il suo sforzo senza riserve.

« Lo so. Anche a me dispiace, soprattutto per voi, monsieur. » rispose, un po' tentennante. « Non è colpa vostra. La corte francese parla ancora della battaglia di Lincoln e di come vi siete comportato...»

Geoffrey strinse piano le dita sull'elsa della spada in un movimento istintivo e nei suoi occhi sembrò passare il ricordo di quel giorno. Henri non si sarebbe stupito se gli avesse detto di essere stanco di combattere. Quegli occhi sembravano aver visto troppe cose, e parevano più vecchi del corpo a cui appartenevano. Ma allo stesso tempo vi era ancora una forza incrollabile nel loro colore impalpabile.

Il conte ricordò di non avere davanti un comune cavaliere, ma il Leone di Dunchester.

Quindi sì, ripensandoci si sarebbe stupito se Geoffrey Martewall avesse mai ceduto alla tentazione di posare la spada.

« Ho dovuto giurare di non combattere più contro gli altri baroni. I miei uomini mi hanno seguito fino all'ultimo, tutti, quando avrebbero potuto tradirmi, salvarsi. Mi hanno dato le loro vite e io avevo il dovere di proteggerle... » disse il barone, e c'era qualcosa nel suo modo di parlare che fece pensare ad Henri che stesse parlando più a se stesso che a lui.

Di certo, trovarsi obbligato ad arrendersi a questa condizione non era stato facile per lui, e adesso la sua mente pareva devastata da desideri e pensieri confusi.

« Avete fatto ciò che era giusto. Ora non dovreste fare altro che proteggere le vostre terre e adattarvi ad un nuovo re... »

Geoffrey aprì la bocca per dire qualcosa ma una voce vibrante di ilarità lo anticipò, arrivando poco prima del suo padrone.

« E trovarvi una moglie, magari!» aggiunse Etienne de Sancerre, con un gran sorriso, ponendosi vicino ad Henri che gli rivolse un occhiata leggermente torva.

Geoffrrey si scrollò di dosso la sua immobilità con un solo gesto stizzito.

« è l'ultimo dei miei problemi, al momento. » commentò, e la frase uscì ancora più secca dalla sua bocca grazie al suo francese dall'accento straniero.

Etienne gli scoccò un'occhiata furba e maliziosa.

« è un modo cinico per dire che ne avete già trovata una?» ipotizzò, con gli occhi che saettavano teatralmente per la stanza calda e più accogliente delle altre nel castello, alla ricerca di una famigliare testa dai capelli rosso fiammante.

Geoffrey indurì ancora di più il suo sguardo e non seguì il movimento delle iridi di Etienne.

« No. È un modo per dire che non ho proprio tempo di farlo adesso. »

« E che dovresti farti gli affari tuoi. » aggiunse Henri, con la solita pacatezza. Etienne guardò l'amico con una complicità che solo loro condividevano, a dispetto dei loro caratteri così diversi per natura, e poco dopo fece finta di non averlo sentito.

« Se fosse per voi rimandereste all'infinito. » sbuffò, in direzione di Martewall, che lo osservò impassibile. Forse con una punta di noia ed arroganza.

Henri li osservò un po' divertito. Non tutti erano in grado di incassare così bene e senza imbarazzo i colpi che Etienne si divertiva a scagliare senza nessun freno, con il suo modo di parlare sempre a sproposito e sempre con irriverenza e sarcasmo. Martewall sapeva tenergli testa, e probabilmente questo spingeva il suo amico a provocarlo più di quanto facesse con altre persone dalla tempra più fragile.

« Vi ringrazio per l'interessamento. » rispose freddo Martewall.

« Sempre a vostra disposizione...» ribatté Etienne, allegro.

« Non disturbatevi...»

Henri osservò quella scena ricordando i tempi in cui Sancerre non si fidava di Martewall, e avrebbe desiderato ucciderlo, persino, per aver ferito lo stesso Henri al torneo e per aver in seguito rapito Jean e monsieur Daniel.

Ripensando a come erano stati, ancora non si rendeva conto appieno di come potessero essere tutti lì, a scherzare sul fatto che Martewall ancora non fosse sposato, ospiti del barone.

« Forse il nostro inglese teme di perdere la sua libertà legandosi in un matrimonio. » aggiunse Etienne, con leggerezza, osservando Henri e chiedendo la sua opinione.

Il conte scosse le spalle mentre Geoffrey inarcava un sopracciglio nel sentirsi apostrofare con le parole "il nostro inglese".

« O forse è troppo impegnato a far capire al nuovo re che non è un traditore della sua terra. » ribatté Henri, serio. « A questo non avevi pensato. »

Etienne osservò subito Martewall con espressione accigliata e ironica.

« Se avete pensato di dimostrarlo accogliendo nella vostra casa dei feudatari francesi, lasciatevelo dire, avete le idee un po' confuse...»

Martewall scosse appena la testa e per un solo istante parve quasi divertito.

« In realtà non voglio affatto farmi ben volere dal re. Non sono uno dei suoi fidati e non voglio diventarlo. A me basta che mi tema abbastanza da non minacciare le mie terre. »

Henri ed Etienne annuirono con un sorriso.

« Quindi un po' di tempo vi avanzerà e potrete dedicarlo a...»

« Etienne...» Henri De Bar frenò subito l'amico con un gesto esasperato della mano. « Basta.»

 

Salve a tutti! Eccomi di ritorno!

Jerome: ...con un capitolo corto. In cui hai parlato male di me, di nuovo, per giunta.

Tacet433: * scuote le spalle*

Già. Volevo fare un grande finale ad effetto ma non mi è venuto in mente altro. Così ho lasciato correre, sperando di avere più ispirazione la prossima volta. Magari un giorno potrei tornare su Henri De Bar.

Spero comunque che vi piaccia. Non ripetersi, mano a mano che aumentano i personaggi di questa raccolta, diventa sempre più difficile. Quindi per favore, ditemelo se divento noiosa, se scrivo sempre le stesse cose ecc..

Comunque... avrei davvero voluto scrivere di più  perchè io adoro Henri De Bar!

Jerome: umpf, che gusti...

-.-" sooolo chee rimane un personaggio di cui non mi riesce bene scrivere. Per me è il più difficile. Peggio di Guillaume e di Jerome... perchè per te, Jerome, diciamolo, basta prendere molto, molto egoismo, sadismo, crudeltà, scarsa morale e cercare anche di renderti miracolosamente umano, mescolare bene...

: D va bene, basta. Scusate, è la gioia del tornare a scrivere per questa raccolta a cui voglio tanto bene.

Grazie a tutti i lettori e a Wrong and Write, insuperabile recensore.;)

 

 

  
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