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Autore: nettie    06/08/2015    2 recensioni
-Quanto zucchero?
-Due, grazie!
A quelle parole mi viene da sorridere, è incredibile il modo in cui ora dipende da me. Devo essere forte per entrambi, ma a volte sembra così difficile che mi verrebbe da mollare tutto. Ogni volta, l’amore ha sempre la meglio.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
- Questa storia fa parte della serie 'Storie brevi scritte in un lasso di tempo breve. '
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“No matter what she does: she can’t figure out what she’s doing wrong.”

 

La prima cosa a svegliarmi è il fastidioso trillo della sveglia che proprio non sopporto, e reprimendo l’istinto di scaraventarla giù dal comodino, mi alzo paziente sui gomiti e la spengo, mettendo fine a quel chiasso. Ancora frastornata a causa del risveglio così brusco, mi volto, e lo vedo. Lui è già seduto sul letto, accanto a me, le coperte che ancora gli coprono le gambe, il suo sguardo è assente, perso nel vuoto più assoluto. Uno spiraglio di luce attraversa la finestra ed illumina fiocamente la stanza passando per le serrande appena abbassate; una luce della quale lui non ha bisogno perché non può vedere, solo immaginare, ricordare.

 

-Sei sveglia?

 

-Sì.

 

Domanda, voltandosi verso il mio lato del letto come se ancora potesse scorgere la mia figura nel buio in cui è immerso. Io non tardo a rispondere e abbasso lo sguardo indisturbata, chiudendo gli occhi e sperando di tornare al sogno che stavo facendo. E’ pesante, è terribilmente pesante. La sua mano cerca lentamente la mia fra le coperte sfatte, e io lo aiuto ad intrecciare le mie dita alle sue con estrema delicatezza. Da quando è successo tutto sembra come se sia più delicato del normale, ho paura di fargli male quando lo tocco.

 

-Hai fame?

 

Un’unica e semplice domanda della quale so già la risposta. Porto una mano al suo volto e ne carezzo la pelle liscia, le guance velate da un po’ di barba che a dirla tutta pizzica al tatto. Gli occhi sono incredibilmente scuri, non sono mai cambiati di una virgola nel tempo nonostante abbiano perso ogni funzione. Nasconde quel nero così prezioso con le palpebre, lo vedo sospirare: il petto si abbassa e si alza in modo più evidente del solito.

 

-Non molta, tu?

 

Non ha fame, non ha mai mangiato come prima dopo l’accaduto. Gli da fastidio il fatto che qualcuno lo debba aiutare, gli da fastidio il fatto che non si sia ancora abituato al buio. E’ dimagrito molto, ma rimane ancora il mio uomo. Nei miei occhi c’è un velo di tristezza che non può vedere - e questa non posso far altro che considerarla una fortuna.

 

-Un po’. Vado a preparare un po’ di tè, mi aspetti qui?

 

La mia voce è quasi un flebile sussurro; mi sto trattenendo dal piangere e non è un’impresa facile. Nonostante lui non possa vedere i miei occhi gonfiarsi di lacrime, sa capire quando la sua amata è giù di morale. Succede quasi ogni mattina, con costante regolarità. E’ quell’angosciante abitudine che mi sta trascinando al manicomio.

 

Lo vedo annuire, allora capisco che vuole essere lasciato solo. Da quando tutto è successo, è diventato solito parlare di più per colmare il vuoto della vista, e quando non parla, vuol dire solo una cosa. Il silenzio in queste situazioni parla davvero molto di più delle parole.

Con fare spossato mi trascino fino alla cucina, ma prima di fare un’entrata completa controllo se le serrande siano abbassate o meno. Quando mi accerto che non c’è possibilità di vedermi dai polpacci in su, entro. Sono in intimo, e una volta ho scoperto il perverso vicino del balcone di fronte spiare alla mia finestra: non è stata una bella sensazione.

 

Prendo un bricchetto, mi affretto a riempirlo d’acqua e poi via, subito a bollire sul fornello. Mi siedo sulla sedia vicino al tavolo, e passo le mani fra i capelli. Non mi sono neanche specchiata, e non voglio sapere in che condizioni io sia realmente. Non lo voglio sapere, semplicemente perché lui non lo può vedere - che senso avrebbe quindi sistemarsi e farsi bella? Lui vuole che io continui ad essere la donna di sempre, io non ne vedo il motivo, non lo posso vedere e non lo voglio vedere, semplicemente perché voglio che sia solo lui a vedermi bella, e non può. Questa cosa mi sta logorando dentro, giorno dopo giorno. Sospiro pesantemente e mi mordo un labbro con fare distratto, alzo la testa al soffitto e faccio di tutto per non scoppiare in lacrime l’ennesima dannatissima volta, faccio di tutto per non farmi male ancora, non da sola, non più. Sono stanca.

 

Mi alzo, mi avvicino ai fornelli e l’acqua sta già bollendo. “Possibile che il tempo passi così in fretta?” Penso accigliata, contorcendo le labbra in una smorfia infastidita. Da quando è successo tutto, il tempo mi fa più paura del solito. Ho paura di perderlo, ho paura di spenderlo inutilmente, ho paura che lui col passare del tempo si scordi davvero com’era affondare i suoi occhi nei miei. Ho paura che come la vista, man mano se ne vada via anche l’amore, e allora lì non ci sarebbe davvero più motivo per vivere. Verso l’acqua bollente in due tazze facendo attenzione a non scottarmi, e in ognuna metto una bustina di tè. Mi chino e mi avvicino ad uno dei cassetti del bancone, lo apro, e ne estraggo un vassoio abbastanza grande per contenere entrambe le tazze e qualche biscotto. Nello stesso momento in cui mi rialzo, sento la sua voce non troppo profonda chiamare il mio nome dall’altra stanza.

 

-Amore, ci sei?

 

A quelle parole mi viene da sorridere, è incredibile il modo in cui ora dipende da me. Devo essere forte, lo devo essere per entrambi, ma a volte sembra così tragicamente difficile che mi verrebbe da mollare tutto e andarmene nella notte senza dire niente, lasciandolo solo al mattino seguente. Ogni volta, l’amore ha sempre la meglio.

 

-Sto arrivando!

 

Esclamo, cercando in tutti i modi possibili di fingermi serena, di fingermi tranquilla, solo per non trasmettergli quello stato d’angoscia in cui sto segretamente annegando. Mi domando se l’amore farà sparire anche questo, se riuscirà a salvarmi ancora una volta.

 

Dalla dispensa affianco il bancone da cucina prendo un pacco di biscotti, di quelli che piacciono ad entrambi, e lo poso sul vassoio. Poi, tolgo le bustine di tè dall’acqua, che nel frattempo ha assunto un colore e un sapore abbastanza invitante.

 

-Quanto zucchero?

Grido ancora, e attendo una sua risposta. Quest’ultima, per fortuna, non tarda ad arrivare.

 

-Due, grazie!

E due siano. Prendo il barattolo dello zucchero, e con un cucchiaino scintillante appena preso dal cassetto delle posate, verso due cucchiai di zucchero nella tazza del mio amato. Poi ne verso uno nella mia, e non mi rimane altro che girare lo zucchero in entrambe le tazze. Lui odia quando non è sciolto bene nel tè, lo so per certo perché l’ho sentito più volte lamentarsi.

 

Abbastanza soddisfatta di ciò che ho preparato prendo il vassoio fra le mani, e dopo aver stabilito un corretto equilibrio mi incammino verso la camera da letto, dove lui mi aspetta. Appena varco la soglia lo vedo lì, nella stessa posizione di prima, e rabbrividisco quando volge il volto verso di me, verso il rumore dei miei passi e verso il mio respiro. Tutto ciò non può far altro che farmi piegare le labbra in un’amara mezzaluna, Poggio il vassoio sul comodino dalla mia parte di letto, e mi accomodo accanto a lui. Lo vedo sorridere a sua volta, il suo sorriso è come quello dei bambini: talmente puro da farmi provare una gioia infinita tanto quanto effimera. E’ bello, terribilmente bello e fragile. Avvolge le mie spalle con un braccio in modo abbastanza esitante, e io non posso far altro che accoccolarmi contro il suo petto, alla ricerca di quel tipo di riposo che in tutto questo tempo non ho mai avuto. E’ amaro, tutto questo è amaro.

 

-Sento l’odore del tè.

 

Ridacchia, sembra sereno e contento, e ringrazio Dio che non può vedere la mia espressione spenta ed amareggiata. Porto una mano al suo viso e lo carezzo, il suo sorriso si allarga, e mentre mi accingo a scompigliare i suoi capelli con fare tenero, apro bocca a mia volta.

 

-Vuoi che ti porti la tazza?

 

Chiedo, e la luce nel suo sorriso si smorza immediatamente. Avrò forse detto qualcosa di sbagliato? Lo guardo con fare preoccupato e sento una morsa nello stomaco, ha chiuso gli occhi, e ora sta sospirando pesantemente. Provo come a chiamarlo per riportarlo alla realtà, vorrei chiedergli cosa c’è di sbagliato, vorrei pronunciare il suo nome, ma la voce mi si smorza in gola. Non faccio in tempo a far fuggire altre parole dalle mie labbra, che è lui a prendere parola.

 

-Scusa.

 

Prende parola, sì, pronunciando una delle parole che temo di più al mondo. Avrei voluto che questo momento non arrivasse mai più, ogni volta che chiede scusa è un pugnale nel petto, un pugnale che più di tanto non riesco a sopportare per la troppa intensità del dolore. Perché deve chiedere scusa? No, no, no. Faccio finta di non capire, faccio finta che quelle parole non mi abbiano toccato minimamente, faccio finta che non mi importi delle sue scuse ma non ci riesco, allora provo a consolarlo, provo a convincerlo che non ci sia assolutamente niente per cui scusarsi, perché .. beh, perché va tutto normale, è tutto in regola. Ma lui no, lui continua a parlare.

 

-Sono un peso. Lo so, sono un peso, non dirmelo. E’ brutto assistere un cieco .. è brutto, perché io dovrei fare l’uomo, e invece .. oh .. devo chiederti anche di passarmi una tazza, ti rendi conto? Perché? Perché mi stai ancora dietro -- ?

 

Queste parole urtano con violenza la mia sensibilità, ogni singola sillaba mi colpisce con forza al petto e l’anima trema, così come le mani. Non riesco a crederci, perché sta dicendo tutto questo? Non deve, e per evitare di fargli aggiungere altre cazzate, mi sbrigo a zittirlo con un bacio. Le mie labbra si posano sulle sue con fare forse un po’ troppo impulsivo, ma non ne potevo più di sentire tutte quelle assurdità. Sarò anche la donna più stanca di questo mondo, ma il mio uomo rimane il mio uomo, vedente o meno. So che passerà, so che tornerà di nuovo a vivere, deve solo abituarsi a convivere con questo nuovo stato. Siamo forti, ce l’abbiamo sempre fatta. Lui cerca il mio volto con le mani, carezza le mie guance, e non posso far altro che posare le mie mani sulle sue, guidandolo lentamente alla scoperta di un mondo tutto nuovo. Non può vedermi, ma può sempre toccarmi per non dimenticare com’è il mio volto, per non dimenticare com’è la donna che ama, che ama tanto. Quando rimaniamo senza fiato non ci resta altro che separarci, e io torno al suo fianco, con la testa sulla sua spalla. Lui, come da copione torna a cingermi le spalle con un braccio, e mi stringe con una forza inaudita che apprezzo particolarmente tanto, quella stretta che mi fa capire che sono ancora sua e che probabilmente lo sarò per sempre. C’è silenzio, tanto silenzio, fino a quando io non rompo il ghiaccio.

 

-Andrà tutto bene, io ti amo.

 

E sono le parole più vere e più sincere che io sia riuscita a dire, forse le uniche parole che stanno davvero aleggiando nella mia testa - le uniche che possono farlo sentire amato, accompagnate da un sorriso per lui buio e qualche gesto, una carezza sulla nuca. E rimaniamo lì, accoccolati l’un l’altra, stretti come se nessuno ci potesse veramente dividere. Sull’armadio dalle ante a specchio di fronte al nostro letto sono riflesse le nostre figure, e rimango a fissare il nostro riflesso in questo momento così delicato e particolare. Una lacrima solca il mio viso ma non lo faccio notare, è l’emozione di aver vissuto un quarto di vita insieme a lui, e quest’emozione mi fa capire che vivrò altrettanti anni insieme a quest’uomo magnifico. E mentre cerco di non versare altre lacrime lui aumenta la presa e mi sento protetta, esistiamo solo Noi, niente ha più importanza nei momenti come questi. Per il resto, il tè sarà buono anche freddo.


 
   
 
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