VI
PREVEGGENZA
Shiva ondeggiava la testa come stesse
ascoltando una musica immaginaria. Tolomeo lo seguì in
silenzio lungo le strade
in pietra e ciottoli.
“E così..”
borbottò il Dio indiano “..sei
un semidio..”.
“Non mi definirei proprio
così, comunque
sì. Anche se, come avete giustamente detto, la mia religione
è morta da tempo”.
“Sai perché la mia
è ancora viva, dopo
tanti millenni?”.
“No, Signore”.
“La morte del politeismo da voi
è stata
decretata dall’arrivo dei culti monoteisti, primo fra tutti
il cristianesimo.
Non chiedermi perché..per me non ha senso il monoteismo! Qui
si è tentato ma la
storia del Cristo è pressoché identica a quella
di Krishna quindi per la gente
non c’era nulla di nuovo”.
“Come possono esserci due storie
identiche
nate in luoghi così distanti?”.
“Le religioni sono tutte uguali, ragazzo.
Ed il Dio è sempre lo stesso, che si mostra in forme
diverse. Probabilmente
perché gli piace veder azzuffare la gente”.
“Questo è un discorso
complicato..”.
“Lo so. Specie per un ragazzino. Ad ogni
modo..quello è il tempio in cui devi entrare. Per me, non ti
aiuterà.
Insomma..non avrebbe senso che lo facesse! Scomodarsi per un essere di
una
religione morta che nessun beneficio può portare al
mondo..”.
“Non importa. È mio dovere di
figlio
tentare. Vostro figlio non lo farebbe?”.
“Mio figlio ha una testa
d’elefante perché
io gliel’ho staccata..non credo lo farebbe..però
buona fortuna!”.
Tolomeo fissò il Dio qualche istante,
non
sapendo bene che cosa dire. Poi annuì e si mosse: era tempo
finalmente di poter
parlare con qualcuno in grado di aiutarlo!
“Fratellino..qual buon vento?”
sorrise
Apollo, vedendo giungere Ares al suo tempio, a Delfi.
“E me lo chiedi?!”
sbottò il Dio della guerra
“Non sei forse tu il preveggente?!”.
“Non butto i miei poteri per scoprire che
ti frulla in quella testolina iraconda”.
“La verità è che
sei pigro!”.
“Ed il tuo amico chi
è?”.
“Marte. Non te lo ricordi?!”
“Come t’arza?”
salutò Marte ed Apollo alzò
un sopracciglio.
“Entrate..” borbottò
il Dio del sole “..e
ditemi che volete”.
“Ammazza che bbona..”
commentò Marte,
intravedendo una delle ancelle di Apollo.
“Sono delle vergini, datti una
calmata!”.
“Che spreco..”.
Il Dio del sole sospirò, mentre Marte
girava per il suo tempio toccando ogni cosa e facendo commenti impropri
sulle
pizie.
“Parla, Ares. Dimmi che vuoi e poi
sparite, razza di zotici..”.
“Come sei maleducato! Io mica ti chiamo
perdigiorno solo perché perdi tempo a fissare lucertole e
suonare..”.
“I tuoi insulti velati sono davvero
fastidiosi..”.
“Non so insultare velatamente. I miei
insulti sono qualcosa di peggio..”.
“Bene..ma ora dimmi che
c’è”.
“Mio nipote è sparito e vorrei
mi dicessi
dove sta. Più che vorrei..pretendo che tu me lo
dica!”.
“Fratellino, il mio potere non
è un libro
stampato. Io vedo quel che vedo e non sempre è quel che si
vuole”.
“Posso dire che me ne sbatto le palle?!
Tu
muoviti, lavora!”.
“Oh ma come sei scorbutico”.
“Oh ma come sei inutile!”.
“Smettila di offendere! Hai qualcosa del
ragazzo? Cercherò di aiutarti..”.
“Ho questo..”.
Ares porse ad Apollo una canotta indossata
da Tolomeo.
“Ma non ha una gemella? Il legame fra
loro
dovrebbe farli ritrovare..”.
“Lo pensavo pure io. Ma Ipazia non riesce
ad individuarlo”.
“Forse è nascosto da qualche
barriera
generata da divinità. Vedo che posso fare..”.
Camminando per l’ennesimo corridoio buio,
Tolomeo sbuffò. Era stanco di misteri e gente ignota.
Inoltre quella dannata
armatura sulle spalle iniziava a divenire davvero pesante..
“Lascia le tue vestigia in
terra” parlò
una voce femminile “..non ti serviranno”.
“Sono un cavaliere, non posso separarmi
dall’armatura, mi dispiace. Non la
indosserò..”.
Si udì un verso di protesta, forse
disprezzo, e Tolomeo si sentì trascinare in terra. Le sue
vestigia lo avevano
fatto cadere in ginocchio per il peso, di colpo ingestibile. Capendo
che la
divinità non voleva che l’armatura proseguisse,
Tolomeo se la tolse dalle
spalle e proseguì. Sapeva che era una cosa stupida,
perché così era piuttosto
scoperto ed indifeso, ma l’irruenza adolescenziale prese il
sopravvento.
Raggiunse finalmente una sala dove una donna sedeva su un trono
d’oro, con il
volto coperto da un velo dello stesso colore.
“Sei disposto ad esporti così
tanto pur di
raggiungere il tuo scopo, mortale?” parlò lei.
“Sono arrivato fino a qui. E poi so che
la
mia armatura comunque mi proteggerà, se sarà
necessario”.
“Io sono una Dea. Potrei mandarla in
frantumi in pochi istanti”.
“Non vedo perché dovreste
farlo. Non ho
intenzioni cattive..”.
“Questo lo devi dimostrare..”.
“In che modo?”.
“Lo vedrai. Io sono Maya, Signora del
Velo
delle Illusioni. E tu, chi sei?”.
“Mi chiamo Tolomeo. Sono un cavaliere
d’Atena”.
“Ma non è a nome di Atena che
sei qui..”.
“No..”.
“Spiegami allora..”.
“Non ci credo..sei già a
terra?!” si stupì
Deimos.
Phobos non rispose. Come sempre, stava
combattendo con il gemello, per mantenersi in allenamento e per passare
il
tempo, ma l’energia del fratello lo aveva sopraffatto,
facendolo finire con la
faccia contro il pavimento.
“Sei ubriaco?”
continuò Deimos,
ridacchiando.
“Sono distratto”
tentò di giustificarsi
Phobos, rialzandosi e scuotendosi dalla polvere.
“Ah sì, come no. Sono il tuo
gemello..non
puoi nascondermi certe cose!”.
“Quali cose?”.
“Il tuo potere..”.
“Non rompere, Deimos!”.
Scocciato, Phobos si allontanò. Il
gemello, scuotendo la testa, decise di ignorarlo e continuare ad
allenarsi con
Kanon, per nulla consenziente.
Tolomeo si scosse. Ma dov’era finito?!
Che
posto era quello?!
“Papà?”
domandò, intravedendo una figura
che camminava, allontanandosi.
Com’era possibile? Però,
forse..che la Dea
lo stesse aiutando?
“Papà! Aspetta!”
gridò, iniziando a
correre per raggiungerlo.
Tolomeo non si accorse che, ad ogni passo,
svaniva il paesaggio, lasciando spazio al bianco. Camminava nel nulla
quando
raggiunse il padre, afferrandolo per un braccio. Questi si
voltò e lo fissò,
con occhi vuoti.
“Sono Tolomeo” insistette il
ragazzo “Sono
tuo figlio! Voglio aiutarti”.
Il padre fissò ancora non si sa dove,
ben
lontano da Tolomeo. Il giovane lo scosse, chiamandolo ancora. Per
qualche
istante, parve riprendersi. Fissò il figlio con aria
interrogativa ed aprì
lievemente le labbra, come a voler parlare, ma non riuscì a
dire nulla.
Qualcuno, o qualcosa, stava separando i due. Tolomeo gridò e
si ritrovò in
terra, con la schiena contro il pavimento del tempio di Maya.
“Cos’è
successo?!” esclamò, alzandosi.
“Respira. Va tutto bene”
rispose,
lentamente, la Dea.
“Che cos’era quello?!
Un’illusione?!”.
“Sì e no. Volevo verificare
una cosa. Tuo
padre ha mostrato qualche attimo di lucidità, questo
significa che è possibile,
teoricamente, riportarlo al mondo reale. Dico teoricamente,
perché non ne sono
sicura”.
“Quello era realmente mio padre? Nella
sua
illusione?”.
“La mente di tuo padre è
contorta ed il
suo potere notevole. Sarebbe stato un Dio dalle notevoli
capacità..”.
“E non può più
esserlo?”.
“Forse..se si sveglia..”.
“Che devo fare?”.
“Sai che cos’è il
Velo delle Illusioni?”.
“No..” ammise Tolomeo.
“Il Velo è quel che io creo e
pongo
dinnanzi lo sguardo di molti. I mortali spesso desiderano ardentemente
ammantare lo sguardo con veli di falsità, di oscurare lo
sguardo e non
accettare la realtà. Quante persone vivono in
un’illusione? Un finto amore, una
finta amicizia, una finta felicità..l’illusione di
essere amati, importanti,
speciali..”.
“Non mi piacciono questi
discorsi..”.
“Tuo padre ha le stesse illusioni, solo
che da Dio queste sono amplificate”.
“E voi potete dissolverle?”.
“Forse..”.
“Forse?!”.
“Dovrei vederlo. Avvicinarmi. E comune
avrei bisogno dell’aiuto di chi ama”.
“Io posso aiutarvi. Posso accompagnarvi
da
lui e..”.
“Non so se una Dea come me debba alzarsi
per salvare una creatura che..”.
“Oh, andiamo! Ho fatto tantissima strada.
Alla fine, che mai vi costa provare?!”.
“Giovane cavaliere, non sempre le cose
vanno come desideriamo”.
“E se io vi costringessi a venire con
me?”.
“E come pensi di fare? Io sono una
Dea..”.
“Troverei un modo..”.
“Scusa, fratellino, se ledo la tua
privacy” ghignò Phobos “Ma almeno qui
nessuno mi rompe il cazzo”.
Accendendosi una sigaretta, il figlio
maggiore di Ares sedette in terra e guardò in su, verso la
teca dove il
fratello Arles era rinchiuso. Avvolto nel silenzio, riuscì
quasi a rilassarsi,
ascoltando in cuffia metal tedesco.
“Siamo tutti messi bene, eh? Forse
è ora
che gli Dei si estinguano..la gente non vuole più credere a
nulla. Però ha
paura, tanta paura. Riesco a percepirlo e mi piace..”.
Sorrise ancora ed espirò, creando una
piccola nuvoletta con il fumo.
“Mi sto ammazzando da solo..”
commentò
“Deimos ha ragione: il mio potere è diminuito e
non fa che continuare a
diminuire. E non posso fare niente per impedirlo, a quanto pare. Con un
occhio
soltanto e quella coltellata, sono divenuto l’ombra di me
stesso. Ma che lo
dico a fare a te, che sei sottovetro? Peccato. Secondo me io e te ci
saremmo
divertiti parecchio”.
Phobos si alzò e si avvicinò
alla teca.
Tocco con una mano la superficie lucida.
“Non credo che fosse tuo desiderio finire
così. I figli di Ares sognano sempre morti epiche, in
battaglia. Non in un
barattolone gigante di Ikor! Forse..dovrei fare in modo che tu possa
finalmente
morire..”.
Guardò il volto del fratello,
estremamente
pallido e con gli occhi chiusi. Con i lunghi capelli che fluttuavano
nell’ikor,
aveva un’espressione tranquilla. Phobos fece scorrere la mano
sul vetro.
“Fiero drago..non è questo il
posto adatto
e te..”.
Fece per colpire la teca quando
l’espressione di Arles mutò di colpo.
Spalancò gli occhi ed incrociò quelli del
fratello. Phobos sobbalzò ed indietreggiò di
qualche passo. Lo sguardo di
supplica dell’imprigionato lo lasciarono qualche istante
senza parole. Stava
forse cercando di parlare? Lo vide aprire la bocca ma poi Arles
ruotò gli occhi
verso l’alto e tornò a chiuderli, abbandonandosi
di nuovo ed addormentandosi.
“A..Arles?” lo
chiamò Phobos “Che è
successo? Che hai? AIUTO! Qualcuno venga qui! SUBITO!”.
Dopo un tempo che gli parve
un’eternità,
apparvero Athena seguita dal figlio.
“Che ti prende?”
domandò Athena,
infastidita dalla confusione inutile.
“Lui..ha aperto gli occhi!”.
“Lo fa spesso..”.
“No, questa volta era diverso. Mi ha
guardato. Non era il solito sguardo perso. Mi ha guardato,
capite?!”.
“Calmati. Te lo sei immaginato”.
“No, non è vero!
C’è qualcosa che..”.
“Non c’è niente! Ed
ora smettila. È la tua
mente che gioca brutti scherzi, viste le tue condizioni”.
“Quale condizioni?!”.
“Stai morendo, Phobos! E la paura sta
avendo il sopravvento su di te! Non lo vedi?”.
“Ma cosa c’entra questo
adesso?!”.
“Calmati..”.
Phobos ringhiò. Maledetta donna! Come la
odiava! L’aveva sempre odiata e non capiva che ci trovasse
suo padre di così
speciale.
“Phobos..fratello..stai bene?”
domandò il
giovane figlio delle divinità della guerra.
“Sto benissimo! Piuttosto,
perché non..”.
“Respira e vedrai che starai
meglio”.
“Io sto bene!”.
Phobos sbraitò l’ultima frase.
Odiava
essere trattato come un malato! E detestava sopra ogni cosa il fatto
che,
nonostante tentasse di incutere il terrore di sempre, quel suo occhio
malato lo
rendesse poco credibile.
“So quel che ho visto. Arles ha tentato
di
parlarmi!”.
“Arles è imprigionato nella
sua illusione”
cercò di calmarlo Athena “Non può
averti visto per davvero”.
“Mi stai dando del pazzo?!”.
“No, forse dello stressato..un
pochino..”.
Phobos iniziò a farfugliare, furibondo
ed
in preda ad una strana crisi isterica. Athena gli si
avvicinò, tentando di
toccarlo per calmarlo. Lui si scostò di colpo e poi gemette.
“Che succede?” si
allarmò la Dea.
“Stupido corpo..”
mormorò Phobos, con la
vista che si appannava.
“Phobos?” lo chiamò
il fratello minore e
questi perse i sensi.
“Tuo nipote..”
scandì lentamente Apollo,
concentrato su strane visioni “..sta affrontando un viaggio
più pericoloso di
quanto lui creda”.
“Che intendi?”
domandò Ares.
“Ha ancora molte prove da superare.
E..passerà
attraverso la clessidra..”.
“Ma che cazzo vuol dire?!”.
“La clessidra..il tempo..e la
luna..”.
“Sei un drogato?! Per caso ti sniffi roba
buona per avere le visioni?”.
“Le mie visioni non sono mai chiare, e tu
lo sai”.
“Ma che significano?!”.
“Non lo so”.
“Mio nipote tornerà a
casa?”.
“Sta già tornando ma..qualcosa
non gli
appartiene..”.
Tolomeo si mosse deciso verso il trono su
cui sedeva Maya. Non la raggiunse però, perché un
numeroso esercito entrò nella
stanza e lo attaccò. Richiamò a sé
l’armatura dei Gemelli ed iniziò ad
affrontarli. Poi si fermò e si girò verso la Dea.
“Sono illusioni”
parlò il ragazzo,
scattando rapido verso di lei.
In pochi istanti, riuscì a strapparle il
velo d’oro e saltare indietro. Lei spalancò gli
occhi. Nessuno aveva mai osato
tanto, nemmeno i componenti della trimurti!
“Come hai fatto?”
sussurrò.
“Gemini mi ha svelato che sono illusioni
e, una volta capita la tua tecnica, è stato facile
raggiungerti. Ora ho il tuo
velo e non puoi più usare strani giochetti con me. Se lo
rivuoi, dovrai venire
con me”.
“Sei ridicolo, moccioso. Io sono una Dea,
potrei spazzarti via con un dito..”.
Tolomeo rimase in silenzio, stringendo il
velo oro in una mano e risollevando l’elmo che gli cadeva
sugli occhi perché ancora
troppo largo.
“Tuttavia..” riprese lei
“..se l’unico
stato in grado di guardare il mio vero volto. Perciò voglio
premiarti. Verrò con
te e ti aiuterò. Se tu fossi stato un uomo, ti avrei donato
un altro tipo di
ricompensa, ma sei solo un bambino perciò..”.
“Eh?”.
“Sei troppo piccolo per
capire..”.
La bellissima Dea, vestita in strati composti
da ricami d’oro e trasparenze, si alzò e raggiunse
Tolomeo, allungando una mano
nel tentativo di farsi ridare quel che le apparteneva. Il cavaliere
scosse la
testa.
“Ho detto che vengo con te,
ragazzo..”.
“Lo so. Ma preferisco non fidarmi. Questo
velo
lo tengo io, finché la mia missione non sarà
compiuta”.
“Come preferisci..”.
La Dea scosse la testa e riprese a
camminare, questa volta verso l’uscita. Si voltò
verso Tolomeo, che era rimasto
fermo.
“Andiamo, cavaliere. Mostrami che altro
sai fare”.