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Autore: SagaFrirry    07/08/2015    1 recensioni
Seguito dell'Olympus Chapter, caricato qualche mese fa e che in principio non doveva avere un seguito. Visti però i numerosi fan (vi voglio bene, davvero) e le richieste..l'Olympus è tornato! Spero sia gradito a chi ha seguito il primo racconto. Inizia il viaggio alla ricerca del senno perduto di Arles!E ovviamente possiamo farci mancare una buona dose di nemici? Certo che no!
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Gemini Kanon, Gemini Saga, Gold Saints, Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Olympus Chapter'
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VI

 

PREVEGGENZA

 

Shiva ondeggiava la testa come stesse ascoltando una musica immaginaria. Tolomeo lo seguì in silenzio lungo le strade in pietra e ciottoli.

“E così..” borbottò il Dio indiano “..sei un semidio..”.

“Non mi definirei proprio così, comunque sì. Anche se, come avete giustamente detto, la mia religione è morta da tempo”.

“Sai perché la mia è ancora viva, dopo tanti millenni?”.

“No, Signore”.

“La morte del politeismo da voi è stata decretata dall’arrivo dei culti monoteisti, primo fra tutti il cristianesimo. Non chiedermi perché..per me non ha senso il monoteismo! Qui si è tentato ma la storia del Cristo è pressoché identica a quella di Krishna quindi per la gente non c’era nulla di nuovo”.

“Come possono esserci due storie identiche nate in luoghi così distanti?”.

“Le religioni sono tutte uguali, ragazzo. Ed il Dio è sempre lo stesso, che si mostra in forme diverse. Probabilmente perché gli piace veder azzuffare la gente”.

“Questo è un discorso complicato..”.

“Lo so. Specie per un ragazzino. Ad ogni modo..quello è il tempio in cui devi entrare. Per me, non ti aiuterà. Insomma..non avrebbe senso che lo facesse! Scomodarsi per un essere di una religione morta che nessun beneficio può portare al mondo..”.

“Non importa. È mio dovere di figlio tentare. Vostro figlio non lo farebbe?”.

“Mio figlio ha una testa d’elefante perché io gliel’ho staccata..non credo lo farebbe..però buona fortuna!”.

Tolomeo fissò il Dio qualche istante, non sapendo bene che cosa dire. Poi annuì e si mosse: era tempo finalmente di poter parlare con qualcuno in grado di aiutarlo!

 

“Fratellino..qual buon vento?” sorrise Apollo, vedendo giungere Ares al suo tempio, a Delfi.

“E me lo chiedi?!” sbottò il Dio della guerra “Non sei forse tu il preveggente?!”.

“Non butto i miei poteri per scoprire che ti frulla in quella testolina iraconda”.

“La verità è che sei pigro!”.

“Ed il tuo amico chi è?”.

“Marte. Non te lo ricordi?!”

“Come t’arza?” salutò Marte ed Apollo alzò un sopracciglio.

“Entrate..” borbottò il Dio del sole “..e ditemi che volete”.

“Ammazza che bbona..” commentò Marte, intravedendo una delle ancelle di Apollo.

“Sono delle vergini, datti una calmata!”.

“Che spreco..”.

Il Dio del sole sospirò, mentre Marte girava per il suo tempio toccando ogni cosa e facendo commenti impropri sulle pizie.

“Parla, Ares. Dimmi che vuoi e poi sparite, razza di zotici..”.

“Come sei maleducato! Io mica ti chiamo perdigiorno solo perché perdi tempo a fissare lucertole e suonare..”.

“I tuoi insulti velati sono davvero fastidiosi..”.

“Non so insultare velatamente. I miei insulti sono qualcosa di peggio..”.

“Bene..ma ora dimmi che c’è”.

“Mio nipote è sparito e vorrei mi dicessi dove sta. Più che vorrei..pretendo che tu me lo dica!”.

“Fratellino, il mio potere non è un libro stampato. Io vedo quel che vedo e non sempre è quel che si vuole”.

“Posso dire che me ne sbatto le palle?! Tu muoviti, lavora!”.

“Oh ma come sei scorbutico”.

“Oh ma come sei inutile!”.

“Smettila di offendere! Hai qualcosa del ragazzo? Cercherò di aiutarti..”.

“Ho questo..”.

Ares porse ad Apollo una canotta indossata da Tolomeo.

“Ma non ha una gemella? Il legame fra loro dovrebbe farli ritrovare..”.

“Lo pensavo pure io. Ma Ipazia non riesce ad individuarlo”.

“Forse è nascosto da qualche barriera generata da divinità. Vedo che posso fare..”.

 

Camminando per l’ennesimo corridoio buio, Tolomeo sbuffò. Era stanco di misteri e gente ignota. Inoltre quella dannata armatura sulle spalle iniziava a divenire davvero pesante..

“Lascia le tue vestigia in terra” parlò una voce femminile “..non ti serviranno”.

“Sono un cavaliere, non posso separarmi dall’armatura, mi dispiace. Non la indosserò..”.

Si udì un verso di protesta, forse disprezzo, e Tolomeo si sentì trascinare in terra. Le sue vestigia lo avevano fatto cadere in ginocchio per il peso, di colpo ingestibile. Capendo che la divinità non voleva che l’armatura proseguisse, Tolomeo se la tolse dalle spalle e proseguì. Sapeva che era una cosa stupida, perché così era piuttosto scoperto ed indifeso, ma l’irruenza adolescenziale prese il sopravvento. Raggiunse finalmente una sala dove una donna sedeva su un trono d’oro, con il volto coperto da un velo dello stesso colore.

“Sei disposto ad esporti così tanto pur di raggiungere il tuo scopo, mortale?” parlò lei.

“Sono arrivato fino a qui. E poi so che la mia armatura comunque mi proteggerà, se sarà necessario”.

“Io sono una Dea. Potrei mandarla in frantumi in pochi istanti”.

“Non vedo perché dovreste farlo. Non ho intenzioni cattive..”.

“Questo lo devi dimostrare..”.

“In che modo?”.

“Lo vedrai. Io sono Maya, Signora del Velo delle Illusioni. E tu, chi sei?”.

“Mi chiamo Tolomeo. Sono un cavaliere d’Atena”.

“Ma non è a nome di Atena che sei qui..”.

“No..”.

“Spiegami allora..”.

 

“Non ci credo..sei già a terra?!” si stupì Deimos.

Phobos non rispose. Come sempre, stava combattendo con il gemello, per mantenersi in allenamento e per passare il tempo, ma l’energia del fratello lo aveva sopraffatto, facendolo finire con la faccia contro il pavimento.

“Sei ubriaco?” continuò Deimos, ridacchiando.

“Sono distratto” tentò di giustificarsi Phobos, rialzandosi e scuotendosi dalla polvere.

“Ah sì, come no. Sono il tuo gemello..non puoi nascondermi certe cose!”.

“Quali cose?”.

“Il tuo potere..”.

“Non rompere, Deimos!”.

Scocciato, Phobos si allontanò. Il gemello, scuotendo la testa, decise di ignorarlo e continuare ad allenarsi  con Kanon, per nulla consenziente.

 

Tolomeo si scosse. Ma dov’era finito?! Che posto era quello?!

“Papà?” domandò, intravedendo una figura che camminava, allontanandosi.

Com’era possibile? Però, forse..che la Dea lo stesse aiutando?

“Papà! Aspetta!” gridò, iniziando a correre per raggiungerlo.

Tolomeo non si accorse che, ad ogni passo, svaniva il paesaggio, lasciando spazio al bianco. Camminava nel nulla quando raggiunse il padre, afferrandolo per un braccio. Questi si voltò e lo fissò, con occhi vuoti.

“Sono Tolomeo” insistette il ragazzo “Sono tuo figlio! Voglio aiutarti”.

Il padre fissò ancora non si sa dove, ben lontano da Tolomeo. Il giovane lo scosse, chiamandolo ancora. Per qualche istante, parve riprendersi. Fissò il figlio con aria interrogativa ed aprì lievemente le labbra, come a voler parlare, ma non riuscì a dire nulla. Qualcuno, o qualcosa, stava separando i due. Tolomeo gridò e si ritrovò in terra, con la schiena contro il pavimento del tempio di Maya.

“Cos’è successo?!” esclamò, alzandosi.

“Respira. Va tutto bene” rispose, lentamente, la Dea.

“Che cos’era quello?! Un’illusione?!”.

“Sì e no. Volevo verificare una cosa. Tuo padre ha mostrato qualche attimo di lucidità, questo significa che è possibile, teoricamente, riportarlo al mondo reale. Dico teoricamente, perché non ne sono sicura”.

“Quello era realmente mio padre? Nella sua illusione?”.

“La mente di tuo padre è contorta ed il suo potere notevole. Sarebbe stato un Dio dalle notevoli capacità..”.

“E non può più esserlo?”.

“Forse..se si sveglia..”.

“Che devo fare?”.

“Sai che cos’è il Velo delle Illusioni?”.

“No..” ammise Tolomeo.

“Il Velo è quel che io creo e pongo dinnanzi lo sguardo di molti. I mortali spesso desiderano ardentemente ammantare lo sguardo con veli di falsità, di oscurare lo sguardo e non accettare la realtà. Quante persone vivono in un’illusione? Un finto amore, una finta amicizia, una finta felicità..l’illusione di essere amati, importanti, speciali..”.

“Non mi piacciono questi discorsi..”.

“Tuo padre ha le stesse illusioni, solo che da Dio queste sono amplificate”.

“E voi potete dissolverle?”.

“Forse..”.

“Forse?!”.

“Dovrei vederlo. Avvicinarmi. E comune avrei bisogno dell’aiuto di chi ama”.

“Io posso aiutarvi. Posso accompagnarvi da lui e..”.

“Non so se una Dea come me debba alzarsi per salvare una creatura che..”.

“Oh, andiamo! Ho fatto tantissima strada. Alla fine, che mai vi costa provare?!”.

“Giovane cavaliere, non sempre le cose vanno come desideriamo”.

“E se io vi costringessi a venire con me?”.

“E come pensi di fare? Io sono una Dea..”.

“Troverei un modo..”.

 

“Scusa, fratellino, se ledo la tua privacy” ghignò Phobos “Ma almeno qui nessuno mi rompe il cazzo”.

Accendendosi una sigaretta, il figlio maggiore di Ares sedette in terra e guardò in su, verso la teca dove il fratello Arles era rinchiuso. Avvolto nel silenzio, riuscì quasi a rilassarsi, ascoltando in cuffia metal tedesco.

“Siamo tutti messi bene, eh? Forse è ora che gli Dei si estinguano..la gente non vuole più credere a nulla. Però ha paura, tanta paura. Riesco a percepirlo e mi piace..”.

Sorrise ancora ed espirò, creando una piccola nuvoletta con il fumo.

“Mi sto ammazzando da solo..” commentò “Deimos ha ragione: il mio potere è diminuito e non fa che continuare a diminuire. E non posso fare niente per impedirlo, a quanto pare. Con un occhio soltanto e quella coltellata, sono divenuto l’ombra di me stesso. Ma che lo dico a fare a te, che sei sottovetro? Peccato. Secondo me io e te ci saremmo divertiti parecchio”.

Phobos si alzò e si avvicinò alla teca. Tocco con una mano la superficie lucida.

“Non credo che fosse tuo desiderio finire così. I figli di Ares sognano sempre morti epiche, in battaglia. Non in un barattolone gigante di Ikor! Forse..dovrei fare in modo che tu possa finalmente morire..”.

Guardò il volto del fratello, estremamente pallido e con gli occhi chiusi. Con i lunghi capelli che fluttuavano nell’ikor, aveva un’espressione tranquilla. Phobos fece scorrere la mano sul vetro.

“Fiero drago..non è questo il posto adatto e te..”.

Fece per colpire la teca quando l’espressione di Arles mutò di colpo. Spalancò gli occhi ed incrociò quelli del fratello. Phobos sobbalzò ed indietreggiò di qualche passo. Lo sguardo di supplica dell’imprigionato lo lasciarono qualche istante senza parole. Stava forse cercando di parlare? Lo vide aprire la bocca ma poi Arles ruotò gli occhi verso l’alto e tornò a chiuderli, abbandonandosi di nuovo ed addormentandosi.

“A..Arles?” lo chiamò Phobos “Che è successo? Che hai? AIUTO! Qualcuno venga qui! SUBITO!”.

Dopo un tempo che gli parve un’eternità, apparvero Athena seguita dal figlio.

“Che ti prende?” domandò Athena, infastidita dalla confusione inutile.

“Lui..ha aperto gli occhi!”.

“Lo fa spesso..”.

“No, questa volta era diverso. Mi ha guardato. Non era il solito sguardo perso. Mi ha guardato, capite?!”.

“Calmati. Te lo sei immaginato”.

“No, non è vero! C’è qualcosa che..”.

“Non c’è niente! Ed ora smettila. È la tua mente che gioca brutti scherzi, viste le tue condizioni”.

“Quale condizioni?!”.

“Stai morendo, Phobos! E la paura sta avendo il sopravvento su di te! Non lo vedi?”.

“Ma cosa c’entra questo adesso?!”.

“Calmati..”.

Phobos ringhiò. Maledetta donna! Come la odiava! L’aveva sempre odiata e non capiva che ci trovasse suo padre di così speciale.

“Phobos..fratello..stai bene?” domandò il giovane figlio delle divinità della guerra.

“Sto benissimo! Piuttosto, perché non..”.

“Respira e vedrai che starai meglio”.

“Io sto bene!”.

Phobos sbraitò l’ultima frase. Odiava essere trattato come un malato! E detestava sopra ogni cosa il fatto che, nonostante tentasse di incutere il terrore di sempre, quel suo occhio malato lo rendesse poco credibile.

“So quel che ho visto. Arles ha tentato di parlarmi!”.

“Arles è imprigionato nella sua illusione” cercò di calmarlo Athena “Non può averti visto per davvero”.

“Mi stai dando del pazzo?!”.

“No, forse dello stressato..un pochino..”.

Phobos iniziò a farfugliare, furibondo ed in preda ad una strana crisi isterica. Athena gli si avvicinò, tentando di toccarlo per calmarlo. Lui si scostò di colpo e poi gemette.

“Che succede?” si allarmò la Dea.

“Stupido corpo..” mormorò Phobos, con la vista che si appannava.

“Phobos?” lo chiamò il fratello minore e questi perse i sensi.

 

“Tuo nipote..” scandì lentamente Apollo, concentrato su strane visioni “..sta affrontando un viaggio più pericoloso di quanto lui creda”.

“Che intendi?” domandò Ares.

“Ha ancora molte prove da superare. E..passerà attraverso la clessidra..”.

“Ma che cazzo vuol dire?!”.

“La clessidra..il tempo..e la luna..”.

“Sei un drogato?! Per caso ti sniffi roba buona per avere le visioni?”.

“Le mie visioni non sono mai chiare, e tu lo sai”.

“Ma che significano?!”.

“Non lo so”.

“Mio nipote tornerà a casa?”.

“Sta già tornando ma..qualcosa non gli appartiene..”.

 

Tolomeo si mosse deciso verso il trono su cui sedeva Maya. Non la raggiunse però, perché un numeroso esercito entrò nella stanza e lo attaccò. Richiamò a sé l’armatura dei Gemelli ed iniziò ad affrontarli. Poi si fermò e si girò verso la Dea.

“Sono illusioni” parlò il ragazzo, scattando rapido verso di lei.

In pochi istanti, riuscì a strapparle il velo d’oro e saltare indietro. Lei spalancò gli occhi. Nessuno aveva mai osato tanto, nemmeno i componenti della trimurti!

“Come hai fatto?” sussurrò.

“Gemini mi ha svelato che sono illusioni e, una volta capita la tua tecnica, è stato facile raggiungerti. Ora ho il tuo velo e non puoi più usare strani giochetti con me. Se lo rivuoi, dovrai venire con me”.

“Sei ridicolo, moccioso. Io sono una Dea, potrei spazzarti via con un dito..”.

Tolomeo rimase in silenzio, stringendo il velo oro in una mano e risollevando l’elmo che gli cadeva sugli occhi perché ancora troppo largo.

“Tuttavia..” riprese lei “..se l’unico stato in grado di guardare il mio vero volto. Perciò voglio premiarti. Verrò con te e ti aiuterò. Se tu fossi stato un uomo, ti avrei donato un altro tipo di ricompensa, ma sei solo un bambino perciò..”.

“Eh?”.

“Sei troppo piccolo per capire..”.

La bellissima Dea, vestita in strati composti da ricami d’oro e trasparenze, si alzò e raggiunse Tolomeo, allungando una mano nel tentativo di farsi ridare quel che le apparteneva. Il cavaliere scosse la testa.

“Ho detto che vengo con te, ragazzo..”.

“Lo so. Ma preferisco non fidarmi. Questo velo lo tengo io, finché la mia missione non sarà compiuta”.

“Come preferisci..”.

La Dea scosse la testa e riprese a camminare, questa volta verso l’uscita. Si voltò verso Tolomeo, che era rimasto fermo.

“Andiamo, cavaliere. Mostrami che altro sai fare”.

   
 
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