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Autore: Tury    07/08/2015    3 recensioni
“No.”
Emma Swan era abituata alle titubanze, le apprensioni e le paure dei suoi pazienti. Ma mai, prima di allora, si era imbattuta in una tale ferrea decisione, racchiusa in un’unica sillaba.
Si tolse gli occhiali dalla montatura nera e si passò due dita ai lati del naso con fare stanco, esattamente dove svettavano i segni lasciati dagli occhiali.
“Signora Mills, sarò sincera, questa è la sua unica possibilità di salvezza.”
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CAPITOLI
1-Incontri
2-Regali
3-Di promesse fragili come ali di farfalla
4-AVVISO!
5-Il mio nome è Regina
6-Pirati
7-Tenebre di luce
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Emma Swan, Regina Mills
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Erano le 9.59, quando Regina giunse fuori la porta dello studio della dottoressa Swan. Stava per alzare la mano, pronta a posarla sulla maniglia, quando la porta si aprì dinanzi ai suoi occhi. Appoggiata allo stipite, in una posa palesemente teatrale, Emma guardava l’orologio che portava sul polso.
«Le dieci in punto. Più precisa di un orologio svizzero, signora Mills» disse Emma, guardando la donna con un sorriso sornione.
Regina incrociò le braccia al petto e alzò un sopracciglio, sfoggiando nuovamente la sua espressione più seria e composta.
«Mi stavi aspettando?»
«Ovviamente» sorrise la dottoressa.
«Dietro la porta?»
«Dove avrei dovuto aspettarti?»
«L’hai fatto apposta».
Emma le rivolse uno sguardo fintamente innocente, mentre sul suo viso andava allargandosi un sorriso colpevole.
«Non so di cosa lei stia parlando, signora Mills».
«Sto parlando del fatto che lei mi abbia deliberatamente e palesemente atteso dietro la porta per poter, nella prima e unica volta nella sua vita, dottoressa Swan, essere più puntuale della sottoscritta» rispose Regina, gli occhi leggermente socchiusi.
Emma si lasciò andare ad una risata, prima di farsi da parte per lasciar entrare la donna, che la superò con un sospiro frustrato.
«Visto che quando voglio so essere puntuale? Migliore anche dell’orologio svizzero fatto persona».
«Solo perché sono le 10, Emma -rispose Regina, andandosi a sedere sulla sedia posta di fronte la scrivania, azione che ormai era entrata a far parte della sua quotidianità -Fissiamo un appuntamento alle 6 del mattino e vediamo chi sarà la ritardataria».
«Attenta, ti ricordo che sono la dottoressa dalle sfide impossibili, io» rispose Emma, prendendo posto di fronte alla donna.
Regina scosse leggermente il capo, lasciandosi andare ad una lieve risata, prima di riportare il suo sguardo sulla giovane dottoressa, lasciando che i suoi occhi si posassero sul foulard che ancora avvolgeva delicatamente il capo di Emma. A quella vista, un’espressione di assoluta tristezza si dipinse sul suo volto, mentre prendeva atto, nuovamente, del significato che si celava dietro quell’ornamento di tessuto. Rinuncia. Emma Swan era stata costretta a rinunciare ai suoi capelli, quei capelli fatti crescere con tanta cura, per poterla salvare. E, se non si fosse fermata in tempo, se non avesse deciso di dare una possibilità a quella giovane dottoressa, probabilmente i capelli non sarebbero stati l’unica cosa a cui avrebbe dovuto rinunciare. Se lei, Regina Mills, non si fosse fermata in tempo, se avesse deciso di denunciare Emma per quel pugno che segnò il loro primo incontro, la dottoressa Swan avrebbe perso il titolo di oncologa ancor prima che questo gli venisse conferito. Avrebbe dovuto rinunciare al suo sogno, un sogno per cui combatteva da tutta una vita. E il mondo avrebbe dovuto rinunciare ad un grande medico. E tutto, a causa della sua cecità.
Regina si portò una mano davanti agli occhi, come a volersi privare realmente della vista, per poter allontanare quei demoni che, in quel momento, si agitavano dentro di lei.
«Regina?- la richiamò Emma, notando quel comportamento insolito- Va tutto bene?»
La donna spostò la mano, puntando nuovamente il suo sguardo in quello verde della giovane dottoressa. Restò qualche secondo a fissare quelle iridi chiare, velate, in quel momento, di una lieve preoccupazione.
«Perché, pur vedendo, a volte tendiamo ad essere così ciechi?» chiese semplicemente Regina, ignorando la domanda che le era stata posta.
Emma sorrise, sistemandosi meglio sulla sedia, prima di rispondere.
«Forse proprio perché vediamo».
«Che intendi?»
«I vedenti peccano quasi sempre di superficialità, Regina. Per noi, vedere è estremamente semplice, a tal punto da dimenticare cosa si celi realmente dietro l’atto di guardare. Così, tendiamo solitamente a fermarci alle apparenze, saziandoci di ciò che ci è più immediato, illudendoci di conoscere e, di conseguenza, apprezzare ciò che ci circonda. Dal mio punto di vista, trovo che i vedenti siano i veri ciechi di questa società. Per una persona a cui è stata privata la vista, conoscere qualcosa sottintende un desiderio di fondo. Per me, apprezzare un fiore è semplice, basta vederlo, per loro, è tutto più complesso. Devono valutarne il profumo, la delicatezza dei petali, la fragilità dello stelo. Devono desiderarlo, devono esserci dentro con il loro corpo e la loro essenza. Ed è per questo che noi, pur vedendo, non vediamo affatto. Abbiamo dimenticato cosa significa guardare negli occhi una persona e scorgerci dentro la sua anima. Semplicemente, ci limitiamo a guardare, senza vedere realmente».
«Già, penso tu abbia ragione» rispose semplicemente la donna, portandosi entrambi le mani al volto, con un gesto che sembrava dettato dalla stanchezza, ma che in realtà nascondeva una profonda tristezza. Tristezza che non passò inosservata alla giovane dottoressa.
«Regina, che succede?»
Regina abbassò nuovamente le mani, tornando a guardare Emma negli occhi, perdendosi nuovamente in quello sguardo, cercando in quelle iridi chiare la luce che le avrebbe permesso di poter tornare a vedere, che l’avrebbe salvata da quell’oscurità in cui, semplicemente, vagava da tempo immemore.
«Credo di doverti delle scuse, Emma».
Emma si irrigidì sulla sedia a quelle parole, non comprendendo il motivo per cui Regina avesse sentito l’esigenza di pronunciarle.
«Regina-»
«No, Emma. Lasciami parlare, per favore».
Emma annuì, semplicemente, e Regina poté vedere i suoi occhi velarsi di una malcelata preoccupazione.
«Avresti potuto perdere tutto, a causa mia e della mia stupidità».
Regina si fermò un attimo, cercando le parole giuste per continuare, il suo sguardo perennemente legato a quello della giovane dottoressa, come se cercasse in lei la forza per proseguire.
Ed Emma non le fece alcun tipo di pressione, non approfittò mai di quella sua pausa. Semplicemente, attese, perché Emma era nata con una dote rara. Emma era nata con il dono di saper ascoltare anche i silenzi delle persone.
«Io ero… sono una persona molto legata alle regole. Sono quel tipo di persona che deve avere sempre tutto sotto controllo, quel tipo di persona che deve sempre esercitare un’ascendente sugli altri. Ho vissuto con la convinzione che le mie scelte fosse insindacabili, perfette nella loro concezione, impeccabili nella loro attuazione. E non mi accorgevo di quanta presunzione si celasse dietro le mie parole, dietro i miei gesti, dentro di me. Ed è stato a causa di questa presunzione, di quel controllo maniacale, che io ho avuto paura quando ti ho incontrata. Perché tu sei stata la prima persona che sia riuscita a tenermi testa, che non si sia lasciata intimidire. Hai una forza incredibile, Emma. Sei una persona incredibile e io non so se tu sia consapevole di questo, ma è così. Ed io, a causa del mio ego, della mia superficialità e della mia superbia, stavo per distruggere quella forza, stavo per distruggere te. A causa della mia cecità, del mio essere così presuntuosa, del mio credermi invincibile e capace di fare a meno dell’aiuto degli altri, io avrei potuto distruggere il tuo sogno, un sogno per cui lottavi da una vita. Io… mi dispiace, Emma. Davvero. Ho provato a non pensarci, per tutto questo tempo, ma era diventato un peso insostenibile».
Emma aveva ascoltato quello sfogo in un religioso silenzio, senza mai distogliere lo sguardo dalla donna che le sedeva di fronte. Quando Regina ebbe concluso il suo discorso, sul viso della giovane dottoressa si fece spazio uno dei suoi sorrisi più dolci, sorriso che Regina non poteva vedere, dal momento che aveva distolto lo sguardo. L’aveva guardata, per tutto il tempo di quella confessione. Emma doveva guardarla negli occhi e leggervi la sincerità delle sue parole. Ma quando era giunta alla fine, quando aveva concluso quella difficile confessione, non era riuscita a resistere e così aveva abbassato la testa, incapace di sostenere oltre quello sguardo, perché temeva ciò che avrebbe potuto leggere in fondo a quelle iridi chiare. Temeva di ritrovarvi disprezzo, astio e perfino odio. Tutti sentimenti che l’avevano accompagnata in quei suoi ultimi anni. Tutti sentimenti che portava dolorosamente addosso, come pesanti catene che la legavano indissolubilmente a quel passato di sbagli, rimorsi e rimpianti. Un passato che avrebbe voluto solo tener lontano. Un passato che avrebbe preferito dimenticare, forse per sempre.
«Regina- la chiamò dolcemente Emma, senza mai perdere il suo sorriso- Regina, per favore, guardami».
E Regina fece quanto le fu chiesto, portando nuovamente i suoi occhi a specchiarsi in quelli di Emma, potendo finalmente vedere il sorriso radioso che illuminava il suo viso.
«Tu sei qui» disse semplicemente Emma.
Regina le sorrise, nell’udire quelle tre semplici parole. Entrambe sapevano che non c’era bisogno di aggiungere altro. Regina era lì, su quella sedia. Il che significava che aveva messo da parte le sue paure, il suo perfezionismo, la sua mania di controllo. Aveva lasciato che le sue barriere cadessero, poco alla volta. E aveva permesso a qualcuno di aiutarla, per la prima volta nella sua vita.
Ma Regina sentiva che, per quanto Emma tentasse di rassicurarla, lei non meritava la sua clemenza.
«Emma-»
«No, Regina, ascoltami tu adesso. Quando sei entrata da quella porta, la prima volta, sapevo che sarebbe stato difficile provare a convincerti, provare ad aiutarti. La tua persona esprimeva tutta la forza e l’autorità che ti contraddistinguono. Sapevo a cosa andavo incontro, quando ti ho colpita con quel pugno, sapevo i rischi che correvo. Potevo perdere quanto avevo fatto, veder sfumare, dinanzi ai miei occhi, i sacrifici di una vita. Ma se non l’avessi fatto, Regina, se non mi fossi messa in gioco, avrei perso ancora di più. Avrei certamente messo al riparo la mia non ancora avviata carriera di oncologa, ma avrei perso me stessa, avrei perso ciò in cui credevo, la motivazione che mi spinge ad agire. Sarei divenuta un’anomia macchia bianca vagante per i corridoi di un ospedale, priva ormai di qualsiasi cosa, anche del semplice motivo di esistere, di esserci. Quindi non dispiacerti per ciò che avresti potuto fare, perché tu sei qui, adesso, e la tua presenza, il nostro incontro, mi ha donato tanto, più di ciò di cui avrebbe potuto privarmi. Hai rafforzato in me l’idea di voler combattere proprio quelle battaglie che altri reputano impossibili, mi hai donato una nuova forza, mi hai permesso di riscoprirmi ancora. E non scusarti per azioni che non hai commesso. Anzi, dovrei essere io a scusarmi, per non averti ringraziato per tutto questo tempo».
«Ringraziarmi? Perché?» chiese Regina, palesemente confusa.
«Perché tu mi hai fatto un dono di inestimabile valore, Regina. Mi hai permesso di esserti amica».
Regina si irrigidì, nell’udire quelle parole, mentre sul suo volto andava dipingendosi un’espressione di pura sorpresa. Quella singola parola aveva occupato ogni angolo della sua mente, riempito ogni anfratto della sua anima, al punto tale da estraniarla dal mondo che la circondava, da quei rumori che, improvvisamente, avevano spezzato il silenzio di quella stanza. Da quella vita che la circondava e di cui ancora non aveva preso coscienza, finché una mano non si posò sul suo ginocchio.
Gli occhi di Regina, fino a quel momento rimasti a fissare il vuoto, si mossero istintivamente verso il basso, incontrando quelli grandi ed innocenti della piccola Star.
«Gina? Va tutto bene?»
Regina rimase ancora qualche secondo a guardare quegli occhi, prima di sollevare lo sguardo e puntarlo nuovamente su Emma, in piedi di fronte a lei, con il piccolo Tiger tra le braccia, mentre Falco e Luna si trovavano, rispettivamente, alla destra e alla sinistra della donna. Sul viso della dottoressa, splendeva un sorriso nuovo, un sorriso consapevole e infinitamente dolce. Il suo sguardo più luminoso, custode di una tacita promessa e di infinta gratitudine.
Regina non riuscì a fare a meno di sorridere a quella vista, per poi riportare nuovamente il suo sguardo sulla piccola Star.
«Va tutto bene, tesoro. Tu, invece, come stai?»
«Benissimissimo, Gina!» rispose Star, con un enorme sorriso.
La donna rise alla risposta della piccola, prima di volgere lo sguardo sugli altri bambini.
«Emma, ieri, mi ha detto che avreste voluto vedermi. C’è qualcosa di cui volete parlarmi?»
«Ovviamente!» rispose Tiger, scendendo dalle braccia di Emma ed avvicinandosi ai suoi amici.
«Ti vogliamo come nostro vicecapitano, Regina» rispose prontamente Falco.
«Credevo di esserlo già».
«Non è così semplice entrare a far parte della nostra ciurma, Regina. Ed è ancora più difficile diventare vicecapitano. C’è una sfida da superare» disse Luna, parlando per la prima volta.
«Una sfida?» chiese Regina, non comprendendo.
«Dovrai batterti con il nostro capitano, Emma» rispose Tiger, indicando la giovane dottoressa, in piedi alle sue spalle.
Regina guardò Emma, che in quel momento le stava rivolgendo un sorriso divertito.
«Dovrei battermi con te?»
«Paura, Regina?»
«Assolutamente no» rispose la donna, restituendole un sorriso di sfida.
«E fu così che Emma le prese ancora una volta» disse una voce alle spalle di Regina.
La donna si voltò e solo in quel momento si rese conto della presenza della donna dai lunghi capelli corvini, intervallati da ciocche rosse.
«Salve. Scusi la mia maleducazione ma-»
«Ma non mi aveva notato, lo so. Allora, signora Mills, è pronta ad accettare la sfida?- chiese Ruby, porgendole una delle due spade giocattolo che stringeva in mano- Guardi che io punto su di lei».
«E tu dovresti essere la mia migliore amica, vero, Ruby?» chiese Emma, sfoggiando un’espressione fintamente risentita, facendo ridere tutti.
«In tempi di crisi, è bene seguire il vento, mia cara. E chi meglio di te, mio capitano, dovrebbe comprendere le mie parole?»
«Traditrice» disse semplicemente Emma, avvicinandosi alla ragazza e dandole un pugno scherzoso sulla spalla, prima di prendere la spada e voltarsi verso Regina, in una tacita richiesta.
«Prego?- chiese Regina, sentendo addosso gli sguardi di entrambe le ragazze- Volete davvero che io mi batta contro Emma?»
«Sì» risposero i quattro bambini in coro.
Regina spostò il suo sguardo confuso su di loro, per poi tornare a posarlo su Emma.
«Puoi sempre arrenderti» disse semplicemente la dottoressa, iniziando a maneggiare la spada.
«Ovviamente no, signora Mills. La prego, lei è la nostra unica salvezza. Ci aiuti a distruggere l’ego smisurato di questa donna!» esclamò prontamente Ruby, in tono melodrammatico, facendo scoppiare a ridere la donna.
«Se la mette su questo piano, non posso certo rifiutare- rispose Regina, alzandosi e prendendo a sua volta la spada dalle mani della ragazza- Allora, capitano, è pronta a perdere?»
«Sarai tu a perdere, Regina» rispose Emma, mettendosi in posizione.
«Lo vedremo» rispose semplicemente Regina, prendendo anche lei la posizione di guardia.
Un sorriso si allargò sul volto della giovane dottoressa nel notare che la donna aveva portato lievemente avanti la gamba controlaterale al braccio che impugnava la spada, non cadendo nell’errore comune, facendo avanzare il piede che corrispondeva al lato del braccio portante.
«Bene, ragazzi-sussurrò Ruby ai quattro bambini che osservavano le due donne studiarsi in silenzio, impazienti di vederle in azione- Che ne dite se spostiamo la scrivania così da dar loro più spazio? E poi ci sediamo sopra, così vediamo meglio».
I bambini annuirono, senza proferir parola, come timorosi di rompere quel silenzio carico di tensione che si era venuto a creare tra le due.
Emma e Regina continuarono ad osservarsi, nonostante il movimento e il rumore che le circondava.
Nei loro occhi brillava la stessa luce, bruciante testimone di quel loro passato così diverso eppure così affine. Un passato fatto di dolore, sofferenza, sfide, rinunce e sconfitte. Ma anche di sogni, speranze, rivincite e conquiste. E di forza, una forza che, in quel momento, brillava in fondo a quegli occhi così diversi e complementari. La forza che non avrebbe mai permesso loro di arrendersi.
Quando il silenzio calò nuovamente nella piccola stanza, la battaglia ebbe finalmente inizio. Regina si districò subito in una serie di fendenti, tutti prontamente parati da Emma. Nonostante sapessero che si trattava semplicemente di un gioco per divertire i bambini, entrambe non lesinarono colpi e tenacia nel loro scontro, cercando sempre di superare la difesa dell’altra, in modo da decretare la vittoria.
Ruby, esattamente come i piccoli pirati, seguiva estasiata lo scambio di colpi. Precedentemente, aveva dato la sua benedizione a Regina, scommettendo su di lei per puro dispetto nei confronti dell’amica, non credendo realmente che, in fondo, quella donna sarebbe riuscita a tener testa ad Emma. Non molti lo sapevano, in quell’ospedale, ma da giovane, Emma si era cimentata nell’arte del combattimento con spada, divenendo una delle migliori spadaccine del suo corso, superando quasi il suo maestro, David Nolan. Per questo, sul volto di Ruby non vi era posto per altra emozione se non la sorpresa, nel vedere Regina contrastare in maniera così abile la sua amica.
Lo scontro andò avanti per una serie di minuti, finché Regina non rese i suoi colpi più veloci e precisi, costringendo Emma ad indietreggiare sempre di più. Avendola ormai messa in difficoltà, Regina decise di porre fine a quella sfida, sferrando un ultimo fendente contro l’altra. Emma, per evitare il colpo, si spostò bruscamente alla sua sinistra, andando ad urtare violentemente contro la libreria di metallo.
Il silenzio calò nella stanza, rotto solo dai sospiri sommessi e doloranti di Emma, seduta ai piedi della libreria, con una mano premuta sulla tempia che, lentamente, si stava macchiando di sangue.
Dopo un attimo di esitazione, Ruby scese dalla scrivania e corse dall’amica, per accertarsi che stesse bene.
Regina era rimasta immobile, la spada ancora stretta in mano, lo sguardo fisso su Emma e su quella piccola ferita che continuava a sanguinare, incapace di muoversi. Solo quando la giovane dottoressa rivolse il suo sguardo su di lei, Regina si sbloccò da quell’apparente immobilità, lasciando cadere la spada e avvicinandosi lentamente.
«Io te l’ho detto che te le dava di santa ragione» esclamò Ruby, non riuscendo a nascondere il suo sorriso divertito.
«Ruby!- esclamò fintamente risentita Emma- Stai perdendo la tua migliore amica per dissanguamento!»
«Non farla così catastrofica, idiota! Ti ho vista in condizioni peggiori».
Le due ragazze risero, complici, mentre sprazzi del loro passato si facevano largo nelle loro menti.
«Mi dispiace, Emma».
Fu solo un sussurro, ma fu abbastanza per far smettere all’istante alle due di ridere, facendole voltare verso la donna.
Regina teneva lo sguardo basso, sul viso un’espressione colpevole, che Emma riteneva stonasse altamente in quella situazione, ma, soprattutto, che stonasse sul viso di Regina Mills. La giovane dottoressa rivolse uno sguardo a Ruby, che subito comprese la tacita richiesta dell’amica. Così, si alzò, avvicinandosi ai bambini e sussurrando loro che era ora di andare. I piccoli compresero subito l’importanza di quel momento, il lasciare alle due donne il loro spazio per parlare. Nonostante la giovane età, portavano dentro una maturità che, molto spesso, era capace di sconvolgere anche il più cinico degli adulti.
«Comunque è stato uno scontro epico» sussurrò Tiger, prima di uscire.
«Hai ragione, piccoletto» rispose Ruby, chiudendo la porta, non prima di aver guardato un’ultima volta le due donne.
Quando la porta si chiuse, Emma si sistemò meglio contro la libreria.
«Regina, puoi sederti vicino a me?» chiese, dolcemente.
La donna fece quanto le fu chiesto, continuando a tenere lo sguardo basso.
«Guardami- le chiese la dottoressa, notando l’ostinazione dell’altra, continuando a parlare solo quando i suoi occhi si immersero in quelli castani della donna- È solo un graffio».
«Doveva essere un gioco».
«Ci siamo divertite- rispose Emma, con un enorme sorriso- E abbiamo fatto divertire loro. Dov’è il problema?»
«Non c’era bisogno di arrivare a tanto. Io davvero non volevo farti del male».
Emma si lasciò andare ad una lieve risata, prima di puntare il suo sguardo nuovamente in quello di Regina.
«Però direi che ne è valsa la pena- disse, rialzandosi, sotto lo sguardo confuso della donna- Dopotutto, con te ne vale sempre la pena. Anche farsi male».
Regina si alzò a sua volta, osservando la schiena di Emma, mentre quest’ultima riordinava il piccolo studio.
«Cosa intendi, Emma?» chiese Regina, facendola fermare.
«Mi piace quella luce che brilla nei tuoi occhi. Mi piace la forza che metti in tutto ciò che fai, il modo in cui rispondi ad ogni sfida e ad ogni avversità. Non è una luce che solitamente fai scorgere a chi ti guarda, anzi, il più delle volte è sopita in fondo al tuo sguardo. La vidi la prima volta quando ti colpii con quel famoso pugno e l’ho rivista adesso. È stata quella luce a spingermi a provare, Regina, a spingermi a credere che tu, in realtà, volevi essere salvata. E se per poter vedere ancora quella luce dovrò farmi ancora male, allora va bene così. Potrò sempre dire che ne sarà valsa la pena».
Quando ebbe finito di parlare, Emma continuò a mantenere il suo sguardo in quello di Regina. Sapeva con certezza che il loro comunicare non era legato solo a fragili suoni, che si disperdevano nel silenzio del vuoto. Emma era fortemente convinta che le anime delle persone fossero connesse le une alle altre, in comunicazioni del tutto irrazionali e inspiegabili, come dendriti di un neurone. Ed era certa che il canale di comunicazione dell’anima fossero gli occhi.
Regina si prese il suo tempo per assimilare quelle parole, senza mai distogliere lo sguardo, lasciando che Emma leggesse nei suoi occhi la verità di quel momento.
«Perché quando prendi in braccio Tiger, lo tieni sempre lontano da te?» chiese infine, veicolando il discorso su un altro argomento.
Emma sorrise.
«Ero certa che te ne fossi accorta. Tutti i bambini che hai visto portano un cateterino. Si tratta di un catetere venoso centrale, in gergo medico. Significa che, a differenza degli altri che solitamente sono applicati alle vene del braccio, quest’ultimo è applicato alla succlavia e non viene mai rimosso. È per non sottoporli continuamente all’incannulazione e per garantirci una porta d’accesso sempre pulita, quando dobbiamo somministrare i farmaci».
«Che tipo di farmaci?» chiese Regina, anche se poteva già immaginare la risposta.
«I chemioterapici».
Regina chiuse per un momento gli occhi, per poi riaprirli subito dopo.
«Credo non mi ci abituerò mai».
«Con loro, è difficile abituarsi. Ma forse è anche un bene, la mancanza di abitudine ci spinge a voler trovare una soluzione efficace».
«Già, credo sia così» rispose Regina, per poi guardarsi intorno.
Una volta individuato l’armadietto con i medicinali, vi si diresse, aprendolo e prendendo un cerotto, del cotone e del disinfettante. Quando si voltò verso Emma, non riuscì ad impedirsi un sorriso, nel vedere l’espressione sorpresa della donna.
«Regina? Che hai intenzione di-» si interruppe con un sibilo, appena Regina posò il cotone imbevuto sulla ferita.
«Fai la buona, Emma».
«Va bene, mamma» la canzonò la dottoressa, mentre aspettava che la donna finisse di pulirle la ferita e la medicasse.
«Quindi mi stai dicendo che dovrò andare in giro in ospedale con un cerotto sulla fronte?»
«Ringrazia la tua idiozia per ciò» rispose Regina, buttando il cotone e la carta del cerotto.
«Tu mi hai colpita!»
«Oh no, cara. Io stavo per colpirti, tu hai schivato e sei andata a sbattere contro la libreria. Hai fatto tutto da sola».
Emma sembrò in procinto di ribattere, ma quando si rese conto della verità delle parole di Regina, rimase in silenzio.
«Visto? In ogni caso, è ora che io vada» disse la donna.
Emma annuì, prima di fermarla.
«Solo una cosa, dove hai imparato a duellare così bene?»
«Merito di mio padre. Da piccola, mi ha insegnato sia a montare a cavallo che a maneggiare una spada».
«Quindi abbiamo una piccola amazzone tra di noi. Quale onore!»
«Faccia poco la spiritosa, dottoressa Swan. Le ricordo che ha perso e quel bel cerotto sulla sua fronte farà in modo che questa mia vittoria sia resa nota a tutto l’ospedale».
Emma sorrise, portandosi una mano dietro la nuca.
«Mi sa che hai ragione» rispose, chiudendo un occhio.
Regina rise nel vedere la ragazza assumere quell’espressione così fanciullesca e innocente, dopodiché si diresse verso la porta. Poggiò la mano sulla maniglia ma, prima di uscire, si volse un’ultima volta verso Emma.
«Anche io sono felice»
Emma le riservò uno sguardo confuso.
«Sono felice che tu mi abbia permesso di esserti amica» disse, per poi uscire definitivamente.
Sulle loro labbra, nello stesso momento, andò ad allargarsi un luminoso sorriso.
 

 

 
~Angolo Autrice~
Ebbene sì, ECCOMI DI NUOVO QUI!
*evita pomodori*
Lo so, lo so. Avete ragione! Ma ho avuto tantissimo da fare con l’università e purtroppo ho dovuto lasciare un po’ da parte questa storia! Però sono felice che in questo capitolo ci siano tutti i personaggi che avevo introdotto in quelli precedenti.
Io comunque sono sconvolta per l’evoluzione di Ruby. Inizialmente era un personaggio che doveva comparire mezza volta, invece si è proprio “imposta” in questa storia e mi sono divertita tantissimo a scrivere del suo rapporto con Emma.
Beh, che dire, spero vi sia piaciuto!
Ps: in realtà il capitolo non doveva concludersi così. C’era un’altra scena con Regina, Emma e Tiger ma non disperate, la vedrete nel prossimo capitolo! Quindi sì, i nostri piccoli pirati, ci accompagneranno ancora un po’, dato che la loro ultima apparizione doveva essere qui.
Beh, che dire, a presto!
  
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