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Autore: quellideimezzipublici    07/08/2015    1 recensioni
Ciao a tutti, noi siamo Francesca e Pasquale gli autori di questa storia. Abbiamo deciso di scrivere questa storia fin da quando ci siamo incontrati e ora a distanza di mesi siamo diventati migliori amici e abbiamo ripensato a questo nostro piccolo sogno che non abbiamo mai dimenticato. Questa non è la classica storia drammatica ma un vero e proprio diario di nostre esperienze che faranno da cornice alla vita di Aria la protagonista della nostra storia che vi invitiamo a seguire.
Genere: Malinconico, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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“Ti ho cercato fino alla fine, ti ho trovato e ti ho perso, continuo ancora a cercarti nonostante non tornerai mai più".      
 
 
 
 
Dicono che per superare il dolore bisogna solo affrontarlo e viverlo, lasciare che ti consumi, che deteriori il tuo corpo fino a che non c'è più niente da distruggere, ecco a quel punto, solo a quel punto, puoi ricostruire ciò che e stato distrutto, non fa più male, si tratta di rimettersi in sesto e continuare portando sempre con se il male subito, ecco cosa devo fare, ricominciare.
 
Alzo la testa nel mezzo dell'1-ospedale, sono le sette del mattino di una giornata come tante e come al solito vedo i soliti volti di ogni mattina, la ragazzina di tredici anni che va a scuola, continua a tormentarsi le dita e a ripassare notizie elementari su libri scritti e strappati, poi c'è la donna di mezza età che continua vestirsi appariscente, nel suo tacco quindici anche solo per fare la spesa, ha un espressione così stanca, spesso litiga al telefono e si massaggia le tempie, oggi sta in silenzio con gli occhiali da sole scuri, tira su con il naso e guarda spesso il cellulare e lo rimette in borsa con aria delusa, poi c'è una ragazza corpulenta, continua a guardarsi nervosamente intorno spaurita, tiene la borsa in grembo per nascondere, la stringe sempre forte, continua ad avere lo sguardo guardingo più da cerbiatto che da persona.
 
Gli autobus sono un microcosmo in cui vedi riflessa l'umanità, ascolti distrattamente le storie altrui, ti sembra di conoscerli, conoscere ogni loro vicenda eppure uscite dal mezzo cambiano, fanno finta di sorridere, si rimettono in piedi, sono le persone che vedi tutte le mattine, con cui non scambi una parola eppure infondo sai di conoscere, li guardi con aria solidale se soffrono e ti aspetti loro facciano altrettanto ma loro sono presi dalla loro vita. Ho sempre osservato le persone, ho sempre provato a capirle, le persone si fingono forti e accumulano il dolore finché non spezza loro le costole in un pianto simile ad un alluvione, dopo si ricostruiscono pronti a distruggersi ancora. Ho sempre ammirato le persone autodistruttive, hanno la capacita di far credere che si auto annientano per mettersi al centro dell'attenzione o per divertimento, gli autodistruttivi cercano di distruggere i loro problemi bevendo, fumando, drogandosi, sapendo che distruggono anche loro stessi gradualmente e riuscendo a passarci sopra. Cosi persa nei miei pensieri per poco non mi accorgo di essere quasi arrivata, e inusuale un cielo di settembre così nero, istintivamente cerco una giacca in borsa che so di sicuro di aver lasciato sul divano ritenendola inutile, e neanche mi sorprendo non trovandola. C'è una luce strana che mi dà fastidio agli occhi, ancora una fermata e poi mi ritroverò all’ospedale, l'autobus si arresta, la prossima fermata è la mia.
 
Salgono un paio di ragazzi di colore che si siedono davanti poco più in giù della signora di mezz’età che è ancora alle prese col cellulare e un ragazzino sui 14 anni con un occhio malconcio e il labbro spezzato che si siede in fondo.
 
Le porte stanno per chiudersi quando un ragazzo dai capelli color corvino che vanno in contrasto con la sua carnagione pallida e indossa un cappotto nero e dei jeans blu scuro. Porta con se la custodia di quello che sembra un basso che insieme ai suoi capelli lunghi e disordinati lo fanno sembrare una di quelle rockstar che trascorrono la loro esistenza tra concerti e eroina. Si avvicina verso di me, mi accorgo solo ora dei suoi occhi, grigi quasi spenti ma allo stesso tempo così intensi che sembrano inghiottirmi. Si siede davanti a me e mentre sistema la custodia del basso al suo fianco mi rivolge un mezzo sorriso che mi fa istintivamente arrossire e abbassare lo sguardo. A quel punto si gira di nuovo ed estrae dal suo zaino un libro.
“George Orwell: La fattoria degli animali”
Quel libro mi riporta alla mente i tempi delle medie quando la mia prof d’italiano ce lo diede da leggere, è strano sono passati anni ma ancora mi viene da piangere alla ricordo della morte del cavallo Boxer.
 
La prossima è la mia fermata, ci siamo mi alzo sorpasso il ragazzo dalla chioma d’inchiostro che mi rivolge un ultimo sguardo con quei suoi occhi grigi come lo smog, scendo dall’autobus alla fermata ci sono un barbone con gli abiti sgualciti e logori che sbatte i denti per il freddo, una prostituta con tacchi e minigonna che cerca di riscaldarsi con le mani e una zingara seduta a terra con in grembo un bimbo mal nutrito e un cartello davanti a un piattino con pochi spicci con su scritto “AIUTATEMI”
Orwell diceva che se vuoi un immagine del futuro basta immaginare uno stivale che schiaccia una faccia umana, per sempre.
 
Trovo esilarante che il futuro in cui viviamo è proprio come lo immaginava Orwell e sarà così per sempre…
   
 
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