Mi avvicinai con il cuore in gola a quel corpo leggermente sonnecchiante. Le
baciai il collo, ma non rispose, così notai con particolare sgomento che sul
pavimento giaceva una boccetta di medicinali in pastiglie vuota per metà.
Sonniferi, credo. Mi lasciai andare, non ebbi il coraggio di controllare se
fosse morta o se invece stava solo dormendo e quella boccetta era lì per puro
caso, ma comunque ebbi così tanto terrore da non riuscire nemmeno a respirare.
Caddi sul pavimento e i primi raggi del sole iniziarono a filtrare dalla
finestra illuminando l'esiguo corpo di donna. Mi rialzai, indietreggiai, per
poi scappare abbandonando le valigie in soggiorno. Scesi velocemente la scala a
chiocciola, ansimando come un ebete. Il sangue era ancora impresso sulle mie mani
e sulla camicia. Perchè mi stava capitando tutto a me?Perchè stava capitando
tutto a me? Erano poco più le otto del mattino e mancavano meno di tre ore
all'arrivo del treno che mi avrebbe portato via dall'orrore e dall'incubo di
quella maledetta città. Già, nonostante l'orario, le strade cominciarono a
gremirsi di studenti e lavoratori. Ammazzando il tempo, girovagai per le strade
di Milano. Giunsi ad un distributore, ricordando di avere particolarmente fame.
Lo stomaco mi lasciava un dolore lancinante, non mangiavo da un po'. Presi un
mars, quindi, con una moneta da un euro trovata per caso nelle tasche dei
pantaloni. Ma, nonappena lo presi in mano ebbi una
strana visione: io che rientravo a casa di Michela, con la barretta di
cioccolato in mano. Lei era lì, davanti all'ingresso, in piedi, che mi
sorrideva. Il suo sorriso era talmente languido e dolce da intenerire. Il volto
era contornato da capelli biondi-rossi mossi, la pelle chiarissima come quella
di una bambola di ceramica. Labbra rosse, scarlatte, come il fuoco. Non disse
nulla e io stetti impietrito. Di scatto, si sedette per terra. Indossava un
vestito da sera nero, di seta, con i contorni di pizzo. Aprì le gambe,
alabastrine e bianche. Esili. Non indossava le mutandine. Tirò indietro la
testa con audacia, mentre i capelli seguivano quasi una danza ipnotica. Mi
mossi, non ne ero consapevole ma mi mossi verso di lei con passo catatonico,
sguardo assente. Lei era lì. Era lì solo per me. Il sudore che le scendeva
leggermente giù dalle gambe era pura gioia, un sapore intenso di amore e morte
in contemporanea. Tu sei mia, Michela. Tu sei mia. Mi avvicinai ancora di più,
mi inginocchiai e mi trovai immediatamente in mezzo alle sue gambe, così ardite
e scondizionate. Sinfonia di violini. Mi protesi per infilarle il mars. Un
urlo. Di piacere, intenso.
"AAAAAAAH" sospiri profondi, quasi una nenia ritmica. Il cioccolato
si sciolse, gocciolandole giù dalle gambe. Sulle pareti si rincorsero delle
ombre cinesi velocemente, sotto la luce immensa di una lanterna forse per buona
visione ed atmosfera inebriante.
Ritornai cosciente. Quella visione mi turbò. Gettai a terra, senza rimorso il
mars e continuai a girovagare. Dietro di me vidi Kaori, era bellissima: vestita
di bianco e con i lunghi capelli neri che le cadevano come cascate sulle
spalle. I suoi occhi a mandorla donavano qualcosa di sensuale nel suo volto.
Spiazzai. Ed ecco che aprì la sua bocca con un rumore sinistro, malefico. schrisissoschcui. Le schizzò del sangue dalla bocca, a
fiotti. Una visione inquietante anche per il fatto che stava sorridendo. Era in
procinto di dire qualcosa se potevo considerare quei bruschi rumori che emanava
come parole, ma di colpo ritornai alla realtà.