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Autore: lilac_sky    08/08/2015    3 recensioni
A Galway certe vite sono fatte per intrecciarsi tra loro.
Thelma ha vent'anni e anche i piedi abbastanza per terra.
La sua vita non è mai stata troppo noiosa, e non lo diventerá certo adesso che Agnes ha compiuto vent'anni anche lei, Luke si rivela sempre più ansioso, Calum è come se le rivolgesse la parola per la prima volta e Ashton riesce ad affascinare anche solo stando in silenzio.
No, a Thelma non sono mai piaciute le situazioni complicate: eppure ha la netta sensazione che ci si ritroverà in mezzo, da un momento all'altro.
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Consiglio la lettura delle OS dedicate ai singoli personaggi
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ashton Irwin, Calum Hood, Luke Hemmings, Michael Clifford, Nuovo personaggio
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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L'inizio di una nuova settimana è traumatico per tutti.
Ma non per Agnes.
 
Agnes vede il lunedì come un'opportunità, la possibilità di far sì che i sette giorni a seguire siano sempre più belli di quelli appena trascorsi: per Luke è un po' diverso, perché lui vede il lunedì come sinonimo di stanchezza, lavoro e infinita pazienza. Anche se alla fine gli piace da morire avere quattro classi di bambini di sei anni a cui insegnare, perché lui adora i bambini.
Agnes si alza col sorriso sulle labbra, sveglia Luke e insieme fanno colazione, ché è quello il momento perfetto per trascorrere del tempo insieme, seduti ad uno stesso tavolo, con le menti ancora annebbiate dal sonno, sì, ma consapevoli che attimi preziosi come quelli non si scordano facilmente: Agnes proprio non capisce come possano certe persone fare sempre colazione al bar, quando è a casa che uno dovrebbe sedersi dopo aver preparato una tazza di latte, o del caffè, o un toast su cui spalmare la marmellata. Si veste con tutta la cura che è solita mettere in ogni cosa che fa, e quando esce con la borsa di tela che pende dalla spalla e la carpetta in mano, è contenta e ansiosa di cominciare un'altra giornata al Murray Centre.
 
Il Murray Centre è l'unica casa di accoglienza per ragazze madri lì a Galway, ed è uno dei più antichi edifici che ci siano nella città. È un bel posto, considerato che è circondato dal verde e si trova in una posizione abbastanza centrale della città, cosicché si possa avere più o meno tutto a portata di mano.
Il progetto di psicologia sperimentale che l'Università ha deciso di avviare ha coinvolto anche Agnes, che non vedeva l'ora di ottenere un'occupazione in questo campo: per questo tre giorni alla settimana è occupata al centro per aiutare e parlare con chiunque passi di lì. "Avere sempre a che fare con queste realtà non è facile, Agnes", le aveva detto (e continua a ripeterle) Luke, che sa quanto la sua sorellina sia fragile, ma che ha visto quanto lei si sia rivelata più decisa ed entusiasta del previsto.
In effetti non sempre si è rivelato facile instaurare un minimo rapporto con alcune ragazze, ma Agnes non si butta mica giù, no. Alla fine molte si rivelano aver bisogno del suo aiuto, o perlomeno di un sostegno da parte sua: e, oh, lei è contentissima di questo.
È felice di essere, finalmente, utile per qualcuno.
 
«Buongiorno». Agnes saluta con un sorriso Paula, l'altra ragazza del suo corso scelta per il progetto, seduta dietro la disordinata scrivania piena di scartoffie e bicchierini vuoti di caffè.
«Oh, ciao Agnes» sembra risvegliarsi lei, smettendo per un attimo di scrivere sulla sua agenda «Josh chiedeva di te».
Josh è un paffuto bambino di due anni, figlio di una delle ragazze che si sono stabilite lì al centro: Agnes si è particolarmente affezionata a lui, nonostante l'iniziale approccio non sia stato dei migliori. Un po' per Rose, la madre, e un po' perché Josh è molto timido: anche se alla fine Rose ha ceduto all'aiuto di Agnes e ha fatto sì che il figlio potesse passare un po' di tempo con quella giovane studentessa di psicologia.
Agnes annuisce, prima di posare la borsa sulla sua scrivania e dirigersi verso la sala giochi, dove sa che lo troverà. Percorre i corridoi illuminati dalla luce chiara del sole che entra dalle finestre lasciate aperte per la bella giornata, e quando raggiunge la sala vede subito Rose parlare con altre due ragazze, mentre tiene il piccolo Josh in braccio: questi si dimena e allunga le braccia, mentre la vede avvicinarsi a lui.
«Ciao Agnes» la saluta Rose, seguita dalle altre due con cui stava parlando, sorridendo.
«Rose, Lia, ciao..Juno, come stai?» chiede rivolgendosi alla ragazza con i lunghi capelli neri che qualche giorno prima sembrava avere un po' di influenza. Juno sorride timidamente, dando una fugace occhiata al piccolo che dorme tra le sue braccia.
«Tutto bene, la febbre mi è passata: ho trovato lavoro, sai? Nella biblioteca regionale» dice a voce bassa, e Agnes subito la abbraccia contenta.
«Oh, Juno, è meraviglioso! Tu, Rose?». La vede alzare le spalle, rassegnata.
«Niente da fare, non ho ancora trovato niente»
«Oggi vedo di informarmi per qualcosa, mh?», poi si rivolge a Josh e gli gratta il nasino «Ma quanto sei bello oggi!». Lui ride, e batte le mani paffute.
«An-Annes»
«Si chiama Agnes, Josh, Agnes» lo corregge Rose divertita mentre glielo mette in braccio «Hai sentito che verrà una nuova?»
«La direttrice non mi ha detto niente» mormora stupita mentre il bambino giocherella con i suoi capelli.
«Dicono che venga da Dublino» dice Lia, per poi andare dalla figlia che sembra essersi fatta male per essere caduta sul pavimento.
«Oggi chiedo alla direttrice di questa ragazza, quando torno in ufficio chiedo a Paula di cercare un lavoro qui vicino»
«Agnes?»
«Dimmi tutto, Rose». Le prende le mani e la guarda fissa negli occhi.
«Grazie per tutto quello che fai per noi». Agnes guarda il sorriso riconoscente che le ha appena rivolto, e non può non sorridere a sua volta.
Lavorare in quel centro è la cosa più gratificante che le sia mai capitata di fare.
 
«Ecco qui!». Sono quasi le otto di sera quando Agnes piomba nella stanza ben ordinata di Rose, che la guarda confusa, e anche un po' spaventata. Si mette seduta sul letto e mette un segno al libro che stava leggendo e fa cenno ad Agnes di sedersi sulla sedia di fronte a lei. «Ti ho trovato un lavoro». Agnes scandisce piano ogni parola che dice, soppesandola bene prima di farla uscire dalla sua bocca, ed è visibilmente emozionata mentre parla: e sorride ancora di più quando vede Rose coprirsi la faccia con entrambe le mani, incredula.
«Stai scherzando»
«Oh no, mia cara, ecco il posto dove lavorerai ogni fine settimana: un locale qui vicino, non troppo affollato, ma che è frequentato abbastanza a tutte le ore per farti avere una paga che ti permetterà di mettere finalmente dei soldi da parte». Le mostra il foglio con il contratto stampato, e Rose non potrebbe essere più felice di così, anche se..
«E Josh?» chiede in un sussurro «Come fará negli orari in cui non ci sarò?»
«Ci penseranno le altre: Paula è qui, il sabato, e per quanto riguarda la domenica ci sono pur sempre le altre ragazze. E comunque, Josh ha due anni: se la può cavare, e lo sai bene anche tu».
Agnes è sempre stata una ragazza convincente. "Hai una carriera mancata di venditrice porta a porta", le dicevano sempre, e in effetti Agnes sarebbe capace di vendere la più inutile delle cose facendola sembrare la cosa migliore che ci sia.
Per questo Rose la abbraccia di slancio, senza dire una parola, perché fidarsi di qualcuno non ha mai fatto male a nessuno.
E non è male per una diciottenne scappata di casa con la responsabilità di un figlio sulle spalle.
 
Quando Agnes esce dal cancello arrugginito del Murray Centre, è così stanca che pensa se ne andrà a dormire senza neanche cenare: chi se ne importa se Luke comincerà a farle la predica, perché tanto probabilmente si addormenterà in piedi appena metterà piede in casa.
Ha lavorato abbastanza, per quel giorno, tra sedute con alcune delle ragazze, il lavoro che ha cercato per Rose e le tante carte da compilare: ha fatto tutto quello che c'era da fare, sì, ma una giornata intera lì al centro, stanca.
Non c'è molta gente in giro, è ora di cena e tutti sono nelle proprie case seduti intorno al tavolo della cucina o della sala da pranzo, o magari con un cartone di pizza sulle gambe mentre si è intenti a guardare un film in televisione, appoggiati comodamente al morbido schienale di un divano. Agnes e Luke mangiano sempre insieme, una specie di tradizione che non hanno intenzione di abbandonare: dopo la colazione Agnes va all'università o al centro, Luke va a scuola. Dopo il pranzo Agnes studia, mentre Luke si chiude in camera per preparare le lezioni del giorno seguente; dopo cena Agnes sale in camera sua con l’intenzione di andare a dormire, Luke, invece, la sera va nel vecchio studio del padre e resta lì, ad ascoltare i vecchi vinili impolverati dal tempo. Agnes lo capisce questo viscerale attaccamento alla figura del padre che prova suo fratello, perché se fosse al suo posto, probabilmente anche lei reagirebbe in quel modo.
Andrew Hemmings, una volta chitarrista di discreta importanza che teneva concerti in giro per l’Irlanda con il suo gruppo di amici fanatici del rock, ha abbandonato tutto per l’improvvisa scomparsa della sua amatissima moglie avvenuta subito dopo la nascita della secondogenita: reputandosi non abbastanza “pronto” per crescere un bambino di appena due anni e una neonata, ha preferito lasciarli alla zia, piuttosto che badare lui stesso ai suoi figli. E una volta raggiunti i diciotto anni del maggiore, ha deciso di dare loro la casa e andarsene via, pur mandando loro la quota per i beni di prima necessità.
Un vigliacco, direbbero in molti, ma non Luke: è cresciuto insicuro, e lo è rimasto. Insicuro su tutto, si è ritrovato sulle spalle la responsabilità di una sorella due anni più piccola di lui, dovendo fare da padre in ogni situazione: è a questo che è dovuta l’ansia perenne che gli attanaglia lo stomaco quando non vede Agnes tornare a casa in orario, o quando, malinconica, la vede chiudersi in camera sua senza dargli spiegazioni. Luke sente il bisogno di una figura paterna, e per questo ogni sera si immerge in quel mondo di musica e libri che è lo studio del padre, nel tentativo di sentirlo, in qualche modo, vicino. Non è uno che porta rancore, Luke, no: vorrebbe solo una persona su cui contare, quella persona che gli è mancata sin dall’inizio.
Agnes semplicemente vorrebbe che Luke stesse più tranquillo, avendo anche lei raggiunto la maggiore età da due anni e non trovandosi in chissà quale metropoli in cui si sarebbe potuta sperdere più facilmente: vivono sotto lo stesso tetto, lui ha un lavoro per avere almeno un po’ di soldi nel conto postale e lei studia. Non hanno nulla di cui preoccuparsi, nulla. Finché resteranno insieme, niente e nessuno potrà sconvolgere le loro vite.
 
È a tutte queste cose che Agnes pensa nel tragitto dal centro a casa sua, e la stanchezza le pesa sugli occhi come un grosso macigno. Non pensa neanche ai messaggi di Calum che non ha ancora avuto il tempo di leggere, e neanche a Luke che sicuramente l’avrà chiamata per chiederle a che ora arriverà: spegne il telefono ed è contenta, scollegata da tutti. Non pensa neanche all’ansia di Luke, non pensa a niente se non al vento della sera che le si insinua sotto i vestiti e che le fa venire una leggera pelle d’oca. Guarda le strade illuminate dai piccoli locali, e pensa che abitare a Galway le piace e le è sempre piaciuto: l’Irlanda è la sua terra, e si sente sempre così a casa che non vorrebbe mai andarsene di lì.
Sta per imboccare la strada che la porterà a casa, quando si sente chiamare con voce lieve: una voce calda, che pronuncia il suo nome con la stessa morbidezza di un petalo di rosa che cade per terra. Si gira ed è sorpresa di trovare Ashton a pochi metri di distanza da lei, che le sorride e si passa una mano tra quegli indomabili capelli ricci.
«Ciao Ashton» mormora lei con il rossore che si sparge lentamente su tutte le guance. Si sente sempre così imbarazzata, quando parla con un ragazzo, e con lui.
«Stavi…stavi tornando a casa?»
«Beh, io…sì. Sono uscita ora dal lavoro» e sente un certo orgoglio nel definire quel trascorrere tre giorni a settimana nel centro un vero e proprio lavoro. Si guardano sorridenti e imbarazzati per qualche secondo, indecisi sul da farsi, quando lui rompe il silenzio, con forse troppo entusiasmo nella voce.
«Ti, mh, andrebbe di mangiare qualcosa? Sai stavo tornando anch’io a casa perché ho finito di studiare da un mio amico, e se anche tu stavi tornando a casa e non hai mangiato, beh, noi potr-»
«Sì» lo interrompe lei «Mi farebbe molto piacere».
Il sorriso sul volto spigoloso del ragazzo si allarga, e le fa cenno di seguirlo lungo la strada.
E non le importa se Luke continuerà a chiamarla mentre il suo telefono è spento sul fondo della borsa, perché in quel momento non riesce a pensare a nient’altro se non a quel ragazzo dai capelli dorati che le cammina accanto.
 
«E quindi alla fine il professore mi ha detto di presentarmi al prossimo appello d'esame».
Sono seduti sul muretto dietro al piccolo locale in cui hanno mangiato, ed è da due ore che parlano, parlano, parlano. Per Agnes non c'è cosa più bella dell'ascoltare quel ragazzo, con la sua voce che le entra nelle orecchie e lì risuona, ad ogni parola, ad ogni sillaba. Ha riso ad ogni battuta che lui ha fatto, ha scoperto che lavorava in un negozio di musica, prima che iniziasse l'università, e che suonava anche la batteria. Adesso stanno un attimo in silenzio, prima che entrambi inizino a parlare nello stesso istante.
«Oh, scusami, parla prima tu»
«No, no, tranquillo, prima tu». Ashton passa una mano tra i capelli e si schiarisce la voce.
«Senti, tu...» mormora, si schiarisce la voce di nuovo e punta lo sguardo altrove «Tu, sai, cioè io...ecco, Agnes..». Si blocca e sospira, mentre il cuore di Agnes batte così forte da toglierle il respiro. Sfiora la mano gelida della ragazza con la sua, bollente, e lei sussulta.
«Sei...bellissima» mormora con voce così bassa che Agnes crede di aver capito male. Vorrebbe chiedergli di ripetere, per farle capire: ma nessuna parola le esce dalla bocca, e la sua mente non riesce a formulare niente se non pensieri sconnessi.
«Non dire niente, Agnes, solo...te lo dovevo dire: perché non potevo tenerlo solo per me per molto altro tempo»
«Ashton, io...»
«Non dire niente» ribatte con un lieve sorriso.
Agnes resta in silenzio, ma i suoi grandi occhi blu sgranati e il sorriso che si è fatto largo sul volto arrossato valgono più di mille parole.
 
Ashton l'ha accompagnata fino a casa e se n'è andato via, lasciandole una carezza sulla guancia e sussurrandole la buonanotte: lei l'ha guardato camminare lentamente per la strada, con le mani nelle tasche della giacca e i capelli mossi dal vento, mentre la pelle ancora bruciava per quel leggero, bellissimo contatto.
«Luke, sono a casa» esclama a voce non troppo alta. C'è solo il rumore delle chiavi che poggia sul piattino del mobile all'ingresso, e il frusciare del cappotto che si sfila e appende all'attaccapanni, quello a forma di papera che hanno costruito loro quando erano piccoli. «Luke» ripete, legando i capelli in una coda e camminando verso il salone «Sono a-».
Si blocca. Luke è in piedi davanti a lei, e il sopracciglio alzato e le braccia conserte non promettono niente di buono.
«Ciao, Agnes, bell'orario per tornare a casa» sbotta, facendole cenno con la testa di guardare l'orologio appeso al muro.
«Sono le dieci e mezza, non è tardi»
«Ma tu uscivi dal centro alle otto, giusto? E saresti dovuta tornare per cena» «Ho...ho incontrato un...un amico» mormora, senza capire. «Avresti potuto avvisare: e poi perché non rispondi al telefono? Perché lo spegni e non ti fai sentire?»
«Sono solo rimasta fuori a cena, adesso sono tornata»
«Non capisci, Agnes» esclama lui alzando la voce. Ad Agnes comincia a tremare il labbro, mentre la vena sulla tempia di Luke comincia a pulsare man mano che lui continua a parlare. «Io ti aspetto sempre, qua, e tu neanche un cazzo di messaggio per dirmi quello che fai»
«Ho vent'anni, ormai, Luke»
«Vent'anni un cazzo, Agnes!» urla «Vivi con me, io sono tuo fratello e dovrei sapere quello che fai, perché sono ancora responsabile di te».
«Beh, allora sappi una cosa: non sei mio padre, non puoi dirmi cosa devo fare in ogni momento»
«Ma tuo padre non c'è, maledizione!». Luke tira un pugno al muro e si passa le mani tra i capelli fino a tirarne le punte.
Cala il silenzio. Agnes è immobile, nel corridoio, con gli occhi spalancati e il respiro corto. Luke si strofina la faccia con le mani e sospira, nervoso.
Non sa che fare, Agnes, e a dire il vero non lo sa neanche Luke.
Non hanno mai avuto molte discussioni in tutti quegli anni, perché sono sempre stati quel genere di fratello e sorella che vanno d'accordo come pochi. Ma adesso...adesso qualcosa si è incrinato. Qualcosa che fa pensare ad Agnes che forse lei, di un padre, ha sempre avuto bisogno: come Luke. Non ne avevano mai parlato, ma con quella frase Luke le ha fatto capire che la loro è una grande mancanza, e che Luke la sente ora più che mai.
Prova ad avvicinarglisi, piano, e ad accarezzargli la guancia, ma prima che lei gliela sfiori soltanto lui si scosta bruscamente. Come scottato.
«Lucas, io...»
«Appena esci dal Murray devi tornare subito a casa» dice con voce grave. Poi, quando sembra che se ne stia andando in camera, si gira di nuovo a guardarla. «Ti voglio troppo bene, Agnes, lo capisci? Non posso perderti»
«Ma non mi perderai, Lukey» mormora, usando quel nomignolo ripetuto sempre da bambina. Lo vede scuotere la testa.
«Se continuerai così, credo che succederà il contrario di quello che dici».
E se ne va, accompagnato dal rumore dei passi pesanti e stanchi sul pavimento e dalla porta della camera che sbatte.
 
Agnes non riesce più a pensare, quella sera.
Perché le lacrime le hanno riempito gli occhi e le mani le tremano così forte da impedirglielo.












SALVE.

Ed ecco a voi questo terzo capitolo!
Come avrete sicuramente capito (ed è ovviamente ovvio), è tutto concentrato sulla carina e coccolosa Agnes, che mi piace troppissimo: sarà che mi ricorda la mia omonima, fantastica amica ( e sì, fantastica lo è davvero). E il bello è che è un personaggio della mia storia, mhm.

Comunque. Qui si cominciano a scoprire delle cose sul perchè Luke e Agnes vivano da soli, insieme: dietro a queste cose c'è sempre un motivo, ricordate. E niente, sulla loro storia non credo ci sia molto da dire, visto che ho scritto tutto nel capitolo.
Agnes "lavora" in un centro per ragazze madri, e questo è un fattore importante dello svolgimento dei fatti: mi piaceva molto l'idea di inserire una realtà così complicata come quella delle ragazze che, non decidendo di abortire, si trovano  a dover badare ad un figlio,  e per un motivo o per un altro vanno in centri di questo tipo. Credo se ne parli veramente troppo poco, ma d'altronde i temi di cui non si sente parlare sono infiniti.
Poi c'è Ashton nnhhh *sospiro*: l'avevo inserito nella os Si Alza Il Vento, quindi non è un personaggio "così" nuovo come può sembrare. Niente, li shippo troppo io stessa, figuratevi: sono due teneroni, loro due.
Verso la fine del capitolo, poi, si vede bene che qualcosa cambia tra Luke e Agnes: ma non crucciatevi troppo, vedrete cosa succederà più avanti.
Credo di aver finito: grazie a chi legge questa storia, vedere il numero di visualizzazioni di ogni capitolo mi fa sorridere da sola. Grazie a chi ha recensito fino ad ora, se voleste lasciare un vostro parere, ogni critica è ben accetta!
Grazie ancora, spero che tutto vi stia piacendo.
Tanti bacini (che sono una garanzia),

elena

 
  
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