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Autore: mgrandier    09/08/2015    20 recensioni
"Il sole alto stende un’ombra benevola sopra il nostro riposo, sul vigore dei nostri corpi vivi di duelli e giochi di spada, del vigore della battaglia e, come nella nostra giovinezza, del piacere della quotidianità condivisa."
Un momento vissuto insieme, uno come tanti; e poi una domanda pronunciata senza davvero pensarci...
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Il nostro mondo

Il sole alto stende un’ombra benevola sopra il nostro riposo, sul vigore dei nostri corpi vivi di duelli e giochi di spada, del vigore della battaglia e, come nella nostra giovinezza, del piacere della quotidianità condivisa.
Il terreno umido di erba e muschio accoglie le mie spalle e le mia braccia distese, i palmi aperti verso il cielo, quasi a cercare aria anche con essi. I miei capelli raccolgono il profumo della terra, dei fiori selvatici, di una natura che libera la sua essenza senza costrizione. Il mio petto si gonfia e anela fiato, cerca quel respiro che sembra ancora venire meno, dopo il lungo scontro. Piego le ginocchia, porto una mano alla caviglia destra, dolente di uno scatto troppo rapido, di quella mossa repentina che mi ha regalato l’ultimo vantaggio, mentre la mia mente pregustava l’epilogo del nostro affrontarci.
Un gioco pericoloso di sensi e fibre tese, che si consuma nel confronto serrato dei nostri corpi differenti, eppure uniti da una simbiosi vitale, reale nello scontro, vivida nella memoria, contratta nel presente. Un balzo rapido, il tuo arretrare repentino; la tua reazione inattesa e poi nuovi affondi, cercando di avere la meglio sulla tua forza, puntando l’orgoglio nella mia agilità. Ed ora sento le braccia ancora tese nello sforzo di vincere quel duello che so essere l’unico in cui io possa primeggiare, quando mi confronto con te.
Chiudo gli occhi a questo cielo luminoso che mi scruta oltre le fronde, vivo dei ricordi di questo stesso luogo, teatro di liti e discussioni, zuffe e strette di mano. Pagine di una vita lontana, quando i nostri giorni si giocavano in scontri di pugni e di graffi, di accuse, difese e risposte taglienti che lasciavano il segno sulla pelle affondando le radici nell’anima. Lividi gonfi di cui andare fieri, da esibire sotto lo sguardo atterrito della nonna, mentre il dolore pareva lieve, raffrontato alla soddisfazione di aver risolto la questione a pugni stretti … a modo nostro. Un'unica palma tra le nostre mani, a renderci ugualmente vincitori: la certezza di aver sempre cercato il vero, di non aver mai mentito all’altro … di aver cercato e trovato, prima di ogni altra cosa, il confronto che alimenta la fiducia.
Le spade lucenti hanno separato i nostri corpi, in quegli scontri serrati, preservando la nostra pelle dal contatto diretto, rendendo più sottile e vero lo scontro di anime. Non più pugni, né graffi; nessun corpo a corpo … a rotolarci nell’erba fino a rischiare di scivolare nell’acqua fredda del fiume. Apparentemente, una concessione da adulti; in verità, una menzogna insinuata tra di noi, per celare ai nostri corpi la loro realtà e tarpare le ali all’istinti dei nostri sensi.
Le spade sono divenute parte di noi, delle nostre giornate, delle nostre discussioni, come piume sottili tra le nostre dita, a scrivere la nostra storia. Le spade, prima, e poi l’uniforme: una nuova maschera, una nuova menzogna. Una barriera che, sono certa, ci ha reso distanti, senza riuscire a separarci davvero.
Lo avverto chiaramente che, nonostante i silenzi, gli sguardi lontani, i gesti nascosti, tu non ti sei mai allontanato da me. La tua presenza è mutata nel tempo, seguendo il corso della mia esistenza in un cammino tortuoso, un labirinto di imposizioni, ordini e scelte che non mi hai mai permesso di reggere in solitudine. La tua presenza discreta è immensa nella sua dignitosa compostezza, capace di donare al mio tempo la certezza di un sostegno sicuro, senza cedimenti, tale da farmi sentire ferma e capace, anche quando il merito della mia riuscita, ora ne ho certezza, non mi appartiene. Come il passo si fa sicuro, quando il terreno offre un sostegno saldo, così tu per me sei stato ogni giorno, nell’affrontare la sfida della mia esistenza al limite tra scelta e imposizione.
Sorretta dal tuo sostegno solido, mi sono ingannata. Ho cercato di fuggire alla mia realtà. Ho creduto di essere protagonista del mio destino. Ho avuto l’ardire di offrire il mio cuore a chi non lo meritava, cercando di convincermi di essere padrona del mio essere donna e scegliendo di esserlo come qualunque altra dama avrebbe fatto. Allora, se solo avessi avuto il coraggio di leggere il tuo sguardo sofferente, vi avrei letto la verità. Pur cogliendo il tuo verde ferito, mentre scivolava a terra dopo avermi osservata, in una carezza estasiata, ho voluto ignorarlo; pur udendo il tuo silenzio trafitto, non l’ho ascoltato. Se solo mi fossi fidata … come sempre avevo fatto … se mi fossi affidata a te, anche nella nebbia che aveva avvolto il mio cuore debole e incerto, allora non avrei avuto dubbi e avrei evitato tanta delusione. Soprattutto a te, che hai sofferto della mia disfatta facendo tuo anche il mio dolore.
E nonostante tutto, ti ritrovo qui, accanto a me, ansimante tra i fili d’erba, a scontare la pena di una vita trascorsa all’ombra del mio orgoglio. Cosa ti porta, ancora, al mio fianco? Cosa ti induce, dopo anni di prove, a donarmi ancora la tua presenza, rispettando i miei silenzi e accogliendoli come solo tu sai fare? Ti ho escluso dai miei pensieri, ti ho nascosto il mio cuore; ho lottato per celarti il mio animo, e tu hai chinato il capo di fronte al mio ardire, affrontando il mio silenzio ostinato e rispettandolo, mentre il tuo sguardo si faceva severo, ma anche sottile di sofferenza per il mio stesso errore. Non mi hai negato nulla, di te … hai superato ogni mio rifiuto con una pazienza forte come roccia … come solo tu puoi essere.
Ti osservo, il corpo affondato nella morbidezza che ora, dopo tanto tempo, ci accoglie entrambi; dopo duelli combattuti lontani dal nostro mondo, finalmente di nuovo qui. Tieni gli occhi serrati, intuisco sul tuo profilo la cicatrice che disegna sul tuo viso la mia colpa come uno sfregio alla tua esistenza, e a quella vista una fitta nel petto mi toglie il respiro. Il tuo volto ferito in un unico colpo di spada; il mio cuore a subirne l’affondo, ogni volta che scorgo quel segno infame.
Posso vederti, anche ad occhi chiusi, ma non cedo alla lusinga dell’immaginazione, e ti osservo, mi lascio rapire, finalmente, dalla tua presenza.
Le tue labbra sono dischiuse, il tuo respiro sta tornando regolare. Le braccia sono larghe abbandonate lungo il corpo, le maniche sollevate fino oltre i gomiti mi mostrano i tuoi muscoli scolpiti; le tue gambe sono allungate tra l’erba, i pantaloni a disegnare la tua forza fasciandone muscoli. Sotto i lembi aperti della tua camicia scorgo la tua pelle tesa e lucida, che riesco a immaginare morbida al tatto; la vedo sollevarsi e abbassarsi, danza di vita, soffio di un’esistenza che sento parte di me. L’addome piatto si nasconde sotto il cotone candido, un poco sovrapposto e trattenuto a mala pena nella cintola. La stoffa scura delle tue brache fascia i tuoi fianchi stretti, disegna il tuo bacino e si fa morbida dove i bottoni lasciano agio alla tua forma di uomo che ho sempre ignorato.
Distolgo lo guardo, corro al tuo volto, mi assicuro che tu abbia ancora gli occhi chiusi, che non abbia colto le mie carezze senza tocco sul tuo corpo. Le tua labbra accennano un sorriso e la tua fronte distesa, libera dai ricci che sempre la celano, racconta di pensieri soavi.
- A cosa stai pensando, André? – le parole precedono il mio pensiero; la mia curiosità si fa strada tra le labbra in una richiesta che non ho mai pronunciato prima d’ora.
Ti volti verso di me corrugando un poco la fronte, mi osservi un istante, mentre il ciuffo scuro scende morbido e torna a celare il tuo volto, scivolando leggero sulla tua parte ferita.
- Ecco … pensavo che dovrei controllare i ferri di Cesar, non appena rientreremo a palazzo … - il tuo tono è sereno, ma io ti conosco troppo bene per credere che questa sia la verità.
- E da quando pensare a Cesar e ai suoi ferri dipinge un sorriso sulle tue labbra? – te lo chiedo a bruciapelo e senza lasciarti il tempo di ribattere, incalzo – A cosa pensavi veramente, André?-
Accenni un sorriso che ora, inspiegabilmente, mi appare triste; scuoti piano il capo – I pensieri volano liberi, Oscar, come le nuvole nel cielo limpido … non puoi afferrarli, fermarli e legarli al tu volere … -
Le tue parole mi sorprendono; leggo una volontà di nasconderti a me che mi è stranamente nuova e che, inspiegabilmente, mi giunge velata di amarezza. Non solo: colgo una punta di accusa, nel tuo parlare.
Mi difendo, non cedo – Questo li rende ancora più interessanti … Allora, cosa rapiva i tuoi pensieri, André? –
Ti rimetti a terra, chiudi di nuovo gli occhi e pieghi i gomiti, portando le mani dietro la nuca: stai fuggendo da me - Non si è padroni di ciò che non si può afferrare … -
- Non voglio essere padrona di niente … ti ho solo fatto una domanda. – ti riprendo, cercando di mantenere la calma, spiazzata dal tuo atteggiamento insolito.
- Lo so che non vuoi essere padrona di  … dei miei pensieri. Ma esistono pensieri che semplicemente non possono prendere forma di parola. –
Non ti capisco. Aggrotto la fronte, mi sollevo a mi avvicino a te, puntando un gomito a terra e rimanendo a fissarti, mentre i miei capelli scendono morbidi fino al tuo braccio – E perché non possono? -
Il tuo sguardo di smeraldo si apre su di me; vieni in mio aiuto, accomodante.
- Non guardarmi così, Oscar … Le parole e i gesti … quelli possono ferire. I pensieri che divengono parole, anche. Accetta il mio silenzio … ti prego. -
Mi chino su di te, ti scruto come a leggere in ciò che non vuoi dirmi.
E’ questo che temi? Hai paura di ferirmi? E cosa potrebbe farlo più di questo vederti chiuso di fronte a me?
Non posso più sopportare questo muro di silenzio che ci divide, questa barriera che io stessa ho innalzato e che ora mi rende sola anche quando tu sei con me. Ti prego André, apri il tuo mondo alla mia solitudine, al mio bisogno di te e non tenermi lontana … Perdona la mia presunzione nel pensare di poter fare a meno di te e concedimi la tua presenza vera.
So di averti ferito e di averti indotto a soffrire. So che il nostro mondo unico e condiviso è cambiato per colpa mia, solo mia, ma sono anche certa che esista ancora. Lo sento nel tuo modo di starmi accanto, come nel mio di percepire la tua presenza. Lo avverto nel peso del tuo silenzio e nella mia difficoltà a parlarti liberamente. Lo ascolto nei tuoi passi che mi seguono senza lasciare traccia apparente, ma scavando un solco profondo nel mio animo. Lo percepisco nel senso di vuoto che mi pervade quando ti cerco anche dove so che non puoi esserci … e nella sorpresa di scovarti là dove sei sempre stato, nel mio animo, dentro di me …
Fatico io stessa ad aprirmi a te: cosa temo di rivelarti? E tu, nel tuo silenzio, cosa tenti di celarmi?
I miei pensieri prendono di nuovo forma, un anelito di vita che chiede con insistenza di vedere la luce - Cosa mi nascondi, André? –
Insisto, ad un soffio dal tuo viso, come non ho mai osato.
Ti vedo, colgo il tuo esitare, stringi le labbra e socchiudi lo sguardo, senza fuggire, questa volta.
- Davvero lo vuoi sapere? – mi domandi a tua volta, e io ti sorrido, perché colgo un primo segnale del tuo cedimento.
- Certo che lo voglio sapere, perché non potrei sopportare altri silenzi, altre menzogne … tra di noi. – abbasso lo sguardo, evito i tuoi occhi e in questo gesto ammetto la mia colpa.
- Tu vuoi sapere, Oscar … anche se parlare potrebbe rivelarti cosa mi tiene legato alla mia vita e, in un soffio,  portandomi lontano da essa, per sempre? –
Le tue parole mi giungono come una richiesta sofferta, che mi fende l’anima in un dubbio sottile. Torno a te e scorgo il tuo sguardo su di me, leggo una sofferenza lontana che, tornata prepotente, insiste per venire liberata.
- Niente ti allontanerà da me, André. Niente potrà farlo … se non il tuo volere. – ti rassicuro, senza sapere esattamente cosa significhino le tue parole e senza poter immaginare a cosa tu ti riferisca, ma seguendo un istinto che nelle mie viscere mi impone di darti fiducia.
Sospiri, chini il capo e ti sollevi da terra, mentre io assecondo ogni tuo movimento, scostandomi appena per lasciarti mettere seduto. Pieghi le ginocchia, ci appoggi i gomiti e chini il capo, ma resti in silenzio, chiuso in te stesso.
- André … - ti chiamo turbata dal tuo comportamento, mentre un alito di vento si solleva come un respiro denso del tuo profumo, che mi investe e mi punge l’animo – André dimmi cosa ti preoccupa ... –
Mi avvicino a te, poso la mia mano sul tuo braccio; vorrei darti sicurezza, farti capire che farò il possibile, qualunque cosa gravi sul tuo cuore. Fremi al mio tocco e io stringo la presa, cerco di darti sicurezza, ma trovo i tuoi occhi serrati, come se stessi combattendo una lotta dentro di te.
- André ti prego … - la mia mano risale sulla tua spalla e mi avvicino ancora, cercando la chiave del tuo tormento, fino a che la mia fronte sfiora la tua tempia e il tuo fremito mi è sempre più chiaro.
- André … - ti chiamo di nuovo, la mia voce tradisce una preoccupazione profonda – Ti prego parlami … non posso vederti così … -
E finalmente, lento e tremante, ti volti. Cedi alla mia insistenza. Lo sguardo si schiude lentamente, il tuo smeraldo è lucente, umido del tuo segreto taciuto.
- Oscar … - mormori piano, mentre la tua fronte tocca la mia e la tua mano raggiunge in una carezza la mia guancia – Oscar … davvero non mi allontanerai da te? –
Io annuisco, tremando a mia volta, certa che questa volta non mi nasconderai la verità. La mia mano sinistra raggiunge la tua, ne ferma il contatto con la mia guancia – Davvero, André. Niente potrebbe indurmi a farlo … - ti rassicuro, ancora, ad un soffio dal tuo viso – Ma tu spiegami cosa pesa sul tuo cuore in modo da renderti chiuso anche di fronte a me … -
E allora prendi coraggio e ritrovi, forse, fiducia in me; ti muovi, lento e io inizio a comprendere.
Siamo così vicini che il tuo respiro si fonde con il mio in una sensazione inebriante che mi è del tutto nuova. Il tuo naso sfiora il mio, il tuo sguardo scivola sulle mie labbra mentre le tue dita scendono dalla mia presa incerta in una carezza lì dove il tuo sguardo indugia.
La mia destra si muove d’istinto alla tua guancia, le dita sfiorano il tuo orecchio e cercano i tuoi capelli. Non ti trattengo, non ti fermo, non ti allontano. Ti seguo, là dove la tua incertezza mi sta conducendo.
Le tue labbra sfiorano le mie e su di esse lasciano una sola preghiera – Perdonami … -
E poi le sento.
Le sento morbide sulle mie labbra, delicate, timorose. Una presenza calda, che ti assomiglia in tutto, nella ricerca che non si impone, nella domanda che aspetta risposta, nel tocco gentile che attende il mio cenno.
Mi sento come mai mi sono sentita, come ho sempre desiderato essere; come sul cammino che avrei voluto percorrere, ad un passo dalla cima che mi mostra, oltre il crinale, la valle più florida e verde. Stringo la presa tra i tuoi capelli, nel timore che il sogno possa svanire.
Mi capisci, come in ogni attimo della mia vita, e le tua dita corrono svelte nel gesto gemello del mio, cercando la mia nuca e affondando nei miei capelli, mentre le labbra si muovono e avverto sulle mie una muta, umida, domanda.
Ti accolgo, inesperta ma fiduciosa, e scopro, grazie a te, il sapore di una sensazione inebriante che fa vibrare il mio animo e mi annebbia la mente. Ho spazio per un solo pensiero: non avevo mai immaginato niente di tutto questo … Mi scopro ingenua; ragazzina che aveva creduto di poter fantasticare cosa fosse un bacio, senza davvero pensare che tutto dipendesse dal chi, più che da come, e che ora comprende di aver sbagliato su tutta la linea … perché con nessun altro avrebbe potuto essere così …
Riconosco un sapore che non avevo mai assaporato, ma che mi è noto, come fosse parte di me, l’unico possibile. Lo cerco a mia volta, mi inebrio della sensazione morbida e calda di questo tocco che non mi sembra proibito, ma necessario, e, soprattutto, riconosco te. Trovo in questi istanti la dimensione che credevo perduta, il mondo che ho soffocato, ma che sapevo ancora vivo, dentro di me … e dentro di te.
Quando le tue labbra lasciano le mie, mi sento perduta.
Mi accorgo di avere gli occhi chiusi, li apro di scatto e ti cerco, come se potessi essere volato lontano, nonostante avverta ancora la presa gentile della tua mano sulla mia nuca, e trovo il tuo sguardo, lo smeraldo sciolto nell’oceano in tempesta, adorante e lucido.
Ho capito, ora, il tuo dubbio. Mi hai svelato, tremante, il tuo segreto, e io l’ho accolto come una liberazione, un dono anelato senza nemmeno che io ne fossi consapevole.
Stringo le labbra, trattenendo l’ultimo riflesso del tuo sapore e ti sorrido, le labbra tese ad un soffio dalle tue. Ancora una volta, se ho compreso un mistero della mia esistenza, è stato grazie a te.
- Bene, André … - mormoro sulle tue labbra - … ora dimmi cosa dovrei perdonarti … e poi spiegami a cosa pensavi prima … -
Aggrotti la fronte, scruti nei miei occhi e a tua  volta sorridi. Torni famelico sulle mie labbra e, finalmente insieme, comprendiamo che il nostro mondo esiste ancora, ed è più vivido ed emozionante di come lo ricordassimo.


 
  
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