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Autore: BloodGirl    09/08/2015    3 recensioni
Ohlà ragazzi/e!
Vi sono mancata?
Voce interiore: a me non sei mancata per niente!
Zitta tu! Dicevo... ah si! Ecco a voi il seguito tanto atteso (?) de "Il Secondo FFI-Pieno di Sorprese"!
Questa volta vedremo i due piccioncini alle prese con la loro vita di coppia e scolastica, inoltre ci sarà qualche colpo di scena!*magia*
Spero di avervi incuriosito e spero che i seguirete!^-^
Ricordo che ogni recensione, anche negativa, è ben accetta u.u
Buona lettura!
Ps: una cosa che ho dimenticato perché ho una mente bacata: aggiornerò ogni 09 del mese.^^ A volte potrei aggiornare prima o dopo, dipende dagli impegni, ma si parla di massimo due giorni prima/dopo u.u
Genere: Commedia, Romantico, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Shawn/Shirou, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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RAIMON HIGH SCHOOL
 


Capitolo 1: “Mi sei mancata…”
 
Sto riposando profondamente tra le soffici coperte del mio letto, quando sento un suono acuto e irritante: la sveglia. Con ancora gli occhi chiusi la cerco stanca sul comodino, facendo cadere quasi tutto ciò che vi era sopra, compreso quell’aggeggio infernale. Con un tonfo accompagnato dal suono di un campanellino, cade a terra e smette, per mia grande gioia, di suonare.
Ma ormai il danno è fatto: una volta che mi sveglio non c’è modo con cui riesca a riaddormentarmi.
Così, di malavoglia e lentamente, mi metto a sedere. Guardandomi attorno ripenso che, da quando Cammy è partita per le vacanze estive con suo padre, la stanza mi sembra più vuota e monotona.
Sposto il mio sguardo verso gli oggetti caduti sul pavimento. Vi sono un libro, la sveglia, qualche matita e il mio cellulare che  mi affretto a raccogliere.
Ancora sotto al piumone, lo accendo e subito sul display appare la foto mia e di Shawn nel momento del nostro primo bacio (che Silvia ha scattato impropriamente) e sorrido ai ricordi che mi assalgono. La nostalgia del suo sorriso, la memoria delle partite giocate insieme, degli allenamenti e della nostra tecnica speciale, del piano delle ragazze per far confessare i sentimenti di lui; insomma tutti i pensieri riguardanti al FFI, un’esperienza che rifarei altre mille volte.
Decidendo finalmente di alzarmi, rimango paralizzata dal freddo indescrivibile della mia stanza nonostante siano i primi di settembre. Facendo ricorso a tutta la mia volontà, in meno di mezzo secondo, esco dal letto, prendo i vestiti appesi allo schienale della sedia, vicino alla scrivania e mi catapulto in bagno. Fortunatamente, qui è molto più caldo per merito della luce del sole che filtra dalla finestra.
Mentre accendo l’acqua calda del rubinetto per eliminare dal viso la mia espressione spossata, mi cambio, indossando un paio di leggins corti, bianchi, la gonna rossa sopra e la camicia bianca della divisa scolastica.
Poi, metto le mani sotto il getto bollente e me le porto al viso, riscaldandomi e rilassandomi; mi sistemo i capelli legandoli in una treccia con un elastico bianco e sono pronta.
Apro le finestre per far entrare il caldo mattutino. Con aria assonata, mi dirigo verso il letto, chiedendomi il perché avessi deciso di svegliarmi così presto e maledicendo la mia memoria a breve termine. Dunque prendo il cellulare, che avevo precedentemente abbandonato sul cuscino, noto con tristezza che sono solamente le sette e mezza e che sotto alla data, indicante 08/09, vi è l’immagine di un post-it con la seguente scritta: “ Colazione inizio 7:30”. Sbuffo rumorosamente.
Scendo le scale del dormitorio femminile ed esco nel cortile della scuola.
 Durante l’estate qui sono cambiate molte cose. Ad esempio hanno costruito, affianco al preesistente dormitorio e collegato solo da un corridoio, un altro edificio a causa della valanga di iscrizioni per il nuovo anno scolastico, dato che la Raimon ha guadagnato un’altra vittoria mondiale.
 
Per il cortile non vi è anima viva, o meglio non c’è nessuno che io conosca, solo alcuni studenti rimasti per i corsi di recupero dell’estate. Io sono rimasta qui, oltre a non avere un posto dove andare, per il semplice fatto che dovevo recuperare un intero anno. Non è stata un’impresa facile.
Ritornando al presente, mi accorgo che sono inconsciamente arrivata alla mensa. Prendo un vassoio e inizio a servirmi. Anch’essa è stata ristrutturata ed ingrandita. Ora è molto accogliente e più piacevole alla vista.
Mentre sono seduta al tavolo a mangiare un croissant alla marmellata, sento, dagli altoparlanti, una voce che dice:
-Entro le 19:00 di questa sera dovete trasferirvi nelle vostre nuove stanze. Grazie dell’ascolto e buona permanenza alla Raimon High School-.
Bene, come se non avessi già abbastanza impegni. Finita la colazione in completa calma, mi precipito in camera. Senza neanche togliermi le scarpe, inizio ad impacchettare le mie cose nella valigia bianca. Questo momento mi ricorda tanto quando ho lasciato la mia stanza dell’orfanotrofio.
“Aida, non è il momento di vagare nei ricordi!” mi rimprovero mentalmente, deponendo l’ultimo oggetto della camera: una vecchia fotografia della mia famiglia.  Si è formato uno strano eco tombale, spogliando la camera. Esco e, dicendo addio a quella stanza da cui tutto è iniziato, chiudo a chiave la serratura.
Facendo una fatica immane, scendo le scale dell’ala femminile trascinando la valigia.
Esco in cortile e noto che la scuola sta iniziando ad affollarsi di nuove reclute e anche di veterani.
Tra i nuovi acquisti del college, vedo parecchie ragazze con visibili dettagli calcistici: maglie con palloni, fermacapelli a forma di palla, scritte come “W Football!”…
Certo che devo aver creato molto trambusto, partecipando al FFI. Non mi sarei mai aspettata una così grande manifestazione di femminismo calcistico. Cioè, non ho neanche chiesto io di entrare nella squadra. Ma poco importa perché quest’anno ho altri progetti, a partire dal ritirare le chiavi della mia nuova camera.
Giunta in segreteria, mi cascano quasi le braccia a vedere l’immensa fila che si è formata davanti allo sportello, dove una povera segretaria continua a ripetere le stesse cose. E così, imito anch’io gli altri.
Rimango ferma, in piedi per ben venti minuti prima che arrivi il mio turno.
-Buongiorno, sono Aida Hunt. Sono qui per ritirare le chiavi della mia nuova sistemazione-.
La segretaria, visibilmente stanca e irritata, si volta, con la sua sedia girevole, verso un pannello in legno, dopo aver dato una rapida occhiata al monitor del computer. Sul bancone deposita una chiave scialba con inciso il numero 137 e recita:
-Benvenuta alla Raimon High School! Ti auguro un felice anno scolastico!-
Mi esibisco in un piccolo inchino e me ne vado in cerca della mia camera. Intanto numerosi studenti continuano ad arrivare dal cancello principale, e il flusso non pare smettere.
Entro dall’entrata del vecchio dormitorio e mi stupisco quando vedo che, al centro della hall, qualcuno ha sistemato un grande tabellone. Mi avvicino a questo e noto che sono segnati i nomi e i numeri delle stanze, quindi cerco il mio. Purtroppo, questa tabella si ferma al numero cento.
“Quindi dormirò nell’edificio nuovo…”deduco, facendomi strada verso il corridoio che collega i due dormitori. È come un tubo quadrato, fatto interamente di vetro trasparente, che permette di vedere una porzione di cortile. È molto moderno come costruzione.
Giunta nella presunta hall del Nuovo Dormitorio rimango sbalordita e mi fermo un attimo a bocca aperta: è immensa, con i soffitti alti, bianca e lucida; su ogni parete, al centro c’è il simbolo rosso della scuola; più in basso una coppia di righe traslucide porpora attraversano tutta la stanza all’altezza di un metro; al centro vi è un gran bancone scarlatto con davanti il tabellone delle sistemazioni. Mi sento quasi persa in tutto questo candore. Non ho parole per esprimere la grandezza di questa costruzione.
Cercando di concentrarmi sul pannello dei nomi, scopro dove si trova la mia stanza: terzo piano, fantastico.
Salgo le scale a sinistra, trascinando, come possibile, la mia valigia. Arrivata alla seconda rampa, la prima che porta al secondo piano, sento il carico alleggerirsi improvvisamente. Tiro un sospiro di sollievo e, scostandomi una ciocca di capelli dal volto, vedo che il mio salvatore è Axel Blaze.
-Ciao Axel!-
-Ciao Aida. Vedo che rimani la solita imbranata…- dice, posizionando la valigia in equilibrio su un gradino.
-E tu il solito simpatico…- ci mettiamo a ridere. Era da tanto tempo che non ridevo così.
-Ho sentito dire che sei rimasta a scuola per recuperare l’anno scorso…-
-Già, è stato un inferno. E tu?-
-Sono andato in vacanza con mio padre e Julia, niente di che-.
-Ah. Ora, se non ti dispiace, vorrei andare in camera. Ci vediamo in giro…- lo saluto dopo questa breve chiacchierata e ritorno al mio peggior nemico: le scale.
 
Ecco finalmente all’orizzonte la camera 137. Infilo la chiave nella serratura e apro la porta. La stanza è completamente arancione con un letto singolo, una scrivania sotto la finestra e un armadio. Inoltre vi è anche una porta accanto a questo, probabilmente il bagno. La apro ed è così: piuttosto piccolo, color crema, con una doccia, WC e un lavandino. Davvero tenero!
Ritornando allo spazio principale, inizio ad aprire la valigia che avevo abbandonato all’ingresso. Tolgo vestiti, libri, quadri e li dispongo nella stanza.
Dopo dieci minuti, riesco a riconoscerla come mia dimora. Guardo l’orologio. Ho ancora un po’ di tempo per finire il paragrafo di economia domestica che mi manca. Uffa!
Quindi passo l’ultima mezz’ora, prima di andare in mensa, a studiare. E la cosa non è divertente.
 
Finalmente è ora di pranzo!
Non ce la facevo più a rimanere sulle pagine del libro, mi occorre proprio uscire da questo tugurio arancione. Mi stiracchio, respiro profondamente e mi dirigo verso la sala da pranzo.
Non so per quale ragione, ma continuo a controllare il telefono, forse in attesa che accada qualcosa. Ma non saprei dire con certezza cosa.
A mensa noto delle ragazze molto alte, sedersi ad un unico tavolo al centro dello spazio. Sembrano delle snob, con la puzza sotto il naso, anche se non le ho mai viste prima, neanche in giro per il campus. Mi avvicino, cautamente, a una ragazza che conosco di vista e le chiedo:
-Ehi, chi sono quelle?-
-Come?! Non conosci le terribili Rose Rosse della Raimon?- mi domanda stupita. Con ancora il vassoio in mano, mi siedo accanto a lei e scuoto la testa in segno di negazione.
-Fanno parte della squadra di pallavolo della scuola e sono considerate molto brave…-
-E allora perché vengono chiamate Rose Rosse?-
-Perché, è vero che sono tutte molto brave, ma ogni partita giocata hanno… come… massacrato le avversarie. E poi, il loro centrale titolare, è davvero senza pietà. Rose deriva dal fatto che sono ragazze; mentre Rosse… per le sciagure che provocano. Pensa che nel campionato scorso, ho sentito dire, hanno mandato all’ospedale quattro giocatrici, su cinque squadre. E sono casi abbastanza gravi…-
-Ma è una cosa terribile!- sono scioccata. Pensavo che solo nel calcio si potesse arrivare alla violenza per mezzo di pallonate o cose del genere. Sono inorridita a pensare a tutti gli attacchi possibili sulle avversarie, facendo apposta per lo più. Esco una sola volta dal mio buco ed ecco cosa succede.
-Ora vado a dirgliene quattro!..-
-No, ferma! Sono molto forti fisicamente!-
-Anch’io…e non per fare del buonismo, ma non possono fare ciò!-
-Lo so…e per fortuna quest’anno è il loro ultimo torneo alla Raimon…-
Per fortuna delle Rose Rosse, la mia compagna mi ha fermata o altrimenti le avrei addolcite come si deve. Non sopporto la violenza, anche perché ne sono stata vittima, soprattutto se è sportiva. Va contro i principi dell’uomo far del male ai propri simili…uff.
La mia amica si alza e se ne va, mentre si avvicinano Mark e Nathan con i loro vassoi. Si siedono e mi salutano, ma non li ricambio come vorrei e così si affrettano a chiedere:
-Cosa è successo?-
-Niente. Ho scoperto la reputazione delle Rose Rosse…- rispondo a Nathan con sguardo basso mentre sto torturando con la forchetta la mia insalata innocente.
-Se non sbaglio sono del club di pallavolo. Ma a te cosa importa?-
-Si da il caso che vorrei entrare nel loro club. Non voglio più giocare a calcio….-
-Anche tu?!- dice incredulo Mark.
-Come “anch’io”?-
-Anche io non farò più parte della squadra di calcio. Mi dedicherò all’atletica…-.
Assumo un’espressione tra lo scioccato e il confuso. Si sarà, anche lui, stancato di calciare un pallone.
-Perché Nathan?! Sei molto bravo come difensore e non sarebbe più la stessa cosa giocare con un giocatore in meno. Ti prego non lasciare la squadra!- implora il portiere.
Mentre discutono, cercando di far cambiare idea al numero due dell’Inazuma Japan, finisco il mio pasto. Mi alzo dalla panca e salutandoli li lascio alla loro discussione.
 
Ritorno in camera per rilassarmi. Questa giornata è stata già abbastanza piena di sorprese a mio parere. E non ne vorrei altre prima di domani…
Mi sdraio sul letto con le cuffie nelle orecchie e la mia musica preferita. È un buon modo per calmarmi soprattutto dopo che mi sono arrabbiata con quelle snob del club di pallavolo. Ma io non mi faccio ingannare dalle apparenze e sono decisa comunque a partecipare a quel club, costi quel che costi.
Mettendomi su un lato scopro che sono talmente stanca, che mi addormento in pieno giorno.
 
***
 
Dopo quasi un’intera estate sono felice di tornare a scuola, di rivedere i miei compagni, il club di calcio e soprattutto lei.
Io e Hayden varchiamo il cancello principale, dirigendoci verso l’interno della scuola.
-Certo che qui è molto più grande di dove andavo prima. Spero solo che lo studio non sarà proporzionale alla grandezza di questo posto-.
Non do peso alle parole di mio fratello perché ho subito notato un influente cambiamento alla struttura: l’aggiunta di un nuovo edificio.
Continuo a guardarlo mentre ci avviciniamo alla nostra destinazione. Sulla facciata principale vi è una scritta brillante, in netto contrasto con il resto dei muri: Dormitorio Femminile.
E così sono stati divisi più nettamente i confini tra maschi e femmine. Quindi sarò più lontano da lei. Sospiro. Ritornando alla realtà, aumento il passo per evitare che Hayden si perda, seminandomi.
 
Dopo che abbiamo preso le chiavi della nostra camera condivisa, la numero 31, iniziamo la sua ricerca.
Ma la troviamo subito, facilitati dalla presenza di una tabella con indicazioni. Si trova al terzo piano sul lato destro, la vecchia parte riservata alle ragazze.
Entriamo e notiamo che è molto grande e azzurra: ha un letto a castello, due armadi separati su due pareti diversi e una grande scrivania lunga quanto una parete; sulla parete dove vi è solo un guardaroba vi è anche una porta bianca. Poggiando la mia valigia vicino ai letti, vado a vedere che cosa contiene quella stanza e scopro che è un bagno bianco crema, palesemente.
Hayden entra dopo di me nella stanza, avendo fatto fatica a salire le scale per via del pesante bagaglio.
Appena in camera, butta la sua valigia sul letto superiore ed esclama:
-Io prendo quello in alto!-
Non controbatto perché per me è indifferente, anche se non mi dispiaceva dormire in alto.
Non importa perché il mio unico pensiero per ora è rincontrarla. Durante l’estate non ci siamo sentiti perché ho dovuto aiutare mio fratello con il trasferimento da una scuola all’altra. Mi manca tantissimo.
Hayden lo nota e mi fa cenno di andare da lei. Però prima che io esca mi chiede:
-Vado a consegnare le domande per il club di calcio?-
Annuisco e me ne vado di corsa. Proseguo a gran velocità il corridoio di vetro che collega i due edifici e mi fermo solo davanti alla lavagna su cui sono segnate le camere. Leggo velocemente e al numero 137 scorgo il suo nome.
Facendo due gradini alla volta, percorro le sei rampe di scale che occorrono per arrivare al terzo piano e solo ora rallento. Con passo svelto però cerco la camera lungo il corridoio. Finalmente la trovo. Mi fermo per riprendere fiato. Il cuore mi batte forte ma non per la corsa quanto per l’emozione di rivedere il suo viso sorridente e poterla, di nuovo, abbracciare. Sento le guance andare a fuoco e mi imbarazzo ripensando a quel bacio.
Però, non mi perdonerò mai per il modo in cui mi sono comportato dopo quel dolce momento. Sono stato uno stupido…
 
Mi avvicinai a lei lentamente prendendole delicatamente il viso tra le mani e… la baciai dolcemente.
Per un tempo che a me parve infinito le nostre labbra si unirono in quella dolce e armoniosa danza chiamata bacio mentre una stella cadente solcava il cielo con la sua scia luminosa.
Quando ci dividiamo le sussurrai mentre ci unimmo in un abbraccio:
-Ti amo Aida!-
-Anch’io ti amo, Shawn!-
Rimanemmo insieme per molto tempo. Ero imbarazzatissimo e  andavo a fuoco, mentre, mano nella mano, guardavamo le stelle luminose al ritmo tranquillo delle onde del mare. Era molto rilassante e  pareva di essermi tolto un dubbio pesantissimo dal petto. Ma c’era ancora una cosa che le volevo chiedere ma non sapevo come e se avevo il coraggio. Presi un respiro profondo, come mai prima d’ora, e dopo aver formulato la frase nella mia mente e stringendole ancora di più la mano appoggiata sulla sabbia ormai gelida, le chiesi:
-Aida, vorresti essere la mia dolce metà?-
In attesa della risposta il cuore batteva molto forte, più forte di quando ci siamo baciati. Ero sicuro che si vedesse il suo contorno sotto la maglia e che si sentisse anche, se le onde smettessero di scorrere e i miei compagni, nei cespugli, piantassero di fare commenti incomprensibili. Ma la risposta arrivò subito:
-Si, si, si!- era felicissima e ogni “si” era sempre più forte e convincente. Mi schioccò un bacio sulla guancia, abbracciandomi. Ricambiai e restammo uno stretto all’altra per un tempo che a me parse troppo breve.
All’improvviso si sentirono delle urla e gridolini provenire dai cespugli. A volte mi chiedo perché i miei compagni devono essere così ottusi e poco sensibili. Voltandoci verso di loro, vedemmo delle figure balzare fuori. Le prime “rompiscatole” furono le ragazze che arrivarono di corsa e abbracciarono Aida. Erano tutte molto felici ed è stato piacevole vedere il suo volto illuminarsi di un sorriso sincero. D’altro canto, i ragazzi arrivarono non molto dopo e iniziarono a fare commenti maliziosi e di pessimo gusto mentre altri più maturi si complimentavano.
 
Quando andammo a dormire, però, non ci scambiammo alcun saluto o parola che potesse dedurre che fossimo conoscenti. E questo mi turbò molto: non avevo più il coraggio che avevo in spiaggia. Come se fosse finito tutto con quella dichiarazione. Come se non sapessi più parlare.
Anche durante il viaggio in pullman parevamo dei perfetti sconosciuti, tranne per il fatto che eravamo completamente imbarazzati e ci tenevamo per mano.
La cosa però più spiacevole successe dopo.
Giunti alla Raimon, una marea di fans ci sommersero tra foto e autografi. Così non ci siamo potuti salutare e neanche spiegarle che, durante l’estate, non ci saremmo potuti vedere…
 
Scuoto la testa, riportandomi alla realtà. Quel comportamento così freddo da persona insensibile è stato davvero da idioti. Per questo voglio farmi perdonare, con un tocco di romanticismo che non mi credevo capace. Così inserisco, sotto la porta, una lettera color crema e aspetto con ansia. Spero solo che sia in camera…
 
***
 
Sto ancora dormendo quando sento un fruscio provenire esternamente al mio mondo di sogni. Apro gli occhi lentamente, venendo accecata dalla luce del sole. Sbadiglio. La musica è scomparsa perché il cellulare ha cessato di vivere e così, con ancora gli occhi socchiusi, tolgo le cuffie e le avvolgo intorno al telefono. Mettendomi a sedere sul letto e stropicciandomi gli occhi, noto una strana lettera in contrasto col pavimento della stanza. Ancora confusa e assonnata mi alzo e la raccolgo.
La controllo prima da una parte e poi dall’altra. Non vedo nessun segno di mittente o altro. Curiosa come sono è palese che io l’abbia aperta. Inizio a leggere la calligrafia scritta con un inchiostro blu mare. Ma vi è solo una piccola frase con l’autografo del mittente…
 
Ciao, mio piccolo angelo di neve…”
 
Non ho bisogno di leggere la firma per capire chi sia. Il pezzo di carta mi cade dalle mani. Di scatto, come spinta da una forza misteriosa, apro la porta, con gli occhi lucidi. Vedendo i suoi capelli argentati e gli occhi grigi gentili, gli salto al collo. Sono al settimo cielo. Non so neanche spiegare la gioia che mi invade nel petto e nell’anima. So solo che lo abbraccio più forte che posso e singhiozzando anche tra i sorrisi. Mi è mancato tanto. Tantissimo. È come se avessi visto un vero e proprio angelo. Anzi ancora di più…
 
***
 
Mi è mancata tanto. I suoi occhi grigio-verde, i suoi capelli bianchi come la neve, il suo sorriso dolce come quello di un angelo appunto e la sua personalità.
-Mi sei mancata…- le sussurro, ancora avvolti nel nostro abbraccio.
-…anche tu…- sta singhiozzando per l’emozione. Ci sciogliamo e con un dito le asciugo una lacrima che gli riga il volto. Lei sorride. Ci avviciniamo piano, unendoci in un piccolo bacio.
Quando ci dividiamo, ci guardiamo negli occhi. È così bella, rossa come me in viso.
Una piccola risata ci percorre, mentre ci teniamo per mano.
Mi prende per un braccio e mi tira dentro a camera sua, decisamente più calda rispetto alla mia.
Ci sediamo sul suo letto, una davanti all’altro. Per un momento nessuno di noi due sa come iniziare un discorso sensato. Io avrei un miliardo di cose da dirle ma, in questo momento, è come se avessi perso la memoria e non mi ricordassi più nulla.
Finché lei, con il suo sguardo dolce e ancora il sorriso stampato in volto, mi chiede:
-Dove sei stato tutta l’estate?-
Mi sorprendo perché mi immaginavo una reazione diversa da parte sua. Avrei giurato che avesse detto frasi del tipo “Perché non mi hai salutata?” o ancora “Perché mi hai ignorata?”, con uno sguardo da bambina imbronciata.
Mi preoccupo un po’. Spero che il suo carattere non sia cambiato. Mi piace così com’era. Quindi le chiedo visibilmente preoccupato:
-Sei sicura di stare bene?-
-Non si risponde ad una domanda con un’altra…- lo dice con un’aria stranamente seria, ma anche divertita.
-Dai, sono serio. Perché fai così?-
Non dice niente ma scoppia a ridere. E solo ora capisco che mi ha fatto uno scherzo. Prende il cuscino dietro di lei e me lo lancia addosso. Per fortuna riesco a schivarlo. Sempre la solita simpatica.
-Stavo scherzando! Dovresti aver visto la tua faccia, era così seria!-
-Bello scherzo!...ma, ora, passando a cose più tristi. Devo scusarmi…-
Il suo viso si fa pensieroso, mentre si alza a riprendere il cuscino finito sul pavimento.
-E di cosa?-
-Del mio comportamento dell’ultimo giorno che ci siamo visti…sono stato un idiota. Non ti ho neanche salutata…-
-Stai tranquillo. C’era una folla inferocita, è più comprensibile che ci siamo persi…-
Il silenzio si fa ancora partecipe della conversazione. Ci guardiamo entrambi negli occhi e i suoi mi sembrano così limpidi.
Ad un certo punto mi viene in mente che lei, mi pare, sia rimasta qui a scuola a studiare per recuperare l’anno perso e che, forse, non si sia ancora iscritta a nessun club o che non abbia ancora visto in che classe sia. Quindi, le chiedo:
-Ti andrebbe di venire a vedere le classi?-
-Mi sembra un’ottima idea! Solo se…vieni con me a consegnare la domanda di iscrizione al club di pallavolo-.
Rimango totalmente spiazzato. Aida nel club di pallavolo?! Perché?!
-Il club di pallavolo?-
-Si. Ho deciso di lasciare il calcio, almeno per ora. Dopo quello che è successo nell’ultima partita vorrei fare uno sport un po’ più tranquillo…-
-Ma dopo non è troppo noioso?-
-No. Anche perché ho intenzione di rivoluzionare le temibili Rose Rosse…-
Le Rose Rosse?! Ma è impazzita? Cioè, sono come demoni che si abbattono sulle prede per rubare l’anima. Non so come le sia venuta in mente quest’idea pazza ma io la rispetterò. Se è quello che desidera, va bene.
-Ok. Però mi devi fare una promessa…-
-Che genere di promessa?-
-Devi giurarmi di non farti male. Non riuscirei a sopportarlo…-
-Va bene. Te lo giuro-.
Uniamo i mignoli i segno di promessa. Come se fossimo molto più piccoli.
 
 
 
 
 
   
 
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