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Autore: Akilendra    10/08/2015    1 recensioni
"Come si può fermare un cuore innamorato? Come gli si può dire che deve smetterla? Smetterla di amare, perché un cuore innamorato è un cuore malato e l'amore è la sua unica malattia, l'amore è la sua unica cura. Come si può fermare un cuore innamorato?
Non si può.
Continuerà ad amare sempre, si farà male, si farà bene. Togligli l'amore e appassirà. Diventerà arido e ghiacciato, duro come il marmo. Togligli l'amore e guarirà, ma sarà morto.
Loro erano vivi. Malati di amore, ma vivi."
Questa è la storia di due parabatai: iniziata a scrivere quando avrei tanto voluto leggerla, interrotta quando ho saputo che c'era e che sarebbe uscita, completata nell'attesa dell'unica ed originale scritta dalle ben più degne mani di Cassandra Clare.
Questa è la storia di Ben e Lena.
Genere: Introspettivo, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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22. Il pezzo mancante

Are you lost or incomplete?
Do you feel like a puzzle
You can find your missing piece?
(Coldplay~Talk)



C'è un momento nella vita di una persona che è il centro di tutto, che sembra il primo, o forse l'ultimo. Quel momento che ti fa stringere i denti e spegnere il cervello, che ti fa perdere la testa. Ed è come se tutta la vita fino ad allora sia stata un grande conto alla rovescia, una sequenza di numeri che ti avrebbe portato a questo, qualsiasi cosa avessi fatto, qualsiasi decisione avessi preso. Inevitabilmente.
Perché da qualche parte è scritto, qualcuno da qualche parte ha messo in pausa la vita, ti ha preso per le spalle e ti ha detto: "È il momento, lo zero dopo il conto alla rovescia".
Tocca a te. Devi solo sperare di riuscire a contare abbastanza.
Quello era il momento di Lena.


Non erano serviti a niente i tentativi di Dimitry di farla ragionare, a nulla erano valse le sue parole, le sue braccia tese verso di lei, gli abbracci forzati con cui credeva di poterla trattenere. Non c'era niente al mondo che avrebbe potuto trattenerla. Lena era la molla schizzata via dall'ingranaggio, era il fulmine sfuggito al cielo, inafferrabile, irraggiungibile; era il vento di San Francisco, la tigre uscita dalla gabbia, inarrestabile, incontrollabile. Era le urla che uscivano dalla sua bocca ed i calci sferrati per non lasciarsi avvicinare. Graffiava, mordeva, scansava tutto ciò che si metteva sulla sua strada.
Era se stessa ed era tutto ciò che non era mai stata.

E bastava chiudere gli occhi per sentire echi lontani di emozioni che, pur non avendo provato, erano sue.

Dov'è? Non sei neanche un po' incazzato con lei? Perché non è qui? Dov'è? Ti ha lasciato solo, ragazzo. Com'è scoparsi la propria parabatai? È bella la tua Lena... È lei il tuo peccato, liberatene! Dov'è ora? L'ha sentito questo, eh? Lei l'ha sentito? Scommetto che in questo momento, mentre sei chiuso in questa cella, lei non ti sta pensando affatto. Dov'è? Alzati! La tua parte mondana la ama come farebbe un umano, la tua parte angelica la ama come farebbe un angelo. Dov'è? Penso che d'ora in poi non avremo più bisogno del tuo aiuto come cacciatore.

Le scoppiava la testa, le scoppiava il cuore, era un'esplosione continua, una bomba di carne e sentimenti che era stata innescata da tempo. Bastava chiudere gli occhi, respirare, per soffrire un dolore che era stata lei a procurare.
Ben. Lo sentiva, con un'intensità straziante, dolore fisico e mentale, dolore ed ancora dolore.
Ben. Lo sentiva, soffriva per sé, soffriva per lui. Era vittima e carnefice con una semplicità disarmante.
Ben. Lo sentiva, come non aveva mai fatto prima, ora che era certa che qualcosa si stesse spezzando, lo sentiva pur non sentendolo.
Ben. Uno schiaffo in pieno viso. Ben. Calci nello stomaco. Ben. Una ferita molto più profonda che non si sarebbe mai rimarginata.
Ben.

In uno spasmo che non avrebbe saputo dire se fosse stato volontario o meno strinse nel pugno la stoffa sul suo petto. Qualcosa bruciava, sotto la divisa da cacciatore, appena sopra il cuore. Come se mille ferri arroventati le avessero trapassato la carne, come se le avessero strappato la pelle del petto a morsi, come se...se...
Come se le stessero portando via un pezzo di sé. 
Non si era ancora staccato del tutto eppure riusciva benissimo ad immaginare il buco che la sua assenza avrebbe comportato, una voragine incolmabile, un dolore straziante. Lena sapeva con certezza che si sarebbe sentita persa a partire da quel momento, si sarebbe sentita come un puzzle per sempre incompleto senza il suo pezzo mancante.
Come poteva stare calma? Come poteva non piangere, urlare, buttarsi a terra, alzarsi solo per ributtarsi, tirare i propri capelli fino a strapparli, desiderare di strapparli, desiderare un modo per scappare dal dolore... come poteva? Come? Ben. Come? Ben. Faceva così male. Come?

Perché ti stai allontanando, Ben? Perché?
- Alena, fermati! Ti prego, aspetta! - Ben.
- Dove vai? Aspetta! - Ben.
- Alena...- Tu non sei Ben, io non sono Alena.

Il portale nel castello dei Blackshade l'aveva attirata a sé come fa una calamita e Lena ci si era lanciata contro come se, oltre quello, ci fosse stata la soluzione ad ognuno dei suoi problemi. In un attimo aveva chiuso gli occhi e... Dove?
Nella sua mente aveva rievocato immagini viste solo nei dipinti o scaturite dai racconti dei suoi genitori: prati verdi, canali tra le vie strette e un lago sulla cui superficie cristallina si poteva rimirare il proprio riflesso meglio che su uno specchio.


Esattamente nello stesso istante, senza averne la minima idea, Ben e Lena stavano attraversando un portale. La differenza era che: mentre Lena ci si era lanciata di sua spontanea volontà con la furia cieca negli occhi e la speranza nel cuore di trovarlo, Ben ci era stato spinto contro mentre era quasi completamente incosciente.


L'impatto con il suolo e quella strana sensazione di essere fatto a pezzi e riassemblato in fretta che seguiva a quel genere di trasporti non fu certo di aiuto. Così, barcollando per le strade di San Francisco con nemmeno una runa di invisibilità a proteggerlo dagli sguardi indiscreti dei passanti, si ritrovò accasciato davanti la soglia di Magnus Bane senza saper dire come c'era arrivato. Ebbe la disgraziata prontezza di spirito di bussare con un piede prima di svenire.
Lilian aprì quasi subito la porta. Dietro di lei suo fratello chiedeva chi fosse, ricevette come risposta un urlo.
Una colorita imprecazione sfuggì dalle sue labbra quando raggiunse la soglia di casa e lo vide; prese per le spalle Lilian che era rimasta pietrificata sull'uscio con una mano davanti la bocca e la spinse di nuovo nell'appartamento, poi si chinò sul ragazzo e, cercando di non fermarsi troppo sulle penose condizioni in cui si trovava, se lo caricò in spalla portandolo dentro.
Dopo una breve e per niente rassicurante occhiata lo appoggiò con delicatezza sul suo letto, anche se cercare di essere delicato con quel corpo martoriato era un'impresa: sembrava impossibile compiere qualsiasi movimento sperando di non fargli del male. Per lo meno ora che era svenuto il dolore doveva essere momentaneamente svanito, quello esterno almeno. Chi poteva sapere cosa infuriava dentro il cacciatore? Sperò con tutto se stesso che la mente di Ben non fosse ferita quanto il suo corpo.
Lilian lo raggiunse reggendo tra le mani bende ed abiti puliti che posò ai piedi del letto, poi si chinò sul ragazzo ed aiutò Magnus a liberarlo dai suoi logori e sudici stracci. Ora che non c'erano più quei brandelli di stoffa a coprirli, sulla pelle del ragazzo spiccavano lividi scuri, segni di frustate ed altre ferite di dubbia provenienza. Aveva sicuramente qualche costola rotta ed un braccio penzolava ostinato ad andare in un'altra direzione rispetto al corpo, ma ciò che da subito attirò l'attenzione dei due fratelli fu una bruciatura dai contorni irregolari all'altezza del petto.
Ci volle poco più di un secondo per rendersi conto di cos'era, o meglio: di cos'era stata.
Lilian, abbandonata ormai da tempo la sua dura facciata, non poté trattenersi dallo scoppiare a piangere. Era una strega e non una shadowhunter e perciò certe cose non poteva capirle fino infondo, poteva solo immaginare cosa volesse dire, ma anche solo l'immaginarlo era troppo. Provò un' infinita compassione per quel giovane cacciatore, a stento trattenne l'orrore mettendosi al lavoro insieme ad un Magnus completamente sconvolto.
Mentre scintille colorate sprizzavano frenetiche dalle loro dita animandosi per curare Ben, seppero con assoluta certezza che chiunque aveva commesso quella brutalità non era degno di essere chiamato Nephilim. 


Idris sarà pure stata la terra magica, la patria intoccabile degli Shadowhunters, eccetera, eccetera... Ma la terra era dura esattamente come quella di qualsiasi altro luogo ed il fatto di essere un cacciatore non ti rendeva più dolce l'impatto con il terreno. Non che quel piccolo particolare avesse potuto attirare l'attenzione di Lena, aveva dentro di sé dolori ben più forti da sopportare. Non si prese nemmeno il disturbo di togliersi la terra di dosso, da qualche parte trovò la forza per rimettersi in piedi e cominciò a camminare in maniera più o meno dritta verso le mura di Alicante.
Disse il suo nome ai due cacciatori dall'aria minacciosa e, se solo non si fosse sentita così persa, se solo non si fosse sentita così arrabbiata, sarebbe rimasta stupida quando questi non fecero obiezioni e si scansarono per lasciarla passare.
Perché non l'avevano fermata? Il Conclave non aveva emesso un ordine di cattura nei suoi confronti?
La verità era che non le importava, avrebbero anche potuto arrestarla, non le sarebbe cambiato nulla, anzi, sarebbe stato un modo più veloce per entrare alla Guardia e per raggiungere Ben.
Ben.
Mise un piede dietro l'altro ed oltrepassò le mura della città senza dire un'altra parola.

Più si addentrava nei viottoli pittoreschi, ai cui lati sorgevano edifici in pietra dorata e tegole rosse, più le era spaventosamente chiaro come la sua non fosse una gita turistica. Non si fermava ad ammirare gli scorci caratteristici, non abbassava lo sguardo quando si trovava ad attraversare un ponte su un canale, non guardava con meraviglia le torri innalzate a proteggere la città come avrebbe fatto ogni Shadowhunters che fosse per la prima volta giunto in quella terra. Per lei Idris rispecchiava la disperazione e la rabbia che aveva in quel momento nel cuore, le sue vie sembravano grottesche imitazioni di qualcosa che avrebbe dovuto suscitare armonia; l'oro con cui erano dipinti i muri delle case le appariva un colore pazzo ed esasperato.
Alicante era la città dei Nephilim, un posto magico dove ogni cacciatore avrebbe dovuto sentirsi a casa.
Lena la odiava.

Appena apparì nella sua visuale seppe che, quell'edificio in pietra scura ed elementare nella sua architettura, era quello che stava cercando: la Guardia. La osservò ed odiò anche quella.
Era una semplice fortezza, evidentemente costruita per la sicurezza e sostenuta su tutti i lati da pilastri non decorati da caratteristiche architettoniche, ma naturalmente iscritti in tutta la loro estensione con Marchi di protezione. Quattro torri antidemoni, più piccole di quelle che si trovavano a guardia della città, si innalzavano dai quattro punti cardinali dell'edificio. I cancelli erano parecchie volte più alti di un uomo, ricavati da una combinazione di argento e ferro freddo, decorati con statue angeliche di pietra, ma soprattutto completamente sguarniti. Non c'era nessun cacciatore infatti a proteggere l'ingresso e, seppur era una cosa unica e straordinaria, non toccò minimamente Lena che, appiattendosi come un gatto e quasi slogandosi una spalla, riuscì a passare tra le imponenti sbarre dei cancelli.
Non fu difficile ignorare il dolore al braccio e qualsiasi altro impulso che avrebbe potuto tentarla a fermarsi, non esisteva niente che avrebbe potuto convincerla a desistere. C'erano solo i suoi piedi che calpestavano il terreno e quella rabbia cocente ed irrazionale che le cresceva dentro e le dava la spinta per ogni passo.
Ben.
Quella che da fuori appariva come una fortezza dalla struttura semplice ed essenziale, all'interno assomigliava più ad un labirinto. Corridoi: stretti, dritti, ampi o con molte curve si snocciolavano indisturbati nella complessità di quell'edificio. E per le centinaia di corridoi che i i suoi piedi avevano calpestato, c'erano altrettante porte e rampe di scale, nicchie scavate nel muro che sembravano nascondere loschi passaggi segreti degni di un thriller. Lena camminava incessantemente, imboccava ogni rampa di scale ed apriva ogni porta che le si parava davanti con la cieca speranza di trovare ciò per cui era venuta.
Ben.
E dietro ogni passo che faceva, ogni scalino che scendeva, dietro ogni porta che richiudeva, lasciava un pezzo di cuore, un pezzo di anima per ogni volta che la speranza di trovarselo davanti si era trasformata in illusione.
Ben.
Accelerò il passo.
Ben.
Respirava a fatica, sentiva che ogni secondo poteva essere l'ultimo, sentiva di poter cadere a terra da un momento all'altro e non trovare la forza per rialzarsi. Non sarebbe importato. Se solo l'avesse trovato, se solo l'avesse visto per un'ultima volta, non sarebbe importato.
Ben.
La runa parabatai pulsava dolorosamente sul petto, bruciava e gridava di stare per spegnersi, come una luce ad intermittenza che si sta fulminando.
Ben.
Ormai correva, il pavimento scivolava sotto i suoi piedi, le porte si aprivano quasi al suo passaggio e non le interessava fare rumore, non le interessava essere scoperta. Forse non le era mai interessato.
Perché non arrivava nessuno?
Dannazione, mi sono introdotta nella Guardia, sto camminando, anzi correndo, indisturbata per questi corridoi, sto urlando esattamente da adesso, o forse da molto di più, sto...sto... Perché non mi portate via? Perché non mi rinchiudete in una cella? Torturatemi, accusatemi, processatemi, disprezzatemi. Portatemi da lui.
Perché non arriva nessuno?
I suoi passi divorarono l'ennesimo corridoio. Non si curò nemmeno che fosse diverso dagli altri, quando sfondò con un calcio l'unica porta a cui conduceva, non si curò che fosse diversa dalle altre e quando si ritrovò in quell'enorme sala dalle pareti specchiate, completamente diversa dalle altre, lei semplicemente... Non si curò. Si bloccò oltre la soglia, immobile, come fosse stata di pietra e mentre il cuore batteva feroce nel petto gridando che non era una statua, che era viva e che doveva trovarlo, la invase una strana ed agghiacciante sensazione di inquietudine. E si rese amaramente conto di essersi sbagliata, un piccolo madornale errore che bruciava sfrigolando nella rabbia.
Perché non arriva nessuno? 
Non c'è nessuno.
Poi un rumore attirò la sua attenzione, un fruscio così sottile che sarebbe risultato non udibile a chiunque. Lena lo percepì come fosse stata un'esplosione nel bel mezzo del sonno. E capì che aveva commesso un altro errore.
Sbagliato, Lena. Continui a sbagliare. Non fai che sbagliare.
Non è vero che non c'era nessuno.
Qualcuno c'era.
Una figura avanzò verso di lei, non c'era fretta nei suoi passi, camminava come fa un predatore verso una preda che non ha più scampo. Quello che non sapeva era che quella stessa preda che considerava ormai arresa era stata temprata dal dolore, come una spada che viene aggiustata: il punto che una volta era quello di rottura ora era il più forte della lama.
Quando alzò lo sguardo, Lena vide il riflesso dell'Inquisitore Marknight davanti a sé. Occhi chiari, che avrebbero dovuto ricordare il ghiaccio ma che sembravano bruciare, perforarono la parete e si inchiodarono nei suoi. I capelli grigi erano tirati indietro e risultavano ordinati nella loro uniformità cromatica, il corpo slanciato era abbracciato da un abito grigio che si sarebbe detto appena uscito dalla sartoria, il passo era disinvolto e per nulla sforzato, solo le sottili rughe sul viso tradivano l'effettiva età che doveva avere.
Si voltò di scatto per fronteggiarlo e le mille identiche immagini che le restituirono le pareti specchiate per un attimo la disorientarono.
- Dov'è? - ruggì, una leonessa. La risata dell'uomo riecheggiò per tutta la sala.
- Domanda interessante questa - C'era qualcosa nella sua espressione che la faceva sentire come se si stesse profondamente prendendo gioco di lei. Inutile dire come questo la fece infuriare molto di più di quanto già non fosse.
- Dov'è? - ripeté e quasi le cedettero le gambe quando quella stessa domanda le riecheggiò nella testa tante di quelle volte da stordirla. Era ripetuta ancora e ancora, voci pesanti e minacciose, il tutto era contornato da un sottile strato di nebbia, come un ricordo.
Non era suo, ma era suo e faceva un male atroce.
- Chi? - Non ebbe più dubbi sul fatto che si stesse prendendo gioco di lei. Prima di poter anche solo articolare un pensiero coerente il suo corpo si mosse scagliandoglisi contro.
- Non giocare con me, brutto bastardo! Non provarci neanche - gli ringhiò a pochi centimetri dal viso. Una scintilla gli illuminò gli occhi chiarissimi.
- Ti sembra questo il modo di rivolgerti all'Inquisitore? - Il ghigno sul suo viso tradiva l'odioso divertimento che sembrava provocato da qualcosa che solo lui poteva capire. Poggiò una mano su quella di lei che artigliava sgraziatamente la stoffa liscia dell'abito elegante. A quel tocco Lena mollò la presa di scatto, ustionata da quel viscido tocco, si allontanò di un passo e gli rivolse uno sguardo furioso.
- Sai cosa mi importa di chi sei? Potresti essere Raziel in persona e, per l'Angelo, giuro non potrebbe importarmene di meno! - Una strana soddisfazione si dipinse sul viso dell'uomo a quelle parole sputate con sfrontatezza. Si lisciò la stoffa della giacca, le si avvicinò di un passo e la guardò negli occhi.
- Chi sei venuta a cercare, Alena? - C'era qualcosa nel modo in cui pronunciò il suo nome che faceva male, qualcosa che lo faceva sembrare un suono antico e terribilmente familiare. In un attimo Lena gli fu di nuovo addosso, le mani strizzarono la stoffa costosa, il corpo dell'Inquisitore era schiacciato contro la parete specchiata e lei, la furia negli occhi e un'espressione selvaggia in viso, gli era chinata sopra.
- Devi essere un dannato masochista perché ho come l'impressione che tu sabbia benissimo di chi sto parlando - sibilò - Ben. Benjamin Fairway, figlio di Eleanor Carlight e Nicholas Fairway. Il mio parabatai. Nephilim, Cacciatore, Shadowhunter o come diavolo vuoi chiamarlo. Ben - Prese fiato, ma solo per ributtarlo fuori urlandogli in faccia.
- DOV'È? - Una ciocca grigia sfuggì dal perfetto ordine dei suoi capelli e gli ricadde suo viso, non si prese il disturbo di rimetterla al suo posto.
- Oh, quel Ben - Sorrise serafico - Ho paura che tu abbia fatto un viaggio a vuoto, mia dolce Alena -.
- Perché? È qui o no? Parla! - L'Inquisitore si prese un attimo per gustare l'urgenza che c'era nella sua voce, come fosse preziosa, come fosse qualcosa di cui nutrirsi. Poi parlò.
- In effetti è stato qui - ammise ostentando noncuranza - È stato un mio...ospite, direi. Non è un tipo di compagnia, non trovi? Si ostinava a non voler rispondere alle domande che gli porgevo, nonostante mi sforzassi di essere piuttosto persuasivo, non voleva proprio dirmi dov'eri - Un sorriso crudele gli deformò il viso e un ricordo lancinante sorprese Lena facendo allentare la sua presa su di lui. Immagini confuse gli balenarono in mente, voci sconosciute e dolori che era certa di non aver provato, ma che non avrebbero mai potuto fare più male di così.
- Suppongo bastasse aspettare, dato che alla fine sei stata tua a venire da me e di tua spontanea volontà, per giunta. Non è magnifico? - Con una semplicità sconcertante capì che quei ricordi appartenevano a Ben e perciò erano effettivamente un po' suoi. Il dolore di Ben era il suo e l'odio verso l'uomo che aveva davanti non avrebbe mai potuto essere più giustificato. La rabbia le annebbiò la vista e per un attimo credette di volerlo uccidere, per un attimo fu completamente convinta che avrebbe potuto ammazzarlo, lì, in quel momento: sfilare la spada angelica dalla cintura e mozzargli la testa, calpestare il suo sangue e sputarci sopra.
Si trattenne. Qualcosa la trattenne.
- So che è qui. Dimmi dov'è e risparmierò alla mia spada di sporcarsi col tuo sangue - La voce appena udibile, gli occhi chiusi e il respiro che cercava disperatamente di controllare. L'uomo sbuffò una risata senza divertimento e Lena lo sentì avvicinarsi, il suo respiro le lambiva il collo. 
- Ah... Tu sai che è qui. Lo senti, non è vero? È il tuo parabatai, queste cose uno Shadowhunter le sente e basta - Lena si trovò suo malgrado ad annuire impercettibilmente, gli occhi che non osavano aprirsi. Voleva solo trovarlo, voleva solo vederlo e sapere che stava bene.
- Povera Alena, deve essere successo qualcosa qui - Sollevò una mano, le sue dita sfiorarono l'uniforme di pelle proprio là, dove la runa parabatai pulsava dolorosamente. Un bruciore intermittente, come intermittente era diventata la sensazione che Lena aveva di Ben. 
- Evidentemente si è rotta la bussola che avrebbe dovuto portarti da lui. È così che funziona per voi parabatai, no? - Il suo fiato le arrivava sul collo in una carezza crudele, ad ogni sussurro che soffiava sulla sua pelle sentiva il cuore sprofondarle un po' di più nel petto.
Si è spezzato il filo. Non riesci più a sentirlo, Lena. 
No - ansimò cercando di allontanarsi, ma la stretta dell'Inquisitore era una morsa di ferro. La sua mano chiusa a pugno strattonò la stoffa dell'uniforme che si lacerò sotto il suo attacco come se avesse artigli rapaci al posto delle dita. Con una sola potente spinta la scaraventò dalla parte opposta della sala facendole urtare rumorosamente lo specchio dietro di sé. La raggiunse con un ghigno perverso solo per rialzarla e sbatterla con ancora più forza contro la parete. L'uniforme squarciata lasciava intravedere il petto, la runa parabatai spiccava sulla carne chiara come una ferita ancora aperta, leggermente sbiadita, tormentava la pelle come il morso di una bestia feroce. Infilò una mano nel buco della stoffa e la toccò con un'apparente delicatezza che disgustò la ragazza.
- Sei rotta, Alena. Non riesci più a sentirlo come prima, vero? È come una lampadina che si sta fulminando: un attimo di luce e poi torna il buio. Sempre più buio - Si dimenò sotto di lui cercando di sfuggire dalla sua presa e da quelle parole.
- Non ti sei chiesta perché? Perché tutt'un tratto è così difficile sentirlo? Era così scontato, così naturale, ci riuscivi senza neanche sforzarti, era parte di te senza che te ne rendessi conto ed ora non riesci nemmeno a capire dov'è - Rise, una risata amara, rise di lei.
- Allora? Non hai capito perché? Vuoi che te lo dica io? Vuoi sentirtelo dire? Pensi che così sia più facile per te accettarlo? - Era vicino, disgustosamente vicino - Ti rivelo un segreto: non lo sarà - Un brivido freddo la scosse e sentì l'improvviso bisogno di scappare, di correre il più lontano possibile da lui e da quelle parole che non voleva sentire. Ma arrivarono lo stesso, furono tremende più di quanto potesse immaginare e la trovarono impreparata, la distrussero.
- È morto, Alena. Il tuo Ben è morto - Gelo, per un momento. E poi fuoco. Fuoco, fuoco, fuoco.
- No - Le sue unghie scivolarono quando cercò di reggersi dietro di sé, stridettero contro lo specchio - No, non è vero. Sei un bugiardo, un maledetto bugiardo! Lo sentirei, questo lo sentirei. No, no, no. Lui non è... No! Non è vero, bugiardo, no! No! - Tutto dentro di lei lo stava cercando, perfino il sangue che le scorreva nelle vene lo stava chiamando.
- Ben...- Un bisbiglio disperato tra le lacrime - Ben! - gridò a squarciagola. 
- Come se potesse sentirti, come se potesse correre a salvarti... Dov'è ora, Alena? Sei sola - Sola.
- Lui è il tuo peccato, il motivo per cui sarai dannata per sempre e non è qui. Non è qui a sentirti urlare il suo nome. Non è qui -.

Dove sei, Ben? 



Quando fu certo di aver curato insieme a Lilian ogni ferita, tranne una, e Ben continuava a contorcersi anche nel sonno dell'incoscienza in preda a dolori atroci, Magnus si rese conto di essere stato uno sciocco a sperare. Era impossibile che la mente e sopratutto il cuore di Ben fossero messi meglio del suo corpo.
La pelle del petto, là dove prima c'era la runa, nonostante i suoi sforzi e tutti gli incantesimi pronunciati, continuava ad essere di un rosso cupo: la bruciatura non accennava a volersi cicatrizzare e continuava ad essere bollente come appena fatta. Era puro orrore pensare che la ferita fisica non era che una pallida conseguenza di quella per cui Ben stava soffrendo dentro di sé.
In quel momento era adagiato tra le lenzuola sporche del suo sangue e, ancora in bilico in quel sottile stato di incoscienza, si dibatteva senza trovare pace. Tra le tante urla confuse solo un nome appariva chiaro, tremendo alle orecchie nella sua perfetta e disperata nitidezza. Lilian, appoggiata alla spalla di suo fratello, avrebbe tanto voluto fare qualcosa; sapeva però di essere completamente impotente sotto quel punto di vista, non serviva a nulla, come d'altronde tutto il resto del mondo.
Solo una persona avrebbe potuto placare il dolore di Ben ed era quella per cui stava soffrendo.

Forse si era appena svegliato, forse aveva aperto gli occhi molto tempo prima, non avrebbe saputo dirlo, era tutto così confuso. Sembrava che niente avesse più valore, spariti tutti i sapori del mondo, gli odori, lavati via i colori di ogni cosa. L'unico punto chiaro in quel neutro caos, che sovrastava e zittiva tutto il resto, era ciò che non avrebbe voluto sentire. Era dolore e rabbia, profonda disperazione e panico accecante. 
- Lena...- Dopo averlo urlato così tanto quel nome suonava allarmante se sussurrato come aveva appena fatto. Ed infatti in un batter d'occhio Magnus e Lilian furono sulla soglia della camera da letto, lo fissarono in attesa di un qualsiasi segno. Ben soffocò un gemito, liberò una mano dall'abbraccio delle coperte e con un dito tremante si sfiorò il petto, lì.
Fu allora che la sentì.
Era come una luce intermittente, una sensazione strana ed inaspettata, la più bella della sua vita. Il pezzo mancante che ritorna al suo posto.
Allora non te ne sei andata.
Scalciò in fretta e furia le lenzuola e si mise in piedi senza domandarsi se le sue gambe avrebbero retto tanto impeto. Non lo fecero. Cadde almeno tre volte, si rialzò sempre e quando riuscì a fare qualche passo senza baciare il pavimento, per poco non andò a sbattere contro Magnus.
- Dove credi di andare? Per Lilith, ti si è fuso il cervello? Tu non sai quanti incantesimi abbiamo dovuto farti, non puoi alzarti! Benjamin, sii ragionevole, tu non... -
- Cacciatore, non muoverti! Sei ancora troppo debole, vieni qui! - Cercavano in tutti i modi di trattenerlo, il che in effetti non sarebbe dovuto risultare particolarmente difficile dato lo stato di debolezza in cui si trovava il ragazzo, ma aveva come una marcia in più che lo rendeva inarrestabile, un fuoco dentro che muoveva i suoi passi. 
- La sento, la sento! - gridò tra le lacrime e i due stregoni si immobilizzarono - La sento... - mormorò Ben a nessuno in particolare, aveva semplicemente bisogno di dirlo. Quando gli avevano bruciato la runa... Credeva di averla persa per sempre. Era stato terribile, avrebbe preferito morire. Ma ora...ora la sentiva di nuovo. Era un'eco debole e lontana, ma la sentiva. Un faro intermittente, la fiamma di una candela mossa dal vento, una lampadina che si stava fulminando. Non si sarebbe dato pace finché rimaneva un po' di luce in cui sperare.
- Lena. È in Bulgaria. Devo trovarla prima che la trovino loro! - La sua mente viaggiava alla velocità della luce e la consapevolezza di quanto era successo arrivò insieme a quelle parole.
- Loro chi? Che cosa stai dicendo? - chiese Lilian passandosi una mano tra i capelli lisci.
- Spiegati, ragazzo! - Il viso di Ben si fece cinereo.
- Il Conclave - Ora era il loro turno di sbiancare.
- È il Conclave che ti ha fatto questo? - chiese Lilian con un soffio di voce indicando la bruciatura sul petto che Ben non si era reso conto di starsi toccando. Il Nephilim annuì.
- Vengo con te - affermò sicura.
- Oh, non penserete mica di lasciarmi qui, voi due! - minacciò Magnus agitando in aria un dito, subito si affrettò ad attraversare il corridoio, sparì dietro una porta infondo a questo. Poco dopo ne sbucò fuori con in mano una spada angelica ed uno stilo.
- Tengo sempre un po' di roba da Nephilim in casa. Non mi lasciate un attimo in pace e non so mai quando me ne si presenta uno alla porta - si giustificò. Ben lo fissò per un attimo stupito, poi gli sorrise, prese la spada e lo stilo e se li assicurò alla cintura.
- Avanti, ci serve un portale - disse Lilian, pratica.
Ben li seguì fin giù nella cantina e, quando i due stregoni si fermarono davanti ad un muro di mattoni, seppe che là avrebbero aperto il portale. Le loro dita sottili si mossero nell'aria mentre cominciavano già a sprizzare scintille. Per un attimo si chiese quanto potesse essere più forte un incantesimo pronunciato da due stregoni insieme, per di più fratelli, ma fu solo un momento perché subito dopo lo spiacevole ricordo di tutt'altre dita si fece spazio prepotente nella mente di Ben. Erano lunghe e avvolte da un paio di guanti scuri. No, solo una mano era coperta da un guanto, quella che stringeva il ferro arroventato prima di premerglielo contro il petto. L'altra...l'altra...
Solo un guanto. Scuro. Così simile a quello che avevano trovato al covo dei licantropi. Solo un guanto. Un...
- Magnus...Lilian... - 
- Cosa? -  
- Siamo un tantino occupati al momento, Benjamin, non vedi? -
- Si può cambiare la rotta del portale? - 
- Ma...Lena...la Bulgaria... Dove vuoi andare? -
- Ad Idris -.
  
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