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Autore: SweetHell    10/08/2015    5 recensioni
Cinque shot, una per ognuno dei GazettE.
Ognuno di loro alle prese con la propria perdita, con il proprio dolore. Per capire se vale la pena di sforzarsi per riprendere in mano la propria vita...anche quando sembra molto più facile lasciarsi andare.
Cinque brevi racconti angst in cui spero di essere riuscita a mettere qualcosa che vale la pena trasmettere.
Il tutto sulle note dei Three Days Grace.
I - Ruki _ Voice
II - Aoi _ Sound
III - Reita _ View
IV - Uruha _ Touch
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aoi, Kai, Reita, Ruki, Uruha
Note: Raccolta, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Aoi _ Sound
 
Seduto sul divano a gambe incrociate, lotto per trattenermi dall’iniziare ad urlare fino a scorticarmi la gola. Anche se so che servirebbe a poco. Dopotutto, io posso anche non sentire più, ma Daisuke ci sente eccome. E non sopporto di farlo preoccupare più di quanto non sia già. È disperato quasi quanto me. Perché mi capisce troppo bene…è un chitarrista pure lui, dopotutto.
Non so neanche se è tornato a casa oppure no.
Di solito me ne accorgevo sempre…dal rumore della porta che sbatteva o dal suo allegro saluto. Ma adesso…adesso è come vivere sott’acqua.
Come annegare a poco a poco nel silenzio.
Ho sempre odiato il silenzio.
È uno dei motivi per cui ho cominciato a suonare la chitarra.
Che ridere, non è vero? Ormai il silenzio è tutto ciò che mi resta.
E non è giusto. Non è giusto per niente.
Le mie dita continuano a muoversi sulle corde, agili come un tempo. So che stanno suonando. So il suono che dovrebbero fare. Il problema è che non posso più sentirlo…e questa cosa mi sta uccidendo.
Mi sento mutilato.
Per colpa di un incidente mi è stata tolta una delle cose fondamentali. Più della voce, più della vista, più di una gamba…l’udito era tutto ciò che mi manteneva sano di mente. Mi permetteva di sentire la voce della mia piccola.
Tolto la mano dal manico della mia adorata chitarra e la osservo con curiosità morbosa. Come se non fosse neanche mia quella mano, come se non fosse mio il dolore atroce che si propaga dai polpastrelli lungo tutto il braccio, solo per andare a sommarsi all’angoscia schiacciante del mio cuore.
Le mie mani sono viscide di sangue.
Chissà da quanto tempo sto muovendo le dita su quelle corde senza neanche accorgermene. Sono così abituato ai movimento che ormai posso farlo anche sovrappensiero…anche senza poterlo in realtà sentire.
Ho suonato fino a squarciarmi i polpastrelli…per cosa? Per la speranza di udire almeno un soffio? Una minuscola frazione di melodia?
Sono così idiota.
Il medico lo ha detto chiaramente, no? Il danno è permanente. Non vale neanche la pena sperarci, perché niente tornerà come prima.
E io non potrò più suonare.
Mai più.
Una fitta lancinante sembra volermi dividere a metà la testa. Porto una mano alla tempia, solo per poi toglierla subito dopo, sentendo il sangue viscoso sulla pelle.
La stanza ha iniziato a girare.
Tutto il mio corpo brucia di dolore.
Forse è momento. Il mio momento.
Morirò? Una parte di me quasi lo spera…mentre l’altra si vergogna di averlo anche solo pensato. Voglio davvero fuggire? Come un codardo?
Combattendo contro i giramenti di testa, abbasso lo sguardo sulla mia piccola, ancora pacificamente appoggiata alle mie gambe. Il manico e le corde sono viscidi e rossi di sangue. Alcune gocce cremisi stanno scendendo dal manico fino alla cassa.
Sembra che pianga.
Vederla così fa male. In mano mia, adesso è inutile. Nient’altro che un pezzo di legno ben modellato. Buono solo da attaccare sopra il parete, il vuoto trofeo della vittoria che la vita ha avuto nei miei confronti, lasciandomi spezzato e sconfitto.
Piegato.
Quel pensiero, tra tutti, è insopportabile. Il sangue mi ribollisce nelle vene, facendomi pulsare più forte la testa già dolorante. L’orgoglio e la rabbia si mescolano con la mia angoscia, facendomi scoppiare.
Perché lei, la mia compagna, dovrebbe rimanere intera quando io sono a pezzi?
In un raptus, la prendo e la scaglio via, il più lontano possibile da me, contro il pannello di vetro che divide il mio studio dalla stanza di registrazione.
Vedo lo strumento infrangere la finestra e cadere nell’altra stanza. Ma posso solo immaginare tutto il rumore che deve aver fatto. Il fragore del vetro che si rompe in mille pezzi. O il tonfo sordo della mia chitarra che cade malamente sul pavimento. Magari anche un lamentoso stridio di corde maltrattate, che attraversa l’aria come un urlo di dolore.
Cercando di calmare il mio respiro affannoso, mi prendo la testa tra le mani ancora umide di sangue, tentando di nascondere i singhiozzi che mi squassano il petto.
Il sapore salato della lacrime si mescola a quello ferroso del sangue, nella mia bocca.
Cosa sono diventato?
Cosa posso essere se non uno storpio, mutilato come sono fin nell’anima?
Sono un uccello senza ali.
Un leone senza zanne.
Non sono più niente.
Se penso a tutti i miei sogni, tutte le speranze che avevo quando da ragazzino ho preso il treno per Tokyo, avendo solo la mia chitarra in palla e 50 yen in tasca…tutti i miei sforzi, tutte le difficoltà superate per diventare ciò che sono ora…è tutto perduto.
Forse avrei dovuto rimanere a Mie, come diceva mio padre. Avrei dovuto rimanere, trovare una ragazza, un lavoro, magari in qualche noioso negozio della mia noioso cittadina, qualcosa che mi avrebbe permesso di sposarmi e mantenere la mia famiglia. Fare una vita più semplice, meno priva di rischi.  
È la volta della lampada di finire in frantumi sul pavimento, altra vittima della mia disperazione.
Fisso i piccoli frammenti di vetro, amareggiato. Fare a pezzi le cose non mi da nessuna soddisfazione. Se non posso sentirle mentre si rompono, perché continuare? Mi ricorda solo dei miei limiti.
Alla fine mi decido ad alzarmi. Senza curarmi del disastro che c’è per terra, calpesto i le schegge sul pavimento e vado a riprendermi la mia bambina. La ritrovo riversa sul pavimento, tra i frammenti di vetro.
La raccolgo, con delicatezza, e la studio alla luce impietosa del lampadario, che mi permette di vedere ogni più piccola ammaccatura e graffio. È anche saltata una corda. E probabilmente si è anche scordata. Non che faccia tanta differenza, in effetti, visto che io non sono più in grado di percepire nessuna differenza.
Ma la cosa mi fa quasi piacere.
Ora anche lei è un po’ come me.
Un po’ mutilata.
Cullandola tra le braccia, la riporto sul divano e me la rimetto sulle gambe, amorevolmente. Lei è stata l’unica costante della mia vita. La prima chitarra che ho comprato…ho dovuto consegnare giornali per un anno prima di riuscire a mettere via abbastanza soldi per permettermela.
Non avrei mai pensato che sarei stato così disperato da scagliarla via così.
Accarezzo la sua vernice graffiata e insanguinata, ripensando a tutte le cose che abbiamo passato insieme…e prendo una decisione.
Con la forbice che prendo dal cassetto, le recido le quattro corde che le rimangono, lasciando attaccate le estremità.
Se io non posso sentire la sua musica allora nessuno lo farà più.
Deglutisco, sforzandomi di ignorare il groppo alla gola che quasi mi impedisce di respirare. Le forbici mi cadono di mano, tornando ad accarezzare la mia bimba mutilata.
Il sole tramonta, allungando le ombre nella stanza, ma io non mi muovo dalla mia postazione, né le mie dita smettono di scivolare sul manico graffiato della chitarra muta. Le lacrime mi impediscono di vedere chiaramente, ma non ha importanza. Niente ce l’ha. Tanto ormai anche se sbagliassi accordo nessuno se ne accorgerebbe, vero?
Soffoco una risata amara tra i singhiozzi che si fanno via via sempre più forti e – immagino – rumorosi.
Non avrei mai immaginato che la mia vita sarebbe avrebbe avuto un finale tanto patetico. E piangendo, continuo a suonare la mia melodia silenziosa, in attesa che le tenebre uccidano la tenue luce del tramonto.
Proprio come la vita ha fatto con le mie speranze.
 
 
 
 
 
 
Angolo Autrice: Salve gente ^^
Sì, sono ancora io. Sì, dovrei andare avanti con Captivity, visto che ormai è passato un mese. Ma mentre ero al mare mi è venuta l’ispirazione…e mi pareva un peccato lasciare la shot a metà visto che dopotutto non sono lunghe né particolarmente elaborate. Spero che la storia di Aoi ci sia piaciuta <3
In realtà avevo abbozzato anche una continuazione DiexAoi…ma ho preferito lasciar perdere perché fin dall’inizio volevo che questa raccolta non trattasse di coppie se non in maniera molto accennata. E così…eccola qua.
Ora le shot di Ruki e Aoi sono andate…spero di non essere stata ripetitiva. Le loro erano forse le più simili e le meno angst. Dalla prossima, quella di Reita, si inizia a cambiare registro <3
Detto ciò, smetto di parlare a vanvera e me ne torno nel mio angolino…fatemi sapere se questa shot vi ha fatto sentire qualcosa!
Un bacione,
Fra.
  
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