Il clan Uchiha
Tra i campi
intorno al villaggio
c’è un
piccolo prato cintato.
Sul
cancello è dipinto un ventaglio,
dentro c’è
una foresta di croci:
se ti
attardi in mezzo a quei morti
potresti forse
sentirne le voci.
Le prime
esitanti parole
le
pronunciano i molti bambini
che quel
clan chiamò la sua prole.
Padri nostri, non provate vergogna
di quel che ci avete insegnato,
della vostra ostinata menzogna?
Che era nostro dovere e destino
dedicare la vita a difendere
la grandezza della Famiglia:
come se noi ne avessimo voglia.
Ci vietaste per questo i compagni,
le partite ed i giochi per strada,
e afferrandoci forte la mano
ci toglieste la palla, ci metteste
la spada.
Dov’era la forza della Famiglia
quando venne quell’ultima notte?
Quando bastarono un uomo e due mani
a rubarci per sempre il domani?
Uno solo di noi fu graziato
e non fu certo il più fortunato.
A quel
piccolo coro risponde
il lamento
di tutte le donne.
Siete bambini, non riuscite a capire
quanto la morte ci sia potuta
costare.
La vita, il futuro, l’infanzia ed il
gioco?
Se si trattasse soltanto di questo,
allora avremmo perduto ben poco!
Noi brave donne, umili e schive,
sposammo uomini che non amavamo,
fummo rinchiuse in casa a servire
così diventando morte da vive.
Eppure accettammo il nostro destino
chinando la testa felici ogni giorno
senza mai dire “rifiuto” o “non
voglio”
solo perché i nostri eroici mariti
potessero darci motivo d’orgoglio.
Ed ecco i leoni portati al macello
da un solo piccolo, giovane agnello!
Un giorno dovranno pagarci quest’onta.
Gli anni passati a servirli e
aiutarli
li abbiamo perduti per quale
ragione?
La morte possiamo anche accettarla:
quella che brucia è l’umiliazione.
Ma sembra
che il suolo cominci a tremare
quando
s’innalza una voce possente:
è il gruppo
degli uomini adesso a parlare.
Sciocche, tacete! Non vi conviene
gettare altro olio sul fuoco
rabbioso
che al posto del sangue ci riempie
le vene.
Il nostro odio è talmente potente
che dovrà per forza lasciare la
tomba:
ormai a contenerlo non è
sufficiente.
E voi lo vedrete, come nera fiumara,
sgorgare da questo quadrato di
terra,
cercare, trovare il nostro nemico,
cavargli gli occhi,
strappargli la pelle,
cucirgli la bocca con ago e con filo
e spingerlo fino ad odiare la vita
con la tortura, la fame e la sete.
Non manca molto: vedrete, vedrete…
Ma come
foglie disperse dal vento
si perdono
ormai le loro parole.
E già non
li senti più strepitare
le loro
minacce rabbiose e contorte;
per quanto
potenti siano le urla
c’è sempre
il silenzio che urla più forte.
E
chiaramente è da quest’ultimo verso che ho tratto il
titolo della raccolta, a significare la solitudine di questi personaggi, che parlano
senza che nessuno (tranne voi) possa più ascoltarli. Il titolo originale doveva
essere “Antologia di Konoha”, ma poi mi è sembrato suonare quasi come una
parodia di “Antologia di Spoon River”,
anziché un omaggio, ed ho preferito optare per una scelta più libera. Riguardo
all’ordine di pubblicazione delle poesie, sto seguendo un criterio tematico:
partirò da quelle più cariche di sentimenti negativi, odio e rancore, per
andare via via verso quelle invece più ottimistiche e
positive, all’insegna dell’amore e della libertà. Alla prossima, con altre due
poesie. Ciao a tutti!