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Autore: Adeia Di Elferas    12/08/2015    3 recensioni
Una notte di tempesta, durante la sua permanenza a casa Jarjayes, Fersen incontra Marron-Glacé e i due hanno uno scambio di battute che instilleranno nella cameriera dei dubbi sul futuro della Francia e dei suoi adorati Oscar e André.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Hans Axel von Fersen, Marron Glacé
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie '...ma in un attimo il silenzio c'è'
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 Marron-Glacé stava andando verso la sua camera, tenendo il lume basso, per illuminare meglio la strada su cui metteva i piedi.

Il palazzo era silenziosissimo, riempito solo dal rumore del temporale che riversava litri e litri di pioggia contro le grandi finestre tenute nascoste dalle pesanti tende che la signora Jorjayes aveva scelto di persona tanti anni addietro.

Malgrado avessero anche un ospite, quella pareva proprio una dimora disabitata e, se l'anziana fosse stata più incline alle credenze popolari, si sarebbe aspettata di veder spuntare un fantasma da un momento all'altro.

In automatico, come sempre, Marron-Glacé svoltò l'angolo, ma quello che vide la fece fermare di colpo.

Una delle tende era scostata e la luce intermittente dei lampi illuminava una figura alta e slanciata che osservava la notte.

Marron-Glacé pensò subito a un fantasma, non riconoscendo nella giovane sagoma né il nipote né Oscar, ma poi si ricordò che non era donna da lasciarsi influenzare così da un po' di pioggia e tuoni e così alzò la candela.

I capelli lunghi dell'uomo si mossero repentini, mentre lui si voltava per vedere da dove provenisse la luce.

“Oh, siete voi...” disse egli, con una voce che Marron-Glacé conosceva, anche se non molto.

Si trattava di Fersen, il loro ospite appena arrivato dall'America.

“Perdonatemi, se vi ho spaventata. Non era mia intenzione.” disse piano Fersen, facendo un paio di passi verso la cameriera.

La luce della candela e quella dei lampi – sempre più vicini e frequenti – accompagnò l'uomo fino a che non fu solo a pochi centimetri dall'anziana.

Era la prima volta che Marron-Glacé lo poteva osservare con calma. Anche se l'illuminazione era scarsa, poteva notare una linea aggraziata seppur autoritaria, nel suo volto.

Era alto e atletico, un vero fisico da ufficiale. Inoltre quel qualcosa di indefinibile che avevano ai suoi occhi gli stranieri, lo rendeva per Marron-Glacé veramente un uomo notevole.

“Non riuscivo a dormire, così ho preferito fare due passi. Perdonatemi ancora.” fece Fersen, con il tono di chi vuole congedarsi, ma senza far nulla per allontanarsi.

Il suo accento era quanto meno strano. In effetti, ragionò la donna, il suo francese doveva essere stato prima appreso da un precettore qualunque, e poi si era ulteriormente confuso quando in America aveva dovuto parlare inglese...

“A volte è difficile prendere sonno.” convenne Marron-Glacé, con un breve sorriso.

Fersen annuì appena, mentre i lineamenti del suo volto parevano indurirsi al suono dell'ennesimo tuono.

Seguirono un paio di minuti durante i quali nessuno dei due parlò. Forse Fersen stava pensando a qualcosa di importante o era immerso in ricordi penosi... Difficile capirlo.

Marron-Glacé, dal canto suo, cominciava a provare un certo disagio a starsene lì di fronte a quel giovane straniero che se ne stava muto e immobile come una statua.

“In più, quando ci sono questi temporali...” disse la donna, tanto per non restare in silenzio troppo a lungo e levare entrambi dall'impiccio: “Non se ne può davvero più di tuoni, lampi e pioggia!” esclamò.

“Ringraziate Dio per questi temporali.” la contraddisse subito Fersen, con la voce ferma e decisa: “Perchè quando finiranno...” ma non terminò la frase, lasciandola sospesa tra loro come una triste profezia.

La donna non aveva colto appieno l'allusione fatta dallo straniero, pensando solo che si riferisse a un momento di difficoltà economica, per il paese o per i nobili, non sapeva dirlo. In casa aveva sentito dei discorsi strani e anche suo nipote André spesso era nervoso e buttava lì commenti che l'avevano impensierita.

Ma era anche vero che il suo povero nipote soffriva così tanto per motivi che con la Francia non avevano nulla a che fare, che era possibile che vedesse tutto nero solo perchè di quella tinta era la lente con cui guardava il mondo.

Quindi Marron-Glacé non si soffermò più di tanto a pensare a quello che Fersen avrebbe voluto dire o sottintendere e attese che fosse lui a fare la prossima mossa.

Visto che l'uomo ancora non accennava a congedarsi, Marron-Glacé lo fissò negli occhi, alzando appena il lume e chiese, rosa dalla curiosità: “Ditemi una cosa... Com'è l'America?”

Fersen si accigliò, di certo colpito dalla domanda e improvvisamente incuriosito a sua volta da quella donna di bassa statura e fianchi generosi.

Deglutì e si morse il labbro, prima di rispondere, lentamente: “Immensa. E piena di uomini in collera.”

Marron-Glacé non si aspettava una risposta del genere. Prima di pensare, commentò: “Meno male che sono al di là dell'oceano allora!”

Fersen strinse il morso e per un momento la donna ne ebbe paura. Per un istante, giusto il tempo di una saetta, il viso dello straniero si era contorto e trasfigurato trasformandosi nel muso rabbioso di una belva feroce e assetata di sangue.

Era quello l'aspetto che assumeva quell'affascinante ufficiale, quando partiva alla carica con la baionetta nel mezzo della battaglia?

Era simile a quello l'aspetto che i suoi ragazzi, Oscar e André, avevano quando dovevano scontrarsi con qualcuno...?

Mentre Marron-Glacé era attanagliata da quel dubbio, Fersen riprese a parlare, rapido, distorcendo gli accenti e dimenticando di curare la pronuncia: “Anche qui ci saranno rivolte. Anche qui faranno una rivoluzione. È solo questione di tempo! Aspettate che il caldo prenda gli animi della gente e allora vedrete che metteranno a ferro e fuoco ogni casa, ogni palazzo, ogni nobile che troveranno! Non appena il caldo li avrà esasperati, i contadini insorgeranno, i poveri si ribelleranno e tutti i francesi imbracceranno fucili e forconi. Non si salverà nessuno. Nessuno...”

Marron-Glacé l'ascoltò in silenzio, incapace di parlare.

Quando alla fine lui l'afferrò per un braccio, facendo tremolare il lume da notte, ella non ebbe nemmeno la forza di divincolarsi.

Così Fersen le disse, lucido, convincente, come se fosse completamente certo che le cose sarebbero andate esattamente come diceva lui: “Quando il caldo esploderà, inizierà la rivoluzione e la Francia come la conoscete voi non esisterà più. Dite a Oscar di scegliere con attenzione da che parte schierarsi, quando sarà il momento.”

Dopo di che la lasciò di colpo, facendola tremare sul posto.

Con lo strascico di un ultimo lampo che si spegneva alle sue spalle, Fersen si toccò la fronte, come a eseguire un saluto militare e sussurrò: “Ringraziate Dio, dunque, per questi temporali. E pregate, sì, pregate che questa pioggia continui a cadere a lungo.”

 

Tornando nella sua camera, Marron-Glacè rifletté su quello che Fersen le aveva detto. Le sue parole avevano insinuato in lei la paura, ma anche la consapevolezza di quello che sarebbe accaduto.

E sapeva che Fersen aveva ragione anche sul fatto che l'estate avrebbe esasperato gli animi. Non c'è nulla di peggio del sole che spacca le teste, per far ribollire il sangue nelle vene e gli ideali nei cuori.

Così, quando fu sola e pronta per coricarsi, il suo pensiero andò come ogni sera a Oscar e André.

Si sistemò davanti alla finestra, scostò la tenda e, mentre la pioggia batteva contro il vetro e i tuoni facevano vibrare la sua anima, Marron-Glacé pregò con tutta se stessa affinché Dio facesse durare quel temporale in eterno.

 

 

   
 
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