Anime & Manga > Tokyo Mew Mew
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Autore: eyes_on_fire    29/01/2009    1 recensioni
come se meritassi tutto questo[...]C'erano fin troppe persone che pensavano di conoscermi,almeno superficialmente,mentre in realtà di me non sapevano niente. Niente.C'erano fin troppe cose di me che non rivelavo...
Introduzione modificata. Bisogna sempre chiudere i tag quando li si apre.
Nausicaa212, assistente amministratrice.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Angel Face




Tokyo, settembre 1989. Un ospedale di periferia. Un'auto scura si ferma nel parcheggio e due assistenti sociali scendono di corsa per andare a ripararsi dalla pioggia sotto la pensilina dell'ingresso.
Ufficio del direttore. "Da quanto tempo è qui?" "Mi faccia pensare... è nato il 2 agosto... Poco più di un mese, direi." "E finora nessuno è venuto a reclamarlo? Che so, qualche parente, o amico dei genitori?" "No, signora. Sembra proprio che non abbia nessuno che possa prendersi cura di lui. D'altronde, la madre è fuggita dall'ospedale poco dopo la sua nascita. Diceva che non le avrebbero mai permesso di tenerlo."
Poco dopo, due piani più giù. Un'infermiera tiene in braccio un neonato dalla pelle scura e lo porge all'assistente sociale con espressione insicura, come se fosse restia a lasciarlo. "Non si preoccupi. Lo tratteremo bene." "Si, lo so, mi scusi..." Mette il bambino tra le braccia dell'altra donna. "è che... vede... è un bambino un po' speciale. Ha lo sguardo più adulto che abbia mai visto in un neonato. Sembra sempre così attento, così consapevole di ciò che accade attorno a lui..."

Quando aprii gli occhi era ancora buio. Sentivo il respiro ritmico dei miei compagni di stanza. La luce che filtrava dalla finestra accanto al mio letto era quella dei lampioni, perciò intuii che doveva essere ancora presto per alzarmi. Nonostante tutto, scesi dal letto e in punta di piedi mi avvicinai al muro sul quale era appeso l'orologio. Trascinai piano una sedia lungo la parete, poi ci salii sopra e lessi l'ora. Le 2.30 di notte.
In quel momento compivo tre anni.




Quella mattina, come tutte le altre da circa un anno, mi alzai presto e andai in bagno. Trascinai uno sgabello fino al lavandino e mi lavai, dopodichè mi vestii e scesi giù nelle cucine.
Ero incredibilmente svelto per uno della mia età. A tre anni ero quasi completamente autosufficiente, sapevo leggere ed ero in grado di scrivere -un po' a stento- la maggior parte degli ideogrammi giapponesi, più il mio nome nell'alfabeto normale. La mancanza di una famiglia mi pesava, ma mi aveva insegnato a badare a me stesso.
Non che nessuno si fosse proposto di adottarmi. In tre anni, diverse coppie si erano presentate all'orfanotrofio e si erano mostrate interessate a me. Ma ogni volta sorgeva qualche problema, tipo il color caffèlatte della mia pelle, o il mio carattere ribelle (eh già). Oppure, ancora peggio, La coppia scappava a gambe levate pensando che fossi un indemoniato dopo avermi sentito parlare. Quando succedeva ci stavo male per giorni. Certo, avevo una parlantina più sciolta rispetto a quella dei miei coetanei, riuscivo a fare discorsi ben più lunghi di cinque parole, ma non mi pareva affatto il caso di farne una tragedia.
Per sfogarmi, mi rifugiavo nel disegno. Ero partito da punti e linee senza senso, come tutti, fino ad arrivare a farlo diventare il mio modo di comunicare. Ormai ero capace di creare immagini molto più complesse di qualche cerchio fatto a caso. E potevo passare ore intere da solo a disegnare. Stavo meglio da solo che in compagnia, in effetti.
Come sempre, avevo una fame da lupo. Mancava ancora mezz'ora alla colazione e io ero sveglio da ore. Trotterellai per la cucina in cerca della cuoca. "Buon giorno! Siamo mattinieri, oggi!" Inclinai la testa da un lato con espressione da cucciolo abbandonato. "Ah,no, non ci provare! Hai sentito la direttrice. Devi mangiare insieme a tutti gli altri. Sennò va a finire che ti vizio troppo e quella mi licenzia." Misi il broncio per finta. "Ho tanta fame..." Lei scosse la testa. "Non ci casco." Sbattei gli occhi. "Oggi è il mio compleanno..." La donna scosse di nuovo la testa, poi sbuffò, avvicinandosi alla credenza. "Certo che non ti si può mai negare niente, eh, Faccia d'Angelo?"commentò sarcastica. Io ridacchiai sotto i baffi, mentre mi arrampicavo su una sedia per fare colazione.




Giravo per i corridoi in cerca di riparo dall'afa estiva. Alla fine, svoltai un angolo e andai a sedermi in un angoletto dell'atrio da cui si vedeva il cortile esterno. All'improvviso, un gruppo di ragazzi più grandi entrò di corsa e quasi mi travolse. "E levati dal cavolo, razza di mostriciattolo!" Mostriciattolo? Mostriciattolo?? Lo sapevano tutti che odiavo quell nomignolo, quell'etichetta. Per un attimo vidi tutto rosso. Strinsi i denti e i pugni mentre tremavo di rabbia.
Questa gliel'avrei fatta pagare. Oh si. Schizzai in cortile. Sapevo già che fare. Immaginai le loro facce quando avrebbero trovato i vermi che gli avrei messo nelle scarpe. E non la smettevo di ridacchiare al pensiero che, quando la direttrice sarebbe venuta a dirmene quattro sull'educazione e tutto il resto,per poi punirmi, io me la sarei cavata come sempre. Occhi dolci e faccia d'angelo. Il segreto era tutto lì.




Fu in quell'istante, mentre meditavo la mia vendetta, che li vidi per la prima volta. Un uomo e una donna, giovani, con la pelle scura come la mia. Erano appena entrati nel cortile. Quando mi vide, la donna si fermò. Per un istante lunghissimo incrociò lo sguardo con il mio. Ebbi il tempo di notare che le sue iridi erano dello stesso colore delle mie. Dorate.
Dopodichè si voltò e bisbigliò qualcosa nell'orecchio dell'uomo. Mi guardarono con aria speranzosa, sorridendo, prima di svanire nell'atrio.
Fu allora che capii che la mia vita stava per cambiare. Radicalmente.
  
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