19.
“Allison, non potresti prendertela comoda almeno per un paio
di ore? Ti sei svegliata due giorni fa dopo parecchie settimane di coma. Non
credi…”
“Non
era un coma, Sam. Era una dannata dimensione alternativa. Mio fratello ha
pensato bene di spedirmici tramite un colpo in testa così, mentre io ero
impegnata a capire come cazzo uscirne, lui poteva fare tutto… tutto questo.” Allison interruppe Sam e allargò le braccia indicando il
caos che regnava dentro casa di Victor.
Matt
non aveva toccato l’esterno, fissato com’era con il mantenere le apparenze… la
facciata era perfetta, forse ancora meglio di com’era prima che lui arrivasse
all’interno e distruggesse tutto sul suo cammino.
Mentre
Allison si crogiolava su un prato mosso dal vento
nella sua stessa testa, sorridendo a Mason Lockwood,
parlando con Bobby, abbracciando suo nonno e minacciando Crowley,
il suo dannato – nel vero senso del termine – fratello faceva a pezzi la vita
dell’uomo che l’aveva cresciuta come una figlia, che l’aveva amata come tale. E
amarla gli era costato la sua vera figlia e la donna che amava.
Allison
non era ancora certa di come suo fratello fosse tornato, ma era certa che fosse
opera di Finn Mikaelson,
ragion per cui lui era sulla sua personale lista di vendette, dritto in cima,
quasi in parità con Matt.
Prima
però, aveva cose più importanti di cui occuparsi, come tirare fuori dal baratro
Victor, sperando di tirarlo fuori prima che la bottiglia di wiscky
che si portava sempre dietro da oramai ventiquattro ore lo portasse ancora più
a fondo in quel buco nero di dolore che sembrava averlo inghiottito. E
preparare il funerale di Lily. Non c’era nulla che potesse fare per riportare
lei o la bambina indietro… il minimo che poteva fare era pagare per tutte le
spese del funerale e per tutto quello di cui la sua famiglia avrebbe avuto
bisogno nei giorni a venire. I soldi non avrebbero sistemato le cose, lo
sapeva, ma era tutto quello che poteva fare… almeno fin quando non avrebbe
trovato Matt. Poi lo avrebbe ucciso. La sua morte non avrebbe cambiato quello
che era successo, ma sarebbe stata fatta giustizia.
“Non
provarci,” le disse Sam tirandola fuori dai suoi pensieri. “Non provare a darti
la colpa per quello che è successo. Non è stata colpa tua.”
“Sì
lo è stata. Anni fa avevo la possibilità di farla finita sul serio ma non l’ho
fatto. Non ho bruciato il suo corpo ed era logico che uno dei miei tanti nemici
avrebbe trovato il modo di usare la cosa a mio totale svantaggio.”
“Allison… non potevi sapere che sarebbe successa una cosa
del genere. Anche se avessi bruciato il corpo, magari sarebbe successo lo
stesso. Avrebbero trovato un altro corpo pronto ad ospitarlo e sarebbe comunque
tornato.”
“Probabile,”
rispose Allison cercando di mettere un po’ di ordine
in quel posto, pensando che magari sarebbe stato meglio comprare un tappeto per
nascondere quegli aloni di sangue che proprio non ne avevano voluto sapere di
andare via, nonostante avesse strofinato con tutte le sue forze per ore. “Ma un
altro corpo non gli avrebbe dato i vantaggi che il suo offre Sam. Apprezzo che
tu voglia provare a farmi sentire meglio, ma non devi addolcirmi la pillola,
non a me. Sai che non funziona.”
Sam
annuì aiutandola a spostare delle cose. “E come posso aiutarti allora?”
Allison
abbozzò un sorriso amaro. “Hai una macchina del tempo per caso?”
“Temo
di no.”
“Lo
immaginavo,” la donna si passò una mano sul viso. “Allora per ora puoi aiutarmi
a mettere in ordine e poi magari ad organizzare il funerale.”
“Tu
non metterai bocca sul funerale di Lily!” tuonò Victor arrivato alle loro
spalle.
Allison
sobbalzò e si voltò a guardarlo, in quegli occhi dentro i quali si aspettava di
leggere vuoto e tristezza c’era invece una furia tutta destinata a lei. Un bene,
che non si fosse perso del tutto dentro se stesso… un male perché quella rabbia
lei la conosceva perfettamente e non avrebbe portato a nulla di buono.
“Victor,
ti prego…” provò a dire. Ma lui la interruppe indietreggiando di qualche passo
ogni volta che lei avanzava.
“Questa
casa dovrebbe essere decorata per l’arrivo di mia figlia e invece è decorata
della morte dell’amore della mia vita. Ed è tutta colpa tua.”
La
donna deglutì a vuoto ma accolse il colpo senza neppure provare a difendersi.
Sapeva che un fiume di parole, brutte parole, prima o poi l’avrebbero colpita
ma non se la sentiva di alzare la testa e difendersi. Non quella volta.
“Tu,”
continuò l’uomo. “Porti morte e distruzione ovunque tu vada. Non voglio vederti
al funerale di Lily e di nostra figlia, anzi non voglio vederti mai più.”
“Victor,”
intervenne Sam.
Ma
Allison lo bloccò alzando una mano. Gli fece un cenno
con il capo mentre le lacrime minacciavano di bagnarle il viso e prese la sua
giacca pronta a lasciare la casa. Ma c’era una cosa che doveva dire, una cosa
prima di uscire. Ce l’aveva sulla punta della lingua, impossibile da trattenere
perché era fatta della stessa rabbia chiusa dentro gli occhi di Victor.
“Io
vendicherò Lily. Le vendicherò entrambe, stai certo di questo.”
Victor
rise, una risata nervosa, piena di tristezza. Poi la fissò con uno sguardo
glaciale.
“E
credi che questo mi faccia sentire meglio?” le chiese prima di voltarsi per ritornare
nella sua stanza. “Sam può restare, ma tu… ti voglio fuori da casa mia.”
Allison
non disse nulla. Però uscì di casa.
****
“Dammene
un altro per favore,” Allison fece scivolare una
banconota da cento dollari sul bancone mentre il barman le riempiva il
bicchiere. Il cartello con su scritto in
questo bar si beve responsabilmente le stava davanti agli occhi, rosso su
bianco e la faceva ridere. O forse era l’alcool a farla ridere in quel modo.
Pensò che se avesse dato al tizio un altro bigliettone quella targa sarebbe
andata a farsi fottere nel fondo di qualche cassetto.
“Non
ti hanno mai detto che non si beve da soli? Sempre meglio farlo in compagnia.”
Klaus
si mise a sedere accanto a lei e le prese il bicchierino dalle mani. Lei non
provò nemmeno a protestare, si mise invece in bocca una manciata di noccioline
consapevole che mai e poi mai sarebbero riuscite ad assorbire nemmeno un po’
della tequila che si era scolata nell’ultima ora. La testa le scoppiava già e
non era sicura che stesse accadendo davvero, ma era quasi certa che il bancone
ondeggiasse davanti ai suoi occhi.
Lasciò
cadere la testa su quel legno bagnato e stese il braccio facendolo scivolare sotto
il capo, come un cuscino. Le tornò alla mente il giorno in cui aveva trascorso
qualche ora in quello stato, anche se in un bar diverso, in compagnia di un
altro Mikaelson. Era a Mystic
Falls e anche allora qualcosa di terribile era successo. Anche se non ricordava
esattamente cosa.
“Mystic Falls è una città che mi porta davvero sfortuna”
mormorò mentre si rimetteva dritta.
L’ibrido
annuì prendendo a sua volta qualche nocciolina, poi incrociò le mani sul
bancone sicuro che Allison non avesse ancora finito
di dar fiato alla bocca in quel momento di sfogo.
E
infatti, dopo qualche secondo lei parlò di nuovo.
“Credi
che potresti trasformarmi in un vampiro?” sussurrò guardandosi intorno. La
cacciatrice dentro di lei prendeva il sopravvento sull’alcool.
“Suppongo
che potrei farlo” le disse lui. “Ma non credevo che ti interessasse la vita
eterna.”
“La
vita eterna?” fece eco lei. “No no, amico mio” gli diede una pacca sulla
spalla. “Voglio solo sbronzarmi in pace, almeno una sola volta senza che la mia
testa inizi a fare male dopo il terzo bicchiere di tequila. E poi potrai
uccidermi se vuoi.”
“Certo,”
la assecondò Klaus.
“Però
pensaci…” riprese Allison dopo qualche secondo di
silenzio. “Non è strano che io mi ubriachi così facilmente? Cazzo! Sono una
cacciatrice di mostri, sono una tosta, non dovrei iniziare ad avere la nausea
così presto quando decido di ubriacarmi. Voglio dire… io lavoro sodo. Sono un
eroe, salvo la gente. Non dovrei avere diritto ad una sbronza senza troppi
drammi?”
“Dovresti”
le disse Klaus afferrandola giusto in tempo mentre lei provava ad alzarsi,
sbandando, dallo sgabello. “Magari la
prossima volta potresti cominciare con qualcosa di più leggero della tequila,
così ti ubriacheresti più lentamente.”
“Ah!”
esclamò Allison prendendogli il viso tra le mani. “Sei
un genio del male. O solo un genio, scegli tu. Ma non starmi troppo intorno, io
porto morte e distruzione ovunque vada.”
Klaus
rise. “Ricordi con chi stai parlando?”
“Giusto.
Tu sei l’Ibrido cattivo… nessuno sopravvive al tuo passaggio. Ma io lo so… lo
so. So che tu non sei cattivo. Sei solo tanto triste, te lo si legge negli
occhi. Tuo padre non ti ha mai voluto bene e tua madre… beh di sicuro non si
merita il premio miglior madre dell’anno"
Allison gli accarezzò i capelli lentamente, senza
staccare gli occhi da quello sguardo chiaro e triste sul viso del vampiro. “E i
tuoi fratelli ti giudicano continuamente. Sì, hai fatto delle scelte
discutibili è vero. E spesso uccidi senza motivo… ma è perché tu riesci a vedere
il quadro completo Klaus. Tu lo sai da sempre… sai da sempre che a volte
bisogna fare cose discutibili per un bene superiore.”
“Il
tuo punto di vista è decisamente… unico dolcezza.
Ma non sono sicuro che sia del tutto esatto, purtroppo.”
Allison
rise, senza motivo. A parte l’acool. “Sei carino sai?
Non ci avevo mai fatto davvero caso, ma sei davvero carino. E tu mi trovi
carina?”
Klaus
si alzò di scatto, ma elegantemente. Le mani di Allison
le crollarono lungo i fianchi, lui invece le strinse il viso tra le sue
facendo vagare lo sguardo su ogni angolo di quel volto.
“Sei
più che carina,” le sussurrò. “Sei bellissima, e coraggiosa e forte. La donna
più forte che io abbia mai conosciuto e credimi quando ti dico che ho
conosciuto un notevole numero di donne nella mia vita. Ma tu sei speciale, lo
sei sempre stata. Ed è per questo che so che ce la farai, ad uscire da questo
vuoto, da questo senso di colpa che ti sta divorando dentro in questo momento.”
Allison
sentì che alcune lacrime le stavano scivolando lente sulle guance, ma non si
mosse di un millimetro, lasciando che fosse il pollice di Klaus ad asciugarle
dolcemente.
“La
sua intera famiglia è morta, ed è tutta colpa mia” mormorò con una voce
talmente sussurrata che un normale essere umano forse non sarebbe riuscito a
sentire chiaramente.
“La
donna che amava e un’innocente creatura che non aveva ancora avuto la fortuna
di vedere questo spettacolare mondo sono morte” le disse Klaus. “Ma Victor non ha
perso la sua intera famiglia. Tu sei ancora qui.”
“Lui
mi odia.”
“Lui
odia il mondo intero in questo momento. Sì, forse è arrabbiato con te, ma fai
in modo di essere accanto a lui quando sarà pronto a farsi aiutare, perché quando
tenderà la mano per essere afferrato la tua sarà l’unica che vorrà stringere.”
Allison
annuì, le lacrime le accarezzarono le labbra e Klaus le asciugò con un bacio
leggero e breve che non aveva nulla di romantico né di passionale, né di erotico. Era
solo dolcezza e amicizia. Lei chiuse gli occhi abbandonandosi al corpo forte
dell’Ibrido. Aveva bevuto tanto, ma sentì con una lucidità incredibile quelle
braccia stringerla. Una sensazione di calma e sicurezza le scaldò il cuore più
di quanto la tequila era stata capace di fare.
****
Il
funerale ebbe luogo in una delle più belle chiese della città. Un coro gospel
aveva cantato una versione straziante ma bellissima dell’Ave Maria. Erano state
versate lacrime a non finire, qualcuno aveva quasi perso i sensi, molti avevano
perso la voce mentre si alternavano sul grande altare per raccontare vari
aneddoti su Lily.
Allison
era rimasta in disparte, filandosela prima che la folla lasciasse la chiesa per
raggiungere il cimitero e poi prima che i partecipanti si disperdessero dopo la
sepoltura. Nonostante Victor le avesse chiesto di stare fuori dall’organizzazione
del funerale, si era premurata di far preparare la casa per il piccolo ricevimento
che era seguito. All’arrabbiatura di Victor avrebbe pensato dopo. Però era
rimasta lontana. Almeno quello glielo doveva.
“Stai
bene?” la voce di Castiel le arrivò quasi ovattata.
Allison
si limitò ad annuire mentre si alzava dal divano, lisciandosi la gonna nera per
riflesso.
“Vado
a riposare un po’. Chiamami se serve qualcosa” mormorò mentre lui la seguiva
con gli occhi.
Sapeva
che Castiel sapeva che non stava bene, ma sapeva
anche che non c’era nulla che potesse chiedergli di fare per farla sentire
meglio. Quando dopo qualche minuto poggiò la testa sul cuscino sperò che la
stanchezza avesse la meglio.
Chissà,
magari una volta sveglia si sarebbe accorta che era stato tutto un incubo.