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Autore: PuccaChan_Traduce    13/08/2015    4 recensioni
Bilbo Baggins torna a casa profondamente addolorato dopo la Battaglia delle Cinque Armate. Tutta la Terra di Mezzo ha saputo che Thorin Scudodiquercia e i suoi due nipoti sono caduti in battaglia. Sembra che a Bilbo non resti altro da fare che vivere un’esistenza tranquilla, seppur solitaria; una notte però il Fato, sotto forma di una giovane Elfa incinta, bussa alla sua porta...
Bilbo Baggins, a quanto pare, non è destinato ad avere una vita tranquilla.
Disclaimer: questa fanfiction è una TRADUZIONE che viene effettuata con il permesso del legittimo autore; tutti i personaggi citati appartengono ai rispettivi autori.
QUESTA STORIA È INCOMPIUTA!
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Bilbo, Kili, Tauriel, Un po' tutti
Note: Movieverse, Traduzione, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Autrice: Garafthel (Tumblr / Profilo AO3)
Fandom: Il Signore degli Anelli / Lo Hobbit
Coppie: Kìli/Tauriel; Bilbo Baggins/Thorin Scudodiquercia

~

Fu con molta riluttanza che Dìs uscì dalla stanza del malato chiudendosi la porta alle spalle, ma in fondo anche lei una volta era stata giovane e innamorata. Suo figlio si meritava almeno qualche minuto di privacy con la sua amata, ora che si erano finalmente ritrovati.
Perchè Kìli amava davvero la ragazza Elfo, su questo non aveva più dubbi. Più tardi avrebbe potuto rimproverarlo per aver parlato nel loro linguaggio sacro in presenza di un Elfo, ma avrebbe dovuto avere un cuore veramente di pietra per non commuoversi alla scena cui era stata testimone.
“Si è...?” cominciò Fìli alzandosi in piedi.
Le gli fece cenno di tornare a sedere. “Tuo fratello è sveglio e sta parlando con Tauriel. Hanno bisogno di un pò di privacy prima che cominci l’invasione, e questo vale per tutti voi,” aggiunse rivolta all’intero gruppo, la cui maggioranza sembrava in effetti pronta a fare irruzione nella piccola stanza. “Dategli almeno cinque minuti per conto loro. È da quasi un anno che non si vedono.”
Accettando una tazza di tè da Bofur con uno stanco cenno del capo, Dìs sedette vicino a Fìli. Suo figlio si appoggiò leggermente contro la sua spalla, come a cercare rassicurazione da quel tocco, anche se forse non se ne rendeva pienamente conto. Fìli era sempre stato uno che si assumeva le proprie responsabilità, forse fin troppo, sin da quando suo padre era morto e lui era ancora solo un bimbetto.
Dìs volse lo sguardo sul gruppo radunato intorno al tavolo: tre Elfi, uno Hobbit, due giovani Uomini e sei Nani, tutti uniti nella preoccupazione per la sorte del giovane Principe di Erebor e della sua elfica moglie incinta. Nascose un sorriso divertito dietro la tazza, poichè quello era davvero l’assembramento più strano di cui avesse mai fatto parte.
C’erano alcune facce sconosciute nel gruppetto. Il giovane Nano seduto accanto a Nori si era presentato come suo fratello minore – Ori. Bain e Sigrid, a quanto pareva, erano i figli del Re di Dale, il quale aveva ufficiosamente chiuso un occhio riguardo i fuggitivi di Erebor nascosti nei vecchi alloggi della sua servitù. Dìs era grata al sovrano per la difficile posizione in cui si era messo ma si rendeva anche conto che, non accogliendoli in via ufficiale, aveva voluto lasciarsi aperta una scappatoia in caso la situazione fosse volta al peggio.
All’altro lato del tavolo sedeva una donna Nana dall’aria a lei stranamente familiare, con la pelle scura e i capelli raccolti in una miriade di trecce sottili, senza nemmeno una ciocca libera. Dìs ricordava che una delle guardie della loro carovana, durante il lungo viaggio che da Dunland li aveva condotti sulle Montagne Blu, portava i capelli in quel modo. Si erano ritrovate spesso a conversare insieme al tramonto mentre Thorin badava ai bambini, e Dìs si era affezionata molto a lei; ricordava bene però anche lo scontro che aveva messo fine a quella neonata amicizia.
Ma non poteva trattarsi della stessa donna, riflettè ancora. Sarebbe stata una coincidenza troppo clamorosa. E poi si parlava di fatti risalenti ad almeno settant’anni prima e occorsi sull’altro lato delle Montagne Nebbiose.
“Il Principe Legolas, Tofa, Ori ed io eravamo in procinto di partire per Erebor,” stava dicendo intanto Fìli ai nuovi arrivati, “quando il giovane Bain ha portato mia madre, Bilbo e Nori alla nostra porta. Un’altra mezz’ora e non avreste trovato nessuno eccetto Kìli, che avevamo deciso di lasciare qui alle cure di Sigrid.”
Anche la guardia di quella carovana si chiamava Tofa. Dis scrutò di nuovo i suoi lineamenti, ma la donna da lei conosciuta indossava sempre una sciarpa che le nascondeva quasi tutto il viso tranne gli occhi, ed erano passati così tanti anni che i suoi ricordi erano nebulosi. Non sarebbe mai riuscita ad accertarsi della sua identità, a meno di chiedere direttamente a lei.
Fìli emise un lungo sospiro e si passò stancamente le mani sul viso. “Se non altro adesso sarà un pò più semplice vedercela con gli uomini di Skalgar, dato che abbiamo più guerrieri dalla nostra parte.”
“Gli uomini di Skalgar?” Quelle parole attrassero l’attenzione di Dìs, che poggiò la tazza sul tavolo. “Chi è Skalgar? Il cagnolino di Dàin?”
“Al contrario, è il suo padrone,” rispose Tofa. “Tutti a Erebor sanno che è Skalgar a comandare.”
Se Skalgar, e non Dàin, era al comando, ciò significava che forse il loro cugino non era quel serpente traditore che avevano pensato. Il cuore di Dìs battè speranzoso per un attimo, ma poi il suo naturale pragmatismo ebbe di nuovo il sopravvento. “Vorrei crederlo. Non avete idea di quanto mi piacerebbe credere che esista un’altra spiegazione per il tradimento di mio cugino. Ma conosco Dàin Piediferro e so che non si lascerebbe mai comandare da nessuno.”
Fìli poggiò i gomiti sul tavolo e si chinò in avanti. “Io invece penso che Tofa potrebbe aver ragione. Ho parlato con Dàin una volta, mentre ero ancora prigioniero, e... non so bene come spiegarlo, ma non sembrava del tutto in sè.” Tacque per un momento, poi aggiunse: “So che sembra pazzesco, ma mentre parlavamo giurerei di aver visto uno strano bagliore azzurro nei suoi occhi.”
“Un bagliore azzurro, dici?” chiese Elladan, scambiando un’occhiata significativa con suo fratello; Elrohir parve pensieroso, ma non disse nulla.
“È possibile che Dàin sia sotto una qualche forma di incantesimo?” domandò Bilbo. “Ad ogni modo, cosa sappiamo di questo guaritore?”
“Non è originario dei Colli Ferrosi.” Ori deglutì rumorosamente quando gli occhi di tutti i presenti si puntarono su di lui. “Una volta ho sentito due Nani dire che le cose da quelle parti andavano molto meglio prima che arrivasse Skalgar. Hanno smesso di parlare non appena si sono accorti di me ma, a quel che ho sentito, pare che Skalgar sia presso la corte di Dàin solo da una decina di anni.”
“Bravo ragazzo,” borbottò Nori a mezza bocca; Ori s’illuminò visibilmente alla lode del fratello.
“Molti dei Nani dei Colli Ferrosi non apprezzano Skalgar,” disse Tofa. “Sono leali a Dàin e vedono Skalgar come un intruso. Per questo è costretto ad assumere dei mercenari come sue guardie.”
“Ed è così che tu sei entrata in questa storia?” chiese Dìs alquanto bruscamente. Anche se era quasi certa che non era la stessa donna e sapeva di non essere giusta, non poteva fare a meno di sentirsi bellicosa con lei sulla semplice base del ricordo che conservava della Tofa che aveva conosciuto tempo prima.
La donna, comunque, incrociò tranquillamente il suo sguardo. “Sì. Sono stata assunta come sorvegliante dei prigionieri di Erebor.”
“Eri una dei sorveglianti? E come sei finita con i miei figli a Dale?”
“Questa è davvero una lunga storia.”
“Non è poi così lunga. Tofa ci ha aiutati a far uscire Kìli da Erebor.” Fìli rivolse alla donna un sorrisetto divertito in risposta alla sua occhiataccia, probabilmente perchè aveva liquidato la sua ‘lunga storia’ con una semplice frase.
“Perchè ci stai aiutando?” chiese ancora Dìs. “Dopotutto eri una dei mercenari di Dàin. Come possiamo fidarci di una rinnegata?”
Gli occhi di Tofa si oscurarono, ma rispose in tono controllato: “Non sono una rinnegata. Ho fatto un giuramento precedente al contratto che ho firmato con Dàin, e che l’ha reso nullo.”
“Quale giuramento? Fatto a chi?”
“Mamma, lascia perdere. Io mi fido di Tofa,” intervenne Fìli; in quel momento, con quello sguardo di tranquilla determinazione negli occhi, era identico a suo padre. “Non ho bisogno di conoscere la natura del suo giuramento. Tutto ciò che mi serve sapere è che ci ha aiutati correndo un grande rischio personale.”
Dìs annuì e si appoggiò all’indietro sulla sedia, incrociando le mani a significare che per lei la questione era chiusa. Fìli stava entrando molto bene nel ruolo di Principe della Corona in assenza di Thorin e lei non avrebbe contestato le sue decisioni in presenza di altri; in privato, naturalmente, era tutta un’altra faccenda.
“Senza l’aiuto di Tofa, probabilmente io sarei stato ucciso dalla guardia che ci ha scoperti,” disse Ori.
“Già, e io starei ancora marcendo in cella mentre Kìli...” Fìli deglutì pesantemente prima di proseguire. “Secondo Legolas, Kìli non sarebbe durato un’altra settimana.”
“Infatti. Il suo spirito era talmente disancorato dal corpo che temevo non si risvegliasse più,” confermò il Principe Legolas.
Dìs si sentì stringere il cuore al ricordo di quanto terribilmente malato era stato il suo figlio più giovane. Aveva trascorso l’ultima ora pregando Mahal che risparmiasse la sua vita quel tanto che bastava per fargli almeno conoscere suo figlio o figlia; se Tauriel poteva riportarlo indietro dal baratro della morte, non solo Dìs avrebbe benedetto la loro unione, ma avrebbe personalmente preso a pugni chiunque avesse osato criticarli o contrastarli.
“Odio doverli disturbare, ma credo sia inevitabile. Lord Elrohir, vorresti accompagnarmi?” chiese Legolas. “Mi è stato riferito che sei molto esperto nell’arte della guarigione.”
“Ho ricevuto alcune nozioni da mio padre,” rispose modestamente Elrohir alzandosi in piedi.
Legolas bussò alla porta e attese brevemente prima di aprirla. “Questo è un gran sollievo per me. Ho cercato di trattare il Principe Kìli al meglio delle mie capacità, ma ammetto tranquillamente di non avere molta esperienza come guaritore.” La porta si richiuse alle loro spalle, tagliando il resto della conversazione.
Dìs tentò di celare la preoccupazione che di nuovo l’aveva colta ma capì subito che non era riuscita ad ingannare Fìli, poichè lui le fece scivolare un braccio intorno alla vita e l’attirò un pò a sè. All’inizio cercò di opporsi – lei era la madre e lui il figlio, semmai spettava a lei consolare lui – ma non potè fare a meno di emettere un lungo sospiro e rilassarsi nel suo abbraccio. I suoi figli erano insieme a lei e al sicuro, almeno per il momento; qualunque cosa fosse accaduta dopo, se non altro li aveva ritrovati.

~
 
Amrâlimê,” sussurrò Kìli fissando la bellissima visione china su di lui che gli sorrideva con occhi lucidi di lacrime. “Tauriel.”
“Kìli,” mormorò lei, passandogli una mano tra i capelli.
Kìli cercò di parlare ancora ma iniziò a tossire penosamente: aveva l’impressione di avere la bocca e la gola foderate di cotone. Qualcuno passò a Tauriel una ciotola piena d’acqua e lei gliel’accostò alle labbra, aiutandolo a bere a piccoli sorsi. Il processo gli parve vagamente familiare, come fosse stato ripetuto più e più volte. “Sto di nuovo sognando?”
“Questo non è un sogno,” rispose lei sedendosi sulla sponda del letto e prendendogli una mano per portarsela sulla guancia. “È tutto vero, meleth nin. Sono davvero qui.”
Kìli chiuse brevemente gli occhi: mentre lei lo toccava iniziò a sentirla di nuovo, non soltanto in senso fisico, ma anche con una sensazione straripante di amore e felicità che scaturiva da un’altra parte di sè e che non riusciva a spiegarsi. Era come stare in piedi davanti ad un fuoco con gli occhi chiusi: non potevi vederlo, ma ne avvertivi il calore sulla pelle.
Lei era il suo fuoco.
“Tauriel. Amore mio,” mormorò riaprendo gli occhi; registrò appena il suono della porta che si chiudeva.
Era proprio come nelle visioni che aveva avuto di lei. Fece scorrere un dito sulla cicatrice che scendeva al lato destro del suo viso e osservò la bianca ciocca di capelli che partiva dal punto di origine sulla fronte. “Era tutto vero, allora, anche le altre volte in cui ti ho vista. Eri proprio così...” Un pensiero improvviso lo colse e abbassò istintivamente gli occhi sul suo ventre arrotondato; allora, con gioia rinnovata, aggiunse: “E aspetti davvero un bambino. Il nostro bambino.” Aveva cominciato di nuovo a temere che fosse solo un sogno, perchè era troppo bello per essere vero.
Sorridendo, Tauriel guidò la sua mano sulla propria pancia. “Senti.”
Dopo circa un minuto, Kìli sentì come un ondeggiamento sotto il palmo e spalancò la bocca meravigliato. “Era...?”
“Sì. Sembra che il nostro pîn elloth abbia ereditato il tuo spirito spericolato.” Gli occhi di lei brillavano di lacrime a dispetto del suo sorriso.
Esaltato com’era, Kìli cercò di mettersi seduto e solo allora si rese conto di quant’era debole: le braccia gli tremavano per lo sforzo. “Che diamine mi prende?”
Lei gli pose una mano sulla spalla. “Sei stato malato, amore mio. Non affaticarti.”
“Ma quanto posso esser stato malato?” Con un borbottio seccato, egli si arrese e tornò a sdraiarsi tra i cuscini. “Giuro che quando mi ha colpito la freccia Morgul mi sentivo meglio!”
“Ho avuto tanta paura... che morissi, meleth–” La voce di Tauriel s’infranse e le lacrime che aveva tentato di frenare iniziarono a scorrerle sulle guance.
Gimlinh, non piangere. Non morirò, te lo prometto. Vieni qui.” Kìli tese le braccia verso di lei e Tauriel si sdraiò al suo fianco: gli poggiò la testa sulla spalla e lui la strinse al meglio che potè.
Per un attimo si sentì nel panico: la sua amata stava piangendo e lui non sapeva come consolarla! Anzi, no, c’era una cosa che poteva fare e che sapeva l’avrebbe consolata: stringerla tra le braccia e mormorarle all’orecchio in Khuzdul. Così, sebbene un pò confuso, Kìli fece esattamente questo e di nuovo sentì in cuore come un bagliore caldo e luminoso, mentre le lacrime di Tauriel rallentavano fino a fermarsi del tutto. Ebbe comunque il fugace pensiero che sua madre non avrebbe mai dovuto sapere quanto Khuzdul lui parlasse in presenza di un Elfo, anche se l’Elfo in questione era sua moglie nonchè madre del suo bambino.
Il loro bambino. Kìli provò un misto di gioia e terrore quando realizzò che non aveva la più pallida idea di come ci si prendeva cura di un bambino. Il loro cugino Gimli non era tanto più giovane di lui e, anche se aveva alcuni ricordi di Gimli neonato, era anche vero che a quell’età non gli aveva mai prestato molta attenzione. Sicuramente sua madre li avrebbe aiutati, però. All’inizio forse avrebbe avuto qualche... riserva per il fatto che la sua amata era un Elfo, ma di certo col tempo anche Dìs avrebbe imparato ad amare Tauriel. Come avrebbe potuto essere altrimenti?
Questo pensiero gliene fece tornare in mente un altro. “Era mia mamma quella seduta vicino al mio letto quando mi sono svegliato?”
“Oh, sì.” Tauriel si guardò intorno e parve sorpresa nello scoprire che Dìs non era più nella stanza. “Dev’essere uscita mentre parlavamo.”
“E com’è che tu e mia madre siete entrambe... dove siamo, a proposito?” L’ultima cosa che Kìli ricordava era la vuota stanza di pietra in cui lo tenevano imprigionato e le pozioni che il guaritore gli somministrava e che lo inducevano a sognare della sua amata. Di recente quei sogni si erano fatti via via più confusi e nebulosi, e non era più sicuro di dove finisse il sogno e cominciasse la realtà.
“Dale,” rispose Tauriel, iniziando a spiegargli come fossero giunti fin lì; Kìli ascoltò il suo racconto con crescente meraviglia. Il fatto che Tauriel e Bilbo si trovassero a Gran Burrone proprio nel momento in cui Dìs, Nori e Bofur avevano deciso di incontrare Lord Elrond era una coincidenza tanto improbabile che era certo fosse stato il destino a guidare i passi di tutti loro.
Il che lo condusse ad un altro pensiero. “Che ci facevate tu e Bilbo a Gran Burrone?”
“Siamo andati lì per consultare Lord Elrond, che è noto per essere il più grande guaritore di tutta la Terra di Mezzo.”
“Perchè volevi consultare un guaritore? Sei malata?” Preoccupato, Kìli poggiò il dorso della mano sulla fronte di Tauriel, ma la sentì fresca come al solito. Gli Elfi sembravano avere il corpo più freddo rispetto ai Nani – perlomeno, questo era quel che lui aveva osservato in Tauriel.
“No, affatto. È che Bilbo si preoccupa troppo. Ha pensato che dovessi vedere Lord Elrond in caso ci fossero... difficoltà con il bambino.”
“E ce ne sono?”
“No,” disse ancora lei, sorridendogli con fare rassicurante. “Il figlio di Lord Elrond, Elrohir, ha acconsentito ad accompagnarmi ad Erebor insieme a suo fratello per assistermi come guaritore, e dice che il bambino sta bene.”
“E tu? Tu stai bene?” insistette Kìli; Tauriel annuì e si sollevò su un gomito per dargli un bacio leggero a fior di labbra. Kìli non sapeva chi di loro si fosse mosso prima verso l’altro, ma ben presto il bacio si approfondì in un più languido incrociarsi di labbra e lingue che, quando si separarono, lo lasciò senza fiato.
Aprì gli occhi e vide la sua amata china su di lui che gli sorrideva con un’espressione dolcissima. “Tauriel...” mormorò.
In quel momento bussarono alla porta e Kìli imprecò a mezza bocca. Avrebbe giurato di aver sentito Tauriel ridere alla sua reazione, ma non era una sensazione fisica – ancora una volta proveniva da una parte di sè che sembrava in grado di avvertire le emozioni di lei come fossero le proprie, anche se non aveva idea di come fosse possibile.
Tauriel si sollevò a sedere sul bordo del letto e gli prese una mano: la porta si aprì ed entrò una delle persone che Kìli meno preferiva al mondo. Il Principe Legolas sembrava meno ombroso del solito quel giorno, ma Kìli lo guardò male giusto per principio. Insieme a lui c’era un Elfo dai capelli scuri che doveva essere quell’Elrohir menzionato da Tauriel.
“Sono molto sollevato dal vedere che hai riacquistato conoscenza. Sono Elrohir Elrondion,” si presentò l’Elfo dai capelli scuri chinando il capo.
“Kìli, figlio di Vìli, al tuo servizio.” Nessuno parve far caso al fatto che Kìli non era mai stato ufficialmente presentato al figlio di Re Thranduil, ma di certo non sarebbe stato lui a farlo presente.
“Posso esaminarti?” chiese Elrohir; poi, al cauto assenso di Kìli, aggiunse: “Lady Tauriel, sarebbe più semplice per me esaminare il Principe Kìli se non foste fisicamente in contatto.”
Tauriel gli strinse brevemente la mano prima di alzarsi e allontanarsi un pò dal letto; ma andava tutto bene, perchè lui riusciva ancora a sentire l’amore e l’ansia di lei anche se non lo stava più toccando. In realtà era tutto molto strano, ma probabilmente aveva a che fare con la magia elfica. In fondo Tauriel gli aveva curato la gamba, chi poteva dire cos’altro fosse in grado di fare?
Non era certo di cosa aspettarsi, ma Elrohir non fece altro che restare in piedi accanto al suo letto con gli occhi chiusi; alcuni istanti dopo, senza aprirli, disse: “Tauriel, potresti spostarti in fondo alla stanza?”
Kìli avvertì la preoccupazione e la curiosità di lei, che però si limitò ad annuire e a fare quanto le veniva chiesto.
Elrohir tornò a concentrarsi; dopo un pò però aprì gli occhi e disse: “Non riesco a separare il vostro flusso di energia abbastanza da esaminare individualmente il fea del Principe Kìli. Dev’essere un effetto del vostro fealif.”
Kìli non aveva idea di cosa stesse parlando ma tenne la bocca chiusa, non volendo apparire sciocco agli occhi del Principe Musone.
“Sarebbe d’aiuto se uscissi dalla stanza?” suggerì Tauriel, anche se Kìli avvertì la sua grande riluttanza.
Elrohir annuì. “Sì, questo potrebbe aiutare.”
Prima di uscire, Tauriel gli rivolse un rapido sorriso e Kìli si sentì quasi travolgere da un’ondata di amore tale che era come se l’avesse baciato. Non aveva più dubbi, era tutta opera della magia elfica.
Elrohir stette immobile come una statua per diversi minuti, con un’espressione di profonda concentrazione in viso. Kìli iniziò ad agitarsi mentre il silenzio si propagava, e sentì il calore di Tauriel che iniziava a svanire.
“Ci vorrà ancora molto? Perchè nell’attesa potrei schiacciare un pisolino o qualcosa...” La sua voce risuonò vuota persino alle sue stesse orecchie, gli riecheggiò stranamente in testa; la vista gli si oscurò e cominciò a perdere la concentrazione. Avvertì una sensazione stranissima, come se qualcosa dentro di sè si allungasse disperatamente per mantenere il contatto con Tauriel, ma senza riuscirci.
Udì una voce chiamarlo debolmente per nome e poi non fu più consapevole di nulla eccetto buio e silenzio.

~
 
“Come ti senti, mia cara?” chiese Bilbo non appena Tauriel uscì dalla stanza del malato. Non sembrava pronta ad affrontare il gruppo riunito intorno al tavolo, perciò lo Hobbit scese dalla sedia con uno sgraziato saltello e le andò incontro.
“Io... non ne sono sicura,” rispose lei, girando la testa verso la pesante porta per cercare di sentire cosa  veniva detto all’interno.
“Su, vieni con me. Andiamo a fare una passeggiata in quel graziosissimo cortiletto,” disse lui, sperando di strapparle un sorriso per quella spropositata definizione dello spiazzo lastricato di pietre e nascosto dalle alte mura del maniero.
Ma Tauriel non sembrò notare il suo tentativo di risollevarle l’umore e si limitò ad annuire e a lasciarsi condurre alla porta che dava sull’esterno.
“Cercate di non farvi vedere da nessuno. Non è sicuro,” disse Bofur.
Bilbo borbottò e sventolò una mano per aria, infastidito per quell’ovvio (ed ennesimo) avvertimento. Scusate tanto, ma chi era stato a trascorrere settimane intere nelle sale del Reame elfico senza farsi beccare da nessuno? Bilbo Baggins, ecco chi. E per questo Bilbo riteneva di sapere benissimo come muoversi per le strade di Dale senza farsi scoprire – magari con l’aiuto del suo anello, beninteso.
“Qualcosa non va?” egli chiese a Tauriel quando furono usciti.
L’Elfa scosse il capo; sembrava però distratta e non esattamente felice come Bilbo si aspettava da qualcuno che ha appena ritrovato l’amore della sua vita. “No, è solo che... ho creduto di sentire una voce che mi chiamava.”
“Io non ho sentito niente.”
“Sarà stata la mia immaginazione, allora.”
“Lady Dìs non ha detto che Kìli ha riacquistato conoscenza?”
“È così. Oh, Bilbo,” aggiunse poi Tauriel illuminandosi di gioia, così come Bilbo si aspettava di vederla. “Non potrò mai ringraziarti abbastanza per tutto quello che hai fatto per me. Senza il tuo aiuto non sarei mai riuscita ad arrivare fin qui, e non avrei mai saputo che il mio Kìli era ancora vivo.”
Bilbo tossicchiò e finse di concentrarsi sulla pulizia della sua pipa. “Non serve ringraziarmi, mia cara ragazza. E comunque anch’io devo tanto a te, sul serio. Se non fossi venuta da me, non avrei avuto nient’altro da fare se non ammuffire in Casa Baggins e azzuffarmi con i miei odiosi parenti.”
Tauriel era sempre bella, ma quel suo sorriso felice e autentico dava l’impressione di illuminarla fin dall’interno. “Allora siamo d’accordo che ciascuno di noi è in debito con l’altro fino alla fine dei suoi giorni.”
“Mi sembra giusto.” Infilandosi i pollici nei taschini del gilet, Bilbo ricambiò il sorriso di lei. In quel momento però l’espressione gioiosa svanì dal viso di Tauriel, che girò di scatto la testa come se avesse udito un rumore impercettibile ad un orecchio ‘normale’.
“Cosa c’è, Tauriel?”
“Non senti? Kìli mi sta chiamando.”
Cercando di reggere il passo con le gambe più lunghe di lei, Bilbo le trotterellò dietro e di nuovo in cucina; Tauriel corse direttamente alla porta dietro cui stava Kìli senza degnare di un’occhiata il gruppetto ancora seduto al tavolo ed entrò senza bussare. Rivolgendo uno sguardo di scuse agli altri, Bilbo la seguì all’interno.
La scena non sembrava di molto cambiata dalla sua visita precedente, quando aveva portato una tazza di tè a Dìs che vegliava Kìli: gli ci volle un momento per capire cosa c’era che non andava. Tauriel gli aveva detto che Kìli era sveglio, eppure il giovane Nano bruno giaceva pallido e immobile com’era stato prima del loro arrivo a Dale.
Tauriel gli sedette accanto e gli prese il viso tra le mani, chiamandolo per nome; Bilbo, che guardava da vicino, ebbe la certezza che gli occhi di Kìli si fossero aperti nel momento esatto in cui lei lo aveva toccato.
Tauriel si chinò su di lui parlandogli in Sindarin. Bilbo ringraziò che la sua comprensione della lingua fosse piuttosto scarsa, poichè era sicuro che non si trattava di parole dette per essere udite da chicchessia. Sentendosi un pò in imbarazzo, distolse lo sguardo dalla coppia e colse l’ombra di un sorriso dolceamaro sul viso di Legolas, che però tornò serio subito dopo.
“Sto bene, gimlinh, te l’assicuro,” protestava intanto Kìli. “Non è niente. Ho solo avuto un piccolo mancamento.”
“Non è stato affatto ‘piccolo’.” Stringendogli forte una mano, Tauriel volse lo sguardo ansioso su Elrohir. “Cos’è accaduto? Che cos’ha Kìli?”
L’Elfo sembrava preoccupato. “Non lo so. All’inizio sembrava star bene, poi all’improvviso è svenuto. Il suo flusso di energia è... strano.”
“Tu sapevi che qualcosa non andava,” disse Legolas a Tauriel. “Eri già preoccupata quando sei entrata qui. Come facevi a saperlo?”
Lei parve confusa dalla domanda. “Ho sentito Kìli chiamarmi, naturalmente.”
“Tauriel,” disse con calma Legolas, “Kìli non ha detto nulla prima di svenire. Se davvero l’hai sentito chiamare il tuo nome, non è stato con le tue orecchie.”
“Che vuoi dire? Come altro avrebbe dovuto sentirlo?” intervenne Bilbo.
“Il loro fealif,” rispose Elrohir. “L’ha sentito grazie alla connessione tra le loro anime.”
“Ma non capisco,” disse Bilbo. “Perchè il fealif dovrebbe far svenire Kìli quando Tauriel non è fisicamente in contatto con lui? Credevo che questa connessione fosse una buona cosa...”
Elrohir sollevò un sopracciglio in un modo che a Bilbo ricordò fortemente Lord Elrond. “Ed è così, mastro Bilbo. In effetti, sono persuaso che il fealif sia l’unico motivo per cui il Principe Kìli è ancora vivo – nonchè sano di mente.”

~
 
Ancora una volta si riunirono tutti intorno al tavolo di cucina, talmente stretti l’uno all’altro che i gomiti si urtavano quando cercavano di bere il tè. Al momento però solo Bilbo e Tauriel stavano bevendo tè: i Nani erano passati alla birra mentre gli altri Elfi sembravano voler bere solo acqua.
I figli di Bard erano stati rimandati dal padre malgrado le loro proteste – per essere precisi, anzi, aveva protestato solo Bain; Sigrid se n’era andata senza fiatare, limitandosi a scambiare una lunga occhiata con Fìli. Benissimo, pensò rassegnato Bilbo, altri guai in arrivo. In effetti, però, Dìs pareva esser più o meno scesa a patti con la sua nuora elfica; superato quello scoglio, forse una figlia degli Uomini non sarebbe stata poi una novità troppo sgradita.
Tauriel e Kìli li avevano raggiunti in cucina nonostante il parere contrario di Elrohir, poichè Kìli sosteneva di sentirsi benissimo purchè continuasse a mantenere il contatto fisico con Tauriel. Perciò sedettero tenendosi per mano, dal momento che Tauriel aveva bocciato il suggerimento di Kìli secondo cui sedergli in grembo era il modo migliore per raggiungere il loro scopo. Bilbo li osservò con discrezione ma anche con grande piacere: vide la tenerezza con cui si trattavano, Kìli che snocciolava suggerimenti uno più scandaloso dell’altro e Tauriel che li respingeva al mittente con fermezza ma senza smettere di sorridergli. Lo Hobbit aveva sempre saputo che i due si amavano ma, anche se poteva sembrare strano, era un gran sollievo per lui constatare che andavano anche tanto d’accordo.
Da giovane, sua madre non faceva che ripetergli che l’amore in una coppia dura solo fino a un certo punto; ciò che realmente conta, diceva sempre, sono amicizia e rispetto reciproco (“Come credi che siamo durati tanto a lungo io e tuo padre, quando tutti nella Contea dicono che siamo diversi come il gesso dal formaggio? Io amo tuo padre, Bilbo, ma la cosa più importante è che sia anche il mio migliore amico”). Nelle settimane di viaggio della Compagnia tra la Carroccia ed Erebor, Bilbo aveva osato credere che lui e Thorin avessero trovato proprio la magica combinazione di cui gli aveva tanto parlato sua madre: amore e amicizia, in parti uguali e indissolubili.
Con un certo sforzo, si riscosse da quei pensieri rimproverandosi per la propria stupidità. Quello non era il momento di struggersi su ciò che avrebbe potuto essere: avevano un salvataggio da programmare.
“Come facciamo a entrare ad Erebor?” chiese Dìs. “Non possiamo sperare che il trucco del carro funzioni con gli uomini di Dàin.”
“Entrare nella montagna è la parte più facile,” disse Fìli. “Possiamo servirci del passaggio segreto usato dalla Compagnia.”
“Ma di certo ormai sarà stato chiuso, no?” domandò Tauriel.
Nori mise via la sua pipa per rispondere. “Nessuno della Compagnia ne ha mai parlato con Dàin. All’inizio ci è parso irrilevante, con tutto quello che era successo ma poi, quando abbiamo iniziato a sospettare di lui, ci è sembrato giusto mantenere il segreto, in caso ne avessimo avuto bisogno.”
 “Quando siamo fuggiti da Erebor abbiamo preso il passaggio segreto che collega gli appartamenti reali con il passaggio principale. Quello di cui ci raccontavi sempre tu, mamma, ricordi?” chiese Fìli.
L’espressione di Dìs si addolcì. “Sono stupita che te ne sia ricordato dopo tutto questo tempo. Non ve ne ho più parlato sin da quando eravate due marmocchi.”
Bilbo immaginava bene quanto dovesse esser parsa eccitante l’idea di un passaggio segreto ad un bambino Nano – proprio come lo sarebbe stata per uno Hobbit, in fondo.
“Ma una volta entrati in Erebor, quale sarebbe poi il piano?” domandò Elladan, causando un borbottio generale di assenso.
Tranquillamente, Fìli rispose: “Cattureremo Dàin.”
Il pandemonio scoppiò all’istante: i Nani balzarono in piedi urlando e cercando di stabilire se l’idea fosse buona o una totale follia.
Fìli battè con forza un pugno sul tavolo e gridò: “Ascoltatemi!” Calmatisi gli schiamazzi, proseguì: “Quale altra scelta abbiamo? Setacciare ogni angolo di Erebor sperando di trovare Thorin prima che ci scoprano? È il momento di farci avanti adesso che meno se lo aspettano. Sono certo che il nostro gruppo può riuscire a catturare Dàin, se usiamo i passaggi segreti per entrare negli appartamenti reali.”
Dìs scosse il capo con aria frustrata. “Non funzionerà. I passaggi segreti che portano agli appartamenti reali si richiudono da soli una volta entrati. È una procedura di sicurezza, proprio perchè nessun estraneo possa arrivarvi.”
Ma Fìli non si scompose. “Funzionerà. Metteremo dei cunei nelle cerniere delle porte, come abbiamo fatto quando siamo usciti, così non si chiuderanno.”
“Beh, di certo non si aspetteranno che rientramo così presto dopo essere appena fuggiti. Io dico di farlo, a meno che qualcuno abbia un’idea migliore,” disse Kìli.
Ma nessuno ne aveva.
“È passato molto tempo, ma credo di ricordare ancora la planimetria degli appartamenti reali,” disse Dìs.
Ori alzò una mano. “Mi mandavano spesso a consegnare messaggi, perciò so dove stazionano alcune delle guardie.”
“Io conosco l’andamento generale dei turni di guardia,” intervenne Tofa. Bilbo notò che Dìs le lanciava un’occhiata diffidente. Non riusciva a capire il suo atteggiamento: era vero che la mercenaria era stata al servizio di Dàin ma, come puntualizzato da Fìli, aveva corso un grande rischio aiutando lui e Kìli a fuggire. Tutto sommato, Bilbo era incline a fidarsi di lei.
“Bene, ora non ci resta che scoprire come sono andate le cose a Erebor da che noi ce ne siamo andati. E per questo ci vuole qualcuno in grado di ravanare nella feccia di Dale alla ricerca di informazioni.” E così dicendo, Nori si alzò in piedi e rivolse al gruppo uno smagliante sorriso. “Potrei far tardi, non mi aspettate.”
“Stà attento,” gli disse Bilbo.
“Mastro scassinatore, ormai dovresti aver imparato che io sono sempre attentissimo,” rispose Nori strizzando un occhio.
Bilbo si limitò a sbuffare divertito, ma in effetti non aveva alcun dubbio che, a dispetto della sua professione (o forse proprio grazie ad essa), Nori fosse uno dei membri più cauti della Compagnia – per quanto un Nano potesse esser cauto, s’intende.
“C’è ancora una cosa che non capisco, però,” disse Bilbo più tardi, quando ebbero rivisto il piano così tante volte da averlo imparato a memoria e la birra e le candele stavano per esaurirsi. “Qual è lo scopo di Skalgar in tutto ciò?”
“Forse è semplicemente matto da legare,” suggerì timidamente Ori.
Dìs strinse le mani a pugno. “È un essere disonesto e malvagio. Non m’interessano i suoi scopi: voglio vederlo morto il prima possibile.”
“Seecondo me mira al denaro e al potere,” disse Bofur stringendosi nelle spalle. “Non avrà altro in mente.”
“Sì, ma... a meno che non sia davvero matto da legare deve avere un piano, un qualche obiettivo,” riflettè Bilbo. “Perchè ha fatto tutto questo a Kìli? A quale scopo separare l’anima dal corpo di una persona?”
Bilbo notò che Kìli aveva abbassato il capo sulle mani sue e di Tauriel, sempre intrecciate, e si sentì un pò in colpa per aver riportato a galla l’argomento.
Con un’aria esausta, Fìli emise un gran sospiro. “Vorrei proprio saperlo, mastro Baggins. Vorrei proprio saperlo.”
  
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