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Autore: Manhattan    13/08/2015    0 recensioni
Jace, Lee e Alex sono delle ragazze rispettivamente di diciassette, sedici e diciassette anni, che vivono a New York in un appartamento a Brooklyn.
Jace sembra una ragazza gentile, affettuosa e amichevole, ma è tutt'altro.
Lee è la più piccola tra loro ma è molto responsabile, amorevole con tutti e timida.
Alex è la più grande ma è molto disordinata e molto fantasiosa.
Inaspettatamente un giorno le tre ragazze scoprono un altro mondo, diverso dal loro genere. Demoni, Vampiri, Licantropi e Shadowhunters che le circondano.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Jace Point Of View
Uscii dallo sgabuzzino, presi un respiro, poi guardai se in un corridoio ci fosse l'ombra di Almus. Niente. Mi incamminai verso la stanza 103, pensando.
"Ho fatto tutto ciò che fosse necessario, ho tolto un impiccio. Non ho bisogno di lui, sono in grado di farcela da sola... Forse ho detto una o due parole di troppo... Forse ho davvero esagerato." Mi fermai e scossi il capo energicamente. "Certo che no! Ciò che ho fatto è giusto!" Mi dissi subito. "Sicuramente..." Aggiunsi poco dopo.
Entrai nella stanza e vidi Austin che si era avvicinato ad Alex e la guardava attentamente.
«Non immagini cosa Austin abbia scoperto appena adesso!» Disse Lee subito dopo essersi accorta di me.
«Lei non è stata aggredita da un animale, ma da...» Stava dicendo Austin.
«Da un demone. Lo so, lo so.» Dissi annoiata, Austin rimase esterrefatto.
«Ma noi, in questo caso possiamo applicare in questa situazione, due modi... o meglio possibilità.» Dissi subito.
«Cioè?» Chiese lui perplesso.
«La prima è la più semplice... per noi, e al 50% per lei. Vi spiego: Quando si sveglierà si ricorderà di essere stata attaccata da un mostro o demone o come lo vorrà chiamare al 49% delle possibilità, ma noi le faremo credere che invece è stata aggredita da un animale, e fin qui noi e lei siamo apposto... ma le complicazioni arrivano adesso, le ferite. Quelle ferite lasceranno sul suo petto delle cicatrici orribili, disgustose. E per lei sarebbe un imbarazzo avere quelle cicatrici per tutta la vita.» Dissi seriamente.
«Tuttavia nella seconda possibilità potresti toglierle quelle cicatrici però c'e un ma. Giusto?» Disse Austin seguendomi. Così tirai fuori lo stilo e il foglio con la runa che mi diede Almus. 
«Nella seconda le potrei guarire le ferite con questo, ma le lascerei un marchio, anzi una runa, che non tarderebbe nel notarla, quindi dovremmo dirgli tutto.» Dissi subito. Austin non aveva uno sguardò preciso, ma Lee era titubante.
«E le analisi?» Chiese Lee.
«La porteremo prima che i dottori possano farle delle analisi, così non scopriranno niente.» Dissi un pò scocciata.
«E come faremo a portarla a casa?» Chiese Lee ancora più confusa.
«Tu sai esattamente come fare. Ricordati chi siamo. Io, Jocelyn Mary-El Hall, faccio parte della famiglia Hall, che gestisce una delle aziende di medicina più importanti al mondo; tu, Lee Charlotte Hemsworth, sei la figlia di uno dei senatori più importanti Anglo-Sassoni. Credi veramente che portare fuori una paziente da un'ospedaletto ci dia qualche problema?!» Dissi esasperata.

Lee Point Of View
Ripensavo alla proposta di Jace, non potevamo lasciarla con tutte quelle cicatrici, ma non potevamo nemmeno metterla al corrente di quello che sapevamo, sarebbe stato troppo pericoloso, già io e Jace ne sapevamo fin troppo di questo mondo invisibile. La scelta era dura, ma non volevo mentirle, "è stato un animale ad attaccarti", si, come no; presi una scelta, decisi di usare lo stilo. Uscii dalla stanza lasciando Austin con Jace per chiamare mio padre, dovevamo far uscire Alex da lì, sentii squillare il telefono di mio padre.
*flashback*
Una bambina stava giocando nella sua stanza con dei giocattoli, delle bambole, era carinissima, due treccine le cadevano sulle spalle e il vestitino blu le risaltava gli occhi stupendi che aveva. Si diresse con alcuni giocattoli sul davanzale della finestra e ogni tanto mentre giocava dava un'occhiata li' fuori, c'era un enorme giardino, una fontana, tanto verde e dei vialetti molto larghi, stava aspettando l'arrivo di qualcuno. Improvvisamente il rumore della brecciolina la fece sorridere, era felice; lasciò le bambole sul davanzale e corse, più veloce che poteva, scese le scale, attraversò la grande entrata e vide una signora comparire dall'enorme portone, era una donna di classe, occhiali da sole neri, lenti scure, rossetto color carne, capelli legati perfettamente, borsa, vestito e scarpe costosissime.
“Mamma mamma, giochi con me?” Le chiese dolcemente la bambina.
“No tesoro mi dispiace non posso.” Quella che poteva sembrare la frase dolce di una mamma impegnata venne rovinata da quella donna che la pronunciò con indifferenza e crudeltà. La signora estrasse dalla borsa un oggetto tecnologico e mentre lo usava iniziò a camminare per la casa, a salire le scale.

“Dai mamma, solo un po'” Pregò la bambina che seguiva ogni passo della mamma. La richiesta della bambina continuò per tutta la scalinata, ricevendo sempre una risposta negativa.
“Lee! Ti ho detto no! E non mi seguire!” Era innervosita, scocciata dal comportamento della bambina, che si fermò lì dove finivano le scale e aspettò che la donna si allontanasse per poi scoppiare in un pianto e andare nella sua stanza. Era una bambina cresciuta con l'assenza della mamma, raramente c'era il padre, senatore; si può dire che alla mamma non importava niente della figlia, il padre invece, anche se molto impegnato a causa del lavoro, stravedeva per la figlia, l'amava con tutto sé stesso e le concedeva tutto, senza se e senza ma, senza mai chiedere il motivo. Se la figlia desiderava qualcosa, lui faceva di tutto pur di farglielo avere.
*
fine flashback*
«Avete chiamato il senatore Hemsworth, come posso aiutarla?» Una voce femminile non troppo squillante rispose al telefono.
«Ciao Sophie, sono Lee.» Sophie era la segretaria di mio padre, era una donna sulla cinquantina, ammiravo quella donna, per parecchi motivi.
«Signorina Hemswoth salve! Come sta?» La sua voce divenne squillante, potevo sentirla sorridere e risi leggermente.
«Bene grazie, puoi passarmi il senatore?» Dissi ironicamente.
«Certo! La collego sull'altra linea!» Aspettai di sentire la voce di mio padre.
«Lee! Cara, sono tre anni ormai che non ti fai sentire, come stai?» Rimasi pietrificata. Quella voce, insopportabile. Non rispose mio padre ma quella vipera, quella crudele donna che chiamavo 'mamma'. Aspettai qualche secondo prima di risponderle.
«Ciao, mamma, sto bene grazie, mi passi papà?» Fui fredda, distaccata. “Ah, cosa devo fare per parlare con mio padre!” pensai. 
«Certo cara.» Finalmente l'incubo era finito, avrei risentito mio padre. 
«Lee! Bambina mia, mi manchi tantissimo!» La sua voce mi diede sollievo, da quanto l'aspettavo!
«Ciao papà, anche tu mi manchi.» Gli dissi, ero emozionatissima.
«Dimmi pure!» Eccola, la frase che aspettavo.
«Mi serve un favore, potresti chiamare l'ospedale Saint Vincent di Brooklyn e dire di dimettere la signorina Ross?» Incrociai le dita, conoscendolo non avrebbe dovuto fare domande ma non si sa mai.
«Certo tesoro! Chiamo subito, ci sentiamo presto!» Per fortuna non era cambiato niente.
«Si, ciao papà.» Riattaccai, il cuore mi batteva fortissimo ma non era stato poi così difficile, Jace aveva ragiore.
Rientrai nella stanza e quando i due ragazzi mi guardarono gli feci segno con la testa di uscire dalla stanza e ci sedemmo nella sala d'attesa.
«Fatto.» Dissi rivolta verso Jace. Dopo non molto tempo arrivarono due dottori con una cartella clinica fra le mani.
«Potete riportare la signorina Ross a casa.» Disse uno di loro confuso. Non rispondemmo ed entrammo tutti e tre nella stanza, Jace prese lo stilo e iniziò a disegnare qualcosa sulle ferite di Alex che pian piano scomparvero. Restai zitta per tutto il tempo, prendemmo Alex, uscimmo dall'ospedale e Austin chiamò un taxi, ci entrammo e appoggiammo Alex sulle nostre gambe. Io ero seduta al centro, guardavo Alex e pensai di non voler essere nelle sue condizioni, ma per fortuna Austin mi tenne la mano per tutto il tragitto, il che mi rese più sicura e mi fece sentire veramente protetta.

Jace Point Of View
Ogni scusa era lecita. Quei due mi stavano facendo rabbrividire... Quasi come quella senzazione che ho provato nel disegnare la runa sulla ferita di Alex. Appena entrammo nella stanza Austin uscì per fare da palo, presi lo stilo in mano e aprii il foglio dove era disegnato un segno formato da tante linee intrecciate a case... o almeno così sembrava; rimasi a guardarlo per alcuni secondi... ma sembravano quasi ore, non riuscivo a staccargli gli occhi di dosso... non aveva tutto questo fascino, ma era come se mi avessero fatto un incantesimo. Poi scoprii Alex, le tolsi le bende e vidi le ferite ancora fresche; fortunatamente riesco a vedere quanto è grave una ferita grazie alla famiglia da cui provengo... e infatti Alex sarebbe guarita, ma le ferite no. Mi avvicinai alla ferita con lo stilo, impressi nella menta l'immagine della runa e in quel momento il piccolo cristallo dello stilo si illuminò. Guardai Lee, ma sembrava che lei non vedesse niente, ma non fa niente. Quella luce era bellissima. Incominciai a disegnare la runa, era una senzazione davvero strana... non l'avevo mai provata prima.
«E così... siete ricche...» Disse Austin, interruppendo il mio piccolo ricordo. Mancavano ancora dieci minuti per arrivare a casa.
«A quanto pare.» Dissi estremamente scocciata.
«Ma ci sei nata così scontrosa?» Chiese Austin un pò arrabbiato.
«Ma ci sei nato così ritardato?» Risposi fulminandolo... Che idiota. Finimmo la conversazione così. Quando arrivammo a casa, Mister Muscolo portò in braccio Alex fino in camera sua, senza alcuno sforzo.
«Dovrei comprarmi una macchina...» Pensai ad alta voce. «Una bella Mercedes Classe A, rossa fuoco.» Dissi entusiasmata. Ed entrambi mi guardarono male per quello che avevo detto... Già, un po' fuori luogo. Scendemmo e ci sedemmo sul divano del soggiorno, guardai l'orologio... si erano fatte le 7:00 P.M. Feci un sospiro di stanchezza.
«Chi te l'ha dato lo stilo?» Mi chiese Austin dopo un po'.
«Caleb.» Dissi stanca. «Cioè Almus... Mi devo ancora abituare.» Mi corressi.
«L'hai incontrato all'ospedale?» Mi chiese lui.
«Già, e gli ho già detto tutto.» Dissi subito. Lui mi guardò per un momento perplesso e pensieroso.
«Che c'è?» Gli dissi fredda.
«Stavo pensando solo che le rune possono essere molto utili.» Disse lui. Io lo guardai confusa.
«Che vuoi dire?» Chiesi stranita.
«Voglio dire che anche se tu non volessi appartenere al mondo invisibile, potresti usare le rune in tuo favore, invece di usarle per combattere contro i demoni.» Si fermò un attimo. «Cioè, potresti chiedere a Nabe se possa darti uno dei libri grigio... dove raffigurano le rune di tutti i tipi e significati; potresti usarle per difenderti.» Disse infine lui. Non gli risposi ma per molto tempo ci pensai.
"A volte, da quella bocca escono frasi sensate."

Stilo


Angelina Jolie alias Ann Hemsworth (Lee's mom)


Linden Ashby alis Joseph Hemsworth (Lee's dad)


 
  
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