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Autore: homuraxmadoka    14/08/2015    3 recensioni
Mentre Rizzoli & Isles stanno lavorando ad un caso, una vicenda del passato della detective torna a turbare la sua vita. Tra azione, battute e conflitti interiori sui loro reciproci sentimenti, Jane e Maura dovranno fare i conti con un nuovo personaggio, che si rivelerà essere un vero e proprio mostro. E la posta in gioco stavolta è altissima. Riusciranno le nostre eroine ad uscirne incolumi ancora una volta?
Genere: Azione, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un rumore di passi lento e cadenzato interrompeva il silenzio surreale che regnava nel corridoio che conduceva alla stanza degli interrogatori. La luce in quel posto era più soffusa, e perfino i poliziotti di piantone, avevano facce così cupe da mimetizzarsi con le pareti circostanti. Jane avanzava lentamente, riordinando i pensieri per cercare di fare domande specifiche e mirate alla sospettata, al fine di concludere l’indagine. Gli elementi indiziari che avevano a disposizione erano ancora pochi, ma era certa che se avesse saputo toccare “ i tasti giusti ” con la Grandant, sarebbe riuscita a fare un enorme passo avanti. Indugiò qualche istante presso la vetrata che consentiva dall’esterno di assistere all’interrogatorio, e poté scorgere all’interno della stanza, una ragazza non molto alta, con capelli biondo cenere mossi. La detective sussultò: ad una primissima occhiata la sospettata somigliava vagamente a Maura, ed improvvisamente riaffiorarono in lei ricordi fastidiosi e dolorosi del litigio che avevano avuto. Jane si stropicciò gli occhi cercando di stroncare sul nascere pensieri che distogliessero la sua attenzione dal lavoro; non era quello il posto, e soprattutto non era quello il momento per elucubrare su vicende personali. Gettò quindi un’altra occhiata alla ragazza che era seduta compostamente di fronte a Korsak, ma i lineamenti del volto tirati, uniti al mordersi nervosamente il labbro, tradivano la sua ansia e la sua paura. Jane dedusse che con molta probabilità era la prima volta che si trovava in un commissariato in quanto sospettata, e che certamente non era affatto preparata a tutto quello che la attendeva, e non poté fare a meno di intenerirsi per lei. Si sorprese allora a sorridere ironica: stava abbandonandosi ancora una volta a considerazioni di natura personale, proprio mentre stava per cominciare un interrogatorio, perciò non contava quanto la intenerisse quella ragazza, in fondo poteva pur sempre essere un’assassina e lei, era lì per fare il suo dovere, non per compatirla. Molto più che di una persona che avesse pietà di lei si augurò che avesse un legale che sapesse difenderla bene. Entrò dunque nella stanza, fissando fin da subito con sguardo deciso la giovane. - Lei è la detective Rizzoli! - la introdusse Korsak e Jane salutò con un cenno di capo. - Allora, Sophie: posso chiederle innanzitutto di copiare a mano questo piccolo testo sul foglio? - iniziò la detective, ponendole dinnanzi una penna, un foglio bianco ed uno stampato. La ragazza obbedì senza indugio. - Lei lavora alle acciaierie Fayenord, giusto? - chiese in seguito. - Si… - - Di che tipo di lavoro si occupa? Quali sono le sue mansioni? - - Sono una segretaria, ma gestisco anche un piccolo archivio contabile… - rispose la ragazza tenendosi sul vago. - Conosce Donald Smith? - chiese a quel punto Jane, e la ragazza impallidì: - S… Si…, è stato il tutore del mio master, ed ora è il mio ca… capo…. – biascicò la sospettata. Jane notò che la ragazza parlava del superiore come se fosse ancora vivo, come se non fosse a conoscenza della sua morte, ma qualcosa non la convinceva in quella storia. A cosa erano dovute quelle titubanze? Alla paura di essere stata scoperta o al fatto che davvero non sapesse della morte di Smith. Per fugare ogni dubbio allora, le mise dinnanzi due foto del morto ed aspettò di vedere la sua reazione. La ragazza diede un’occhiata veloce, e a Jane sembrò che stesse vedendo qualcosa di cui già era a conoscenza, poi però smentì: - Oh mio Dio! - disse, inorridita da ciò che le stavano proponendo. - Può dirci che tipo di rapporti intercorrevano tra lei e Donald Smith? - le chiese come di prassi la detective. - Oh, nessuno in particolare… Io ero la sua segretaria e lui il mio capo… - tergiversò la ragazza. - Forse non mi sono spiegata bene, le ripeto la domanda: che tipo di rapporti aveva con Donald Smith? - insisté autoritaria Jane. - Era il mio capo. Uno stimato professionista e io gli ero molto riconoscente perché subito dopo la laurea mi aveva introdotto nella società con un master, alla fine del quale ho potuto restare ed avviare la mia carriera… Mi ha insegnato tante cose e… - - Ascolti Sophie, non siamo interessati a questo. Ci sta dando tante informazioni inutili. Vorrei farle presente che è qui perché al momento è l’unica sospettata per l’omicidio di Smith. Di conseguenza, se posso permettermi di darle un consiglio, visto che è una situazione molto complicata, le suggerisco di collaborare… - la interruppe Jane, sperando di incuterle un po’ di timore che la spingesse a scoprirsi, ma l’altra si eclissò dietro un ostinato silenzio. - Va bene: noi sappiamo per certo che era presente quando è avvenuta la morte di Smith. Ce lo hanno confermato le telecamere di sicurezza: siete entrati insieme nell’archivio alle 03.45 circa, ma ne usciva da sola 05.15. La morte di Smith è stata stimata attorno a quell’ora. E se questo non le bastasse, abbiamo rinvenuto sul cadavere tracce del suo DNA…. - disse la detective, elencandole una ad una le prove contro di lei; prese poi il foglio scritto in precedenza dalla sospettata e lo confrontò col brandello di carta repertato da Maura, quindi continuò: - E adesso, ad un primo confronto, la sua grafia sembra identica a quella su questo pezzo di carta! Sa dov’era? O non ci vuole dire neppure questo? Non c’è problema, glielo dico io: era nella trachea della vittima! - - Si vuole decidere a dirci la verità, o preferisce continuare a giocare al gatto e al topo? E’ soltanto questione di tempo.. Tutto verrà a galla! E se non collabora verrà accusata di omicidio di primo grado! Le daranno l’ergastolo! - rincarò la dose Korsak. Tutta la pressione psicologica esercitata dai due poliziotti ebbe, come da loro sperato, un effetto devastante sulla ragazza i cui occhi si riempirono in fretta di lacrime. Scosse ripetutamente la testa prendendo consapevolezza che era finita in un mare di guai, ma respirò profondamente, poi con un filo di voce si rivolse a Jane: - Posso parlare da sola con lei? - intuendo la delicatezza della situazione i detective si fecero un cenno di intesa e Korsak si accomodò fuori, dall’altra parte del vetro. - Dunque? - le chiesa risoluta la detective. - Ecco, vede…. Io e il signor Smith eravamo… eravamo amanti. Abbiamo tenuto il nostro amore segreto per anni, però io non ce la facevo più ad andare avanti così… Mi aveva promesso che avrebbe lasciato la moglie per me, perché mi amava, ma non lo faceva mai. Trovava sempre scuse, giustificazioni o problemi che gli impedivano di compiere quel passo. Io non volevo essere l’amante di Donald, la donna di seconda scelta; volevo essere la sua prima scelta. E non mi accontentavo più di una semplice notte d’amore o di un week-end rubato alla sua famiglia. Ma lui non capiva, o non voleva che io fossi tutto ciò. Quindi dopo l’ultima ridicola scusa che mi rifilò, per prendere ancora tempo ed evitare di parlare con Caroline, mi infuriai… - - E così gli ha teso una trappola e lo ha ucciso! - saltò alla conclusione Jane. - No! Ma che dice! Io avevo scritto una lettera alla moglie per metterla al corrente della verità… - disse indicando il brandello imbustato, quindi continuò: - Volevo spedirgliela, ma decisi di aspettare perché Donald mi convinse a fare pace. Amavo follemente quell’uomo, ero capace di credere a qualsiasi bugia mi raccontasse… Se mi avesse detto che era stato su Marte a giocare a golf, per quanto assurdo potesse essere, giuro che ci avrei creduto… Quella sera voleva farsi perdonare portandomi a cena, ed io accettai. Fu una serata tranquilla, piacevole, una di quelle che mi confermò perché avessi scelto di amare un uomo complicato, con migliaia di scuse sempre pronte, ma comunque un uomo brillante, gentile, ed anche molto galante quando voleva. Lui mi diede un anello e mi disse che si impegnava davvero a parlare con la moglie per lasciarla. Dopodiché avrebbe divorziato e nel giro di un paio d’anni avremmo anche potuto sposarci… Dopo cena decidemmo di passare il resto del tempo in intimità e siccome non vi era altro posto dove appartarci, se non gli uffici da noi ben conosciuti della Fayenord, ci dirigemmo lì, certi che saremmo stati al riparo da occhi indiscreti… - - Un po’ ingenuo da parte vostra, visto che esistono le videocamere del sistema di sorveglianza! - commentò la detective. - Per una persona che vuole uscire allo scoperto una ripresa non è certamente un danno; per Donald che progettava sempre minuziosamente tutto, facendo in modo che la sua vita parallela non venisse scoperta, per lui si che era un problema, ma era troppo ubriaco per rendersi conto di essere ripreso, in quel momento… - replicò con acume la ragazza. Colpita soprattutto dall’ultima affermazione, Jane iniziò a prendere in considerazione che l’assassina non poteva essere lei, in quanto Sophie, non aveva nulla da nascondere perché sapeva benissimo di essere ripresa. Era pur vero che ciò che era accaduto in quella stanza non era supportato da registrazione alcuna, e che alcune prove al momento, non trovavano riscontro nella sua versione dei fatti, ma contava che la ragazza, pur di non beccarsi un ergastolo avrebbe collaborato dicendo tutta la verità; la esortò dunque a continuare. - Erano le 03.45 quando arrivammo ed entrammo nella prima stanza che ci capitò a tiro. Lui mi mise a sedere sul tavolo e iniziammo i preliminari per fare l’amore… Mi baciava, mi accarezzava, mi spogliava… Ma ad un certo punto mi chiese una cosa strana, una cosa che lui considerava importante e che vedeva come il giusto coronamento per la serata che avevamo trascorso… Voleva fare una cosa un po’ spinta… Insomma… ehm.. voleva un rapporto sadomaso in cui lui fosse il passivo, il sottomesso. Diceva che era una fantasia erotica che lo ossessionava da anni… Si fece legare mani e piedi alla sedia e voleva che io alternassi il sesso a delle percosse. Un po’ riluttante presi il cavo di un computer dismesso e iniziai a frustarlo con quello, mentre lui si sbottonava la camicia e mi pregava di fargli più male. Lo picchiai, lo graffiai, ma non si appagava mai. Quella situazione iniziava a non piacermi… io volevo farci l’amore, non uno squallido gioco erotico che non sapevo neppure a cosa serviva, e mi piacque ancora meno quando mi chiese di strappare quella lettera e di fargliela ingoiare. Io obbedii… Obbedii a tutto. E ancora adesso mi chiedo chi dei due fosse realmente il sottomesso… - la ragazza scoppiò in un pianto a dirotto; Jane poté soltanto passarle qualche fazzoletto. Attese che si calmasse, quindi le chiese: - Poi cosa è successo? - - Non so se per colpa del pezzo di carta cacciato in gola o se perché fosse ubriaco fradicio, ma ad un certo punto ha cominciato a sentirsi male: vomitava, respirava affannosamente e aveva aritmia cardiaca. Mi spaventai, quindi gli dissi che era il caso di smetterla con quello stupido gioco, ma lui insisteva. Io però lo slegai e mi offrii di riaccompagnarlo a casa, o in un hotel, visto che aveva detto alla famiglia di essere fuori per lavoro. Lui però iniziò a molestarmi e più lo respingevo, più lui si adirava, tanto da lanciarmi un fermacarte che mancandomi, si andò a schiantare contro il vetro della finestra frantumandolo. Quando mi intrappolò in un angolo tra la scaffalatura e la finestra, mi sembrò un incubo. Voleva aggredirmi, stuprarmi, così in un tentativo estremo di liberarmi di lui, lo spintonai per allontanarlo, ma i suoi riflessi erano troppo poco lucidi, e perdendo l’equilibrio cadde dalla bassissima ringhiera della finestra aperta…. - concluse la ragazza, nascondendo il volto tra le mani in preda alla vergogna per ciò che stava raccontando, ma anche dalla disperazione per non aveva fatto nulla per salvarlo. - E’ stato un incidente! Sono scappata perché ero spaventata ed ho taciuto perché non volevo che la mia famiglia, che ha sempre fatto tanti sacrifici per me, si vergognasse di ciò che ero diventata da quando frequentavo quell’uomo: una profittatrice, una rovina famiglie, una cretina che ha creduto alle parole di un bugiardo, una larva che non ha avuto amore, ne rispetto per se stessa che gli ha permesso di fare così tanto male… Se mi trovo qui oggi, a fare i conti con la mia vergogna, con il mio sentirmi un essere immondo, è soltanto per causa sua. Avrei dato la vita per lui, ma non immaginavo che una persona che diceva di amarmi si prendesse da me una cosa molto più importante della vita: la mia dignità. Come farò a guardare negli occhi la mia famiglia quando uscirò da qui? - Jane ascoltò sconvolta quella terribile storia: quanto fragile ed allo stesso tempo mostruosa poteva essere la psiche umana. Un uomo tranquillo, un onesto padre di famiglia, uno stimato lavoratore che all’occorrenza si trasformava in un vizioso pervertito che giocava con i sentimenti e con le vite altrui. Cosa mancava a quell’uomo? Aveva una moglie e dei figli che stravedevano per lui, un lavoro appagante, una carriera in ascesa, aveva avuto perfino la fortuna di essere amato sinceramente e devotamente una seconda volta… Allora che senso aveva tutto ciò? Se finora Smith era stato considerato la vittima, Jane si dovette ricredere: la vera vittima era lì davanti a lei, era Sophie; le vere vittime erano la moglie Caroline e i suoi figli, che aspettavano ignari il marito ed il padre che tornasse dai suoi viaggi di lavoro. E chinò affranta il capo, quel giorno la giustizia aveva vinto, ma l’umanità con tutti i suoi più grandi valori, avevano subito una grande sconfitta. Desiderosa di uscire quanto prima da lì, si alzò dalla sedia; solo allora rientrò Korsak per prelevare Sophie che piangeva a dirotto. Jane le poggiò una mano sulla spalla: - Nella vita si sbaglia Sophie. L’importante però è che dai nostri sbagli impariamo la lezione. Gli sbagli ci educano, ci forgiano, ci rendono persone migliori. Quando uscirai da qui non aver paura di guardare la tua famiglia negli occhi perché ci vuole tanto coraggio per fare ciò che hai fatto tu oggi… - le disse confortandola. La detective, provata dall’interrogatorio, si diresse immediatamente verso l’ufficio di Maura nella speranza che non fosse più arrabbiata con lei. Aveva bisogno di vedere i suoi occhi, di parlarle; aveva bisogno attraverso la persona di Maura di credere di nuovo nei buoni sentimenti, ai valori come l’amicizia, l’amore. Poteva proporle di bere qualcosa insieme, o una serata vecchi tempi con un film ed un soffice plaid. Avrebbe potuto proporle tante cose, ma le luci spente e la veneziana abbassata sulla piccola vetrata del suo ufficio, la distolsero da tutti quei propositi: Maura era già andata via. La televisione trasmetteva la partita di baseball dei Red Sox, la squadra del cuore di Jane, tuttavia la donna, dopo una giornata così pesante, non era dell’umore adatto per tifare. Sul tavolino dinnanzi a lei vi era una birra gelata, una ciotola piena di patatine e la sua pizza preferita, ma non toccò cibo; aveva lo stomaco chiuso. Angela che stava rassettando la cucina, di tanto in tanto gettava un’occhiata preoccupata verso la figlia che, seduta sul divano, aveva un’aria apatica e indifferente. Il suo cuore di madre non riusciva a tollerare che la figlia fosse in quello stato, avrebbe voluto fare qualcosa per lei, se solo avesse saputo cosa le stesse passando esattamente per la testa; ma qualsiasi cosa le stesse passando, sicuramente c’entrava Maura, perché solo quando litigava con lei era in grado di deprimersi così tanto. Sperando di non essere mandata al diavolo, dato il carattere irascibile della figlia, soprattutto con lei, decise di portarle una coppa di gelato, confidando che avrebbe gradito almeno quello. - Allora, mi dici cosa c’è? - le chiese con dolcezza appena le fu vicino. - Mà, togliti dalla tv, adesso batte Ortiz… - le disse apatica Jane, spostandosi leggermente per scansare la donna piantatasi davanti alla tv. - Perché devi essere sempre così antipatica nei miei riguardi? - sbottò la madre, ma non ebbe risposta. - Jane Clementine Rizzoli! Sto parlando con te! - le si rivolse con piglio autoritario la madre. Per tutta risposta Jane sbuffò e spense la tv. - Jane! Sei sicura di star bene? Non hai mai rinunciato a vedere una partita dei Red Sox in vita tua! - disse la madre accomodandosi sul divano, ancora più allarmata dal comportamento anomalo della figlia. Jane assaggio' un cucchiaio di gelato ma restò in silenzio. Fu nuovamente Angela a parlare, centrando, per altro, il cuore del problema: - Come mai non stai più andando da Maura la sera? - - Non mi piace essere invadente... Magari vuole i suoi spazi, avrà pur diritto di farsi la sua vita, no? Mica posso restare appesa alle sue sottane soltanto perché mi sento sola senza di lei!?! - le rispose la figlia, stando ben attenta a non far menzione del litigio aveva avuto con l’amica. - No, certo, comprendo il tuo discorso. Però mi pare di capire che a te non faccia particolarmente piacere questa nuova frequentazione di Maura, o sbaglio? - - Mà, non ne voglio parlare, e oltretutto non sono affari nostri! - replicò, ricordandosi che aveva promesso all’amica che non si sarebbe più impicciata degli affari suoi. - Maura è parte della nostra famiglia. Quando un membro della nostra famiglia ha un problema non solo se ne parla, ma si cerca anche di aiutarlo! - la rimproverò la donna. - Se sai già cosa penso perché me lo chiedi ancora? Per farmi arrabbiare? - rispose sgarbatamente la detective, ma guardando la madre negli occhi e leggendovi in essi tanta apprensione si ravvide: - Scusami… E’ che per la prima volta non capisco più cosa le stia passando per la testa… Non capisco più cosa vuole, non capisco neppure fino a dove ha intenzione di spingersi con Brooks… E si, non lo sopporto perché è soltanto un arrogante prepotente opportunista. Tutti dicono che col tempo può essere cambiato, ma sono solo io l’unica a vederlo come lo stronzo che è sempre stato? Magari parlo per antipatia personale, ma a pelle, c'è qualcosa che non mi convince… - - Solitamente il tuo intuito non sbaglia mai, Jane. Però magari stavolta sei un po’ troppo coinvolta e non sei proprio lucida ed obbiettiva... - - Lucida ed obbiettiva dici? Ti sbagli, lo sono eccome! - - E… - - Oh, andiamo mamma, sono un mostro! Qualunque persona gioirebbe del benessere della sua migliore amica, ma io no! Io no! - - Jane, probabilmente la tua infelicità scaturisce dalla mancata accettazione dei tuoi sentimenti per Maura. Ti sei mai soffermata a riflettere sulla reale natura del vostro rapporto? - - Oh certo! Siamo due persone che condividono molto in ogni giornata: siamo colleghe di lavoro, migliori amiche e abbiamo entrambe la stessa caotica famiglia! - disse Jane tentando di evitare di incappare in certi discorsi troppo intimi e personali con la madre. - Condivisione, eh? Non sapevo che adesso si chiamasse cosi'! - ironizzò infatti Angela. - Ad ogni modo non so che cos'è, ma c'è qualcosa che non mi quadra in questa faccenda . Ho delle strane e sgradevoli sensazioni a riguardo... - Il discorso fu pero' interrotto da un segnale sonoro proveniente dal cellulare di Angela che indicò lo scoccare della mezzanotte. - Io vado a dormire tesoro, domani devo alzarmi presto... - disse posando un bacio tra i capelli della figlia. - Notte, mà! - salutò e si coricò sprofondando sul divano, lasciando che la sua morbidezza e il suo calore portassero via la stanchezza, ma un pensiero la tormentava: era tutto diverso, molto più bello quando lo condivideva con Maura. Quando insieme, sotto al plaid chiacchieravano fino a notte fonda. Quando per stare bene, dopo una giornata di lavoro frenetico le bastava guardarla negli occhi. Quando l’angoscia per un caso si impossessava di lei e l’amica era lì, pronta ad aiutarla. Quando la sua storia con Casey naufragava e Maura era la spalla su cui piangere. - Quanto mi manchi... Darei la mia stessa vita per tornare a quel rapporto… - disse mentre le parole della madre rimbombavano continuamente nella sua testa: - Reale natura dei miei sentimenti? Questo significa che il feeling particolare che sento con Maura trapela anche all'esterno? - a causa di questi pensieri passò la notte insonne. La macchina si fermò proprio dinnanzi alla scalinata di ingresso dell'abitazione della dottoressa Isles. L'uomo scese e molto cavallerescamente aprì la portiera della sua donzella. - Grazie per stasera, è stato tutto bellissimo, spero che arrivi presto domani per poterti rivedere... - sussurrò Jonathan all'orecchio di Maura. - Grazie John, è stato bello anche per me... - rispose Maura dopo appena una fugace occhiata verso l'uomo, quindi con lo sguardo basso si avviò verso casa, scoraggiando ulteriori approcci da parte del corteggiatore. Aprendo la porta di casa salutò Jonathan con una mano. - Buonanotte - le disse l'altro , quindi mise in moto e ripartì. Maura accese la luce e si avvicinò alla finestra, scostò leggermente la tenda e guardò in direzione di casa di Jane, poco distante dalla sua; le luci erano spente, chissà la sua amica cosa stava facendo. Aveva una voglia matta di andare a bussare per chiacchierare con lei, ma desisté sia per l'ora tarda, sia perché sapeva che Jane ultimamente era diventata più suscettibile e che non le aveva piacere affrontare certi discorsi. Salì quindi in camera e si stese sul suo letto, che improvvisamente le sembrò enorme e freddo senza la sua amica, quindi di istinto prese il cuscino vuoto accanto a se, e lo abbracciò. Non aveva mai abbracciato Jane durante la notte ma solo ora si rese conto di quanto fosse sempre stata sconsiderata a non farlo. - Mi manchi Jane... Anche se ci vedremo domani a lavoro mi manchi... Mi manca non passare più la gran parte del mio tempo libero con te... C'è una parte di me che queste cose vorrebbe dirtele... E una parte di me che vorrebbe dirti anche molto altro... - chiuse gli occhi leggermente umidi di pianto e la stanchezza prese il sopravvento.
  
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