Un venticello freddo scompigliò i capelli di Paul, facendogli salire le lacrime agli angoli degli occhi, che continuava a strizzare. Procedeva a passo lento e cadenzato tra gli alti alberi della piccola foresta vicino casa, tenendo le mani strette nelle tasche del pesante mantello, che gli arrivava quasi alle ginocchia. Appena il vento si calmò, chiuse gli occhi, godendosi il silenzio di quel posto. Ascoltò il leggero fruscio degli arbusti e il quasi impercettibile ticchettio delle goccioline di rugiada che cadevano al suolo di tanto in tanto. Le sue labbra si allargarono, inspirando a pieni polmoni l'aria fresca e frizzante di quella mattina. Continuò a camminare senza fretta, cercando di non scivolare sul suolo ghiacciato, guardando in su, verso i rami più alti degli alberi, tra cui filtravano deboli raggi di sole. Dopo tutti quegli anni, Paul ancora si sorprendeva della bellezza e della semplicità della natura. Non aveva etichette e responsabilità da mantenere, non aveva pregiudizi sui suoi simili, e non aveva idea di quanta sofferenza la circondasse.
Scavalcò un ramo caduto e si ritrovò su uno spiazzo vuoto. La poca vegetazione rimasta era congelata dalla rigida temperatura. Paul sospirò, e chiudendo di nuovo gli occhi, ripensò a quando da piccolo sua madre, Mary, lo portava lì. Nei pomeriggi primaverili quello spiazzo era completamente coperto di papaveri di un rosso sfavillante, che venivano scossi qua e là dal vento. Lui e sua madre si sedevano al centro del piccolo campo fiorito, su una tovaglia ricamata, dove giocavano, si rincorrevano o si godevano semplicemente il tempo mite. Paul, esausto per aver corso e giocato tutto il tempo, finiva sempre con l'addormentarsi tra le braccia di Mary, così che il tempo sembrava arrestarsi in quel momento, nel prato ricoperto di papaveri insieme alla mamma. Paul sorrise tristemente a quel ricordo, deglutendo a fatica. Si mise a sedere sul tronco che aveva scavalcato, osservando il piccolo spiazzo vuoto e congelato, ricoprendolo con la fantasia di papaveri. Poi però il rosso intenso dei fiori che stava osservando nella propria mente, divenne sovrastò il verde del prato e l'azzurro del cielo, diventanto una macchia di una tonalità molto più scura e intensa che si allargava sempre di più, fino a quando non riuscì a vedere altro. Paul trattenne il fiato e spalancò gli occhi, portandosi una mano al petto, spaventato. Si alzò di scatto, nervoso, e il più velocemente possibile si lasciò alle spalle quel luogo. Proseguì nella sua promenade, accostandosi ad un piccolo ruscello. Dei cinguettii catturarono la sua attenzione e vide, su un ramo non tanto distante, dei passerotti che si stringevano fra loro, nel tentativo di scaldarsi. Un altro soffio del venticello gelido raggiunse Paul, che rabbrividì. Chiuse gli occhi di nuovo, respirando profondamente, cercando di togliersi di dosso l'ansia che l'opprimeva. Si godette quegli istanti di pace in silenzio. Era così bello evitare il contatto della gente-
Una mano, dal nulla, calò sulla sua spalla.
Paul
emise un urlo strozzato per la sorpresa, e, sussultando per la
sorpresa, perse l'equilibrio. La mano di prima afferrò
saldamente la
sua prima che si schiantasse el piccolo ruscello, e quando il suo
corpo e la sua vista si stabilizzarono a mezz'aria, incontrò
di
fronte a sè due occhi di un colore caldo, che stavano
fissndo i suoi
intensamente, preoccupati e sorpresi.
Sembrò
un istante infinito. Le sue orecchie sembrarono aver perso l'udito e
la vista riuscì a mettere a fuoco solo quel paio di occhi.
Nessuno
si mosse.
Poi
il braccio di Paul fu strattonato e il suo corpo tornò ad
avere il
pieno appoggio, sulla pianta dei suoi piedi. Il giovane
sbattè le
palpebre confuso, poi tutti i suoi sensi tornarono alla
normalità e
si ritrovò di fonte al nuovo poeta, John Lennon. Il suo
sguardo
passo in un secondo dal sorpreso all'irritato.
"Voi!"
esclamò.
"Scusatemi
veramente,
non volevo spaventarla, non pensavo..." iniziò a dire
quest'ultimo. Ma Paul lo zittì, alzando una mano.
"Sentite,
lasciate stare le scuse. Se mi riprendete così alla
sprovvista,
facendomi quasi uccidere, giuro che non sarò così
clemente"
disse con un tono deciso.
John
non riuscì a mascherare il sorrisetto che si impose sulle
sue
labbra.
"Non
succederà più signore" rispose, accennando un
inchino.
Paul
riuscì a trattenersi dal non sferragli un pugno in faccia,
inspirando profondamente.
"Non
vi sto molto simpatico, non è vero?" disse il poeta,
ridacchiando.
"Mi
domando da cosa l'abbiate capito" rispose ironicamente l'altro.
John
lo fissò negli occhi, e il suo ghigno divertito si
allargò ancora
di più.
"Mi
sono presentato male ai vostri occhi, non sono così di
solito"
disse il poeta.
Ma
davvero? si
disse Paul, alzando un sopracciglio.
"Per
cui vorrei che tornaste dentro, per leggere qualcosa insieme. Sarebbe
di vostro gradimento?"
Paul
ci pensò un momento. Quel giovanelo irritava altamente e
avrebbe
voluto trascorrere il meno tempo possibile in sua compagnia, ma era
anche vero che era venuto a palazzo per lui, e non voleva di certo
deludere suo padre. Così annuì.
Il
poeta allora sorrise, ma non era uno di quei sorrisetti che gli aveva
rivolto fino a quel momento. Era un sorriso sincero, che Paul non
potè non ricambiare col non incurvare di poco le proprie
labbra.
***
"Perché
prima non vi siete consultato con me?! Lo avete fatto quasi rapire,
siete un incosciente!" stava tuonando Brian Epstein al povero
Shakespeare, alquanto sorpreso dalla reazione dell'oste.
"Sentite,
mi dispiace, non potevo immaginare che sarebbero arrivati il giorno
dopo a prenderlo, senza preavviso!" cercò di difendersi.
"Vi
dispiace? Mi avete portato via l'unico aiuto che potevo avere,
l'unica persona che trattavo come un figlio!"urlò l'altro,
tirando un mestolo che mancò di poco la testa del
drammaturgo.
"Calmatevi!"
esclamò preoccupato Shakespeare.
Poi, proprio in quel momento, entrò
un paggio ben vestito, che si avvicinò rapidamente al
bancone.
"Il
signor Brian Epstein?" chiese l'uomo, rivolto all'oste con
faccia paonazza.
"S-Sì"
rispose confuso quest'ultimo.
"Ho
una lettera per voi". Il paggio allungò la mano, porgendo
una
pergamena ben chiusa da un sigillo rosso. Appena l'oste
l'afferrò,
il paggio si voltò e, senza salutare, uscì dalla
locanda.
William
Shakespeare si avvicinò incuriosito, guardando Brian che
armeggiava
con la posta appena ricevuta.
Appena
l'aprì, l'inconfondibile scrittura sbilenca di John lo fece
rilassare visibilmente.
"Caro
Brian,
Sono
arrivato ieri sera alla corte di Southampton e per ora va tutto bene.
Non ho molto tempo per scrivere, ma posso assicurarvi che nel fine
settimana verrò a trovarvi all'osteria. Perdonatemi ancora
per la
fuga inaspettata, sapete che non era mia intenzione. Spero troverete
un sostituto migliore di me, il che non sarà difficile.
A
presto,
John"
Brian
osservò il disegnetto buffo che John aveva disegnato vicino
al suo nome, sospirando.
"E'
del ragazzo?" chiese poi il drammaturgo.
"Sì,
nel fine settimana verrà qua" annunciò l'oste,
sospirando di
nuovo.
Shakespeare,
fece per dire qualcosa con un sorrisetto, forse un "visto?
Sta bene!"
Ma
Brian lo anticipò.
"Forse
non è stata una brutta idea la vostra, signor Shakespeare,
perdonate
il mio comportamento"
Shakespeare
annuì "si merita di più di un'osteria. Dovete
solo trovare un
altro aiutante".
Mentre
Brian rifletteva sul suo consiglio, la porta si aprì ed
entrò un
giovane che aveva già visto molte volte. Forse era un amico
di John,
pensò.
"Ragazzo,
vieni qua!" disse rivolto al giovane. Quest'ultimo si
avvicinò,
incuriosito.
"Hai
bisogno di un lavoro?"
"Be',
faccio l'artista per strada, ma non guadagno quasi nulla" disse
il giovane, un po' giù di corda. Gli occhi di Brian
brillarono di
speranza.
"Allora
ho il lavoro che fa per te" disse, mettendogli in una mano un
grembiule. Il ragazzo sorpreso riuscì solo a dire grazie.
"Forza,
e adesso a lavoro!" esclamò Brian al ragazzo, ancora
più
stupito.
"S-Subito?"
chiese confuso quest'ultimo.
"Voi
riscuotere o no?" domandò Brian, quasi minaccioso.
"Certo"
rispose il ragazzo, sbattendo gli occhi.
"Come
vi chiamate?" chiese l'oste, quando il ragazzo passò dietro
il
bancone, allacciandosi il grembiule.
"Stuart,
signore. Stuart Sutcliffe".
L'oste
annuì e rivolse lo sguardo verso il drammaturgo, che gli
stava
rivolgendo un sorriso.
"Bel
lavoro!" disse,"e poi non vi piacevano le decisioni
improvvise" aggiunse poi, ironicamente.
***
Salve!
Rieccomi, come promesso,
con il capitolo 5.
Questo incontro tra John e Paul si è concluso forse in modo
più piacevole, vedremo nel prossimo capitolo.
Paul è inquieto su qualcosa. Che c'entri con l'incubo
ricorrente?
Brian ha trovato in un batter d'occhio un nuovo aiutante, Stu!
Chissà come sarà sorpreso John quando
andrà a trovarlo.
Non è un capitolo molto lungo, lo ammetto, ma spero vi sia
piaciuto comunque. Spero di aggiornare prima del 27, perché
poi partirò per Londra.
Grazie per le bellissime recensioni, e grazie a chi ha messo tra i
preferiti o tra i seguiti questa storia,.
Alla prossima,
-letitbeatles