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Autore: futacookies    14/08/2015    5 recensioni
Prima classificata al contest: "Scorci di vite sospese", indetto da Mary Black sul forum di Efp
{One Shot (9.721 parole) • Albus/Rose/Scorpius/Lily • No happy ending}
Seppur si aspettasse di vederlo voltarsi verso la cugina, Scorpius aveva incatenato quegli occhi tempestosi ai suoi – l’avrebbe davvero maledetto, in quel momento, perché restava, a discapito di tutto, la sua strada per l’inferno, quell’ammasso di errori e sentimenti sbagliati e contorti e quasi inopportuni che l’avevano consumata e che l’avrebbero consumata anche in seguito, ora che sapeva, ora che l’aveva condannata a rimpiangere per il resto dei suoi giorni tutto quello che sarebbero potuti essere, se solo non fossero stati così giovani, immaturi, incoscienti delle conseguenze delle loro azioni.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Severus Potter, Lily Luna Potter, Rose Weasley, Scorpius Malfoy | Coppie: Albus Severus Potter/Rose Weasley, Lily/Scorpius, Rose/Scorpius
Note: Lime | Avvertimenti: Incest, Triangolo | Contesto: Nuova generazione
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Partecipa al contest: "Scorci di vite sospese", indetto da Mary Black sul forum di Efp.

NdA: uhm, questa volta non ci sarà tanto da dire. C’è da specificare che la storia parte dal settimo anno di Rose e Scorpius, e che quest’ultimo è insanamente innamorato di Lily Luna, che non lo ricambia (e credo si diverta abbastanza a rifiutarlo), mentre Rose è sempre stata innamorata di lui, che – pur sapendolo – non l’ha mai considerata (anche se ci saranno alcuni riferimenti a tutto ciò nel corso della storia). Ora che ci penso, ho inserito anche la Albus/Rose (perché sono la mia OTP e non potevo lasciarli a secco)!
Per quel che riguarda le Case in cui sono stati smistati, ero indecisa su dove mettere Rose e Lily, poiché il loro comportamento non è esattamente quello che ci si aspetta dai Grifondoro; alla fine, comunque, Rose è finita a Corvonero e Lily è rimasta a Grifondoro.
Ovviamente, la situazione è molto più complessa di così, quindi ci vediamo alla fine della storia!
Buona lettura, Fede ♥

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La strada per l’inferno


 
«Rose?», sua cugina Lucy le sventolò una mano davanti al volto, richiamandola alla realtà – non che prima non fosse completamente immersa nella crudele verità.
Scorpius Malfoy ci stava provando con Lily – di nuovo –, senza ottenere i risultati sperati – di nuovo.
«Sì, Lucy. Cosa c’è?», le domandò, tentando di dare le spalle al quadretto non troppo idillico che si svolgeva alle sue spalle – non doveva pensarci.
«Nulla», le borbottò in risposta, «eri solo distratta.», commentò con un sorriso sardonico.
Rose annuì, strinse i pugni e si allontanò in fretta e furia dalla Sala Grande, sotto lo sguardo mortificato e afflitto di Albus – e i velenosi commenti dei suoi compagni di scuola.
Tutti ne erano al corrente. Non c’era nessuno, nell’intero perimetro di Hogwarts, che non sapesse che era innamorata di Scorpius almeno quanto lui lo era di Lily – ossia, perdutamente e senza speranza alcuna.
Inizialmente non si era resa conto delle risatine alle sue spalle, di come tutti la guardassero – come se avesse un terzo occhio, o due teste, o un solo braccio –, di come quasi dovessero trattenersi dal sogghignare ogni volta che qualche professore le chiedeva di svolgere un compito con lui. Alla fine, dopo l’ennesima lezione di Pozioni al termine della quale non era riuscita a spiegarsi il motivo di tanta ilarità, Albus – che non l’avrebbe mai presa in giro, perché era il suo migliore amico e uno dei pochi che non ci trovava davvero nulla di divertente, nella sua situazione – l’aveva presa da parte e le aveva spiegato – con quel tatto e quella gentilezza particolari riservati unicamente a lei – che si era diffusa la voce che avesse una cotta per Malfoy.
Ovviamente, ad Albus non piaceva Scorpius – non solo perché mirava ostinatamente ad arrivare sotto la gonna della sorella ed era la causa di tutti i suoi mali, ma anche perché rappresentava, in generale, tutti quei ragazzi viziati, abituati ad ottenere ciò che volevano senza sforzarsi che non corrispondevano al senso di giustizia ed equità che Harry Potter aveva cercato di trasmettere  ai figli –, ma, per amor suo, cercava di sopportarlo – nonostante avesse provato più volte a dissuaderla, ricordandole che Hogwarts era piena di ragazzi che avrebbero giocato carte false per stare con lei. Rideva sempre, mentre immaginava Scorpius tentare di tutto per conquistarla.
Scorpius non avrebbe avuto bisogno di nulla, per farla sua – non andava molto fiera della sua debolezza, ma non riusciva a fare altrimenti. Era irrimediabilmente innamorata di lui, del modo in cui sorrideva, di come si spostasse i capelli dalla fronte, dei suoi occhi cinerei. Lui era, insieme ad Albus, uno dei pochi che non aveva mai beffeggiato la sua condizione di innamorata cronica: aveva una sorta di tacito rispetto, per lei – forse perché, dopo due anni persi rincorrendo Lily, aveva capito quanto fosse terribile desiderare qualcuno con ogni cellula del proprio corpo, con ogni pensiero della propria mente, senza riuscire ad avere successo.
«Rose!», sentì, e si voltò giusto in tempo per vedere Albus correre verso di lei.
Gli rivolse un sorriso stanco e lasciò che le si sedesse accanto – non avrebbe mai potuto allontanare quella che era la sua ancora nei giorni di burrasca, per quanto potesse sentirsi ferita, umiliata, amareggiata.
«Non so fino a che punto ti possa consolare, ma Malfoy ha ricevuto un altro – clamoroso – due di picche.»
Non la rincuorava minimamente – anzi, spesso si ritrovava a sperare che Lily accettasse una buona volta, cosicché, dopo essersi tolto lo sfizio, potesse guardare altrove. Magari nella sua direzione –, però annuì appena, appoggiando la testa sulla sua spalla. Se Scorpius fosse stato anche solo un po’ come suo cugino – buono come il pane, sempre gentile verso tutti, con quell’ingenuità fanciullesca di cui non si era ancora del tutto liberato e quel modo di guardarla, come se fosse davvero importante per lui –, le cose sarebbero state molto diverse.
«Rose, Scorpius non è un bravo ragazzo. Vale la pena buttarsi così giù per lui?»
C’erano volte in cui era così colpita dall’abilità di Albus di cogliere i suoi pensieri che si convinceva stesse usando la Legilimanzia. Poi ci rifletteva e concludeva che lui era davvero troppo corretto – da valente Grifondoro – per violare la sua mente con tanta indiscrezione.
E sì, sapeva benissimo che Scorpius non era un bravo ragazzo – non con la cupa soddisfazione provata nel disseminare cuori infranti, non con il sorriso di scherno cucito su quelle labbra che la tenevano sveglia la notte, non con il cenno di malizia che brillava nei suoi occhi – eppure davvero non ci riusciva, a non farselo piacere. E poi manteneva un certo comportamento con gli altri, non con lei – con lei non era nulla. Non le aveva mai rivolto la parola, se non durante lo svolgimento dei compiti, e sempre e soltanto per riuscire a completare il lavoro assegnato. Non le aveva mai chiesto: “Come stai?”, “Come va?”, e a volte si domandava perché mai avrebbe dovuto farlo. Più spesso, si domandava perché non farlo.
Il suo istinto di Corvonero – quello che le suggeriva sempre la scelta migliore da compiere – l’aveva ripetutamente indirizzata verso l’idea del lasciar perdere, del dar finalmente retta a suo cugino e trovarsi qualcuno da poter amare e che potesse amarla a sua volta, ma Scorpius era qualcosa che andava oltre i suoi istinti e la sua intelligenza, qualcosa che era penetrato talmente a fondo nella sua anima da poterne difficilmente uscire.
Scorpius era qualcosa di estremamente doloroso – guardarlo tutti i giorni le faceva male, di un male terribile, e aveva il cuore che sanguinava copiosamente e le ginocchia deboli e una nausea fortissima, e muscoli e ossa incapaci di sorreggerla, e la gola che le bruciava spaventosamente e la vista che le si appannava di fronte a tutti i perché che l’assillavano. Scorpius era quasi una malattia – e lei non avrebbe trovato una cura.
Era qualcosa di irrazionale e incomprensibile: non c’era un valido motivo per cui fosse innamorata di lui – era successo e basta. Si era svegliata, una mattina, l’aveva guardato e l’aveva amato. Le ragioni erano arrivate in seguito, dopo aver passato giorni ad osservarlo minuziosamente, fin poi a farle scoprire tutti quei particolari che avevano mantenuto vivo il suo amore  per quasi sette anni. Ancora, non c’era valido motivo per cui non dovesse esserlo – non aveva mai fatto niente che l’avesse toccata personalmente e non si era mai reso sgradito ai suoi occhi.
Era, in conclusione, la sua strada per l’inferno – una strada sulla quale cadeva spesso, con un’aria  che le bruciava la pelle quando, distrattamente, la guardava e che le congelava le ossa quando, molto più spesso, la ignorava. Era una lunga discesa verso il basso, con un biglietto di sola andata – per un cammino che nemmeno voleva intraprendere. Eppure continuava a scendere – e tanto più era intenso il sentimento, la passione provata, tanto più le era ostile il luogo in cui si trovava.
«Dai, torniamo dentro. Devo ancora iniziare il tema per Erbologia, e l’ultima cosa che voglio è che il professor Paciock parli con mamma e papà di quanto sia dispiaciuto che non mi applichi “come si deve” nella sua materia…», Albus si era rimesso in piedi – strappandola a quelle tormentate riflessioni – e le aveva teso la mano. Ridacchiò, conoscendo l’avversione del cugino per tutto ciò che riguardava le piante e ritornarono insieme al castello, per raggiungere le rispettive Sale Comuni.
 
***
 
Quando era uscita dal suo dormitorio, quel pomeriggio, non aveva idea che si sarebbe imbattuta in Scorpius e Lily – come se quanto accaduto a pranzo non fosse bastato. Attraversò un attimo di indecisione – voleva scappare, andare quanto più lontano possibile da loro, fuggire da quell’avvilente verità, ma d’altro canto voleva assistere, voleva sapere precisamente perché: perché Scorpius non demordeva e perché Lily lo rifiutava.
Naturalmente, aveva già un paio di teorie: Scorpius continuava a corteggiarla perché per la prima volta non otteneva quanto desiderato – doveva essere terribilmente frustrante, per lui, trovarsi a combattere contro l’ostinata piccola Potter –, e Lily, probabilmente, lo respingeva per lo stesso motivo – avvezza a trovare tutto su un piatto d’argento, forse voleva qualcuno che non le rendesse la vita facile. Era questione di capricci e non si rendevano conto di quanto le stessero facendo male – oppure, entrambi ne erano perfettamente consapevoli e non se ne curavano.
Così, stando bene attenta a non generare il minimo rumore, si acquattò contro il muro del corridoio opposto a quello da cui era arrivata, dal quale non aveva un’ottima visuale, ma da cui almeno riusciva ad ascoltare distintamente le loro voci – per sua fortuna, quella non era una via di passaggio ed era altamente improbabile che qualcuno capitasse lì, in un vicolo cieco che portava ad una serie di sgabuzzini; inoltre godeva di scarsa illuminazione, quindi non correva il rischio di essere notata.
«Andiamo, Potter! Sappiamo entrambi che ti piaccio, quindi perché portare avanti questa sceneggiata?», le domandò Scorpius.
La cugina emise un verso sprezzante e sembrava quasi sul punto di non rispondere – conoscendola bene, in quel momento c’era uno scintillio nei suoi occhi, precisamente quello che aveva quando la situazione prendeva la piega che preferiva – quando sentì: «Non saprei, Malfoy. Sei carino, certo, ma mi diverte vederti strisciare…»
Rose strinse i pugni: se fosse stata al posto di Lily, non avrebbe agito in quel modo – chiunque avrebbe reputato lodevole la costanza di Scorpius. Anche se c’era da dire, a suo sfavore, che i ricorrenti rifiuti della ragazza che diceva di amare non l’avevano fatto desistere dall’intrattenersi con molte delle loro compagne – non si poteva definire un latin lover o simili, però spesso le giungevano all’orecchio i pettegolezzi più disparati. Allora si arrabbiava davvero, perché le altre avevano la possibilità di stare con lui, mentre a lei era perpetuamente negata.
«Potter…», sibilò il ragazzo con stizza.
Lo capiva perfettamente: in quanto ultimogenita era stata oltremodo viziata e abituata ad essere, in ogni caso, dalla parte della ragione – quasi tutti, in famiglia, avevano ampiamente criticato i suoi zii per l’educazione impartitale, diametralmente opposta a quella di James e Albus, ma i due si erano giustificati dicendo che era la più piccola, che sarebbe stata l’ultima figlia che avrebbero avuto, che erano i genitori ed erano liberi di trattarla come preferivano. Il risultato non era stato dei migliori: nonostante i fratelli le fossero oltremodo affezionati, perfino per loro trascorrere troppo tempo con lei risultava complicato. Tuttavia, l’essere abbastanza popolare a scuola – e l’avere buoni voti e un naturale talento per Quidditch e conquiste – aveva compensato quella che sarebbe potuta essere una mancanza di affetto da parte dei familiari.
«Cosa?», gli rispose. Dopodiché, il ragazzo tacque e Rose fu tentata dall’idea di sporgersi e sbirciare, almeno un pochino – per fortuna si trattenne, perché Lily sbuffò nuovamente e dai rumori arrivati avrebbe detto che si stesse guardando intorno, e l’ultima cosa necessaria in quel momento era farsi scoprire.
«Senti, Malfoy, adesso non sono proprio dell’umore, quindi fattene una ragione – non sono innamorata di te ed è improbabile che lo diventi – e cercati un’altra!», esclamò, salvo poi prendere un respiro e proseguire, melliflua: «Ritenta domani, potresti essere più fortunato e mi limiterò ad ignorarti. Oppure potrebbe andarti peggio e potremmo replicare una parte della deliziosa commedia messa in scena oggi in Sala Grande.»
Sentì i suoi passi avvicinarsi sempre più – era convinta che l’avrebbe scoperta. Come si sarebbe discolpata di fronte all’accusa di averli spiati? Già immaginava la voce che si spargeva tra i loro compagni e lei che si trasformava in una barzelletta vivente. Trattenne il respiro e scivolò il più silenziosamente possibile verso il fondo del corridoio, talmente buio che l’avrebbe certamente celata agli occhi di chiunque. Tuttavia, Lily marciò imperterrita verso le scale e non prestò la minima attenzione alla sua postazione, permettendole di tirare un breve sospiro di sollievo – finché non avvertì i passi di Scorpius e tornò nella sua apnea, pregando calorosamente Merlino, Priscilla, e gli altri Fondatori che non si accorgesse di lei.
L’ironia della situazione le aveva quasi fatto sfuggire una risata – aveva passato anni sperando che Scorpius la notasse e adesso avrebbe dato tutto purché non lo facesse.
Avvertiva nettamente il rimbombo della suola delle sue scarpe sul pavimento – non sembrava avere la stessa fretta della cugina. Ad ogni echeggiare di passi aveva la terribile sensazione che stesse soppesando se ci fosse qualcuno, e chi potesse essere. I secondi in cui si ritrovò a sorpassare il suo nascondiglio furono i più lunghi della sua vita – avrebbe potuto fermarsi in ogni attimo, tirar fuori la bacchetta, pronunciare un “Lumos!” e la sua copertura sarebbe saltata. Si ripromise che, se mai fosse uscita indenne da quell’atroce situazione, si sarebbe interessata in perpetuo ai fatti suoi.
Non vedendo più il ragazzo, si concesse una piccola tregua, convinta che ormai il pericolo fosse passato. Ma il sollievo svanì quando giunse all’agghiacciante conclusione che si era fermato. Chiuse gli occhi e lanciò una sonora imprecazione contro Merlino, nel momento in cui capì che stava tornando indietro.
Respirando affannosamente, attese che la raggiungesse – forse per quella teatralità che suo padre diceva essere un gran vizio dei Malfoy, occupò moltissimo tempo, nonostante il corridoio fosse di per sé abbastanza breve. Quasi non la sopportava, tutta l’ansia che provava, ed era convinta che fosse estremamente soddisfatto del clima che stava creando. Contò esattamente quindici passi, prima che si fermasse ad un centimetro da lei – anche se non poteva vederlo, quella vicinanza la stava uccidendo quasi quanto il guardarlo da lontano –, le concedesse un triplice battito di mani e soffiasse sul suo viso: «Piaciuto lo spettacolo, Weasley?»
 
***
 
Rimase completamente immobile, incapace di articolare alcunché, mentre Scorpius illuminava approssimativamente l’angolo in cui si trovavano – avrebbe preferito lasciare tutto avvolto nel buio, cosicché lui non si accorgesse del rossore delle sue guance, così da non guardare i lampi furiosi che mandavano i suoi occhi.
«Sto aspettando una risposta.», le disse, rude.
Sbatté un paio di volte le palpebre e riacquistò lucidità: che fosse o meno innamorata, restava pur sempre una Corvonero, quindi abbastanza sveglia e intelligente da tirarsi fuori da impicci come quello che stava vivendo.
Consapevole di non poter eludere la questione con un infallibile: “Non ho idea di cosa tu stia dicendo”, dovette rapidamente ingegnarsi per trovare una risposta credibile e, soprattutto, convincente – sperando che Scorpius decidesse di bersela e lasciarla andare, anche se le sembrava un’ipotesi lontana, considerato il pallore del suo volto. Era comprensibile che se la stesse prendendo tanto – non solo aveva indiscretamente spiato quello che nasceva come un momento “privato”, ma aveva assistito a quella che per lui doveva essere una cocente umiliazione.
Dunque, non potendo giustificarsi, né spiegare le sue motivazioni, optò per l’unica risposta possibile: «Perché ero qui sono affari miei, Malfoy
Abituata com’era a chiamarlo per nome nelle sue fantasticherie e, più in generale, in tutti i suoi pensieri, usare quel “Malfoy” le aveva quasi fatto provare un dolore fisico – le aveva ricordato che in realtà non erano altro che due estranei, per quanto intensamente potesse desiderare che le cose fossero diverse. Sarebbero rimasti soltanto due compagni di scuola che si conoscevano appena, che non condividevano nulla se non poche lezioni.
«Non è quello che ti ho chiesto.», le rispose gelido.
«Ma è dove saremmo andati a parare. Ringraziami: ho fatto risparmiare a entrambi un sacco di tempo e quasi un quarto di conversazione.», affermò, piccata – si stupì del tono con cui aveva parlato e si sentì quasi in colpa per averlo utilizzato nei suoi confronti.
Un quarto di conversazione imbarazzante, avrebbe desiderato dire. Si prospettava una discussione estremamente lunga e scomoda – nonostante tutto, però, avrebbe voluto prolungarla all’infinito.
«Se avessi voluto sapere perché eri qui – cosa peraltro ovvia – te l’avrei chiesto, Weasley.», commentò.
Voleva davvero che gli rispondesse? Che gli dicesse qualcosa come: “Molto carino”, oppure: “Sì, estremamente divertente”? Era difficile crederlo. Eppure insisteva, per oscuri motivi che appartenevano unicamente a lui.
La guardò e la incitò a prendere parola, lasciando chiaramente intendere che quel dialogo sarebbe terminato quando avrebbe ottenuto ciò a cui aspirava – avrebbe potuto andarsene in qualunque momento, e allora perché restava immobile, permettendogli di studiarla, permettendo ai suoi occhi bigi di perforarle l’anima? Era così debole, vittima di lui e di se stessa da non riuscire a scappare?
Si convinse che – pur priva dello sfacciato coraggio Grifondoro, o della sottile furbizia Serpeverde – poteva fingere disinteresse e distacco, continuando il gioco finché non gli sarebbe venuto a noia. Incrociò le braccia al petto e ricambiò il suo sguardo, credendo fermamente che non le importava nulla di quello che aveva combinato, del fatto che ormai avesse trascorso quasi una decina minuti a pochi centimetri da lui – le sarebbe bastato compiere un passo per trovarsi tra le sue braccia e non colmare quella distanza, sapere di non poterla mai colmare, le faceva provare dolore in ogni suo muscolo.
Proseguirono silenziosamente per alcuni minuti, finché non le rivolse uno sguardo talmente collerico che la costrinse a cedere – non si era aspettata l’esistenza di un lato profondamente irascibile, così pieno d’odio. Forse c’era sempre stato e non l’aveva mai considerato, oppure era qualcosa che lei stava portando a galla in quel momento. Non ne aveva idea, ma nessuna delle due opzioni la soddisfaceva o rassicurava.
«No.», disse laconica.
Non le sarebbe mai potuto piacere qualcosa che prevedesse la sua sofferenza – perché lo amava, più del dovuto, più di se stessa, al di sopra del bene e del male e di qualunque azione più o meno giustificabile. Perché vederlo innamorato di un’altra non le avrebbe procurato tutti quei piccoli tagli che la ferivano mortalmente, se almeno fosse stato felice.
Scorpius annuì e stava per parlare nuovamente, quando lo fermò – non avrebbe retto un altro secondo con lui, voleva solo tornare al riparo del suo baldacchino e soffrire per la lontananza, perché soffrire per la vicinanza era qualcosa di mostruoso, un verme che le stava lentamente divorando gli organi per arrivare al cuore. Perché non era preparata e non lo sarebbe mai stata.
 «Basta così.», dichiarò, cercando di apparire sicura di sé. Tentò di allontanarlo, ma si accorse di non averne quasi la forza. Si accasciò contro il muro e voltò lo sguardo pur di non sostenere il suo.
«Perché?», le chiese pensieroso e lei gli rispose stancamente: «Perché cosa
Registrò distrattamente che strinse i pugni con violenza, prima di parlare – e l’avrebbe quasi spaventata, se non l’avesse conosciuto disperatamente bene e avesse saputo che ci sarebbero volute ben più di un paio di domande senza risposta, per fargli perdere le staffe.
«Perché dovevi rendere tutto così complicato?»
Il suo tono era intriso di risentimento – come se ce l’avesse con lei. Poteva davvero arrabbiarsi soltanto perché era innamorata? C’era qualcosa di sbagliato, in quello che provava? I suoi sentimenti lo infastidivano? Sarebbe stata la spiegazione a molte delle sue domande, ma non era quello che voleva, affatto.
Inclinò appena la testa e stava per avanzare una richiesta di ulteriori spiegazioni, quando Scorpius accennò a parlare – sembrava più rivolto a se stesso, che a lei. Come se non volesse nemmeno guardarla, come se fosse un punto di stallo di fronte al quale si era ritrovato più volte, in passato. Poi alzò le mani – quasi un segno di resa – e proseguì: «Lo so, che sei innamorata di me. Lo sanno tutti
Rose ignorò la sensazione di fastidio, ignorò la bruciante umiliazione, ignorò quel pugno alla bocca dello stomaco e desiderò poter ignorare anche le sue parole. Si morse con violenza un labbro per impedirsi di crollare e mantenere la lucidità – e al diavolo la farsa, e i Corvonero e i Serpeverde e i Grifondoro. Al diavolo tutti.
«È questo, il problema?», domandò fiocamente, lasciando intendere che non voleva una risposta – non voleva sentirsi dire che doveva andare avanti, non voleva che le rigirasse le parole della cugina. Non voleva che le spezzasse il cuore, ma non gliel’avrebbe impedito.
Scorpius sorrise sarcastico e procedette: «Sì.»
 
***
 
Al quel punto, pensò, non poteva ignorare più niente – si chiese perché fosse rimasta al suo posto, invece che allontanarsi dalla fonte del suo dolore; perché, pur consapevole delle conseguenze, non fosse stata capace di andarsene. Era una stupida, che girava intorno alle stesse domande e alle stesse convinzioni per lungo tempo, senza trarne alcuna conclusione – senza cambiare la sua situazione. Da lì a un minuto, a un’ora, a un giorno, sarebbe tornata su quei perché e non avrebbe trovato nessuna risposta, perché non era lei ad avere le soluzioni. Le aveva Scorpius, così come aveva il suo cuore, la sua anima, la sua mente, la sua volontà – se solo avesse voluto, gli avrebbe concesso anche il suo corpo, cosicché potesse detenere in maniera assoluta, annullante, totalizzante, quel potere che esercitava su di lei.
«Bene.», mormorò, «farò in modo che per te non costituisca più alcuna seccatura.»
Fece per andarsene, quando Scorpius l’afferrò per un braccio, trascinandola indietro.
«Non ho finito.», ringhiò al suo orecchio.
Avrebbe voluto fare qualcosa di meno prevedibile che restare lì, ferma e buona, pronta all’ascolto – pronta a cogliere le sue parole come un’ape avrebbe colto il nettare d’un fiore. Solo che nel suo caso, il nettare tanto ambito risultava veleno che le corrodeva la pelle, risultava soltanto un altro percorso per l’inferno – e non poteva farci nulla, se tutto intorno a lei rischiava di ucciderla, in quella discesa.
«Tu sei un problema, il tuo affetto lo è e lo resterà, per quanto abbia provato a convincermi del contrario – e, fidati, ci ho provato. Se tu non fossi questa sottospecie di angelo martirizzato dall’amore, non avessi tutti questi sentimenti che si avvicinano quasi alla dimensione del sacro, non avrei alcun problema.»
Rimase fortemente sconcertata a quelle parole – che Scorpius ricambiasse i suoi sentimenti? Che ci fosse qualcosa che gli aveva impedito di esternarli, in tutti quegli anni? Sentì la speranza bruciarle le vene, percorrerle con lingue di fuoco la pelle, incendiarle l’anima. Era quasi esaltazione allo stato puro, era tutto troppo in fretta perché potesse essere vero. Infatti, il suo istinto la riportò bruscamente a terra – e sentiva un dolore straziante lì dove aveva sperato. Non era l’espressione di un ragazzo innamorato, quella che sfoggiava Scorpius – non un ragazzo innamorato di lei.
«No», disse, come rispondendo ad un muto interrogativo, «non sono innamorato di te, Weasley.»
Voleva replicare – più di ogni altra cosa, voleva smettere di sembrare la patetica protagonista di uno squallido romanzetto. Voleva dirgli che lo sapeva, che se lo aspettava, che non immaginava niente di diverso. Che dopo sette anni la sua era solo una conferma alle sue certezze, che non era necessario sprecare fiato per dirle una cosa simile. Se solo non avesse avuto la gola otturata, come se avesse ingoiato calcestruzzo, se solo non si sentisse fatta di piombo.
Le parve d’essere una marionetta a cui erano stati tagliati fili, abbandonata dal suo burattinaio, gettata in un angolo a prendere polvere. Non reagiva, quasi non sentiva più i respiri del ragazzo – talmente vicini che li avrebbe avvertiti sull’epidermide, se avesse prestato loro attenzione.
«Il problema», proseguì Scorpius, apparentemente ignorando lo stato quasi catalettico in cui era sprofondata – dal modo in cui piegava la bocca, dall’impercettibile rotazione del volto, dopo anni persi a studiarlo, sapeva invece che ogni singola parola, per quanto potesse apparire un monologo per il nulla, era indirizzata a lei. «Il problema», ripeté, «è che non riuscirei mai nemmeno a toccarti, senza sentirmi in colpa – perché tu mi ami, e non avrei pace se dovessi farti del male.»
Le faceva del male ogni giorno, ogni maledetto minuto – riusciva a farle male anche quando si limitava a respirare –, e non se ne curava. Non avrebbe potuto ferirla di più, se l’avesse toccata – se avesse fatto molto più che semplicemente toccarla. Le sue mani avrebbero curato le lesioni procurate dai suoi sguardi, i suoi baci sarebbero stati l’antidoto a quel veleno che giaceva sulle sue labbra in attesa di circolare nel suo sangue, le sue braccia sarebbero state catene che avrebbe indossato più che volentieri.
«Con le altre è facile: loro sono attratte da me, ed è divertente perché alla fine nessuno soffre davvero. Mettono il broncio per un paio di giorni, mi dipingono come un mostro senza cuore di fronte a tutti e poi riprendono la loro vita.»
Fece qualche passo, allontanandosi da lei, squadrandola come aveva sempre desiderato che facesse – il suo sguardo bruciava più della speranza, perché era reale, tangibile, perché la stava davvero guardando in quel modo, come se volesse soltanto lei, come se in qual momento oltre lei non ci fosse nulla, come se la stesse spogliando e si stesse perdendo a rimirare la sua pelle nuda.
«Tu», continuò, «non ti comporteresti così.»
Rose si accorse solo in quel momento di avere il respiro cortissimo e fitte d’eccitazione a ventre – si era smarrita un istante di troppo su quei pensieri, e in quel momento non voleva altro che lui.
Se non era sua intenzione farla star male – o peggio di quanto già non stesse – avrebbe dovuto smettere di strascicare che le parole con quel tono – quasi una carezza irrinunciabile –; di rivolgerle quegli sguardi che l’infiammavano; di sfidarla, in qualche modo, a rispondergli, a confutare le sue teorie, e dargli torto – a prendersi ciò che voleva più di ogni altra cosa.
«Tu mi ami, e non ti riprenderesti mai, se giocassi con te. Ma, proprio perché mi ami, non è nelle mie intenzioni giocare.»
Maledetto serpente, la stava circuendo e l’avrebbe fatta cedere molto presto – non solo perché non c’era alcun tipo di resistenza. Scorpius si sarebbe sentito in colpa se l’avesse ferita di propria iniziativa, ma se lei si fosse buttata tra le sue braccia avrebbe avuto la coscienza apposto, si sarebbe andata a cercare la sofferenza che avrebbe provato. La stava istigando – e ci stava riuscendo bene.
«Sbaglio?», le chiese – non era una domanda retorica, era realmente curioso di sapere se avesse fatto male i suoi calcoli.
Era estremamente combattuta, in quel momento – divisa tra lo spasmodico bisogno di gettarsi tra le sue braccia e il desiderio di non dargliela vinta, per una volta in cui sembrava avere il coltello dalla parte del manico. Si morse un labbro e si piantò le unghie nel braccio per evitare di lasciarsi sfuggire quelle tre parole a cui era immediatamente corsa la sua mente dopo la prima affermazione di Scorpius.
Naturalmente, però, per quanto il suo spirito potesse essere pronto, la sua carne era debolissima – al punto che il bisogno di arrendersi e consegnarsi a lui era più forte del dolore con cui aveva cercato di distrarsi. Scorpius stava quasi andarsene, annuendo fra sé – come se quel suo breve silenzio fosse la risposta alla sua domanda. La risposta che cercava. Ma non quella che lei voleva dargli.
«Mettimi alla prova.», gli disse, e lui si voltò con lo sguardo sorpreso e un sopracciglio alzato.
 
***
 
In quel momento realizzò di aver compiuto una follia – qualcosa di non previsto, calcolato o anche soltanto immaginato dalla sua mente. Forse nemmeno da quella di Scorpius, che era tornato celermente sui suoi passi, e osservava rapito le sue labbra, mortalmente curioso di sentirla confermare o meno quelle parole che le erano praticamente sfuggite.
Era ancora in tempo, pensò, per rimangiarsi tutto e salvarsi da quella scomoda situazione. Ma più che combattuta tra salvezza e perdizione, sembrava totalmente vinta da se stessa, dai suoi sentimenti.
Allungò la mano per accarezzargli il volto, senza tuttavia proferire alcuna parola. Deglutì, a tratti emozionata dall’idea di quel gesto – per anni aveva sognato di toccarlo, sentire la sua pelle sotto le dita, temendo sempre un eventuale rifiuto.
Invece Scorpius non si allontanò, continuando a rivolgerle uno sguardo a tratti indagatore, a tratti quasi furioso – pensava che stesse utilizzando la sua debolezza contro di lui. Se avesse voluto, avrebbe trovato centinaia di modi più sottili e insospettabili per colpirlo – uno sguardo quando nessuno li osservava, un sospiro che soltanto lui avrebbe potuto udire, uno sfioramento di mani che a stento avrebbe percepito. Ma non c’era nulla di tutto questo, nelle sue intenzioni – a stento era in grado di pensare, figurarsi arrivare a simili macchinazioni.
Passò una mano tra i suoi capelli – serici come l’immaginava – e lo attirò a sé. Indugiò un istante, lo sguardo fisso sulle sue labbra, mentre la memoria correva a tutte le volte in cui si era persa, sognando quelle labbra e quel bacio che non aveva mai ricevuto. Nella sua mente apparivano diversi scenari diversi, in cui veniva derisa e rifiutata. Tuttavia, si sporse in avanti e lo baciò. Inizialmente titubante, poi maggiormente sicura, mentre attendeva la reazione del ragazzo.
Scorpius – con gli occhi sbarrati e carichi di desiderio – le rispose con molta più foga di quella che si aspettava. Le spinse le spalle al muro – figuratamente e letteralmente – e si avventò su di lei, mordendole la bocca e premendosi sul suo corpo, toccandola con un impeto che si confondeva con la necessità, facendole battere il cuore all’impazzata, togliendole lucidità, rendendole il respiro affannoso.
Stava davvero commettendo uno sbaglio, ecco cosa le suggeriva il suo intuito – uno sbaglio enorme, di quelli che marchiano a fuoco la pelle, che non si cancellano con nulla. Uno di quegli sbagli che le avrebbe tolto il sonno e la ragione, che l’avrebbe fatta soffrire tanto quanto stava gioendo in quel momento. Malgrado ciò, era consapevole che non l’avrebbe mai respinto, che avrebbe colto quell’occasione più unica che rara che le si presentava e che l’avrebbe vissuta fino in fondo, a qualunque costo.
Però, mentre Scorpius l’accarezzava così lascivamente, non poteva fare a meno di pensare a quello che le avrebbe detto Albus una volta saputolo, al lampo di delusione nei suoi occhi verdi, alle smorfie di Lily, all’opinione generale.
Divisa nuovamente tra i suoi desideri e il suo intelletto, tra la sua anima – che avrebbe sacrificato ogni cosa per prolungare quell’istante all’infinito – e la sua ragione – che sbandierava ai suoi occhi la verità, che Scorpius non l’amava, che lei era un capriccio quasi quanto lo era Lily.
Gemette impudicamente, il volto nascosto nell’incavo del collo del ragazzo, mentre le stringeva un seno – anche se protetta dal cotone e dalla lana della divisa, percepiva la pelle come scottata. Non sapeva fin dove si sarebbe spinto, quanto le avrebbe chiesto e quando avrebbe preso senza il suo permesso – sapeva solo che gli avrebbe concesso tutto, tutto ciò che desiderava, nel tentativo disperato di vincere le sue remore.
Sentiva il sangue andarle alla testa, mentre il ragazzo le accarezzava i fianchi, le spalle – ogni volta che la baciava nasceva e moriva sulle sue labbra la richiesta di avere qualcosa di più. Aveva timore che qualcuno potesse vederli, nonostante l’intimità di quell’angolo buio, ma temeva di più il pensiero che, una volta staccatosi da lei, Scorpius rinsavisse e non la volesse più.
«Rose.», mormorò, meno sconvolto di lei, ma pur sempre con il fiato corto.
Scorpius le rivolse uno sguardo stralunato, come se non capisse il perché della sua espressione mortificata e affranta. Poi scosse la testa e la baciò ancora, a lungo, con meno aggressività ma con la stessa passione, fugando i dubbi che l’attanagliavano. Se prima aveva dubitato di ciò che voleva, in quel momento poteva dirsi più che sicura – non avrebbe rinunciato a lui e allora, con le sue braccia che la stringevano come se volesse soffocarla e le sue labbra che le rubavano avide ogni respiro, non le importava granché di quello che sarebbe successo dopo, di quello che avrebbero detto o pensato gli altri. Avrebbe avuto Scorpius, sarebbe stata sua, e tanto le bastava – pensò che le sarebbe bastato per sempre.
Adocchiò lo sgabuzzino che era a meno di mezzo metro da loro – non il massimo, per quella che sarebbe stata la sua prima volta, ma di certo più discreto di quel vicolo cieco. Si separò dalla sua bocca quasi a fatica e gli indicò la porta. Inizialmente Scorpius – intento a spiegarsi perché si fosse separata da lui – sembrò non cogliere la sua muta richiesta. Poi comprese e le sorrise come una iena – come una bestia affamata che stava per piombare sulla sua preda.
 
***
 
La strada per l’inferno, pensò Rose, mentre Scorpius le strappava i vestiti di dosso e l’unica cosa che era in grado di fare era aggrapparsi a lui, è estremamente rapida, oltre che lastricata di buone intenzioni.
Il problema, però, era che nessuno dei due aveva la minima parvenza di buone intenzioni – l’avrebbe distrutta, letteralmente, psicologicamente e fisicamente e aveva ragione, non le sarebbe mai passata. Eppure erano lì, Scorpius era lì e la stava stringendo come se fosse l’aria che respirava – come se non avesse voluto mai lasciarla andare.
Lo sgabuzzino dove si era rinchiusi era privo di finestre, completamente buio e oltremodo polveroso – non aveva mai avuto aspettative, sulla sua prima volta, ma in quel momento stava capendo che non se l’era immaginata così. Di certo, non aveva osato sperare che potesse esserci Scorpius, con lei – anche se si trattava di un fuoco passeggero, anche se non significava nulla.
Era seduta su un vecchio tavolo traballante, e lo sentiva cigolare rumorosamente ogni volta che si sporgeva per cercare la bocca di Scorpius – baciarlo, seguire le sue labbra per catturare  suoi respiri, intrecciare le dita nei suoi capelli sembrava la cosa più naturale del mondo.
Le aveva tolto il maglione e aveva cominciato a sbottonarle la camicia: la sua bocca raggiungeva rapidamente ogni singolo lembo di pelle che andava a scoprire, facendo aumentare irrefrenabilmente i battiti del suo cuore e i suoi sospiri. Dopo averle slacciato anche i polsini, scoprendola del tutto, si staccò bruscamente da lei e la guardò, invitandola – sfidandola? – a fare lo stesso con lui.
Forse per l’adrenalina accumulata in quei minuti, forse perché poco cosciente – o forse troppo – della situazione, non esitò nel privarlo del maglione, non esitò nell’attirarlo maggiormente a sé, nel sciogliergli il nodo del cravatta, nel mordergli le labbra mentre rimuoveva i bottoni dalle asole – non esitarono la sua mente, la sua anima, il suo corpo nel desiderarlo più vicino, non esitarono le sue labbra a chiederlo.
Leggeva nei suoi occhi una sorta di esaltazione – simile alla quella provata nel momento in cui aveva sperato che potesse amarla – che non aveva mai colto in passato – che lo riservasse a momenti come quello, ad altre ragazze, quello sguardo di desiderio assoluto, oppure era completamente dedicato a lei?
Le sciolse i capelli, precedentemente intrecciati, e li districò – non riuscì a trattenere un gemito di dolore quando le sue dita quasi le strapparono alcune ciocche scontrandosi con dei nodi. Da quella che doveva nascere come una carezza, un gesto di affetto, capì che Scorpius non amava granché dimostrazioni di tenerezza, che ne era, a tratti, incapace – che fosse quella, l’oscura ragione per cui Lily lo rifiutava? Che non fosse soltanto un capriccio, ma la necessità di qualcuno in grado di amarla completamente, di darle le premure che da altri le erano negate?
Scosse il capo, quasi rimproverandosi di preoccuparsi delle ragioni che guidavano le scelte di sua cugina – a tratti grata del fatto che avessero dirottato il ragazzo tra le sue braccia.
Gli accarezzò le spalle, affondò le unghie nel suo petto dai muscoli appena accennati, percorse con i polpastrelli l’addome, fu tentata dall’idea di scendere di più, di esplorare quel corpo che desiderava ardentemente – aveva ascoltato soddisfatta ogni sospiro che gli aveva strappato, e aveva sorriso nel momento in cui, sfiorando il suo cuore, ne aveva sentito il battito accelerato. Tuttavia, prima che potesse riuscire nel suo intento, la fermò. «Rose», esalò, come se parlare in quel momento gli costasse un’immensa fatica, «sei sicura di voler continuare?»
Ignorando completamente il suo richiamo, allacciò le braccia intorno al suo collo e cominciò a baciargli lentamente la mandibola, udendo un ringhio di sottofondo che quasi la convinse a fermarsi – era divertente vederlo in quelle condizioni: lacerato tra l’aspirazione di renderla sua e il senso di colpa che avrebbe in seguito provato. Combattuto tra qualcosa che lo tentava terribilmente e qualcosa che lo spaventava altrettanto. L’avrebbe volentieri stuzzicato ancora un po’, per permettere alla sua pseudo lotta interiore di proseguire – si stava scontrando contro se stesso, stava soppesando il rischio e il guadagno che ne avrebbe tratto e lei si stava impegnando al massimo delle sue possibilità per far pendere l’ago della bilancia verso l’opzione che preferiva.
Trascorso qualche minuto, notando che ormai la situazione sembrava essersi bloccata, avvicinò la bocca al suo orecchio, succhiandogli leggermente il lobo per poi sussurrare: «Sai, siamo ancora vestiti, dalla vita in giù…»
Scorpius le rivolse una lunga occhiata – la pelle bruciava, oh, se bruciava sotto quello sguardo che avrebbe voluto le rivolgesse ogni giorno –, le allargò le gambe, insinuandosi fra di esse. «Hai idea di quello che sta per succedere?», le chiese, il tono indagatore, con uno sguardo che non seppe se definire divertito oppure serio. Gli rispose con un’occhiata sbalordita – poteva davvero, secondo lui, non immaginare, non volere, quello che sarebbe successo di lì a poco? Sembrava tanto inesperta, tanto innocente, da non avere idee sul sesso? Forse, si disse, lo era nella sua mente, lo era la Rose che lui immaginava – quell’“angelo martirizzato dall’amore”, con tutti quei sentimenti troppo puri per arrivare ad una condizione talmente terrena come il desiderio carnale.
Quella dipinta dalla sua immaginazione sarebbe potuta essere una Rose di quattordici, al massimo quindici anni – nelle sue più recenti fantasticherie, aveva sognato un amore completo di tutto, aveva sognato di fare l’amore con lui, aveva sognato di essere sua e restarlo per sempre. Non c’era stato un attimo, da quando aveva assunto consapevolezza di sé e del proprio corpo, in cui non lo aveva desiderato, di quello stesso desiderio che le faceva, letteralmente, provare dolore.
«Voglio tutto questo.», scandì lentamente, «Voglio te.»
«Sicura?», le domandò – le fece pensare che forse era lui, quello che nutriva riserve, che forse voleva tirarsi indietro, che per lui fosse un gioco durato troppo a lungo, del quale si stava scocciando. Oppure mirava a tranquillizzare ulteriormente la sua coscienza, a lavarsi le mani da tutte le future, possibili, colpe – come se avesse intenzione, i giorni successivi, di rinfacciargli ciò che ci sarebbe stato tra loro.
«Niente senza di te, nulla, se non con te.», disse sorridendogli, credendo in ognuna delle sue parole.
Forse fu la convinzione che aveva messo nella frase appena pronunciata, forse fu il tono usato, o le sue braccia che continuavano a stringerlo, fatto che allora Scorpius sembrò letteralmente perdere il controllo – da lì in poi, non un solo segno di esitazione attraversò i suoi occhi, non ci furono dubbi e i possibili, futuri pentimenti vennero messi brutalmente a tacere. Non ci fu più tempo per discutere, pensare, respirare.
C’era soltanto lui, le sue mani che le facevano quasi male – la stava graffiando, non accarezzando. Sentiva le sue dita premere a fondo sulle braccia, poi sul ventre, sui fianchi. Le slacciò il reggiseno e sentì le sue labbra sulla pelle appena scoperta, per poi posarsi su un capezzolo, succhiando, mordendo, strappandole quasi un grido scandalizzato – eppure, pensò, non c’era altro che desiderava, in quel momento.
Vinta l’immobilità in cui era rimasta in quei minuti, portò la mani ai pantaloni di Scorpius, armeggiando prima con la cintura, poi con il bottone, e infine glieli abbassò, privandolo anche delle mutande. Dopo essere tornato a baciarla – travolgendola con quella passione a cui si stava lentamente abituando e che le dava il capogiro –, aveva posato le mani sui suoi fianchi, ancora cinti dalla gonna e dalle calze, spingendo gli indumenti ai suoi piedi con uno strappo di stoffa che la preoccupò per un istante, finché non avvertì la pressione delle sue dita sulla cosce.
Sembrava che stesse scavando dentro di lei – le sue unghie affondavano nella pelle morbida e lasciavano segni che sapeva non se ne sarebbero andati per giorni, se non settimane. Doveva interpretarlo come un tentativo di marchiarla, di lasciar intere che era stata sua – o forse più come un ricordo di quella folle esperienza che stavano condividendo?
Tutti i suoi pensieri si smorzarono quando l’accarezzò al ventre, scendendo poi più giù, fino ad inserire due dita nella sua intimità, toccandola inizialmente con cautela, in seguito più rapidamente – sembrava che non fosse con lei in quel momento, che non si curasse dei suoi gemiti, delle sue smorfie di fastidio per quell’intrusione a cui non era sufficientemente preparata. La stava abbracciando, con il volto nascosto nell’incavo della sua spalla, forse per nascondere la sua espressione.
Una volta avute entrambe le mani libere, riprese a lambirle la pelle: la schiena, i fianchi, i seni – tuttavia, la rudezza e la veemenza di quei tocchi avevano smorzato il piacere che le avevano dato fino a poco prima. Sentiva l’eccitazione e il desiderio abbandonarla lentamente – eppure, da qualche parte nella sua testa, resisteva la volontà di andare fino in fondo, di far sì che Scorpius le appartenesse, almeno una volta, così come lei era sempre appartenuta a lui. Se inizialmente il suo corpo l’aveva indirizzata tra le braccia del ragazzo, e la sua mente – il suo istinto – aveva combattuto per trattenerla, adesso accadeva il contrario: il suo corpo – stanco di quei graffi, di quella passione che Scorpius riversava su di lei con brutalità – la spingeva il più lontano possibile da quella stanza, mentre la sua mente – conscia della più che rara opportunità che stava cogliendo – la intrappolava lì.
Un grido smorzato sfuggì dalle sue labbra quando sentì la pressione del suo bacino contro il proprio – imprigionata tra le sue braccia, tra un respiro che non riusciva ad emettere e unghie che tentavano di ridurre in brandelli la schiena di Scorpius. Come in precedenza l’intensità dei suoi baci le aveva annebbiato i sensi, così faceva in quel momento il dolore – le lacrime formatesi le appannavano la vista e non riusciva a percepire altro che il corpo sudato intrecciato al suo.
Ad ogni spinta di Scorpius sentiva il dolore provato aumentare – ferita non solo nella carne, ma anche nello spirito: quella che doveva essere la sua prima volta, spesa tra le braccia del suo grande ed unico amore, si era rivelata un incubo sensoriale dal quale non riusciva a svegliarsi. Non accennava però a scostarsi da lui, ad allontanarlo, a protestare, realizzando quale fosse realmente il potere che esercitava su di lei.
Gli morse la spalla, nel tentativo di smorzare parte degli spasimi giunti dal basso ventre – più probabilmente per infliggergli parte di quel supplizio di cui attendeva ormai disperatamente la fine. Il pensiero che quello che stava succedendo fosse stato uno dei suoi più grandi sogni la disgustò profondamente – si stava trasformando in una contraddizione vivente. Nonostante l’evidente violenza operata sul suo corpo, l’istinto di stringersi a lui restava più forte di tutto – mai come in quel momento si vergognava della sua debolezza, di come l’avesse resa.
Avvertendo un fitta più intensa si rese conto di aver appena perso, definitivamente, la verginità – qualcosa a cui aveva sempre pensato come proprietà di Scorpius, ma non poteva fare a meno di chiedersi se ci fosse stato qualcosa di giusto, nei momenti appena vissuti.
Scorpius si staccò da lei come se si fosse scottato – forse, si disse, erano arrivati quei sensi di colpa che tanto temeva. Perché essere talmente terrorizzato dall’idea di farle del male, per poi perdere completamente il controllo e rovinare tutto? Senza proferire una sola parola, o soffermarsi a guardare il suo volto rigato dalle lacrime, si rivestì, la rivestì e la strinse, per poi sollevarla e farla sedere accanto a sé, sul pavimento lercio.

 
***

Erano rimasti in silenzio, così vicini da toccarsi, per una decina di minuti, prima che Rose si accorgesse che si era addormentato. Per tutto il tempo non aveva potuto fare altro che fissare la macchia di sangue su quel banco e avvertire un lieve senso di nausea per l’odore di cui era impregnata l’aria.
Teneva le gambe praticamente serate, nel tentativo vano di sconfiggere il disagio fisico che provava. In quel momento pensò di non aver mai calcolato le conseguenze delle sue azioni, di non aver previsto nulla di quanto accaduto – non aveva previsto quel dopo fatto di un silenzio che la stava lentamente svuotando. Se Scorpius non stesse dormendo, l’avrebbe potuto definire il silenzio di chi non ha più nulla da aggiungere – sapeva di essere ancora lì nella speranza che invece ci fosse, qualcosa da aggiungere, che ci fosse un motivo – valido o meno, a quel punto non le interessava granché che giustificasse il comportamento del ragazzo. Qualcosa che giustificasse i lividi impressi sulla sua pelle, appena visibili nella fioca luce sprigionata dalla sua bacchetta.
Non aveva un orologio, e non sapeva quanto fosse effettivamente buio, al di fuori di quello sgabuzzino, ma una parte di sé pregava che non avessero saltato la cena, che nessuno avesse notato – e collegato – l’assenza di entrambi. L’avevano già ferita in passato, gli sguardi impietosi dei suoi compagni – quando credevano che il suo amore fosse destinato a restare una sua fantasticheria – e non aveva il coraggio di pensare a come sarebbero stati se qualcuno avesse scoperto che era stata usata e poi quasi gettata via.
Non osava immaginare cosa avrebbe pensato di lei Albus, quanto in basso sarebbe scesa la considerazione che aveva di lei – avrebbe mai potuto riparare a quanto fatto? ci sarebbero ancora stati, i suoi sguardi affettuosi e protettivi? Sarebbe rimasto la sua ancora, quando tutto sembrava remare contro la sua felicità?
Le sfuggì un singhiozzo, poi un altro e un altro ancora, finché non si abbracciò le gambe, nascondendo il volto tra le ginocchia, per scoppiare in un vero e proprio pianto – con le lacrime scivolavano via anche le preoccupazioni, il dolore, l’ansia che le schiacciava il petto. Il peso che si era accumulato sul suo cuore sembrava sciogliersi un po’, sembrava quasi liberarsi di tutto il male fisico e psicologico che stava provando.
Si riscosse dalle sue lacrime quando avvertì la carezza del ragazzo tra i capelli. Inorridita dalle sensazioni che il suo tocco portava a galla, si scostò rapidamente per poi trovarsi stretta nella morsa del suo abbraccio. Ascoltò distrattamente le scuse sussurrate a mezza voce e non riuscì a rifiutarlo quando posò le labbra sulle sue – la dolcezza di quel gesto sembrava destinata a cancellare qualunque cosa le avesse fatto in precedenza.
Quello era il suo modo di rimediare, era una spiegazione che forse non avrebbe mai ricevuto – o che forse non le avrebbe fornito spontaneamente. Era il suo modo di riportarla in quella discesa verso l’inferno, in quella dipendenza che aveva quasi vinto, ma in cui poi era pateticamente ricaduta. C’era anche il suo istinto, tra le braccia di Scorpius, che sorrideva al pensiero di aver avuto ragione a trattenerla lì.
Scese lentamente a baciarle il collo, per poi staccarsi da lei e guardarla a lungo. La spogliò nuovamente, accarezzando titubante ogni singola offesa che le aveva arrecato, percorrendo ogni graffio, ogni arrossamento, ogni livido con le proprie labbra – le sembrava che stesse riavvolgendo indietro il tempo e annullando l’aggressività con cui le si era quasi imposto.
In quel momento Scorpius si muoveva su di lei con una lentezza rassicurante – stava soppesando le sue azioni, le sue carezze, i baci che dispensava generosamente sulla sua epidermide. Quella volta concedersi a lui, spogliarlo, baciarlo, lasciarsi toccare fu estremamente facile – così come lasciare che soddisfacesse il suo languore, i suoi desideri.
Quella volta fu come aveva desiderato fosse la prima – e se era combattuta tra i ricordi che aveva e quelli che si stavano creando, fu attenta a non lasciarglielo intendere. Si avvinghiò  lui e cominciò a sussurrare piano il suo nome, tra un gemito a fior di pelle e le spinte quasi bisognose del ragazzo – non si curava più di quanto aveva pensato prima, degli sguardi degli altri, di quelli di Albus. Seppure suo cugino l’avesse abbandonata, quanto stava vivendo con Scorpius sarebbe stato sufficiente a sorreggerla, perfino nei peggiori momenti.
Quando si furono definitivamente consumati l’uno tra le braccia dell’altro, restarono immobili, abbracciati, scossi soltanto da qualche brivido, definitivamente incuranti del tempo che scorreva oltre quella stanza – sarebbe potuto trascorrere un minuto o un intero giorno, per Rose non ci sarebbe stata alcuna differenza. Era stata di Scorpius, Scorpius era stato suo, e avrebbe portato con sé quel pensiero fino all’ultimo dei suoi respiri.
Aveva arrotolato un dito attorno ad un ciuffo ribelle del ragazzo, quando lui la fermò e disse: «Dovremmo andare.»
Incapace di rispondere negativamente a qualunque suo suggerimento, si alzò e cominciò a vestirsi mantenendo un ampio sorriso sulle labbra, non avvertendo per nulla l’imbarazzo che avrebbe normalmente provato. Prima di lasciare lo sgabuzzino e ritornare al mondo esterno, Scorpius l’avvicinò a sé e la baciò nuovamente – come se non riuscisse a lasciarla andare.
«È stato… bello.», commentò lui, raggiunta la soglia della porta. Rose annuì e aggiunse, malinconica: «Sarebbe potuto essere perfetto.»
Scorpius si limitò a fissare le sue scarpe, senza dar a vedere di aver recepito o meno le sue parole. Raccogliendo il suo – non eccessivo – coraggio, lo guardò e chiese: «Cosa è successo, prima? Perché… hai capito.», sentenziò brusca, infine.
Non voleva che la sua curiosità distruggesse quello che avevano appena condiviso – qualcosa che andava ben oltre i suoi sogni e le sue aspettative. Ci furono attimi di silenzio terribilmente imbarazzanti, e una verità che Rose avvertiva, palese, ma che non riusciva a guardare.
«Eri come lei. Era come se lo stessi facendo con lei.», mormorò, alzando lievemente lo sguardo. Lo schiaffo partì imprevisto dalla mano di Rose, che corse via senza aggiungere una sola parola, senza voltarsi indietro nemmeno un istante – ovviamente, non c’era stato alcun bisogno di specificare chi fosse, quella “lei”, un fantasma che le somigliava troppo e che aveva alleggiato su di loro anche in quel momento che non le sarebbe dovuto appartenere.
Aveva rovinato tutto, con la sua maledetta sete di conoscenza e l’ambizione di risolvere quel mistero che era Scorpius Malfoy – non le restava che un pugno di ricordi troppo belli e terribili per essere sopportati. Sarebbe andata avanti come se nulla di tutto quello fosse mai accaduto, avrebbe cancellato le ultime dodici ore della sua esistenza, avrebbe convissuto con la consapevolezza che non l’avrebbe mai amata – avrebbe accettato l’idea che non fosse Lily, il capriccio che voleva soddisfare, ma lei.
Quando la trovò in lacrime, sconvolta, nelle vicinanze del dormitorio Grifondoro, Albus – che non avrebbe mai avuto idea di quello che le era successo, che non l’avrebbe mai chiesto, che non avrebbe mai immaginato che ci sarebbe stato un momento, nel suo passato, in cui avrebbe rinunciato a lui per vivere il suo sogno d’amore – si limitò a stringerla e ad accompagnarla fino alla Sala Comune Corvonero, e la lasciò soltanto quando si fu assicurato che stesse bene e che si fosse addormentata.
 
***
 
20 anni dopo
 
Non si sarebbe mai aspettata di ritrovarsi a parlare con lui, dopo più di vent’anni di silenzi e forfait dati per evitare di incontrarlo – semplicemente, era accaduto perché l’aveva previsto e si era preparata all’inevitabile. Si erano ritrovati nella stessa casa, per festeggiare i trentacinque anni di Lily Luna, che l’aveva ovviamente invitata, e che probabilmente aveva voluto lì Scorpius per sbattergli in faccia la sua felicità, per vederlo soffrire ancora, come se tutti i guai che aveva combinato in passato non fossero stati sufficienti.
Il suo sguardo le bruciava ancora la pelle, come quella prima e unica volta in cui aveva creduto che avrebbe davvero potuto amarla – che avrebbe potuto essere lei, la ragazza che gli rendeva le notti insonni e il cuore palpitante.
«Quindi…», mormorò lui, nel patetico tentativo di rompere il ghiaccio, «ti sei sposata, alla fine. Anche se non ero io.», aggiunse con un mezzo sorriso.
I ricordi nati da quella semplice affermazione la travolsero e il sangue affluì rapido alla sue guance. Tuttavia, Rose non era più una ragazzina innamorata, disposta a gettarsi tra le braccia del suo grande amore appena avuta l’occasione – aveva imparato a sue spese che il grande amore, quello che aveva rincorso per quasi tutto il suo soggiorno ad Hogwarts, non era altro che una mera illusione, che non esisteva davvero. E poi aveva trovato un altro amore, uno meno sconvolgente e totalizzante di quello che provava per Scorpius, ma abbastanza forte da farle rinunciare a quell’attesa infinta che l’avrebbe resa come lui: sola.
«Non ho più diciassette anni, Scorpius.», affermò sicura, nonostante la tempesta che le stava sconvolgendo anima e mente – era incredibile che le facesse ancora quell’effetto. Accarezzò convulsamente la sua fede – perché in quel momento era l’ancora che le impediva di affondare in se stessa. Le ricordava che era una donna diversa, nuova, che, per quanto potesse essere vittima dell’amore che provava per Scorpius, era in grado di resistere. Per se stessa, per Albus, per i suoi figli.
«Tu?», domandò, fingendosi quasi distratta – in realtà, moriva dalla voglia di scoprire le ragioni che gli avevano impedito di convolare a nozze. Che amasse ancora Lily? Che, invece, si fosse innamorato lei, alla fine? Certo, era un’ipotesi che non osava neanche sfiorare – eppure la tentazione c’era e non l’avrebbe abbandonata, resistenza o meno a quelli che erano stati i suoi sentimenti. Voleva sapere. Doveva sapere.
«Perché avrei dovuto? Mio padre ha ottenuto l’erede che tanto desiderava – una relazione finita male, ha detto la Gazzetta del Profeta», si fermò e rise, «come se ne sapessero qualcosa. In realtà, ho messo incinta la prima ragazza disponibile per chiamarmi fuori da questi impicci – quindi ero libero di fare quello che volevo.»
Ovviamente, chiunque sapeva del figlio “illegittimo, ma non proprio” di Scorpius Malfoy. Pensando a quel ragazzo, aveva sempre provato tanta pena. Si rendeva conto che essere la parola sulla bocca di tutti – avendo avuto la possibilità di conoscere a fondo il Mondo Babbano, era consapevole che quello Magico era soltanto un emisfero bigotto, abitato perlopiù da ipocriti e perbenisti –, essere considerato un oggetto dal proprio nonno e un mezzo per raggiungere gli obiettivi dal proprio padre, non era un’inezia.
«Giusto.», asserì poco convinta. Si chiese perché stesse ancora conversando con lui, in quell’angolo abbandonato e possibilmente ambiguo del giardino di casa Potter – si chiese, precisamente, cosa sperasse di raggiungere con tutto quel parlare a vuoto di futilità e se fosse stata capace di allontanarsi da lui.
«Inoltre», bisbigliò lui, «la donna che amavo non poteva essere mia.»
Seppur si aspettasse di vederlo voltarsi verso la cugina, Scorpius aveva incatenato quegli occhi tempestosi ai suoi – l’avrebbe davvero maledetto, in quel momento, perché restava, a discapito di tutto, la sua strada per l’inferno, quell’ammasso di errori e sentimenti sbagliati e contorti e quasi inopportuni che l’avevano consumata e che l’avrebbero consumata anche in seguito, ora che sapeva, ora che l’aveva condannata a rimpiangere per il resto dei suoi giorni tutto quello che sarebbero potuti essere, se solo non fossero stati così giovani, immaturi, incoscienti delle conseguenze delle loro azioni.
Non era del tutto convinta di non odiarlo, in quel momento – non era più convinta di nulla. L’amore sognato da sempre, ma a cui aveva infine rinunciato, le era ripiombato improvvisamente tra capo e collo, distruggendo quell’unica convinzione che aveva condizionato ogni sua scelta: Scorpius non l’amava. Potevano ritenersi valide le decisioni prese sotto l’influenza di una falsa convinzione? Eppure, erano azioni che le avevano portato un matrimonio felice e una splendida famiglia. Perché ignorare quel dato di fatto, che la sua esistenza di basava su una menzogna, e andare dritta per la sua strada?
Se ciò che avevano condiviso fosse accaduto in un altro giorno, un’altra ora, un altro momento, forse non avrebbero fatto quella fine, testimoni di una confessione che avrebbe probabilmente distrutto la sua vita, pur lasciando intatta quella di Scorpius – forse lui non l’amava davvero, o forse non l’amava abbastanza, perché se l’avesse amata davvero avrebbe tenuto per sé quell’ingombrante verità e avrebbe sofferto in silenzio, da solo, e non l’avrebbe scaricata su di lei unicamente perché non riusciva a sopportarlo.
Nonostante ciò, continuava ad essere combattuta – l’avrebbe amato per sempre, di quell’amore che lui non avrebbe mai compreso, perché per lui era tutto un capriccio. Ma questo non l’avrebbe fermata anche dall’odiarlo. In fondo, erano complici dello stesso delitto – avevano ucciso il loro futuro e la loro felicità.
Così era arrivata ad una situazione di stallo – mentre lui aveva atteso in silenzio che assorbisse la notizia – ed era rimasta immobile, e solo in quel momento si era resa conto di quanto potesse sembrare sciocca, restando ferma, con lo sguardo magari perso nel vuoto – in realtà, in quel momento stava facendo passi falsi per restare in equilibrio, per non scivolare lungo la sua strada per l’inferno, un inferno che bruciava quanto la delusione, l’amore, quanto il ghiaccio di cui sembravano fatti i suoi occhi.
Scorpius si avvicinò – non che prima non fossero abbastanza vicini, ma annullò quella poca distanza che li separava, che era tutto ciò che non l’aveva ancora fatta crollare – e le accarezzò una guancia, con quella sua mania di prendere e basta, incoscientemente, senza chiedere il premesso.
Probabilmente l’avrebbe baciata – probabilmente lei gliel’avrebbe lasciato fare. Perché dopo vent’anni, ancora se li ricordava il sapore e l’irruenza e la morbidezza delle sue labbra, perché dopotutto era già dannata, forse addirittura dal primo istante in cui aveva capito di amarlo, e non aveva più nulla da perdere. Quella strada per l’inferno aveva finalmente raggiunto la fine, quando i loro sentimenti erano stati svelati e i demoni che li tormentavano si era più che duplicati e forse avrebbe finalmente potuto risalire, tornare in un luogo che non rispecchiasse con tali atrocità l’ardore del suo amore – se Albus non li avesse raggiunti in quel momento, costringendoli ad allontanarsi freneticamente e a spostare la conversazione sul tempo.
«Rose, eccoti qui!», le disse, e lei si voltò e sorrise verso di lui – le faceva male la faccia, a sorridere in quel modo, perché ora che Albus c’era non sapeva quale, tra i suoi due crimini – quello che aveva già compiuto e quello che avrebbe voluto compiere le faceva più male.
«Malfoy.», lo apostrofò, come se avesse notato la sua presenza soltanto in quel momento.
«Potter.», rispose l’altro con un cenno, poi la guardò – e se Albus non le avesse stretto un braccio intorno alla vita non si sarebbe retta in piedi. La guardò come se avesse voluto consumarla, come se fossero di nuovo due ragazzini chiusi in uno sgabuzzino del quarto piano, come se la stesse pregando, in silenzio, di lasciare tutto e tutti per seguirlo.
Scosse impercettibilmente il capo e si voltò verso il marito, tendendogli la mano.
«Andiamo?», domandò, e insieme si mischiarono tra gli altri invitati – e forse, la sua strada per l’inferno era appena cominciata, quel giorno.

 
 
 
Note dell’Autrice: non credevo che la storia potesse raggiungere una fine, ma ce l’ho fatta e sono estremamente soddisfatta del risultato. Vorrei partire immediatamente dalla caratterizzazione dei personaggi, che potrebbe (ma spero non sia così), sembrare un po’ oscura.
Devo dire che la caratterizzazione di Rose mi è un po’ sfuggita di mano: inizialmente sarebbe dovuta essere molto meno combattuta, in tutte le sue scelte, ma suppongo che sia dovuto alla trama che è cambiata parecchie volte, nel corso della stesura. Ci ritroviamo di fronte ad un personaggio a cui ho detto diverse sfaccettature, spesso incongruenti tra loro: dapprima sofferente e innamorata – unico tratto che permane in tutta la storia –, attraverso spesso una fase di curiosità, che la spinge verso Scorpius, una fase di titubanza, dubbio, incertezza, per poi attraversarne una di assoluta consapevolezza. Nel terzultimo e penultimo paragrafo si nota maggiormente la sua volubilità, la sua lotta interiore e come sia cambiata con il procedere degli avvenimenti (credo che in quei paragrafi si tocchi l’apice dell’incongruenza del suo carattere, della sua indecisione nei confronti di Scorpius. In mia difesa, posso dire che stavo descrivendo una ragazzina sì confusa, ma anche terribilmente innamorata, “vittima dei suoi sentimenti”.
Scorpius è l’altro mio grande cruccio, per quanto concerne la caratterizzazione – e, considerando che si tratta dei personaggi principali, la cosa mi preoccupa parecchio. Volendo sciogliere il dubbio rimasto a tutti alla fine della storia, posso dire che nemmeno io so se fosse o meno innamorato di lei – o, quantomeno, non l’ho voluto far capire, per lui doveva essere innamorato di un’altra e tutto il resto. Il suo carattere, per quanto molto, non so, dubbio?, è più lineare e meno lunatico di quello di Rose. Innamorato da sempre di Lily, come detto nella storia, sa cosa significa amare qualcuno e non essere ricambiato, il che lo avvicina, psicologicamente, a Rose – che la sua mente ha dipinto, effettivamente, come un qualcosa di superiore all’amore carnale (diciamo che gli è un po’ caduto un mito). Tuttavia, mito caduto o meno, ha questo desiderio di sdoganare Rose dal suo piedistallo, di avere qualcosa che egli stesso si era proibito – c’era comunque tutta la situazione dei rifiuti di Lily, dalla sua parte. Così come c’entra di Lily nel momento in cui quasi perde il controllo nel terzultimo paragrafo – come scritto prima, la somiglianza tra le due (consideratelo un mio headcanon e datemelo per buono) non ha giovato alla situazione. In questa sorta di convinzione che la ragazza tra le sue braccia potesse essere Lily, riversa su Rose tutto l’odio che aveva accumulato per la ragazza, tutta la frustrazione, la rabbia, la consapevolezza di non avere possibilità. In seguito, essendosi reso conto di quanto accaduto, sentendo i famosi sensi di colpa, tenta di salvare il salvabile. (Non sapevo se fargli ammettere o meno quanto era accaduto, ma alla fine ho scelto l’opzione più angst, credo – e volevo giustificare quello che era successo).
Altri personaggi cardine della storia sono Lily e Albus Potter. Partendo dalla prima, nella trama originale non avrebbe dovuto rifiutare Scorpius per capriccio, ma perché era figlio di un ex Mangiamorte e ne andava della sua integrità – queste nuova versione della trama è stata molto a discapito di Lily, favorendo ampiamente Rose, quando inizialmente era quasi l’esatto contrario. Quindi, per giustificare la reticenza riguardo il corteggiamento di Scorpius, ecco che arrivano i suoi genitori, che in quanto piccola di famiglia, l’hanno oltremodo viziata.
Per evitare che Harry Potter facesse la figura del genitore incapace, ho dovuto alzare l’asticella morale di James e Albus – quest’ultimo non verrà mai effettivamente a sapere di quello che è successo tra Scorpius e Rose. Ricordo che, parlando della caratterizzazione data al personaggio, xitsgabs ha fatto notare che era strano, vedere Albus detestare Scorpius quando sono sempre dipinti come migliori amici – era anche strano vedere Albus in Grifondoro quando tutto lo smistano in Serpeverde. Tuttavia, stiamo pur sempre parlando della progenie di Harry Potter, non so fino a che punto ci sia bisogno di stupirsi.
(Mi scuso per le note estremamente lunghe, ma ormai è noto che di solito le mie sono chilometriche).
Terminato il discorso sulle caratterizzazioni, passo rapidamente alle citazioni:
  • “Niente senza di te, nulla, se non con te.”
Questa viene dal film “Maleficent”. Fin dal primo momento in cui ho pensato alla scena di sesso tra Scorpius e Rose, ho voluto aggiungere questa parte – anche se, inizialmente, aveva un uso differente.
  • “Altro giorno, un’altra ora, un altro momento”
Questa invece proviene dalla canzone dei Subsonica: “Il cielo su Torino”, anche se leggermente modificata.
Un altro punto importante è il finale con i vent’anni dopo – aggiunto soltanto perché potessi crogiolarmi nell’angst e nella malinconia offerti dal momento. Ci troviamo di fronte ad un finale che credo si sposi bene con la storia – spuntano nuovamente le caratterizzazioni “tipiche”, affidate ai personaggi nel corso della storia, come per sottolineare che in fondo, nonostante gli anni trascorsi e quello che a loro farebbe piacere credere, non è effettivamente cambiato nulla dai tempi in cui frequentavano Hogwarts.
Il titolo. Vogliamo parlarne? Personalmente, lo detesto, ma quello de “La strada per l’inferno” è stato il prompt più ricorrente, nel corso della storia, e seppure volessi cambiarlo, non sono riuscita a trovarne uno migliore. Quindi stavolta niente peripezie per trovare il titolo perfetto, soltanto una lunga attesa nella speranza di un miracolo…
Comunque, dato che ormai ho esaurito qualunque argomento potessi trattare su questa One Shot, non mi resta che ringraziare tutti voi che siete passati a dare un’occhiata!
Baci, Fede ♥
(P.s.: se qualcuno si sta chiedendo se ho ascoltato o meno qualcosa durante la stesura della OS, immaginatemi a scriverla mentre sentivo questa canzone e fatevi due risate!).

 
  
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