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Autore: homuraxmadoka    15/08/2015    2 recensioni
Mentre Rizzoli & Isles stanno lavorando ad un caso, una vicenda del passato della detective torna a turbare la sua vita. Tra azione, battute e conflitti interiori sui loro reciproci sentimenti, Jane e Maura dovranno fare i conti con un nuovo personaggio, che si rivelerà essere un vero e proprio mostro. E la posta in gioco stavolta è altissima. Riusciranno le nostre eroine ad uscirne incolumi ancora una volta?
Genere: Azione, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’inconfondibile fragranza del pane tostato appena sfornato impregnava i locali della caffetteria del commissariato, punto di ritrovo mattutino dei dipendenti che iniziavano la loro giornata di lavoro e di quelli che, finito il proprio turno, bevevano un caffè prima di ritornare a casa. Jane era seduta da sola in un angolino, aveva una tazza di caffèlatte davanti ed una fetta di torta di mele che la madre l’ aveva praticamente obbligata a mangiare; solitamente avrebbe divorato la sua colazione, visto che la mattina si svegliava sempre famelica, ma non quella giornata; tutti quei pensieri contraddittori nella sua mente e la nottata trascorsa a fantasticare su lei e Maura, le avevano chiuso lo stomaco. Solo di tanto in tanto bagnava le labbra nella sua tazza di cappuccino. Maura arrivò proprio allora, si soffermò sull’uscio e si guardò intorno, con la speranza di intravedere la detective. Stava per demordere, quando in fondo al locale, in un cantuccio sulla sinistra, scorse l’altra; le si avvicinò dunque con passi veloci ed un sorriso larghissimo stampato sul volto: eccola finalmente, in tutta la sua bellezza, e poco importava che fosse imbronciata, la piega del viso che partiva dallo zigomo fino a lambire la bocca, precisa e marcata come una mezzaluna capovolta, era sempre stata una delle cose che la attraevano di più della mora. - Ciao, posso sedermi? - le disse, sinceramente emozionata nel rivederla. Jane acconsentì con un arido cenno di capo. - Ho saputo che hai risolto il caso! Sei stata bravissima! Ma… Toglimi una curiosità: ti sei sentita per un attimo catapultata nel film 50 sfumature di grigio? - le diede a parlare giocosa la dottoressa per rompere il ghiaccio, e prese un pezzetto della sua torta, come era sempre solita fare. - A volte la gente fa tante cose stupide semplicemente per il gusto di farle, senza pensare alle conseguenze che possono avere sugli altri… - fu il commento di Jane, che temendo di affrontare lo sguardo dell’altra, affondò il viso nella tazza di caffèlatte come diversivo. Più che una risposta pertinente alla sua domanda, quella risultò a Maura una frecciatina, ma non era sicura che fosse diretta a lei; magari Jane stava parlando di se stessa, o semplicemente si riferiva all’innocuo Donald Smith, che all’occorrenza si trasformò in uno squilibrato affetto da una grave patologia relazionale. Decise perciò di non raccogliere la provocazione; d’altronde non era certo lì per litigare, dopo la notte angosciosa trascorsa senza di lei. - Come stai? - le chiese allora, cambiando discorso. - Bene grazie. Tu? - parlò con freddezza la detective, avvicinandole il piattino con la torta, quindi continuò: - Finiscila pure… - Il distacco usato da Jane nel rapportarsi con lei, riuscì a scoraggiare tutte le intenzioni più positive di Maura, alla quale balenò un pensiero per la testa: possibile che fosse ancora arrabbiata con lei? In effetti forse, avrebbe dovuto scusarsi per averle buttato irrispettosamente i soldi sotto il naso al Dirty robber, dopotutto però, l’aveva fatta davvero infuriare. La dottoressa fece un respiro profondo, auspicandosi che il suo autocontrollo non l’abbandonasse; lungi dal giustificare la sua innata ostilità nei riguardi di Brooks, sapeva però che Jane era fatta così: irruenta, nevrotica, impulsiva ed estremamente protettiva nei riguardi delle persone a lei care, ma anche molto sensibile, fragile emotivamente e permalosa. Stando attenta dunque a non urtare la sua suscettibilità, si impose di mantenere la calma e continuò il discorso: - Dal tuo tono non si direbbe che stai bene! - - Cosa vuoi che ti dica: mi ci abituerò a vedere la sedia vuota di fronte a me, ad andare a correre da sola la mattina, a rincasare e non trovarti in cucina alle prese con le tue strane ricette, a non venire a prendere un bicchiere di vino da te, a non festeggiare la chiusura di un indagine insieme con una birra… - arrivò subito alla questione la mora, alla quale non erano mai piaciuti inutili giri di parole. - Jane, ma cosa dici! Io sono qua! - - Sei qua? Ti sei resa conto che ormai ci vediamo solo sulla scena del crimine e in laboratorio quando mi aggiorni sugli esami autoptici? Hai realizzato che ormai stiamo portando avanti un mero rapporto lavorativo? - sbottò la detective. Maura riuscì finalmente a fissarla negli occhi per un attimo, erano lucidi e velati da una profonda tristezza: le si strinse il cuore; avrebbe voluto controbattere, dire qualcosa che riuscisse a scuoterla, che le permettesse di capire cosa realmente le passasse per la testa, ma riuscì solo a bisbigliare: - Jane io… - prima di essere interrotta dall’altra: - Tranquilla Maura, lo capisco. Capisco il tuo desiderio di avere qualcuno accanto che ti ami e che ti dia certezze nella vita. Dio solo sa quanto te lo meriti! Ma non pensavo che ti allontanassi così tanto! - - Oh Jane, ma il nostro rapporto non cambierà mai! Anzi io… - tentò di giustificarsi l’altra. - Sta già cambiando Maura, non te ne accorgi? - replicò Jane, con un tono rabbioso misto a rammarico e delusione, quindi con occhi bassi si alzò dal tavolo e fece per andare via. - Jane! Jane! Io intendevo dire… - Nonostante Maura provò più volte a richiamare la sua attenzione, fu tutto inutile, la detective scomparve presto dalla sua visuale, lasciandola sola con una terribile angoscia nel cuore. Angela che quella mattina non era particolarmente oberata di lavoro, osservò da lontano la scena, quindi col pretesto di servire a Maura il suo caffè al ginseng, dedicò qualche minuto alla sconsolata dottoressa, che fissava ancora attonita, la porta da cui Jane era uscita. - Hai discusso con Jane, vero? - le disse la donna in tono materno, cingendole le spalle prima di sedersi di fronte a lei. Maura annuì con gli occhi lucidi. - Mia figlia è una testona! Ma aspetta che la riveda stasera a casa e… - - No Angela, ha ragione… Mi sto comportando male con lei ultimamente. Mi sono lasciata prendere dalla frenesia di questa nuova frequentazione aspettandomi chissà che cosa… Invece più mi addentro un questo rapporto, più realizzo che tutto ciò che ho sempre voluto, è proprio lì a portata di mano, sotto i miei occhi che finora sono stati ciechi… - parlò analizzandosi la dottoressa. - A volte bisogna smarrire se stessi per capire quale sia la strada più giusta per noi. Io lo vedo che Jane ci tiene davvero a te… Non so quale sia la vera natura del vostro rapporto, e sinceramente neppure mi interessa, ma vi state facendo del male, Maura… Sia tu che lei sapete in cuor vostro che nessun Casey e nessun Jonathan potranno mai farvi smettere di provare ciò che sentite l’una per l’altra… - tentò di aprirle gli occhi Angela. - Ma sarebbe un rapporto… Un rapporto… Oh cielo, non so neppure come definirlo! - - Sarebbe un normalissimo rapporto tra due persone che si amano! Ne più ne meno di così! E visto che te lo leggo negli occhi: no! Non mi fa strano! A me importa solo di vedervi felici! E se la vostra felicità è insieme, non posso che gioirne! Lei è mia figlia, ma considero anche te una figlia; sai quanto ami ciascuna di voi… Una madre vuole sempre il meglio per i propri figli… - le parlò materna Angela, prendendole le mani tra le sue. Vinto l’iniziale imbarazzo dovuto al delicatissimo contenuto di quel discorso, Maura si lasciò andare ad un sorriso: - Ed io considero te una madre… - disse. Con ritrovato ottimismo quindi, finì la torta e si congedò dalla sua interlocutrice: - Adesso scappo… - e fece per andarsene, ma tornando sui suoi passi si riavvicinò alla donna, le posò un bacio sulla guancia, quindi continuò: - Grazie Angela; qualsiasi sia la decisione che devo prendere, terrò bene a mente le tue parole! Ti voglio bene! - Quella sera Jane si attardò in ufficio; sapeva che sua madre le aveva viste discutere, e dunque non aveva voglia di tornare a casa per essere messa sotto torchio dalla sua invadente genitrice. Quanto a Maura… beh, avrebbe sicuramente avuto da fare altro, visti l’impegno e le energie che stava profondendo per la sua nuova frequentazione. Tanto valeva allora, portarsi un po’ avanti col lavoro; il caso dell’acciaieria era chiuso, è vero, ma restava sempre quello più raccapricciante delle violazioni di domicilio dell'appartamento della sua migliore amica, anche se, a dire il vero, da quando Frankie aveva iniziato a sorvegliare casa di Maura, nessuno stalker si era più fatto vivo, ed anche il pericolo sembrava rientrato. Non essendoci più una minaccia reale per l’incolumità della dottoressa, la stessa detective aveva firmato gli incartamenti per prosciogliere Maura dall’obbligo della scorta. Sapeva di fare cosa gradita all’altra, che più volte aveva manifestato insofferenza nei riguardi di quella contingenza. Però c’era qualcosa in tutta quella vicenda che non le tornava: uno stalker, se veramente tale, non rinuncia mai alla sua vittima con tanta facilità; non sarebbe di certo stata la polizia a scoraggiarlo, ma era davvero strano che nessuno più si fosse introdotto nel cuore della notte in quella casa. Cosa poteva volere questo fantomatico persecutore da Maura, allora? Ma soprattutto: chi poteva essere? Erano questi i punti di partenza delle considerazioni d Jane, che seduta sulla sua sedia girevole, con una penna a scatto in mano, faceva il punto della situazione: - Finora il principale, nonché unico indiziato per questo caso, è sempre stato Tim Wright, che nutrendo una profonda, quasi morbosa ammirazione nei riguardi della persona di Maura, rispecchia il profilo ideale dello stalker. Ciò mi ha portato a credere che il misterioso stalker fosse proprio lui... - rifletteva ad alta voce, come per conciliare una concentrazione che stentava ad arrivare. - Da casa di Maura non è mai scomparso nulla però... Non sono scomparsi vestiti o biancheria intima, perché evidentemente lo stalker non ha mire sessuali su Maura; oltretutto ha avuto più di una possibilità di stare solo in casa con lei, ma non ha mai approfittato. Non penso si tratti di qualche spia mandata a rubarle il lavoro, perché altrimenti avrebbe preso computer, tablet, ed ogni sorta di materiale dove si archiviano informazioni. Non credo neppure sia un semplice scherzo da parte di qualche buontempone, perché qualsiasi persona dotata di un minimo di buon senso non infrangerebbe mai la legge in un modo così assurdo… Se lo stalker fosse realmente Tim, a cosa potrebbe essere interessato? No, è inutile, la pista di Tim è fuorviante: non dimostra un attaccamento ossessivo compulsivo nei riguardi Maura... Certo è un lumacone smielato e patetico, ma non psicopatico. Senza contare poi che Frankie, che si è appostato per diverse notti sotto casa di Maura, non ha notato niente di sospetto. E l'agente Cohen, mandato a pedinare gli spostamenti di Wright, non ha mai visto quest'ultimo allontanarsi dalla sua abitazione in piena notte e dirigersi anche solo nei pressi dell'abitazione di Maura. Wright è molto intelligente, è vero, e a dispetto di quel suo buffo aspetto si è rivelato una persona che sa il fatto suo, ma probabilmente non è lui l'uomo che importuna Maura… - congetturò sgranocchiando dei biscotti. Demotivata ed anche poco concentrata, accese quindi il computer e cercò nel database dei dipendenti del commissariato il profilo di Maura, senza alcuna ragione precisa, soltanto per vederne la foto e sentirla in un qualche modo più vicina. Le mancavano molto quegli occhi, quella complicità, il calore umano che trasmettevano i suoi abbracci, e cosa assurda, perfino le sue spiegazioni strettamente scientifiche che non le facevano capire nulla o quasi, di quello che la dottoressa diceva. In soli pochi mesi Maura le mancava più di quanto non le fosse mai mancato Casey in anni, eppure lei era molto innamorata dell’uomo. Ma il pensiero che qualcuno potesse portarla per sempre via da lei, adesso la faceva impazzire. La tremenda sensazione di aver aspettato troppo tempo, di aver sbagliato a recitare sempre e solo la parte della buona e fedele amica, anziché rivelarle degli sconvolgimenti emotivi che le creava, la tormentava, provocandole un desolante senso di fallimento. Ma a cosa era dovuto tutto questo malessere? Era giusto che Maura si stesse facendo la sua vita senza di lei, o era giusto che fosse lei parte integrante della vita dell’amica? Un nodo in gola, misto alle farfalle nello stomaco la pervadeva ogni qualvolta pensava alla sua amica; anche in quel momento Jane sorrise guardando la foto sorridente di Maura, quasi come a cercare con il monitor la stessa complicità che aveva con l'altra. Per la prima volta un pensiero si fece nettamente strada in lei: - " Non posso più definirti una semplice amicizia, Maura... Ma ho paura di dirti ciò che sento, perche ho paura dei cambiamenti che potrebbe subire il nostro rapporto, già provato dall'arrivo nella tua vita di Jonathan... " - allontanò infastidita il sacchetto di biscotti dalla sua vista, perché improvvisamente il pensiero di quel viscido individuo, le prese lo stomaco, e quasi in stato di trance si alzò dalla sedia, uscì dal suo ufficio ed entrò in quello del collega accanto al suo. A causa della penombra fece un po’ di fatica ad arrivare alla postazione, ma appena vi riuscì, accese il computer, e mentre aspettava che si avviasse, tentò anche di scassinare i cassetti della scrivania. Non sapeva esattamente cosa stesse cercando, qualsiasi cosa andava bene, purché la trovasse, ma doveva stare molto attenta a non fare eccessivamente rumore. Era sicuramente consapevole infatti, che stava facendo una cosa pericolosa, oltre che illegale, la violazione degli atti di ufficio, e di documenti coperti da segreto professionale era punibile con l’allontanamento definitivo dal posto di lavoro, e costituivano reato penale, per il quale era prevista la pena detentiva. Eppure qualcosa dentro di lei la spingeva a farlo: se serviva a tutelare Maura avrebbe scontato anche dieci ergastoli. Avviò dunque una ricerca tra i file di quel computer, anche se non era certamente brava e capace come il suo partner: - Se ci fosse Frost impiegherebbe la metà della metà del tempo che impiego io! - constatò infatti, ridendo di se stessa e della sua idiosincrasia con l’informatica, ma a poco a poco spulciò meticolosamente tutte le informazioni che il database della polizia le offriva su Brooks; in seguito fece una scansione dei file presenti sul computer dell’uomo ma nulla, tutto era perfettamente in regola. Restava da guardare il contenuto dei cassetti, quindi senza perdere tempo li svuotò. Alcuni contenevano oggetti inusuali, ma innocui; accanto al classico materiale di cancelleria, e ai fogli di moduli prestampati, vi era infatti una palla da baseball, un mazzo di chiavi, una foto di una donna con il vetro della cornice crepato, un paio di pacchetti di crackers, una bottiglietta di profumo, ed alcuni contraccettivi che Jane sperò vivamente non usasse per rapporti sessuali con Maura. Si era quasi convinta che fosse pulito e tornò a sentirsi in colpa perché disprezzava ciò che all'apparenza faceva stare bene la dottoressa. Improvvisamente però, le capitò tra le mani una cartellina gialla che destò subito la sua curiosità: “ Vegeance “, c’era scritto sopra. La aprì dunque e vi trovò dei documenti del concorso di dieci anni prima, quello vinto da lei, con relativi, risultati delle graduatorie e alcune brevi lettere nelle quali reclamava il posto di detective capo della omicidi di Boston con un superiore, arrivando addirittura a minacciarlo e ricattarlo. Trovò alcune schedine delle corse dei cavalli, ed infine un mazzetto di ritagli di giornale che riguardavano lei. Un brivido le corse lungo la schiena: - Ma cosa diavolo è questa roba! - disse allarmata, quindi provò ad entrare nei file di sistema del computer dove vi trovò un altro file denominato “ Vegeance “ e capì che tra le due cose doveva assolutamente esserci una corrispondenza; il fatto che la cartella fosse stata secretata la insospettì parecchio. Con tenacia e perseveranza, noncurante dei passi dei poliziotti di ronda che controllavano i corridoi, inserì dunque varie ed improbabili password per tentare di aprirla, ma nulla: il contenuto di quei file sembrava essere destinato a restare segreto. Stava quasi per demordere, ma ancora una volta la sua attenzione fu calamitata dai ritagli di giornale, finché in un lampo di follia, non tentò un’ultima volta, inserendo la più improbabile delle password: Jane Rizzoli. Improvvisamente le si aprì la schermata di accesso alle informazioni riservate: ce l’aveva fatta, doveva solo visionarli adesso. Grazie alle informazioni reperite, riuscì a riformulare una nuova teoria indiziaria del caso, alla fine la sua tenacia e la sua volontà di proteggere Maura furono premiate, ma quando finalmente ebbe dinnanzi il quadro completo della situazione, restò pietrificata dall’orrore. Balzò giù dalla sedia e corse verso il laboratorio. Dalla vetrata poté scorgere Tim, chino su un microscopio, intento nell'osservazione di alcuni campioni; poco più in là Susie stava asciugando e sistemando delle beute prima di andare via. Entrò concitata e senza neppure salutare, e andando subito al sodo chiese: - Dov'è Maura? - - E' uscita poco fa con quel bellimbusto! - rispose Tim amareggiato, e subito risultò evidente che Brooks non andava a genio neppure a lui. - Poco fa quanto? - insisté Jane con apprensione. - Una ventina di minuti fa... - intervenne Susie. - Che succede detective Rizzoli? - chiese Tim preoccupato dall'improvviso pallore sul volto di Jane, la quale si tenne stretta allo stipite della porta a causa di un mancamento. - Detective, si sente bene? - le andò incontro Susie, nel tentativo di aiutarla. Ma Jane si precipitò fuori dal commissariato, di corsa verso la sua auto, pistola nella cintola e telefono in mano. Compose il numero salendo svelta in macchina e attese invano una risposta di Maura. Riprovò ancora e ancora e ancora, ma niente. Batté i pugni sul volante in un attimo di sconforto, dopodiché riprese il telefono e compose il numero di Korsak: - Pronto Korsak, non c'è tempo per le spiegazioni! Sto andando a casa di Maura. Porta i rinforzi! - disse tutto d’un fiato e riagganciò, partendo in sgommata ed accelerando più che poteva.
  
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