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Autore: ishipxxbullshit    15/08/2015    0 recensioni
«Louis, tuo zio, ha scritto un diario e me l'ha spedito, all'inizio non sapevo cosa pensare e mia madre mi ha inculcato l'idea che fosse un abominio ed una brutta persona.. ma poi ho letto questo e ho capito..»
«Che hai capito, mammina?»
«Ho capito che l'amore non è sbagliato, che l'amore non è un abominio, che l'amore non è peccato, l'amore non è egoista.»
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Ambientato negli anni '70.
Dove Harry regala corone di fiori a Louis e Louis non vede più guerra e non sente più spari con Harry, solo che il più piccolo dà troppi baci sulle guance e Louis parla sempre di Harry, così le mamme decidono di allontanarli, ma, siamo così sicure che persone legate così, possano separarsi?
Genere: Angst, Guerra, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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È dedicato a chi non crede all'amore, fatelo, perché è l'unica cosa bella di questo mondo
Gennaio, 1981. 
Nel silenzio della sua nuova casa, dentro quelle mura troppo bianche, troppo spesse che lo soffocano, finalmente può concedersi qualche lacrima,  ma quando la tua intera famiglia ti si rivolta contro, tu che puoi fare se non ridurti ad uno straccio?
-
«Jason, la vuoi ascoltare una bella storia d'amore?»
 
«Mamma, ma perché dovrei?»
 
«Perché è la storia d'amore del mio fratello, quello che nessuno ci permette di vedere, io lo ammiro molto.»
 
Jason sbuffa, perché davvero non ce la fa più ad ascoltare le stupide storie d'amore di sua madre, lui non ci crede, non dopo che la sua fidanzata delle elementari lo ha abbandonato per un ragazzino più grande.
 
Giugno, 1973.
 
«Louis! Esci da quella stanza e vieni a salutare i nuovi vicini!»
 
Questa è la quarta volta che Johanah rimprovera Louis nell'arco della giornata, eppure lui è un bambino silenzioso, che vive di un mondo tutto suo.
Dove il suo papà non sta facendo la guerra e la sua mamma non è triste.
 
Quel giorno una famiglia si era trasferita affianco a lui, proprio alla casa accanto e a lui non sta bene, perché essendo estraniato dal mondo non vuole proprio far amicizia, anche se ha dieci anni e dovrebbe conoscere gente nuova.
 
«Non fare quel muso, dannazione.»
Quinta volta.
 
Louis osserva con più precisione la casa affianco, è  estranea e non ha ancora l'odore di qualcuno, per questo sospira, sentendosi ancor di più a disagio.
 
«Sorridi.. ecco bravo! Guarda quanto sei bello.» Sua madre gli pizza le guance, Louis ha la pelle delicata quindi si formano subito due chiazze rosee, ovviamente si sarebbe dovuto presente come una bambola di porcellana ai vicini, che brutta cosa.
 
«Buongiorno! Ho visto che vi siete trasferiti questa mattina e ho pensato di venire a salutarvi, per educazione.»
 
La donna che ha aperto la porta ha l'aria molto stanca, due occhiaie sotto gli occhi che però non la fanno apparire brutta, anzi, attorno a lei c'è un'aura di bellezza anche se, da come cammina invitandola a bere un tè e da come finge di sorride, anche Louis capisce che no, non sta bene.
 
Quando entra in casa, però, Louis rimane sorpreso, perché per quanto si vede che è tutto nuovo, quella casa ha già l'aria di essere propria. Come hanno fatto in mezza giornata a riordinare quasi tutto?
 
«Wow, è davvero molto ordinata.»
 
«Be', quando hai un marito in guerra cerchi in tutti i modi di distrarti.»
 
La mamma di Louis tende i muscoli, i nervi, tutto. È diventata un ammasso di tensione dopo aver sentito nominare la guerra.
Anne, così si chiama la donna, capisce che sono in due in quella situazione e allora l'atmosfera sembra aver preso un'altra piega, sembra che  in quelle quattro mura rimbombino spari e urla.
 
«Johannah, Louis. Lei è mia figlia Gemma e lui è mio figlio Harry.»
 
Quando Louis posa lo sguardo su Gemma, ne rimane neutrale, è una bella bambina, un po' più grande di lui, mentre il bambino. Oh, il bambino lo cattura subito, come un faro che si posa sul mare di notte, Harry illumina Louis ed è un po' una cosa esagerata, ma quando Louis vede il suo sorriso contornato da delle adorabili fossette e i suoi occhi che brillano in quel momento, istintivamente tutto prende colore.
 
Si dimentica dei drammi e di tutta quella ingiustizia ed è come uno schiaffo di vento che lo colpisce e gli urla: ‘sei un bambino! vivi come tale’.
Forse non è compito suo asciugare le lacrime di sua madre ogni notte, ogni goccia d'acqua come una pugnalata in mezzo al petto, forse non è compito suo sobbalzare ad ogni notizia alla radio dei caduti in guerra, forse.
Perché i problemi sembrano svanire, come una fenice una volta morta, sono tutti scomparsi con il sorriso raggiante di Harry e la manina che mima 'ciao'.
 
«Louis, perché non vai a giocare con Harry fuori?»
Per la prima volta non si sente in colpa a fare ciò che tutti gli altri fanno, non sente quella sensazione che lo schiaccia sul petto.
 
«Ti piacciono i fiori?» 
Una volta fuori casa, Harry inizia a fare una corona di fiori.
 
Louis all'inizio pensa che sia divertente, insomma, quale bambino ha corone di fiori? Quelle le indossano le bambine con i vestitini e i lineamenti delicati, ma, guardandolo bene nota che anche lui ha i lineamenti delicati.
 
È tanto carino, pensa.
Proprio come la corona di fiori che sta indossano sul capo, ha dei fiori rosa, lilla e gialli. Un'esplosione di colori, in pratica, come i suoi ricci castani scuro, i suoi occhi verdi e le sue labbra molto rosse, anche lui è un'esplosione di colori.
 
«Mi piacciono, sì.»
 
«Secondo te quanto sono belli? Secondo me tanto tanto tanto, tanto quanto il cielo enorme e il mare immenso.»
 
Louis lo ammira esterrefatto. Anche lui ha il papà in guerra, ma sembra che non è la sua priorità, sembra davvero vedere qualcosa di bello in questo mondo. 
Forse perché è più piccolo di Louis, forse perché davvero c'è del bello in questo mondo. 
 
Louis scuote la testa. «Sì, sono tanto belli, ma non tanto quanto te.»
Dopo aver pronunciato quella innocente frase porta entrambe le mani sulla bocca. Ops.
 
Nel frattempo, si aggiunge anche il rosa all'esplosione di colori, rosa sono diventate le sue guance.
 
«Oh, grazie, anche tu. Sei un bambino tanto carino. La vuoi una corona di fiori?» 
Dice, cercando di guardare la sua che sta posizionata esattamente sul suo capo, in modo dolce, scompigliandogli leggermente i capelli.
 
«Certo!» 
Louis si siede accanto a lui, sul giardino di casa sua. L'erba è ancora un po' bagnata, ma non fa niente, non gli importa, non era che sta con Harry, che non sta pensando al suo papà, che non sia divorato dalla paura, che non ha il broncio sul suo bellissimo viso.
 
«Oops, non posso farne un'altra, sennò mamma si arrabbia.» Sembra pensare a qualcosa, perché assottiglia gli occhi e si porta il dito sul mento, sembra davvero dispiaciuto e Louis non vuole che si dispiaccia.
 
«Idea! Prendi la mia, ecco.» Con la lingua in mezzo ai denti, prende la sua corona di fiori e la posiziona sul capo di Louis. Sorride, un sorriso grande, immenso.
Aggiungiamo un altro colore all'esplosione, un colore etereo, che non si può descrivere: la gioia probabilmente, la spensieratezza.
 
«A te sta benissimo!» 
Si sporge in avanti e preme le sue labbra sulla guancia del bambino più grande, è uno scatto, un secondo.
Un'altra esplosione.
L'affetto. 
 
Settembre, 1980.
Louis e Harry non sono più amici. 
Non perché non si trovino bene l'un con l'altro, ma perché dopo quella giornata di Giugno di sette anni fa i genitori li separarono.
 
Perché Harry dava continui baci sulle guance a Louis e Louis creava corone di fiori per giornate intere, solo per la gioia di vedere quella bella fossetta piazzata sulla sua guancia.
 
E quando Louis chiese perché non poteva più vedere Harry la mamma gli rispose. «Tesoro, abbiamo già tanti problemi, non potremmo sopportare anche due figli diventati gay, Harry è una brutta compagnia.»
 
Louis aveva dieci anni, cosa diavolo significava 'anche due figli diventati gay?'
 
Ora le cose erano cambiate, Louis ha diciassette anni e Harry non c'è più.
È sempre difronte ed ogni volta che passa davanti la sua casetta, spera, nel profondo, che può anche solo affacciarsi, oppure uscire di casa, perché gli manca ogni giorno, ma lui non lo vuole ammettere.
 
«Louis Tomlinson?» Le chiede una ragazzina della sua età, con un vestito che le arriva fino alle caviglie, è bianco indaco, è molto bella.
 
È la terza ora, quindi l'orario della merendina.
«Sono Eleanor Calder, stasera Harry Styles compie sedici anni e ha deciso di organizzare una festa perché sua madre è dalla nonna, vuoi venire?»
 
Al solo sentir nominare il suo nome, sente le gote arrossarsi, chissà che sta pensando quella bambina
 
«I-Io non so, devo chiedere a mia madre.»
 
«Ti do l'indirizzo in caso tua madre dice di sì?»
 
Louis scuote la testa dicendo che già conosce l'indirizzo e con un saluto la ragazzina se ne va, è davvero adorabile, pensa, ma non quanto Harry.
 
La giornata scorre velocemente, quasi non se ne rende conto che è davanti casa sua, in realtà era stato in ansia tutta la mezza giornata, aveva pensato a come dirgli che voleva andare alla festa che aveva organizzato Harry.
Ogni volta che in mente gli balenava il pensiero che potesse esserci a quella festa, qualcosa si muoveva nel suo stomaco.
 
Quando Johannah apre la porta, Louis dimentica tutto.
Si ferma il tempo.
Il suoi viso è immobile, la mascella serrata e le lacrime che ancora rigano il suo bellissimo viso.
 
«Mamma? No! No!» Louis inizia ad urlare, perché ha capito tutto e non vuole accettarla questa situazione.
 
«Non è vero! Ti hanno detto una cosa sbagliata, no, no!» Indietreggia, le lacrime scendono copiose, non si fermano, non vogliono fermarsi.
 
«No!» 
L'unica cosa che dovrebbe fare è correre nelle braccia di sua madre, dirle che andrà tutto bene e che prenderà lui le redini della famiglia, che le lacrime non scenderanno più, ma Louis ha creduto per tutti questi anni di essere forte, ma la realtà è che è debole. 
È debole perché a dieci anni invece di giocare con i bambini pensava a suo padre in Afghanistan, perché a dodici anni invece di dare il primo bacio pensava a cosa sarebbe successo se suo padre fosse morto e a tredici anni invece di farsi una comitiva, pensava allo studio, alla guerra e alla crudeltà.
 
Quindi invece che rassicurare sua madre, corre, corre alla casa di fronte ricordandosi che c'è solo Harry.
La mamma non lo ferma, perché, insomma, che potrebbe fare? Urlare di non andare dall'unica persona che l'ha fatto sentire normale e felice nella sua vita? 
 
Suona il campanello, mentre strizza gli occhi. Sente spari, colpi, feriti e vede sangue, anche se attorno a lui c'è solo il fruscio delle foglie che si muovono, lui però sente il terrore e percepisce la guerra sulla pelle.
 
Harry apre la porta e gli spari, i colpi, il sangue, il terrore e la guerra scompaiono. 
«Lo so! Lo so che non ci sentiamo da sette anni e che le nostre mamme ci hanno proibito di vederci ma tu sei l'unico! L'unico che mi abbia fatto sentire bene, felice e normale e quindi 
ho bisogno di te, è successa una cosa orribile.»
 
Harry scuote la testa, Louis finalmente lo nota, i suoi ricci sono molto corti, i suoi occhi ancora più verdi.
«Louis, entra, calmati e siediti sul divano.»
 
Una volta seduto nota che stava allestendo la casa per la festa e si sente terribilmente in colpa.
Non aveva il diritto di entrare in casa sua così, sconvolgendolo, non aveva il diritto di dire quelle cose e neanche di affogarlo con i suoi problemi.
Oggi compie sedici anni.
 
«S-Scusa, me ne vado, io non ho il diritto di piombare a casa tua dopo sette anni.» 
Harry si alza, vuole andargli incontro e rassicurarlo ma Louis si divincola dalla sua presa, così Harry lo abbraccia da dietro.
Posa il suo torace sulla sua schiena tesa, accosta la bocca affianco al suo  orecchio e «Ssh» gli sussurra piano.
 
«Louis, siediti e parlami. Tu non disturbi mai, mai, mai.
Tu sei stato l'unico che non mi abbia considerato strano quando ero piccolo, avrei voluto che crescessi con me, avrei voluto esserti accanto ed essere sempre tuo amico, ma non credi che nonostante tutto siamo stai amici per questi sette anni? Ti ricordi quando Nick, il bullo delle medie mi minacciò di morte e tu intervenisti? 
In ogni situazione di disagio e tristezza noi ci siamo sempre l'un per l'altro, quindi ora ti siedi e parliamo.»
 
«Mio padre è morto.»
 
Ottobre, 1980.
Sono le due di notte e Louis non riesce a chiudere occhio, riesce solo a pensare a suo padre che manca da un mese esatto.
Sembra che se ne siano dimenticai tutti, oppure che evitino di parlarne.
Ogni volta che Louis parla di suo padre, la madre lo zittisce e le sorelle fanno finta che un padre non l'hanno mai avuto.
Sua madre non esiste più.
Da un mese a quella parte, beve, non lavora più e Louis a volte ruba per procurarsi del cibo per le sue sorelle.
Quanto è egoista, pensa, con una famiglia davanti pensa solo a sé stessa.
Nessuno che pensi al suo dolore, alla sua disgrazia.. forse una person-
«Ahia!»
 
I suoi pensieri vengono distratti da un sasso che colpisce la sua gamba.
Sorride, perché anche se si è fatto male, sa chi è.
Si affaccia alla finestra, dopo aver chiuso la porta a chiave.
«Harry.» Sussurra, mentre quest'ultimo si sta arrampicando sulla scala antincendio ed entra dalla finestra, sbattendo anche la testa.
 
«Sei sempre il solito scoordinato.» 
Harry sorride, mostrando la sua fossetta.
Si avvicina a lui e gli dà un bacio sulla guancia destra, come sempre, da sempre.
Louis si stende delicatamente sul letto e gli ritorna in mente il motivo del cuscino bagnato, delle sue lacrime.
Harry nota che la sua faccia diventa tesa improvvisamente, il riccio ha capito in un mese, che ogni volta Louis vuole piangere e si trattiene, serra la mascella e l'intero corpo.
 
Harry si stende vicino a lui e lo stringe, forte forte, forte abbastanza da rassicurarlo quel poco che basta.
«Fra due mesi è il tuo compleanno.»
 
«Ci vuole tempo.»
 
«Ti voglio cucinare una torta natalizia, devo fare pratica.»
Harry si scioglie dall'abbraccio sorridendo, con un ghigno.
«Hai una stupida idea, giusto?»
 
Si alza, prende Louis per il polso e lo porta verso le scale antincendio.
«Dove andiamo?»
 
«A casa mia.»
 
«Eh?»
 
«Ti voglio insegnare a fare le torte.»
 
Dicembre, 1980.
È il ventitré dicembre, tutto sembra essersi fermato.
George Michael risuona nei giradischi delle persone, mettendo gioia ed allegria nelle case allestite di verde.
 
«Louis, domani compi diciotto anni, vuoi che ti organizzi una festa? Che regalo vuoi?»
 
«Voglio poter vedere Harry alla luce del sole.»
 
Johannah si immobilizza, attorno a Louis si condensa il gelo, l'ansia che lo fa sudare, e i brividi che percorrono le sue braccia e la sua schiena.
 
«No!» Urla la madre, facendo cadere tre bottiglie di vino sul tavolo, le tre bottiglie che si è bevuta la stessa notte.
 
Louis capisce che forse non era una buona idea. «Sei ancora ubriaca.»
Sussurra, con gli occhi appannati, le lacrime stanno per cadere.
 
Johannah sta ancora urlando che non può vedere Harry perché è frocio, perché un figlio gay sarebbe peggio di un marito morto.
Quella è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso.
 
Louis, incredulo, sorride deluso ed esce di casa, lasciando sua madre nei suoi problemi e pensa a tante cose, tutte brutte.
Pensa che è nato sbagliato. Pensa che non vuole vivere in questo mondo così.
C'è solo uno spiraglio di luce, c'è solo un arcobaleno in tutta la sua vita: Harry.
 
Inciampa in un sasso, e cade per terra, sbucciandosi le ginocchia.
Chiude gli occhi e piange. Alza gli occhi al cielo, chiedendosi perché sta capitando a lui.
 
Una goccia gli bagna la guancia, sta iniziando a piovere. Perfetto.
Si alza, zoppicando, con il sangue che scorre per tutta la gamba.
Quando finirà tutta questa confusione? Quando pensa alla sua vita, a ciò che è stato, a ciò che è successo, vede solo confusione, sente solo tristezza e delusione.
 
Cammina, con la gamba dolorante ed arriva al fiume del paesino.
Alza il pantalone quanto basta per poi immergere la ferita nell'acqua, all'inizio gli brucia, ma poi pensa che preferisce il dolore fisico a quello emotivo.
 
Così un'idea gli balena in testa, un'idea brutta, oscura, orribile, ma crede che sia la cosa giusta.
Prende un bastoncino di legno e con forza, carica di rabbia, lo infilza nella gamba, il dolore fa malissimo, è lacerante, sente gli occhi lucidi e la gamba bruciare, ma preferisce questo dolore a quello opprimente che gli schiaccia il petto, così lo fa un'altra volta, finché non ce la fa più e il dolore emotivo ritorna.
 
Ha bisogno di Harry.
Sono le otto di sera e ha deciso che non dormirà a casa sua, ha deciso che quella non è casa sua, non più.
Non da quando sua madre non lo accoglie più, non da quando le sue sorelline non giocano più tra loro, non da quando quella casa odora solo di tristezza e non di biscotti appena sfornati e di pane fatto in casa.
 
Così si avvia verso la sua vera casa: Harry.
Casa è un posto che ti faccia sentire al sicuro, che ti protegga, che ti faccia pensare ad un rifugio ed Harry è tutte queste cose, tutte.
Così inizia a correre perché non vuole più aspettare, solo che la gamba gli fa tanto male e il sangue inizia a colare, lo riesce a sentire caldo che preme sulla sua gamba.
La gente si sta preparando per la vigilia, mentre lui pensa che i suoi diciotto anni faranno schifo.
 
Ma prima che possa bussare alla porta, Anne esce, vestita e poco truccata.
Louis si blocca, non torna indietro, né scappa.
«Louis, vuoi entrare?» 
Quest'ultimo spalanca gli occhi, com'è possibile? Fino a poco fa gli proibiva di vedere Harry e ora?
 
«Mi s-scusi?»
 
«Ho sentito tua madre urlare e ti ho visto nel giardino, poi ho visto la faccia delusa e arrabbiata dopo avergli detto che non poteva uscire a rincorrerti e allora ho capito. Voi siete legati, voi lo siete sempre stati, niente e nessuno potrà mai allontanarvi, allora gli ho detto di andarti a cercare, è stato in giro fino ad ora ed è tornato con le lacrime agli occhi, entra, entra.»
Quelle parole lo colpirono come lama incandescente nel petto, ma invece di fargli male, sentì come se fosse stato un abbraccio.
Quelle parole sapevano di un affetto materno, quello che aveva dimenticato, riposto in un angolo del suo cuore.
 
Entra correndo, salendo al piano di sopra, apre di scatto la porta della camera di Harry, lo trova seduto, con la testa china. Sta in pensiero per lui?
 
«Louis!»
Harry si alza sul letto, producendo un rumore con le mole, si avvicina vicino a lui e gli prende le spalle con entrambe le mani, in una stretta ferma. Ed inizia a parlare a raffica, con il fiato pesante.
 
«Louis! Io ti ho visto! Ti ho  visto e sono scappato, ho visto tutto, merda! Le tue lacrime e quello che hai fatto e ho avuto paura, non sapevo cosa fare, cosa dire e sono scappato, non farlo più!» Prende un respiro profondo, perché davvero, sta parlando talmente veloce da non respirare.
«Io non voglio perderti, ho paura, io non voglio, io non-»
Si ferma.
 
Si ferma la terra, si fermano le persone, si ferma il tempo, si ferma anche il cuore di Louis e Harry, le uniche cosa che si muovono sono le labbra di Louis e Harry, che si assaporano.
Da quanto tempo aspettavano questo momento? Loro non sono mai stati amici, non dal momento in cui Harry ha dato un bacio sulla guancia in quella lontana giornata di Giugno, non da quando Louis ha trovato la vita e la speranza negli occhi verde scuro di Harry, non da quando Louis non ha trovato Harry strano e non da quando Louis è sempre tornato indietro da lui.
 
E il tempo fermato, riparte più veloce di prima.
C'è un Louis che spinge delicatamente Harry sul letto e si stende su di lui, lingue che si intrecciano e fanno già l'amore e bacini che si scontrano, facendo fuoriuscire gemiti trattenuti in labbra morse.
 
«Non ti fermare.» Sussurra Harry all'orecchio di Louis, dopo essere entrato dentro di lui.
Le spinte sono scoordinate e non esperte, è la prima volta di entrambi, ma in quel momento, l'amore sta prendendo il sopravvento sulla passione, sul sesso.
 
Quando entrambi vengono finalmente sanno dare una risposta ad una domanda che si ponevano da tempo: 'lo amo?'
 
«Sì.»
 
Marzo, 1983.
Harry e Louis sono sul tetto della casa a mare di quest'ultimo.
«Sai cosa?» 
Sono imprigionati nelle coperte, Harry sul petto di Louis.
«Dimmi, amore.» Risponde Louis, iniziando ad accarezzargli i capelli, preferendo guardare il suo viso, che le stelle.
«Voglio avere quattro figli, due maschi e due femmine.
Alle femminucce le insegnerò a fare corone di fiori e le metteranno tutti i giorni, mentre ai maschietti insegnerai a come calciare un pallone e saranno tanto tanto belli come te.»
Louis sorride, perché nonostante i venti anni, Harry sogna ancora.
 
Harry riesce a distrarlo dai problemi, ma prima o poi devono essere risolti ed affrontati.
«Harry.» Dice in tono serio.
Il riccio ha già capito, questo discorso si sta portando avanti da troppi giorni.
 
Esce dalle coperte, posa una mano sul cuore di Louis. 
«Dici di essere debole perché hai sofferto, ma è proprio questo che ti rende forte.
Io ho paura, ho tantissima paura.»
 
Aprile, 1980.
«Johannah, Lottie, Felicity, devo dirvi una cosa.»
Johannah è uscita dal vortice dell'alcol, si è messa in pari con tutta la famiglia, tranne con Louis e non l'ha mai perdonata completamente. 
Non è mai più ritornato in quella casa, se non per prendere i suoi vestiti, si è trasferito nella sua seconda casa, situata a pochi km da lì.
Ed ogni volta che Louis la chiama per nome, sente come se stesse andando in apnea, come se avesse sbattuto il cuore sul cemento.
Non si è meritata di essere chiamata 'mamma' ed è il suo più grande rimpianto, il suo più grande errore.
 
«Però non qui, non sono l'unico a dover dire una cosa alla mia famiglia.» 
Li fece recare in giardino, dove poco dopo videro Harry con Anne, Gemma e Des, il padre, tornato finalmente dalla guerra qualche giorno fa.
 
Lottie e Felicity sono confuse, ma Johannah ha capito, l'ha sempre saputo.
 
«Bene. Essendo il più grande tra i due parlerò io.»
Guarda Harry, per darsi coraggio un'ultima volta, Harry sorride spaventato e annuisce.
 
«Io ed Harry non siamo mai stati amici, sin da piccoli. Sin da quando ci siamo incastrati, sin da quando abbiamo trovato qualcosa l'uno nell'altro, ma a dieci e otto anni, cosa ne vuoi sapere dell'amore? Alle guance arrossate chi sa dare come spiegazione l'amore? E a tredici anni, con la voglia di vedere sempre l'altro, chi associa tutto ciò all'amore?
Ora però capisco perché, nonostante le nostre mamma abbiano provato ad allontanarci, noi ci siamo sempre rincontrati.
L'amore non è un peccato e non è una vergogna, l'amore non è egoista, né tanto meno un abominio..»
Sta parlando con calma, con un tono sicuro, anche se l'ansia lo sta divorando.
Prende la mano di Harry, senza guardare sua madre, non vuole vedere la sua reazione.
«Io ed Harry ci siamo aiutati, supportati, ci siamo amati ed abbiamo trovato un motivo per vivere nell'altro, ora ve lo stiamo dicendo, non potete cambiarci né tanto meno allontanarci.» 
 
-
«Mamma! Mamma! Come è finita la storia?»
 
«È finita con il papà di Harry che lo riempie di botte e la nostra mamma che non ci permette di vederlo, neanche ora che sono maggiorenne.»
 
Jason sembra sul punto di piangere. «Amore, non piangere.»
 
«M-Ma come fai a sapere queste cose?»
 
«Louis, tuo zio, ha scritto un diario e me l'ha spedito, all'inizio non sapevo cosa pensare e mia madre mi ha inculcato l'idea che fosse un abominio ed una brutta persona.. ma poi ho letto questo e ho capito..»
 
«Che hai capito, mammina?» 
 
«Ho capito che l'amore non è sbagliato, che l'amore non è un abominio, che l'amore non è peccato' l'amore non è egoista.»
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Gennaio, 1981.
Caro Diario, questa pagina non verrà mai spedita, ma volevo solo scrivere questa cosa. 
Voglio tenermi questa cosa per me, leggerla ogni mattino, per ricordarmi che sono fortunato ad avere un amore così grande.
Quando sono arrivato nella casa nuova, ho omesso una cosa. Che avevo cacciato Harry dalla mia vita, dicendogli che era tutta colpa sua, che mi aveva rovinato la vita, l'avevo visto piangere e avevo sentito il mio cuore spezzarsi.
 
Arrivato nella casa nuova, piansi, piansi per giorni, fin quando qualcuno non bussò alla porta: era Harry.
Aveva i ricci scombinati e gli occhi rossi dal pianto.
Avevo sussurrato il suo nome, lui invece, si era buttato sulle mie labbra, dicendo che non ha mai creduto alle parole che avevo detto, che aveva sempre creduto alle promesse mantenute ed al mio cuore che batteva sempre forte quando ero con lui.
 
Ci eravamo detti ti amo con gli occhi ed ora viviamo insieme, siamo felici, stiamo insieme.
 
   
 
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