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Autore: mudblood88    16/08/2015    5 recensioni
Seguito di "I cattivi non hanno mai un lieto fine, ma Regina ha Emma."
TRATTO DAL TESTO:
«Vuole il tuo cuore, Emma».
«Non mi importa» rispose la bionda, con fermezza. «Non ti lascerò andare da sola».
Regina fece un passo verso di lei, trovandosi a pochi centimetri dal suo viso.
«Emma, ascolta...»
«No» la interruppe, alzando le mani in un gesto deciso. «Non mi importa, qualsiasi cosa dirai ho preso la mia decisione. Avevo promesso a Henry che mi sarei presa cura di te. Che ti avrei protetta. Ed è quello che ho intenzione di fare. Io sono la Salvatrice!»
«Emma» disse Regina, in tono grave. «A volte... anche la Salvatrice deve essere salvata».
Genere: Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Emma Swan, Henry Mills, Regina Mills, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 14
Undici giorni prima del solstizio d'estate 



 

Regina fu invasa da un milione di pensieri, mentre raggiungeva quella che una volta era casa sua.

Continuava a chiedersi cosa stava succedendo. Cosa stava facendo e come avrebbe fatto a uscire da quella situazione. Era combattuta; non voleva trovare lo scrigno da Robin, ma al tempo stesso avrebbe voluto trovarlo. Perché se non l'avesse avuto lui, sarebbero state in un vicolo cieco e ormai il tempo cominciava a scarseggiare. Poi cercò di essere onesta con sé stessa, e dovette ammettere una cosa che la distruggeva terribilmente.

Avrebbe voluto che Robin avesse lo scrigno per poterlo allontanare. Voleva una scusa per avercela con lui, per poterlo escludere dalla sua vita.

Era totalmente irrazionale, lo sapeva; portava in grembo il suo bambino, suo figlio. Non poteva escluderlo come se niente fosse. Ma non poteva farci niente se ormai non vedeva più un futuro con lui. Non poteva farci niente se ormai vedeva un futuro solo con Emma Swan.

Lei ed Emma avevano parlato a lungo sul da farsi. Anche se la ragazza aveva provato in tutti i modi di dissuaderla, attaccandosi ad ogni minimo dettaglio per farla desistere, alla fine le aveva dato degli ottimi consigli.

Per prima cosa, Regina avrebbe dovuto trattare Robin normalmente, come se non sospettassero di lui. Doveva essere esplicita e parlargli della scomparsa dello scrigno, perché se l'avesse rubato davvero lui, avrebbe trovato sospetto il fatto che non gliene parlasse. In secondo luogo, avrebbe dovuto essere cauta e non rischiare di sembrare troppo avventata.

Arrivò davanti al 108 di Mifflin Street con il cuore in gola. Alzò il braccio per bussare, esitante.

Poteva farcela, si ripeté. Doveva solo scacciare quel senso di disagio che ormai la attanagliava ogni volta che vedeva Robin. Era strano, era davvero strano come funzionava il cuore. Vedere Robin avrebbe dovuto farle provare nostalgia, rimpianto, mancanza. E invece, a parte lo stupore iniziale, non aveva provato altro che disagio.

Si decise a bussare. Era ora di pranzo, Robin poteva non essere a casa. Invece, pochi istanti dopo, sentì dei passi all'interno della casa e vide la porta aprirsi.

«Regina!» esclamò l'uomo, con sorpresa.

«Ciao, Robin» disse, abbozzando un sorriso. «Posso entrare?»

«Ma certo!» esclamò Robin, spostandosi di lato per far passare Regina.

La donna entrò, seppur con riluttanza, e cominciò a guardarsi intorno.

Era strano trovarsi lì dopo tanto tempo. Sembrava passato un secolo da quando era stata per l'ultima volta in quel salotto, invece erano passate solo poche settimane. Sentì l'impulso di correre in camera di Henry per vedere se era ancora come lui l'aveva lasciata. Sorrise, augurandosi che la prossima volta che sarebbe entrata lì sarebbero stati di nuovo insieme. E magari poteva esserci anche Emma con loro.

«Tutto bene?» Robin interruppe i suoi pensieri. «Hai bisogno di qualcosa? Stai bene?»

«Sto bene» disse Regina, mentre Robin le si avvicinava. «Volevo soltanto...»

Regina si bloccò. Lei ed Emma si erano organizzate su tutto, su ogni minimo dettaglio, e non aveva pensato all'unica cosa che in quel momento le serviva; una scusa per essere lì.

Robin la guardò interrogativo e lei sorrise. «Volevo passare un po' di tempo con te. Se a te fa piacere».

Robin la raggiunse e l'abbracciò. Regina ricambiò, seppur con freddezza.

«Ma certo che mi fa piacere» sussurrò Robin, al suo orecchio. «Vorrei che potessimo passare più tempo insieme».

Quando l'uomo sciolse l'abbraccio, Regina si ritrovò a pochi centimetri dal suo viso. I suoi occhi incontrarono quelli di Robin, che le rivolse uno sguardo dolce, caloroso, comprensivo.

«Pranzo» borbottò Regina.

Robin trasalì.

«Volevo invitarti a pranzo» aggiunse Regina, allontanandosi e liberandosi dalla stretta dell'uomo. «Dove ti piacerebbe andare?»

Robin sorrise. «Non abbiamo molta scelta, a dire il vero».

Entrambi risero.

«Direi che Granny va più che bene» disse Regina, e insieme uscirono dalla casa per raggiungere la tavola calda.

 

**

 

Emma non riusciva a concentrarsi.

Aveva sfogliato lo stesso libro, soffermandosi sulle stesse pagine per ore, senza concludere niente. Sapeva bene che così non era di alcun aiuto, ma non riusciva a smettere di pensare a Regina insieme a Robin.

La gelosia la stava divorando. Insieme all'ansia, alla rabbia, alla preoccupazione. Detestava lasciare Regina da sola. Non che non sapesse cavarsela, anzi. Ma aveva sviluppato un senso di protezione verso di lei talmente forte che non risciva a darsi pace, quando non erano insieme.

Sospirò, e decise di mettersi seriamente a leggere i libri. Controllò pagina per pagina, cercando indizi nella magia oscura che le permettessero di collegarsi all'ombra. Ci mise più di un'ora soltanto per il primo volume; erano davvero tante pagine, ma in nessuna trovò risposte.

Non fece una pausa nemmeno per pranzare, tanto aveva fatto un'abbondante colazione mentre andava in biblioteca. Il secondo volume fu più difficile da comprendere, perché alcune parti erano scritte in elfico. In quel momento avrebbe voluto sapere molte più cose sulla magia, sulla scrittura elfica, e su tutto ciò che avrebbe dovuto sapere ma che, per forza di cose, ignorava.

Poi la sua attenzione fu catturata da un paragrafo che parlava della magie delle ombre. Lo lesse ad alta voce.

«La magia delle ombre è formata da illusioni ottiche, veri e propri giochi di luci e ombre che possono essere controllati da oggetti magici. Questi oggetti, una volta usati come luogo di contenimento di tale magia, permetteranno alle ombre di diventare un'essenza vera e propria, dandogli la possibilità di rigenerarsi anche al buio».

Lo lesse e rilesse più volte. Poi fece un segno nella pagina per poterlo far leggere a Regina, quando sarebbe tornata.

Proseguì nelle pagine successive, in cui veniva spiegato come le ombre potevano agire. Lesse che queste ombre erano in grado di compiere azioni, e attraverso l'oggetto che racchiudeva la magia, potevano anche applicarla.

Si soffermò sulle ultime parole. Potevano applicare la magia. Quindi poteva essere stata l'ombra ad entrare nella cripta.

Ripensò al suo incontro con l'ombra, e cercò di memorizzarne ogni dettaglio; era una macchia nera, informe, inconsistente, e non le sembrava che avesse oggetti con sé.

Rilesse ancora una volta quella frase. Potevano compiere azioni e applicare la magia. Quindi potevano anche compiere azioni usando la magia.

Scattò in piedi. «Ma certo!» gridò.

Ripensò a quando erano state al negozio di Gold e avevano trovato il portale disattivato. L'ombra era lì, come era stata al confine. Quindi sapeva esattamente cosa fare.

Si guardò intorno, in cerca del libro di Henry. Lo afferrò, se lo mise sottobraccio, e uscì velocemente dalla cripta.

 

**

 

Regina e Robin avevano passato una bella giornata insieme. Dopo aver pranzato da Granny, avevano fatto una passeggiata nel bosco, avevano parlato e avevano riso insieme, come ai vecchi tempi. Robin le aveva chiesto come procedeva la loro operazione per spezzare il sortilegio, e lei aveva seguito alla lettera i suggerimenti di Emma. Aveva detto che lo scrigno gli era stato rubato, ma non aveva accennato al libro. Robin si era subito offerto di aiutarle a trovare chi l'avesse portato via.

Regina aveva sentito scemare quel senso di disagio che aveva provato le ultime volte che l'aveva visto, ma ogni volta che Robin cercava un contatto con lei, che fosse dal prenderle la mano o cercare di baciarla, si era di nuovo irrigidita. Robin l'aveva notato, ma aveva fatto finta di niente.

«Ho un'idea per la cena che sono sicuro ti piacerà» disse Robin, rientrando a casa.

Regina non rispose.

«Vado a fare la spesa e ti cucino qualcosa io, che ne dici?»

Robin sembrava raggiante, ma non fu quello che convinse Regina ad accettare l'invito. Sarebbe voluta tornare da Emma, ma Robin sarebbe uscito di casa per la spesa e quindi lei avrebbe avuto un buon momento per mettersi a cercare lo scrigno.

Sfoggiò un gran sorriso. «E' una bellissima idea» disse.

«Vado subito, allora» disse Robin. «Tu resta qui, torno tra un attimo e penso a tutto io».

«Fai pure con calma» disse Regina, mordendosi un labbro. «Mi trovi qui quando torni».

Quando sentì la porta sbattere, Regina aspettò ancora qualche minuto prima di mettere a soqquadro la casa.

Cercò dentro ogni cassetto, in ogni angolo, sotto ai letti, perfino nei posti che, lo sapeva bene, erano dei perfetti nascondigli per oggetti di valore. Lei conosceva quella casa meglio di chiunque altro, ovviamente, anche meglio di Robin. Dubitava che Robin potesse sapere che dietro lo specchio dell'ingresso vi era un nascondiglio, ma ci guardò comunque.

Poi raggiunse il suo studio. Lei avrebbe nascosto lì qualcosa di valore. Cercò nei cassetti della scrivania, tra i libri della libreria, guardò perfino sotto l'asse del pavimento che, da anni ormai, ospitava un piccolo sottosuolo.

Si rese presto conto che non aveva senso cercare alla cieca. Robin non conosceva quella casa, non avrebbe mai nascosto lì quello scrigno. O forse, sperò, non l'aveva proprio rubato.

All'improvviso sentì un rumore, così sistemò le poche cose che aveva toccato, e ritornò in salotto. Era convinta di trovarvi Robin, con le buste della spesa, ma invece non c'era nessuno. Vide la finestra aperta, così si guardò intorno, prima andare a chiuderla. Fuori tirava un sacco di vento, per essere una giornata di metà giugno.

Chiuse la finestra, si voltò, e si immobilizzò subito.

L'ombra era davanti a lei, ferma. Era esattamente come Emma l'aveva descritta; informe, senza sostanza, nera come la notte.

Regina trattenne il respiro.

«Che cosa vuoi?» gridò. L'ombra non aveva una faccia, quindi Regina si ritrovò a parlare con il nulla.

Fece un passo indietro ma si ritrovò con la schiena contro al muro. Quando vide che l'ombra le si avvicinava, alzò le mani e la spinse via, facendola fluttuare verso il soffitto.

Restò a guardarla per qualche istante, prima di dirigersi alla porta. Ma non fece in tempo a raggiungerla, che l'ombra le si parò di nuovo davanti, e lei ancora una volta dovette spingerla via usando la sua magia.

Era come se l'ombra volesse toccarla, o forse... attraversarla. Esattamente come aveva fatto con Emma nel suo sogno.

Ancora una volta l'ombra le si avvicinò, e lei dovette spostarsi di lato, rinunciando a raggiungere la porta. Poi guardò di nuovo verso la finestra, la spalancò con un gesto della mano, e non appena l'ombra le si parò davanti per la terza volta, la spinse verso la finestra aperta.

L'ombra non riuscì a fermarsi, fu sbalzata fuori dalla casa, e Regina subito richiuse la finestra. Sapeva che sarebbe potuta rientrare da un momento all'altro, ma sperò di averle fatto almeno un po' paura.

Regina era ancora impalata a controllare la finestra quando sentì la porta aprirsi. Si voltò, alzando le mani pronta a usare la sua magia.

«Regina!» Robin sussultò, e anche lei. «Che succede?»

«Nulla» Regina abbassò le mani. «Nulla, è solo che... sono un po' nervosa».

Robin la guardò, socchiudendo gli occhi. «Mi metto ai fornelli» disse, alzando le buste della spesa che teneva sotto braccio.

«Robin» lo fermò Regina.

L'uomo si voltò.

«Posso... posso fare una doccia?»

«Ma certo, che puoi. E' casa tua» Robin sorrise. «Ci sono ancora i tuoi vestiti, se vuoi cambiarti».

Regina sorrise. «E' perfetto. Ci metto un minuto».

«Fai pure con calma» e così dicendo, l'uomo raggiunse la cucina.

Regina si diresse alle scale, ma prima di farlo recuperò un foglio e una penna dal mobile dell'ingresso. Poi salì e raggiunse il bagno.

Si chiuse dentro e accese l'acqua della doccia, ma non vi entrò. Scrisse poche righe sul foglio, lo arrotolò, e poi raggiunse la finestra. Fischiò, e un uccellino arrivò sul davanzale.

Prese un elastico per capelli che si trovava sul mobile e legò il messaggio alla zampa dell'uccello.

«Trova Emma Swan».

L'uccellino sbatté le ali un paio di volte, prima di librarsi in volo.

 

**

 

Era il tramonto quando Emma raggiunse il confine di Storybrooke. Mentre camminava, aveva imprecato molte volte contro Regina, che non le aveva ancora insegnato a teletrasportarsi. Se ne fosse stata capace, sarebbe andata e tornata in pochissimo tempo, senza dover perdere quasi tutta la giornata.

Non sapeva neanche cosa si apsettava di trovare. Aveva pensato che l'ombra potesse avere disattivato il portale nell'armadio del negozio di Tremotino. L'avevano vista fuori dalla porta, inizialmente pensavano fosse l'ombra di qualcuno, ma Emma non era più sicura fosse così. Magari era quella stessa ombra che aveva toccato quella notte nel bosco, e magari era la stessa che Regina aveva visto al confine. E se era al confine, pensò, magari poteva aver fatto un incantesimo perché non potessero uscire da Storybrooke.

Quella era la prova che le serviva. Le coincidenze sarebbero state troppo evidenti per poterle ignorare, e lei avrebbe dovuto ammettere che Robin, forse, non c'entrava niente. La cosa positiva di tutto ciò era che almeno Regina avrebbe lasciato perdere con la sua missione sotto copertura e sarebbe tornata da lei.

Superò l'insegna di Storybrooke e raggiunse la linea del confine, attraversandola senza esitazioni. Ma non aveva nemmeno fatto in tempo a mettere un piede dell'altra parte che fu sbalzata all'indietro, e un muro di luce si materializzò sulla linea di confine, scomparendo in pochi secondi.

«Ma che diavolo è?» sbraitò Emma, rimettendosi in piedi.

Raggiunse di nuovo la linea, ma stavolta allungò un braccio, con cautela, per sfiorare quel muro di luce. Al suo tocco, la luce ricomparve come un lampo, attravesando tutto il confine, sparendo subito dopo. Ritrasse la mano velocemente.

«Sono un'idiota!» gridò, e la sua voce rimbombò con un'eco.

Si mise a correre nel buio, in quella fresca serata di giugno, stringendosi nel giacchetto rosso per proteggersi dal vento.

Doveva tornare da Regina e dirle che aveva sbagliato tutto, che Robin non c'entrava niente, e quell'ombra strana tramava qualcosa. Doveva smetterla di essere gelosa e mettere da parte i suoi sentimenti per capire come proteggersi dall'ombra e recuperare lo scrigno. Mancavano solo undici giorni al solstizio e non potevano perdere altro tempo.

Mentre correva sentì un cinguettio sopra la sua testa, ma non ci badò. Alzò la testa soltanto quando sentì quel verso sempre più insistente, e fu allora che vide quell'uccellino portare un messaggio legato alla zampa. Si fermò, e la creatura le si posò su una spalla.

Emma slegò il biglietto e lo srotolò. Lesse le poche righe scritte dalla calligrafia sottile di Regina.

"L'ombra è stata qui, vuole qualcosa. Scrigno non trovato. Torno appena posso. R."

Emma non si soffermò più di tanto sul biglietto. Quelle parole le avevano dato un motivo in più per ricominciare a correre.

 

**

 

«E' tutto meraviglioso, Robin» disse Regina, raggiungendo di nuovo il salotto.

Dopo aver mandato il messaggio ad Emma, aveva cercato lo scrigno anche in bagno – senza risultati – e poi aveva deciso di fare davvero quell'agognata doccia. Scese al piano di sotto dopo essersi messa dei vestiti puliti. Non era stato facile trovare, nel suo armadio, dei vestiti comodi. Dopo aver scartato vari vestiti, optò per un paio di pantaloni neri classici e una camicia bianca, una di quelle che usava sempre quando andava in ufficio, quando ancora era il Sindaco di Storybrooke.

«Sei un incanto» disse Robin, guardandola da capo a piedi. Poi si avvicinò a lei, con una scatolina in una mano. «Per te» disse, porgendogliela.

Regina la prese e la aprì.

«Robin, è...»

All'interno della scatolina c'era una catenina con un pendente.

«Ti piace?» Robin prese la catenina dalla scatola, e si mise alle spalle di Regina.

«Mi piace molto, sì» rispose la donna, mentre Robin le legava al collo il ciondolo.

«Sono contento che ti piaccia».

Robin la fece sedere, esattamente come facevano i gentiluomini, accompagnandole la sedia. Poi accese le candele che aveva sistemato sul tavolo e servì ciò che aveva preparato.

«Tagliata di manzo in crosta con salsa agrodolce».

Regina inarcò le sopracciglia. «Ma quando hai imparato a cucinare queste cose così prelibate?»

Robin si mise a sedere di fronte a Regina, dopo aver sistemato la pirofila al centro della tavola.

«A New York, io e Marian... abbiamo seguito un corso di cucina». Robin abbassò lo sguardo, colpevole. «Spero che ti piaccia» aggiunse, poi, servendo a Regina una porzione.

Regina non rispose al commento di Robin sul corso di cucina, ma si rese conto che non l'aveva toccata più di tanto. Poi Robin stappò una bottiglia di vino rosso, lo versò nei calici, e ne porse uno a Regina.

In quel momento, Regina si immobilizzò. Afferrò il calice, seppur titubante, e attese.

«Propongo di fare un brindisi» disse Robin, alzando il suo calice. «Non vorrei sembrarti affrettato, Regina, ma spero... spero che potremo avere una seconda possibilità. Perciò, a noi due».

Regina esitò. I due calici tintinnarono l'uno contro l'altro, Robin bevve un sorso, mentre lei restò a guardare incerta il liquido color porpora.

«Qualcosa non va?» domandò Robin, notando la sua espressione.

Regina alzò lo sguardo. «Va tutto bene» disse, posando il bicchiere.

«Non ti piace il vino, forse?»

«No, mi piace, è solo che...» esitò. «...non posso bere» poi si alzò di scatto. «Anzi, scusa, non posso neanche rimanere a cena. E' meglio che vada».

Regina si avviò alla porta, e Robin subito restò immobilizzato sulla sedia. La reazione di Regina l'aveva preso alla sprovvista, così impiegò qualche secondo prima di seguirla.

«Regina, ma che ti prende?»

Regina non si voltò nè si fermò. «Niente, ma devo andare».

Robin la raggiunse. «Ho fatto qualcosa di sbagliato?» domandò, afferrandola per un braccio. Erano a pochi passi dalla porta d'ingresso.

Regina cercò di liberarsi. «Robin, lasciami andare, ti prego».

Robin la prese per le spalle, ma lei distolse lo sguardo. Lui spalancò gli occhi, fissandola, e mosse la bocca in una smorfia.

«Regina, devo forse sapere qualcosa?»

Regina non riusciva a guardarlo. Non rispose, ma sapeva che il suo silenzio sarebbe stato una risposta sufficiente per Robin.

«Regina?»

Lei lo guardò, e nel momento in cui i suoi occhi incontrarono quelli di Robin, lui capì.

«Regina, sei incinta?»

Il cuore di Regina perse un battito. Distolse di nuovo lo sguardo, cercando di liberarsi dalla stretta di Robin. Strinse le labbra in una smorfia, prima che l'uomo non ripeté: «Regina?»

Lei lo guardò di nuovo.

«Sì» disse, in un sussurro.

Poi Robin la lasciò andare, sconvolto. Indietreggiò di qualche passo, appoggiandosi contro ad una parete.

Regina sarebbe potuta uscire, ma a quel punto c'era qualcosa che la tratteneva. Non poteva andarsene senza dare spiegazioni.

«Mi dispiace, volevo dirtelo...»

«E perché non l'hai fatto?» la interruppe Robin.

Regina sospirò. «Non lo so, tu... tu devi tornare dalla tua famiglia».

«Ma anche tu sei la mia famiglia, e anche questo bambino che...» Robin parlava con voce mozzata. «Regina, sei incinta. Di quanto?»

«Sei settimane, circa» rispose la donna. «Forse sette. Non ho avuto modo di fare... molti controlli...»

Robin le si avvicinò come una furia.

«Domani andremo a farne uno, subito» e le prese la mano. «Mi dispiace non esserti stato vicino. Da ora in poi ci sarò».

Regina fece scivolare la sua mano lontano da quella di Robin.

«Devi tornare dalla tua famiglia, Robin» ripeté. «Io non ho bisogno di te, starò bene».

Robin la guardò con occhi sgranati. «Regina, sei incinta di mio figlio. Non vi abbandonerò mai!»

«Ma non puoi abbandonare nemmeno Roland e Marian. Hanno bisogno di te!»

«E tu?» chiese Robin. «Tu non hai bisogno di me?»

«No» replicò Regina. E si rese conto che era vero. «Non ho bisogno di te. Tu tornerai dalla tua famiglia, e io dalla mia» aggiunse, come per rafforzare il concetto.

L'espressione di Robin vacillò appena.

«Ma com'è possibile? Cosa è cambiato per...»

«Amo un'altra persona!» gridò Regina, frustrata. «Amo un'altra persona e la mia famiglia è con lei».

Il silenzio calò in tutta l'abitazione.

Regina non parlò, le spalle che quasi toccavano la porta d'ingresso. Un solo passo e sarebbe potuta uscire.

Robin era distante da lei, anche lui con le spalle al muro, l'espressione sconvolta e confusa in viso.

Non si erano mai sentiti più distanti di così. Si guardarono, ma i loro occhi non si incontrarono mai.

Poi accadde qualcosa che Regina non si sarebbe mai aspettata. Sul viso di Robin comparve un ghigno che lei non riconobbe; quell'espressione non apparteneva al Robin che lei conosceva. L'uomo si mosse di qualche passo.

«Era proprio questo che mi serviva. Una confessione. La confessione del tuo amore per la Salvatrice».

Regina lo squadrò. Aveva parlato con voce fredda, meccanica, una voce che non era la sua. Così come non era sua quell'espressione e quegli occhi di ghiaccio.

«Robin?» borbottò Regina, sconvolta.

Robin rise, una risata che squarciò l'aria. «Non sono Robin».

Regina cercò di mantenere la calma. «Chi sei allora?» chiese.

Robin sogghignò, mentre i suoi occhi diventarono gialli e luminosi, privi di calore.

«Sono il tuo peggiore incubo».

  
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