*****
Per
quale motivo, poi, avevo deciso di accettare
quell’incarico? Non che mi fosse stata data altra scelta,
giustamente, ma se
avessi potuto avrei preferito concentrarmi su altro e su un soggetto
completamente differente perché, più si
avvicinava il giorno della partenza e
più io cominciavo ad andare nel panico più
totale. Ed era anche un compito
semplice, alla fine, ma non capivo per quale motivo mi sentissi
così incapace e
fuori luogo, per non parlare di quella sottile paura che mi invadeva
ogni volta
che cominciavo a come sarei potuta sopravvivere a quella settimana con
Luca.
Speravo
solamente che, almeno nei pochi membri
dello staff che mi avrebbero affiancato, ci fosse qualcuno di compagnia.
Non
avevo avuto molto tempo per fare altro, prima
di andare in Puglia, se non prepararmi e passare ad aggiornare mio
padre alla
piscina. Ed era stato un supplizio entrare lì dentro ed
attendere che Claudio
finisse di riprendere un gruppetto di ragazzi per chissà
quale cosa. Un
supplizio soprattutto per colpa degli occhi di Travis che sentivo
addosso,
puntati alla schiena. Non avevo intenzione di voltarmi né
tantomeno di
rivolgergli la parola, non ce l’avrei fatta a mantenere la
calma e, in quel momento,
avevo bisogno dei miei nervi saldi per non impazzire davanti a mio
padre.
Era
difficile nascondere una cosa simile a lui, ma
se gli avessi raccontato anche solo un minimo particolare avrebbe
cominciato ad
insospettirsi, a fare sempre più domande ed io non avrei
retto e,
probabilmente, gli avrei raccontato tutto – beh proprio tutto
no, ovviamente –
e lui sarebbe andato su tutte le furie. Così avevo preferito
tacere e mentire
più a me stesa che a lui, facendo finta che non fosse
davvero accaduto nulla di
particolare. Ma l’insistenza dello sguardo di quel maledetto
pallone gonfiato
che sentivo tra le scapole era davvero insopportabile.
Poi
mi si affiancò Luca che cominciò a straparlare
come al solito di come avrei amato il suo paese, il mare e tutto
ciò che poteva
esserci in Puglia, e di come lui sarebbe stato la guida turistica
perfetta, nei
miei confronti. E non me ne poteva importare di meno, in tutta
sincerità,
perché probabilmente mi sarei limitata ai servizi
fotografici per la rivista
poi mi sarei chiusa nella mia stanza d’albergo, nulla di
più.
Per
fortuna, Roberto richiamò Luca all’ordine,
mandandolo a fare altre vasche lontano da me e, finalmente, vidi mio
padre
avvicinarsi a me, con il suo solito sorriso sul volto.
Così
gli raccontai ogni cosa e lui, tanto per
cambiare, ne fu schifosamente entusiasta, perché è un’occasione irripetibile,
disse lui. Ed io, invece, ne avrei
fatto volentieri a meno. Ma nessuno sembrava capirlo, tantomeno lui che
sprizzava gioia ed orgoglio da tutti i pori e, probabilmente, se avessi
deciso
di abbandonare l’incarico avrei rappresentato
l’ennesima delusione, per lui.
Quindi tanto valeva tenere la testa bassa e continuare per una strada
che non
volevo assolutamente percorrere. Continuò anche lui a
straparlare su come mi sarebbe
piaciuta sicuramente, quell’esperienza, e di come sarei
potuta crescere ancora
di pi per quanto riguardava il lavoro, ma non stavo nemmeno ad
ascoltarlo, io.
Erano sempre le stesse parole che mi rifilava ogni volta che lo
informavo di un
nuovo incarico, e cominciava davvero ad essere monotono, lui. Nemmeno
se ne
accorgeva, poi.
Cercai
di andarmene il più in fretta possibile,
interrompendolo a metà delle sue parole di incoraggiamento,
praticamente
scappando da quel luogo, da quell’odore di cloro che aveva
cominciato a farmi
venire la nausea e da quel paio di occhi che continuava a scorticarmi
la
schiena.
Era
tutto stramaledettamente pronto. Tutto tranne
la sottoscritta, che non faceva altro che girovagare per casa in cerca
di
qualcosa di cui, in realtà, non aveva bisogno. Un motivo ben
preciso c’era, se
avevo deciso di preparare la valigia giorni prima della partenza, e
quella ne
era la prova. E fu quasi assurdo rendersi conto di come, Torre
dell’Orso, mi
arrivò alle calcagna senza che me ne rendessi minimamente
conto perché, sì, ero
arrivata con quei pochi membri dello staff che mi ero stati affiancati
e di
Luca nemmeno l’ombra. Almeno mio padre aveva avuto
l’accortezza di avvisarmi la
sera prima di come, di punto in bianco, dopo l’allenamento il
nuotatore fosse
partito per il suo paese natale, senza rendere partecipe nessuno di
quella
notizia. Avevamo già cominciato con il piede sbagliato, ma
cercai in ogni caso
di non pensarci oltre.
Certo,
quel paesino sembrava una meravigliosa
briciola di mondo, ma non migliorava affatto la mia situazione e
nemmeno quello
che avrei dovuto passare per un’intera settimana. Il mare che
si stagliava
davanti alla costa era a dir poco invitante, con quel colore intenso e
limpido;
sembrava irreale trovarsi lì, se non fossero stati per i
borsoni delle
attrezzature e per l’ansia che non accennava a diminuire.
Avrei preferito di
gran lunga passare alcuni giorni sulle spiagge che erano state scelte
per il
servizio a poltrire, tra acqua e sole, invece che dover lavorare in un
posto
simile.
E,
ovvio, mi trovavo in un angolo di paradiso e, tra
l’altro, era per lavoro, ma la compagnia lasciava davvero a
desiderare.
Soprattutto se mettevo in conto che proprio Luca rientrava nella
categoria dei
più simpatici del momento. Ed era davvero strano rendersi
conto di come mi ero
ridotta a creare nella mia mente dei compartimenti stagni dove gettare
la gente
secondo i miei gusti, ma in quei giorni fu proprio così.
I
membri della troupe che mi avevano accompagnata erano
degli asociali, in realtà, diffidenti da far spavento e, con
ogni probabilità,
anche muti dato che nemmeno all’arrivo
all’aeroporto si erano disturbati a dire
una sola parola come saluto. Solamente una ragazza, Mara, aveva avuto
il
coraggio di farsi avanti per il resto del gruppo e di salutarmi,
chiedendomi
addirittura come stessi. Un miracolo, praticamente. Non che mi
lamentassi,
capiamoci: la solitudine, nel novanta per cento dei casi, faceva sempre
al caso
mio e quell’esperienza non era da meno; tuttavia vedere che,
almeno ad una
persona, ispiravo fiducia non era affatto male.
Solamente
dopo esserci sistemati nell’albergo ed aver
ritrovato Luca – ammiccante come sempre – ci
rendemmo conto che, se avessimo
voluto rispettare le scadenze ed i giorni disponibili per il servizio
fotografico,
avremmo dovuto cominciare quel pomeriggio stesso con le fotografie al
mare. Non
prima di esserci concessi un bagno.
Non
era proprio il clima ideale, per essere a metà Marzo
più o meno, ma quella distesa d’acqua
così limpida, pura ed invitante era una
tentazione troppo grande a cui poter resistere. Così Luca,
Mara ed io ci
ritrovammo immersi nell’acqua fino al collo prima di
cominciare davvero a
lavorare. Avevo in dotazione anche l’attrezzatura subacquea,
ma non mi sembrava
la giornata perfetta per utilizzarla.
Il
resto della piccola troupe – tre personcine abbastanza
anonime – restarono seduti in spiaggia ad osservare la scena,
con
un’espressione a dir poco annoiata in volto. Erano due
ragazzi ed un’altra
ragazza, e nemmeno ricordavo i loro nomi, ma di certo loro non avevano
fatto
alcunché per aiutarmi in quell’impresa.
Ci
ritrovammo ad ascoltare Luca parlare del suo paese,
Mara ed io, incantate dall’immagine che potevamo scrutare
dall’acqua e dalle
parole del nuotatore, anche. Era un bel paesino, davvero, forse troppo
piccolo,
ma comunque suggestivo. Eppure, per qualche motivo, sentivo che mancava
qualcosa all’appello, qualcosa che probabilmente avrebbe
cambiato le carte in
tavola e migliorato nettamente la situazione, ma era troppo tardi per
restare a
pensare a cose del genere, dovevamo lavorare e riuscire ad ottenere
scatti
sensazionali per il servizio fotografico di Luca.
E
fu dannatamente facile, lavorare con lui, perché
stranamente sapeva ascoltare i miei consigli ed i miei accorgimenti.
Cosa che,
con la maggior parte dei soggetti con cui avevo avuto a che fare, non
era mai
successa.
Per
quel giorno avevo optato per delle semplici immagini
di lui seduto sulla spiaggia oppure in cammino per il bagnasciuga, con
lo
sguardo rivolto a me oppure al mare. Si era seduto sul moscone di un
bagnino,
ad un certo punto, Luca, e non avevo resistito nemmeno in
quell’occasione, così
avevo scattato e ne era uscita un’immagine semplice e
naturale, come quelle che
preferivo per servizi del genere. Se con l’articolo su di lui
dovevamo scoprire
le sue origini, allora anche le fotografie che lo avrebbero
accompagnato
sarebbero dovute restare sulla stessa lunghezza d’onda. Ed
era stato quasi
piacevole lavorare con lui, grazie anche all’aiuto di Mara
che continuava a
sdrammatizzare la situazione e a fare da tramite, il più
delle volte.
Così,
a serata inoltrata, riuscimmo a recuperare tutti i
nostri averi sparsi per quello squarcio di spiaggia e a tornare in
albergo,
seguiti da Luca che decise di accompagnarci. Aveva deciso di restare a
dormire
dai suoi genitori, lui, ed al suo posto avrei fatto lo stesso.
Ci
disse anche che, almeno una sera di quelle, eravamo
tutti invitati a casa sua e che sua madre aveva insistito per volerci
conoscere, dicendo di volerci preparare una cena con i fiocchi per
farci
conoscere la cucina pugliese. E non potemmo far altro che accettare,
nonostante
più della metà della troupe non si
dimostrò particolarmente d’accordo –
qualcuno a caso, eh – dicendo che saremmo stati presenti
molto volentieri.
Fu
Mara a convincere me, con quel sorriso imbarazzato che
sembrava contraddistinguerla. E non potei fare a meno di chiedermi se,
oltre
alla possibilità di gustarsi una buona cena, ci fosse
dell’altro sotto. Anche
perché quelle occhiate che continuava a lanciare a Luca non
mi convincevano per
niente. Perché sembrava un tipo a posto, lei, fin troppo
semplice per una
superstar come Luca, ed avevo il netto presentimento che avrebbe potuto
farsi
male, lei, cercando di andare dietro ad un tipo come lui. Non che
avesse mai
fatto nulla di male, ma Luca sembrava il perfetto esempio del solito
Don
Giovanni che fa cadere ai suoi piedi chiunque con la semplice forza di
un
sorriso accattivante. La bellezza ed il sorriso li aveva e li sapeva
usare alla
perfezione e, probabilmente, se non avesse cominciato a straparlare
quella
volta a Doha sarebbe accaduta la stessa cosa anche a me. Ma non mi ero
lasciata
ingannare, avevo già un nuotatore che mi creava una miriade
di problemi e mi
bastava.
Così
non potei fare a meno di chiedermi cosa stesse
facendo Travis in quel momento, alla piscina oppure al suo
appartamento, mentre
cominciavo a prepararmi per una doccia veloce prima di scendere nella
sala
ristorante per la cena. Avrei potuto chiamarlo oppure anche solo
mandargli un
messaggio, ma il solo ricordo di come ci eravamo lasciati
l’ultima volta mi
faceva imbestialire, soprattutto con me stessa.
Perché,
seriamente, cosa credevo? Che uno come lui
accantonasse la sua indole per una come me con cui non aveva nemmeno un
vero e
proprio rapporto, al di fuori dell’ambito sessuale? Ero stata
una stupida, ecco
tutto; lasciandomi incantare dalle sue parole e dalle sue debolezze
avevo
lasciato che mi scavasse dentro ancora di più di quanto non
avesse già fatto,
ed era stato un errore di valutazione madornale.
Certo,
gli avevo mentito riguardo a Luca e lui era
scattavo, ma almeno gli avevo reso pan per focaccia perché
il solo pensiero di
sentirmi in inferiorità mi faceva innervosire.
Perché avrebbe potuto mettermi i
piedi in testa con fin troppa facilità e, successivamente,
non ne sarei più
uscita. Così avevo deciso di esagerare cercando di
difendermi in qualche modo,
anche se non avevo fatto altro che peggiorare la situazione. Ed ero
stata
ancora più stupida, nonché codarda, comportandomi
in quel modo, ma non avevo
trovato altre possibilità tra cui scegliere.
Non
lo capivo davvero, quel ragazzo. Continuava ad essere
un vero mistero e continuava a confondermi sempre di più
ogni giorno che
passava, rendendomi praticamente impossibile ogni mossa. Ed io non
sapevo più
cosa dire o cosa fare, se non giocando al suo stesso gioco e piazzando
sul viso
la mia migliore espressione infastidita. Così quelle poche
volte in cui ero
stata costretta ad andare alla piscina da mio padre, mi ero ritrovata a
guardarlo male più o meno allo stesso modo in cui lui
fissava me, con
occhiatacce insistenti ed espressioni incazzate.
Non
sarei stata io la prima a cedere, non sarei scesa a
tanto.
E
continuai a pensarci anche dopo cena, quando Mara mi
convinse ad accompagnarla per un giro in paese giusto per non restare
rinchiusa
nella camera dell’albergo, nonostante non riuscii a cavare un
ragno dal buco
nemmeno in quell’occasione. Almeno riuscii a distrarmi un
po’, grazie a quella
ragazza che aveva oltrepassato lo stato di timidezza da un
po’ e che non
smetteva un attimo di parlare: era simpatica, nonostante parlasse un
po’
troppo, ma almeno era un piacere ascoltarla ed era anche capace di
farmi
parlare come se la conoscessi da tempo.
Avrà
avuto si e no la mia età, lei, e forse fu proprio
per quel motivo che riuscimmo subito ad instaurare una specie di
rapporto
d’amicizia. Anche perché in quel contesto, con la
compagnia che avevamo, le
altre possibilità scarseggiavano parecchio.
“Non credo che
riusciremo ad integrarci anche con gli altri, sai?”,
mi disse lei, ad un
certo punto. “Sembrano quasi al
patibolo,
durante il lavoro, e davvero non li capisco perché se fosse
sempre così questo
lavoro, almeno io, pagherei”.
“Se fosse sempre
così sarebbe una vacanza e non un lavoro, mi spiace dirtelo”,
le risposi,
ridendo. “E comunque ogni cosa porta
i
suoi lati negativi: guarda la compagnia che ci è toccata.
Anche se fosse una
vacanza, sarebbe una noia in ogni caso”.
La
intravidi trattenere un sorriso e non potei non
cogliere l’occasione per scoprire qualcosa in più
su di lei e sui sospetti che
nutrivo sul suo interesse su Luca, perché la
curiosità era davvero troppa.
“Beh, ma non tutta
la compagnia questa volta è da scartare, no?
C’è anche gente simpatica, come te”,
saltò su lei, prima che potessi proferire parola.
“Come me e come
Luca, immagino”, ipotizzai, guardandola con la coda
dell’occhio e vedendola
arrossire.
“Beh… penso di si,
insomma, non lo so”, cercò di dire,
fissandosi i piedi. Tutto pur di non
incontrare il mio sguardo.
Era
addirittura più piccola di me, lei – ed era tutto
dire -, ed i suoi capelli lunghi, neri come la pece, non facevano altro
che
renderla ancora più bassa. Era piccola ed indifesa, ecco, e
non avevo idea di
come avrebbe potuto lei sperare in qualcosa con Luca. “Sembra simpatico… credo”.
“Per quanto lo
conosco, quando vuole sa essere simpatico, ma forse è un
po’ troppo
esibizionista almeno per i miei gusti”, le
confessai, cercando di metterla
all’erta. “Non so quanto
possa essere
affidabile, sai? L’ho conosciuto a Doha e in un altro paio di
occasioni e mi è
sempre sembrato molto più Don Giovanni rispetto alla media”.
Mara
si fermò all’istante, guardandomi attentamente,
prima di ricominciare a camminare tranquillamente per le strade del
paese. Non
credevo di averla scioccata fino ad un punto tale, ma forse avevo
calcolato
male la sua sensibilità.
“Pensa che avrei
voluto conoscerlo meglio”, mormorò poi,
guardando davanti a sé. “Ti
avrei voluto chiedere di domandargli cosa
ne pensa di me, ma se davvero è un tipo simile preferisco
non averci a che fare”.
“Non fraintendermi,
ma credo che più o meno tutto il genere maschile sia
così, forse lui lo esterna
con più semplicità e senza curarsi di
ciò che pensa la gente, e per certi versi
fa bene. Non voglio che siano proprio le mie parole a frenarti, alla
fine ho
avuto poche occasioni per conoscerlo davvero, ma ti avviso che dovrai
misurarti
con una come Simona se vuoi conoscere Luca”,
aggiunsi, poi, sentendo
un’ondata di rabbia invadermi. “Sembra
voler mettere i piedi in più scarpe possibili, lei”.
“Chissà perché, ma
me lo aspettavo”, commentò,
ridacchiando. Anche se era palese che, infondo,
non ci trovasse proprio nulla di divertente. “Ma
perché dici questo? Non credevo la conoscessi
così bene”.
“Ho avuto a che
farci per un servizio che abbiamo fatto per gennaio ed ho imparato a
conoscerla
abbastanza e, anche nelle rare occasioni in cui l’ho
incontrata anche fuori dal
lavoro, l’ho sempre vista molto… disponibile
praticamente verso tutti. E Luca è
uno di questi, poi non so cosa ci sia esattamente tra di loro, ma se
è come in
altre occasioni credo che preferisca mantenere rapporti puramente fisici”.
Era
strano parlare così apertamente con qualcuno che
conoscevo a malapena, soprattutto di un argomento simile che, dal
nulla, mi
faceva provare migliaia di sensazioni contrastanti e per lo
più negative. Ma
sentivo di potermi fidare di quella ragazza, ispirava fiducia anche
solo
guardarla e vederla così indifesa e presa da Luca mi faceva
avere quasi
compassione di lei. Soprattutto se, dopo qualche parola scambiata,
aveva
confessato di voler sapere di più su di lui.
Era
un comportamento un po’ adolescenziale, ma sembrava
talmente giovane ed ingenua che tutto sembrava comprensibile.
“Non so se volerci
sbattere la testa oppure no”, mormorò
poi, lei.
“Non
ti saprei dare un buon consiglio, io, soprattutto per quello che sto
passando”,
le risposi, a mo’ di consolazione. “Ti
conviene chiedere a qualcun’altra, mi
dispiace”, conclusi, ridacchiando.
“Mi
sembra un tipo simpatico, davvero”,
continuò
Mara, come se nemmeno avesse ascoltato le mie parole. E per certi versi
gliene
fui grata perché, alla fine, avrebbe potuto cominciare a
fare domande su
domande ed era l’ultima cosa che avrei voluto. “Quando siamo stati in acqua, durante il primo
servizio e anche prima,
quando ci ha accompagnati in albergo, sembrava una persona
semplice”.
“Preferisco
non dire altro, ma se vuoi posso provare ad indagare su cosa
pensa Luca di te”,
mi arresi, infine.
Mi
sarei cacciata in un altro guaio, come minimo, ma
sentivo quasi il bisogno di aiutala davvero. Forse anche per il fatto
che,
oltre mio babbo, non avessi mai avuto chissà quante persone
attorno e lei mi
piaceva, mi andava a genio e tra tutte le persone che erano con me a
Torre
dell’Orso sembrava l’unica in grado di costruire un
briciolo di rapporto
d’amicizia con altre persone.
Mi
chiesi, per un momento, cosa avrebbe pensato Luca
quando gli sarei andata a chiedere cosa pensasse di quella ragazza che,
alla
fine, aveva appena conosciuto. Senza contare quanto ci avesse provato,
più o
meno, con me a Doha. Avevo il netto presentimento che avrebbe potuto
farsi idee
completamente sbagliate, lui, e non me ne s
arei
affatto sorpresa; speravo solamente in un minimo di
buon senso da parte sua.
Tornammo
in albergo dopo poco, salutandoci nella hall
dell’albergo e dandoci appuntamento la mattina seguente per
la colazione. Così
riuscii finalmente a rientrare in camera per potermi rilassare, per
potermi
finalmente estraniare dal mondo con l’ennesima doccia, troppo
lunga rispetto
alla media. Avevo bisogno di calmare i nervi, in un certo senso,
nonostante la
passeggiata con Mara fosse stata parecchio piacevole. Ma mi sentivo
inquieta e
non capivo il perché.
Era
strano, forse, ritrovarsi così lontana da casa con
persone che non conoscevo affatto, nonostante fosse per lavoro, e
quella
sensazione non mi piaceva affatto. Non perché non fossi
abituata a starmene da
sola, ma perché avevo la sensazione che non avessi lasciato
tutto come doveva
essere, a casa mia. Come se qualcosa non fosse al suo posto, e sapevo
perfettamente la risposta, davvero, ma ero troppo stupida ed orgogliosa
per
ammetterlo addirittura con me stessa.
Travis
aveva semplicemente complicato ogni aspetto della
mia vita, come se non bastasse il fatto che fosse complicata e stupida
già di
per sé. E lo odiavo per questo, davvero, perché
mi aveva messa alla prova più
volte ed io avevo sempre fallito miseramente, facendo la figura
dell’idiota
come mio solito. Non sapevo cosa fare, cosa pensare e come agire per
semplificarmi la situazione, come se più semplice non
potesse affatto
diventare.
Nemmeno
me ne resi conto quando, ad un certo punto, mi
ritrovai con il telefono tra le mani e la chat di Travis davanti al
viso. Ed
ovviamente non riuscii a pensare lucidamente prima di inviargli davvero
un
messaggio.
Ehi..
Stupida
e banale, ecco cos’ero. E quella ne era la prova
perché quella era una pessima uscita, soprattutto dopo la
discussione con cui
ci eravamo lasciati. Se speravo di migliorare qualcosa in quel modo,
probabilmente, mi sbagliavo di grosso.
Cominciai
a vagare per la stanza, dopo aver inviato il
messaggio, borbottando tra me e maledicendomi per l’ennesimo
attimo di
debolezza che mi aveva colpita. E la mia mente cominciò a
viaggiare e a creare
i possibili scenari che mi si sarebbero potuti parare davanti che, per
lo più,
passavano dall’estremo mutismo da parte di lui alla serie di
insulti che,
infondo, mi sarei meritata tranquillamente.
Poi
il telefono vibrò improvvisamente sul tavolino su cui
l’avevo lasciato, facendomi sobbalzare per la sorpresa. Ed io
ci misi alcuni
istanti ad incamminarvi verso l’aggeggio, diffidente ed
indecisa se leggere
oppure no, ma poi mi dissi che, se proprio dovevo rendermi ridicola con
quella
scenetta – dato che ero stata proprio io a cominciare -,
dovevo almeno andare
fino in fondo.
Ah
ma allora sono ancora degno della tua parola.
“Sei
il solito stronzo!”, esclamai,
irritata.
Ma sentivo di avere perfettamente ragione, perché la mia
mossa era stata una
sorta di resa, come se con solamente tre lettere avessi deciso di
innalzare
bandiera bianca; e lui non lo aveva capito, aveva deciso di comportarsi
da
idiota come faceva sempre, dandomi la conferma di come fosse infantile
per la
maggior parte del tempo, come se la prima donna che albergava in lui si
facesse
vedere nei momenti meno opportuni.
Sei
degno della mia parola quando non reciti la tua solita stupida parte
della superstar.
Non
ero riuscita a
trattenermi e lui nemmeno meritava che lo facessi, perché
aveva bisogno di
qualcuno che gli rendesse pan per focaccia, giusto per evitare di
alimentare
ancora di più quell’ego spropositato che si
ritrovava. Ed era assurdo che quel
compito toccasse a me, perché non lo volevo e tra
l’altro mi spossava,
rendendomi più scorbutica di quanto già non fossi.
Cosa
ti ho detto riguardo a
quel soprannome che ti ostini ad affibbiarmi?
Sinceramente?
Non
ricordo, mi sembra di aver parlato con il tuo alterego, a questo punto.
Ennesima
prova di debolezza?
Probabilmente
sì, ma non ero riuscita a fermarmi nemmeno
in quell’occasione e quello era il risultato: la solita serie
di parole
infilate a caso nel modo più giusto possibile per far vedere
al mondo quanto
potessi essere stupida, a volte.
E
continuavo a non comprendere quel suo comportamento, la
rabbia che mi aveva riservato l’ultima volta in cui avevamo
parlato,
soprattutto dopo una giornata tanto intensa come quella precedente,
dove lui
sembrava aver abbassato ogni barriera di cui potesse disporre.
Deve
essere rimasto a Doha. Ma sappi che anche tu sei
cambiata, vorrei farti notare.
Mi
ero seduta sul divanetto davanti al tavolino, cercando
di comprendere al meglio quel suo ultimo messaggio. Nonostante fosse
tutto
tranne che comprensibile.
Certo,
ero cambiata molto da quando avevo cominciato quel
calvario con il lavoro che mi aveva parlato a lui, eppure nei suoi
confronti
ero sempre rimasta coerente con le mie idee e glielo avevo sempre fatto
presente, non mi ero mai nascosta. Non come aveva fatto lui, almeno.
La
verità è che mi aveva ferita e probabilmente
nemmeno
se ne era reso conto, l’idiota. E mi odiavo per avergli
permesso una cosa
simile, perché sapevo che ne sarei uscita distrutta e non
sarei stata più me
stesso, e non me lo potevo permettere. In particolare con
un’incognita come
Travis.
Possiamo
chiamarlo corso della vita, forse, e non possiamo impedirlo. Mi
spiace.
Per
una volta smettila di affidarti a discorsi da
filosofa, Maya. Hanno smesso di incantarmi da un pezzo.
Non
ho mai usato discorsi da filosofa, Travis. Ed incantarti non
è mai
stata la mia missione. Pensavo che ormai avessi capito che non sono
quel genere
di persona
che
cerca di prendere in giro il proprio interlocutore per indorargli la
piccola.
Non
è mai stata la tua missione, certo… peccato che
tu ci
sia riuscita. Più di una volta.
Strabuzzai
gli occhi leggendo quel suo ultimo messaggio,
forse per la troppa sincerità o forse perché non
mi sarei mai aspettata una
risposta simile, con un impatto del genere. Non pensavo davvero di
essere mai
riuscita ad incantarlo, come aveva detto lui, con quali mezzi poi?
L’unica cosa
che mi riusciva semplice era rendermi particolarmente odiosa e
testarda, in
alcuni casi.
E
non ti ho mai reputata quel genere di persona,
altrimenti ti avrei lasciata perdere già da un pezzo.
Continui
a confondermi ogni giorno di più, dannazione! Poi dovrei
essere io
quella sibillina…
Più
che confusa mi sembri decisa a negare l’evidenza,
anche adesso.
Probabilmente
nemmeno si rendeva conto di cosa gli usciva
dalla bocca quando cercava di mettermi in difficoltà, a
volte. Come in
quell’occasione, mandandomi in confusione e facendo nascere
decine di domande
nella mia mente, perché non riuscivo a capire cosa
intendesse con quel
messaggio. Non riuscivo a capire lui, per la maggior parte del tempo.
Non
ero una che si ostinava a negare l’evidenza, io, e
non capivo nemmeno quale fosse quell’evidenza da poter
negare; non riuscivo a
capire dove volesse arrivare o cosa volesse dire.
Questa
conversazione sta degenerando.
Decisi
di rispondergli in modo da poter sviare il
discorso, perché avrebbe portato ad altre domande e ad altre
risposte del tutto
incomprensibili che non avrebbero fatto altro che confondermi sempre di
più.
Tanto valeva evitare l’argomento come facevo la maggior parte
delle volte.
Starà
anche degenerando, ma la preferisco così. Perché
se
ricomincio a pensare a dove ti trovi ora e la compagnia che ti
è toccata torno
ad innervosirmi.
Non
è colpa mia, pensavo l’avessi capito. Lo faccio
per lavoro e non perché
l’ho deciso io. Se avessi potuto avrei evitato questa serie
di problemi.
Avevo
voluto evitare un argomento scomodo per
ritrovarmene uno addirittura peggiore ed avevo deciso per optare per la
sincerità, nonostante potesse sembrare parecchio
controproducente e stupido da
parte mia. Ma mi ero stancata di quella situazione e del comportamento
da
idiota di Travis nei miei confronti, e speravo che in quel modo i
nostri
diverbi si potessero appianare.
Ma
se si parlava di lui tutto era sempre una stupida e
stramaledetta incognita.
Strano…
ti ricordo parecchio entusiasta dell’iniziativa.
O sbaglio?
Ecco,
quello era un altro dei suoi tanti modi di mettermi
alla prova, come se quell’imbarazzante conversazione non
fosse abbastanza. Sì,
perché mi ero scavata la fossa da sola, credendo che lui
potesse seguire le mie
idee e sviare il discorso insieme a me, ma mi ero sbagliata di grosso.
E quella
ne era la prova.
Ma
parte di quello che gli avevo detto per telefono,
l’ultima volta era vero: era una grande
opportunità, quella, e non me la sarei
fatta scappare, nonostante fossi sempre impegnata a lamentarmi per
migliaia di
aspetti che, a mio parere, non andavano bene. Era pur sempre lavoro, e
la
compagnia me la dovevo far andare bene.
Lo
sono anche adesso, perché è una bella
opportunità, ma non ho mai
nascosto il fatto che le persone che mi sono state affiancate non mi
piacciono.
A parte una certa Mara, sembra simpatica.
Allora
devo essere stato io a fraintendere,
evidentemente. Perché ho in mente parole completamente
diverse.
Quanto
era subdolo, a volte. Perché quello era il suo
modo per estorcermi delle scuse che, ovviamente, non sarebbero
arrivate. Ero
troppo orgogliosa per abbassarmi a tanto e sapevo che quella guerra
sarebbe
andata avanti fino alla fine dei tempi, tra noi. Perché lui,
per certi versi,
era come me e, proprio come me, non sarebbe stato il primo a chiedere
scusa,
come non sarei stata io, e quella sarebbe diventata
l’ennesima questione
lasciata in un angolo a prendere polvere, irrisolta.
Sono
state parole diverse, lo so, ma l’ho fatto per proteggermi.
Forse. Mi
sono sentita attaccata, in un certo senso, e quello è stato
il mio modo di
rispondere, nonostante abbia peggiorato la situazione. Ma non mi pento,
perché
alcune di quelle cose le penso davvero e, probabilmente, ci troveremo
in
disaccordo anche qui, ma va bene così. Tu hai la tua vita ed
io ho la mia, e né
tu né io abbiamo il diritto di mettere becco nelle faccende
dell’altro: ecco
perché ti ho risposto in quel modo, perché ti sei
andato ad impicciare dei miei
affari e mi hai trattata come se la colpevole fossi io, quando ti sei
comportato praticamente allo stesso modo.
Cose
del genere non dovrebbero succedere, soprattutto tra due persone che
non hanno alcun legame.
Se
ribadirgli per l’ennesima volta che tra noi non
c’era
nulla fosse servito, lo avrei fatto. Glielo avrei ripetuto allo
sfinimento se
fosse servito per cambiare le cose, anche se cominciavo a dubitare di
fin
troppe cose. Come quella che, in fin dei conti, servisse più
a me che a lui,
mettere in chiaro le cose. Ma no, non poteva essere, non
doveva. Perché lui ed io eravamo un terribile
errore, e avrei
dovuto capirlo quella volta dopo il servizio fotografico al mare,
quando Travis
si era presentato al mio appartamento. Avrei dovuto capirlo prima che
iniziassi
a complicare tutto quanto con le mie stesse mani, scavandomi da sola
una fosse
talmente profonda da non poter più uscire.
Sai
cosa non riesci ancora a capire, Maya? Che continui a
fare tutto quanto di testa tua, da sola, continui a crearti castelli in
aria di
cose che nemmeno sono successe ed io agisco di conseguenza,
perché ti ostini a
difenderti e a voler aver ragione. E mi fai incazzare
perché, appunto, non
capisci.
Si
credeva tanto sicuro di sé, lui, tanto spavaldo da
poter mettere su teorie che non avevano né capo
né coda. Non era assolutamente
vero, nemmeno una parola di quel maledetto messaggio che aveva
cominciato ad
innervosirmi come non mai, facendomi quasi tremare le mani per la
rabbia.
Perché non era lui quello dalla parte del giusto, non era
lui ad aver ragione.
Altrimenti avrebbe significato solamente una cosa, e non poteva essere!
Non
poteva davvero.
E
poi lui arrivava sempre con le sue stupide
dimostrazioni di testosterone e virilità, come se volesse
segnare il territorio
o che altro, ma si rendeva solamente ridicolo ogni volta. E per lo
più finivamo
per discutere e prenderci a parolacce.
Non
è affatto vero che mi faccio castelli da sola, dannazione.
Ogni
maledettissima volta tu mi dai tutti i presupposti per pensare male. E
cosa
dovrei fare, altrimenti? Dimmelo, perché magari riesco a
capisci qualcosa
perché, ora come ora, sono più confusa di prima.
Ed
era vero, maledizione!
Cominciavo
a capirci sempre meno, sia di lui che di me
stessa perché mi trovavo sempre più stordita
dalla miriade di pensieri che mi
affollavano la testa, urlando tutti insieme a gran voce. Era solo un
gran caos
che non avrebbe mai portato a nulla, e Travis non aiutava affatto.
Né lui né la
sua smania di farmi da psicologo.
Potresti
provare ad essere te stessa, per una volta. ho
avuto poche occasioni per vedere la vera Maya, ma mi è
piaciuta e la preferisco
mille volte alla ragazza che si fa migliaia di problemi e che parte in
quarta
quando le cose non vanno come vuole lei!
Lo
so che non ci sono legami tra noi… me lo hai ripetuto
centinaia di volte, ma lo dico per te perché ti si
potrebbero semplificare
tante cose.
L’ultima
cosa che avrei dovuto fare, proprio in quel
momento, era cominciare a crollare in mille pezzi, con il tremore alle
mani che
aveva cominciato a farsi sempre più accentuato, rendendomi
difficile anche solo
mantenere una presa salda sul telefono. Ero ancora seduta sul
divanetto, con le
finestre spalancate, ma era come se mi mancasse l’aria per
qualche stupido
motivo. E non sapevo che fare, se non continuare a respirare
pesantemente ed
agitarmi ancora di più.
Non
avevo mai mostrato la vera me, almeno non di
proposito perché, il più delle volte, non mi
piaceva e mi faceva paura. Eppure
Travis ne aveva parlato come se fosse una cosa positiva, come se dentro
di me
ci fossero una sorta di Dr. Jekyll e Mr. Hyde sempre pronti a lottare
tra loro.
Avevo cercato di mostrarmi sempre e solo Mr. Hyde con lui, ma non era
bastato:
in qualche modo lui era stato in grado di vedere il mio Jekyll e di
conoscerlo.
E sembrava piacergli, addirittura, e non capivo come potesse essere
vero.
La
fai troppo facile, tu… per me non è semplice,
invece. Ogni volta che ho
tentato di essere me stessa e di dare fiducia ad una qualsiasi persona
sono
stata presa per il culo e sono stata ferita. E quello che mi da
più fastidio è
esserne consapevole e sapere che questo mio comportamento non
porterà a nulla e
che resterò sola, ma non so che altro fare. Ho troppa paura,
per certi versi.
Cadere
era un contro, crollare dal nulla era un altro. E
quello era proprio il mio caso, perché le lacrime che
avevano cominciato a
scendere erano del tutto inaspettate ed indesiderate, perché
sapevo che non
sarei più riuscita ad alzarmi dopo aver toccato il fondo e
mi sentivo
terribilmente vicina a quel punto, al punto di non ritorno, e non
sapevo
proprio che cosa fare.
Espormi
in quel modo verso Travis era stato un enorme
salto nel vuoto, eppure non avevo avuto la forza di fermarmi e di
tirarmi
indietro: ero partita come un fiume in piena ed ero diventata
inarrestabile. E
non c’era nulla di bello in questo.
Ero
sempre riuscita a cavarmela, a restare in piedi
nonostante tutto intorno a me sembrasse intenzionato a farmi crollare,
e non
ero caduta nel vuoto. Ero sopravvissuta, ma in quel momento mi sentivo
sicura
del fatto che, probabilmente, non avrei più avuto le forze
necessarie per
rialzarmi.
Sei
tu che vuoi restare sola, ma ti assicuro che sei
piena di persone che a te ci tengono. Me compreso, se vogliamo essere
brutalmente sinceri…
E
non devi per forza buttare giù ogni scudo con cui
cerchi di proteggerti, ma cercare di prestare un briciolo di fiducia in
più nel
genere umano perché non tutti sono dei mostri. Non so cosa
tu abbia passato per
diventare così, ma vorrei tanto che provassi a
cambiare… sono convinto che tu
possa farcela.
Strabuzzai
gli occhi leggendo quel suo ultimo messaggio.
Perché evidentemente non ero stata l’unica ad
esporsi tanto, in quel momento, e
per un momento non riuscii quasi a crederci. Non era da lui fare
commenti
simili, nonostante fosse più propenso di me a parlare e ad
esternare i
sentimenti, ma fino a quel punto non ci era mai arrivato. Nessuno di
noi, e
sembrava tanto un momento della verità, quello.
Cercai
di raccogliere quei pochi pensieri che sembravano
essere rimasti nella mia mente perché, improvvisamente, si
era svuotata, e
cominciai a pensare a cosa avrei potuto rispondergli. Nonostante gli
occhi
ancora appannati dalle lacrime sembravano volermi complicare il
compito. Non
avevo idea di cosa fare e continuavo ad agitarti senza un vero e
proprio
motivo, quando avrei dovuto solamente calmarmi.
Mi
incamminai verso il letto, stendendomi su di esso e
cominciando a fissare il soffitto, in cerca di ispirazione. Forse.
In
verità, ogni possibilità che mi passava per la
testa
sembrava enormemente sbagliata, come se non ci fosse altra cosa da fare
che starsene
zitta a rileggere fino alla nausea l’ultimo messaggio di
Travis. Anche se, più
riguardavo quelle parole, più il panico continuava a salire.
Poi
mi dissi che avrei dovuto darmi una svegliata,
continuando a ripetermelo non so quante volte, così optai
per la sincerità e
cominciai a scrivere finalmente quella maledetta risposta che sembrava
non
voler più arrivare.
Ancora
non l’hai capito che sono crollati più scudi di
quanti avrei voluto?
E non perché l’ho deciso io, ma perché
ci sono stati momenti che mi hanno fatto
credere in qualcosa di diverso ed io, da perfetta stupida, ci sono
cascata in
pieno.
Poi
arrivi tu con questi messaggi e non fai altro che peggiorare la
situazione, mandandomi ancora di più in confusione. Non mi
aiuti, sai?
Nonostante tu stia cercando di farlo. Non mi sono mai trovata in una
situazione
simile e mi ritrovo a non sapere cosa fare, come muovermi, e tutto per
colpa
tua e per colpa di quel niente che c’è tra noi.
Ed
è vero che non ho fiducia nel genere umano,
perché ne ho avuta fin
troppa e non è mai finita bene: quella a rimetterci qualcosa
sono sempre stata
io e credo sia più che comprensibile che io, ora come ora,
mi comporti così.
Non
so cosa fare, Travis, davvero…
Io
non faccio nulla, Maya, sono solo me stesso e se
seguissi il mio esempio non ci troveremmo a discutere ogni volta che ce
ne
capita l’occasione.
Non
sono conversazioni da fare tramite messaggi, queste,
in ogni caso, e se potessi verrei lì in questo momento,
credimi. Perché credo
sia arrivato il momento di chiarire ogni singolo punto,
finalmente… e anche
perché qua mi sembra di impazzire.
Se
fossi qui non faremmo altro che complicare le cose ulteriormente,
conoscendoci. I nostri tentativi di conversazioni civili sono sempre
finiti in
modi… non tanto civili, ecco.
Sembra
che tu stia parlando di due criminali, così.
E
comunque dipende sempre dai punti di vista, perché io
la vedo in modo completamente diverso!
Faceva
tanto l’idiota, lui, ma sapevamo entrambi che
avevo ragione dicendo che non avremmo fatto altro che complicarci la
vita,
nonostante lui sembrasse voler negare l’evidenza. E, inoltre,
aveva scritto che,
se avesse potuto, sarebbe venuto da me e non sapevo come interpretarlo
o come
reagire, perché mi spaventava davvero troppo tutto quanto,
in quel momento, da
quei messaggi assurdi di Travis a quella camera d’albergo
improvvisamente
troppo vuota, ed in quel momento mi sentii io quella ostinata a voler
negare
l’evidenza. Ma come altro poteva essere?
Doveva
essere in quel modo e basta, nient’altro. Niente che mi
complicasse ulteriormente la vita, nessun sentimento equivoco che
mandasse a
fanculo tutto quello che avevo costruito e me stessa.
Cominci
a vaneggiare, Travis. Forse è ora che te ne vada a
letto… cosa che
dovrei fare anche io, visto che domani mi attende un’altra
giornata di servizi.
Buonanotte.
Sempre
pronta a rovinare tutto. Vai pure a letto, tu che
ne hai bisogno, io sono fresco come una rosa.
Continuai
a non capire cosa gli passasse per la testa, di
cosa stesse parlando e, nonostante fossi davvero confusa e scossa da
quella
conversazione, decisi di mandare tutto al diavolo e di cominciare a
prepararmi
per la notte. Avevo bisogno di dormire, altrimenti il giorno seguente
sarei
stata a dir poco intrattabile, e preferivo mostrarmi quantomeno normale
verso
quei pochi sfortunati che mi erano stati assegnati come staff.
Il
fatto che, una volta a letto, impiegai non so quanto
tempo a dormire, continuando a rigirarmi nel letto ed immaginarmi non
so quanti
scenari con Travis, asciugandomi lacrime che avrebbero dovuto smettere
di
scorrere già parecchio tempo prima, era assolutamente
irrilevante, sì.
I
giorni continuarono a scorrere tranquillamente, a
differenza di quello che avevo pensato all’inizio di quel
viaggio.
Luca
si era stranamente dimostrato più disponibile – e
in
senso equivoco – e simpatico nei confronti di tutti,
riuscendo ad avere
successo solamente con me oppure con Mara, che in fin dei conti pendeva
dalle
sue labbra. Povera ragazza, perché anche se pareva
migliorato, il nuotatore
della situazione, avevo il netto presentimento che la sua indole da
predatore e
Don Giovanni sarebbe saltata fuori nel momento più inatteso.
Ma più passavano i
giorni e più andavamo avanti con quegli infiniti servizi
fotografici – in
spiagge che continuavano a meravigliarmi sempre più di
giorno in giorno, tanto
per cambiare – e più mi rendevo conto che quel
ragazzo sembrava davvero
cambiato, dal giorno alla notte: forse era l’aria del suo
paese e della sua
terra a fargli bene e a cambiarlo in meglio, non ne ero sicura, ma
più lo
osservavo e più notavo come fosse, in fondo –
molto, ma davvero molto in fondo
–, un ragazzo semplice.
“Non credi che per
oggi possa bastare, Maya?”, mi chiede Mara, ad un
certo punto.
Erano
passate ore da quando eravamo giunti in quella
piccola baia nascosta dagli scogli ed avevo perso completamente la
cognizione
del tempo: il sole aveva cominciato da un pezzo a tramontare e
l’aria si era
fatta più fresca, ma era una giornata talmente bella con
colori talmente
affascinanti e suggestivi che mi sembrava un vero peccato sprecare
quell’opportunità.
“Non c’è problema,
Mara”, gridò Luca, dal bagnasciuga a
qualche metro di distanza dov’era
seduto. “Queste giornate vanno
vissute
fino all’ultimo”, aggiunse, con un
sorriso a dir poco genuino.
Che
ne era stato del pallone gonfiato che credevo di aver
conosciuto?
“Luca ha ragione”,
ammisi, continuando a fotografarlo, mentre lo sorprendevo intento a
fissare
Mara. “Mi perderei scatti troppo
belli:
prometto di non tardare ancora molto”.
Continuammo
per un’altra mezzora abbondante, prima che
alcune lievi lamentele cominciarono ad arrivarmi da quei tre membri
della
troupe che sembravano tutto tranne che utili; così decisi di
lasciar perdere e
di cominciare a raccogliere tutte le nostre attrezzature per dirigerci
finalmente
in albergo.
“Noi cominciamo a
portare su l’attrezzatura già pronta”,
mi avvisò Mara, avviandosi con il
resto del gruppo verso gli scogli che avrebbero dovuto percorrere per
tornare
in strada.
“Va bene, ma state
attenti”, mi raccomandai, temendo come non mai per
quelle migliaia di euro
in pericolo. “E che qualcuno resti
di
guardia, mentre tornate a prendere il resto”.
Nemmeno
mi resi conto di essere rimasta sola con Luca e
solamente quando si sedette di peso sulla spiaggia poco distante da me
– facendomi
prendere un infarto – mi accorsi di avere compagnia. Anche
se, a dirla tutta,
sembrava tutt’altro che di compagnia, con quel suo sguardo
perso a fissare il
mare ed il vento che gli sferzava il viso. Era come incantato dalla
distesa
d’acqua che aveva davanti e sembrava non voler nemmeno
accennare a cedere.
“Ti vedo
pensieroso, Luca”, gli dissi, attirando la sua
attenzione, continuando a
sistemare la mia attrezzatura dentro i borsoni. “Stai bene?”.
“Mi è solamente
mancato questo posto e cerco di assorbirne il più possibile
prima di ripartire”,
confessò con un sospiro. “Venivo
sempre
qui, da bambino, con la mia famiglia”. Non lo
credevo quel genere di
persone così legate ai luoghi dell’infanzia, come
se gli fossero cuciti addosso
con filo doppio, ma mi sbagliavo. Ed era strano vederlo sotto quella
luce, lo
faceva apparire diverso, un semplice ragazzo della sua età e
non un nuotatore
di fama internazionale.
“Mi dispiace per
te, ma non so quanto potrebbe essere contento mio padre se tu restassi
qua,
soprattutto con una preparazione come quella che state seguendo ora”,
ribattei, cercando di fare conversazione, perché un silenzio
tra noi mi appariva
troppo pesante da affrontare. “Comunque,
a quella ragazza piaci”, buttai lì, come
se nulla fosse, ottenendo – ma
guarda! – finalmente la sua competa
attenzione. Perché se si parla di donne tutti saltano
sull’attenti.
Continuava
a fissarmi a lungo, nonostante non lo stessi
degnando di una minima attenzione, ma lui sembrava non voler demordere.
Poi,
finalmente, parlò. “Ma di
chi diavolo
stai parlando?”.
“Oh, non fare il
finto tonto, bell’imbusto”, lo canzonai,
sorridendo. “Parlo
dell’unica ragazza che sembra disposta a darti un minimo di
vere
attenzioni, e non parlo di me, tengo a precisarlo. Mara continua a non
volerti
togliere gli occhi di dosso”, aggiungo, infine, non
sapendo se esserne
divertita o meno, perché ho imparato a conoscere quella
ragazza e credo sia
davvero in gamba. E mi dispiacerebbe tanto se, per colpa di uno come
Luca,
andasse a prendersi una brutta batosta.
Mi
voltai verso di lui, incontrando il suo sguardo un po’
incuriosito, ma al tempo stesso un po’ seccato. Forse. La
realtà era che lui
rappresentava un vero tabu, la maggior parte delle volte.
“Non sai cosa stai
dicendo, Maya”, commentò, tornando a
guardare il mare.
“Eccome se lo so,
invece, mio caro”, ribattei, convinta
più che mai della mia teoria. Ed
avevo la netta sensazione di non sbagliare di molto nemmeno nei suoi
confronti.
“Ne ho tutte le certezze. E,
sinceramente, credo che anche a te possa interessare. E non provare a
negarlo
perché, più di una volta, ti ho beccato perso ad
osservarla”, conclusi,
puntandogli un dito contro.
“Non è una brutta
ragazza, non ho problemi ad ammetterlo, ma tu davvero esageri”,
concluse,
con una risata nervosa che sapeva tanto di stronzata.
“Non mi inganni, tu”,
ribadii, scorgendo Mara di ritorno sugli scogli dal primo viaggio per
l’attrezzatura. “Ma, in
ogni caso, vedi
di non comportarti da idiota: lei è una brava ragazza e,
quando dico che le
piaci, dico sul serio”, lo avvisai, infine,
parlando a voce bassa. Ero
seria e lui lo aveva finalmente capito, nonostante sembrasse comunque
confuso,
ma almeno sapevo di essermi fatta intendere a dovere.
“Restano i tuoi due
borsoni, Maya, poi siamo a posto”, mi
avvisò lei, sorridendo e
completamente ignara della conversazione che avevo appena avuto con
Luca che,
da perfetto attore, ricominciò a fissare il mare mentre
sistemava le poche cose
che si era portato appresso.
Le
sorrido in risposta e le passo la borsa più piccola
che ho già preparato, ma prima che possa incamminarsi verso
gli scogli ancora
una volta viene fermata da Luca che richiama l’attenzione di
entrambe. “vi avevo detto che
sareste dovuti venire a
cena dalla mia famiglia, vero? Beh, dato che tra meno di due giorni
dovremmo
partire, avevo pensato a questa sera”, propose,
leggermente imbarazzato ed
evitando volutamente gli occhi allegri di Mara. “Ho già avvisato mia madre, quindi non
potete rifiutare altrimenti
rischio il rogo”, continuò, scherzando.
Mi
volto istintivamente verso Mara che, cercando di
trattenere un sorriso, mi lancia un’occhiata entusiasta,
senza però dire una
parola. Lascia a me la decisione e so che, se dovessi dare un no come
risposta,
non si azzarderebbe ad accettare l’invito, così
per puro spirito di sacrificio
accetto sorridente, curiosa di conoscere anche la famiglia di Luca.
“Noi ci siamo, ma non so quanto
possano
essere di compagnia gli altri tre, sinceramente”,
avviso Luca, prima che
possa trovarsi tre statue di cera in casa propria.
“Non gli si dice
nulla ed il gioco è fatto, tanto con ogni
probabilità direbbero comunque no”,
salto su Mara, sorprendendomi per la sua audacia. La vedevo sorridere
verso di
me, per spostare poi lo sguardo alle mie spalle, e sapevo che stava
osservando
Luca. E speravo davvero che l’idiota si comportasse
civilmente e che, almeno,
contraccambiasse lo sguardo.
“Dire che abbiamo
un accordo, allora”, esclamò, poi, il
nuotatore alle mie spalle.
E
quando mi voltai potei notare come, finalmente, si
rimpossessò de suo coraggio e della sua spavalderia,
guardando attentamente la
mia collega con quel sorrisetto furbo che lo aveva sempre
contraddistinto.
Avrei
dovuto cambiare il nome in Stranamore, o quantomeno
lavorare in una sorta di compagnia per appuntamenti al buio
perché – diciamo la
verità – avevo un talento innato.
Luca
ci venne a prendere dall’albergo verso le otto di
sera, dopo averci dato la possibilità di sistemarci e di
lasciare tutta quanta
l’attrezzatura, poi cominciammo ad incamminarci verso casa
sua e lui, da bravo
padrone di casa, ci avvisò di non fare molto caso ai
comportamenti della sua
famiglia che, per certi versi, aveva definito strani e fin troppo
espansivi.
Non sapevo davvero cosa aspettarmi perché, dalle sua parole,
sembravano persone
completamente diverse da lui che, oltre alle battutine che lanciava,
non si era
mai spinto fin troppo oltre.
Mara,
invece, era elettrizzata e sembrava un’adolescente
alla sua prima cotta. Mi aveva confessato – durante
l’attesa nella hall – di
non avere idea di come comportarsi, ma che non si sarebbe persa
quell’occasione
per nulla al mondo. Ed io, da perfetta stupida, ero stata quasi tentata
di
rivelargli della mia chiacchierata con il nuotatore, ma non sapevo come
avrebbe
potuto prenderla. Così avevo optato per il silenzio.
Sembrava
davvero presa e, quel suo comportamento, mi
faceva sorgere centinaia di domande che mi sembravano davvero assurde.
Come
poteva essersi lasciata incantare da Luca in così poco
tempo? Insomma, sì, era
un bel ragazzo, ma nel caso di quella ragazza tutto sembrava andare
oltre al
semplice aspetto fisico.
“Spero che abbiate
fame, perché c’è cibo per un esercito
intero”, ci avvisò lui, davanti a
quella che sembrava essere casa sua.
Ed
aveva ragione, dannazione! La quantità di cibo che sua
madre e sua zia avevano preparato era davvero incredibile e,
più di una volta,
mi chiesi se ogni singolo giorno per loro fosse così.
Venimmo
accolte come se facessimo parte della famiglia,
con abbracci che definirei quasi soffocanti e sorrisi capaci di
scaldare il
cuore, cosa che non avevo mai visto in vita mia. E Luca non aveva
davvero
niente a che fare con queste persone, non sembrava nemmeno parente.
Anche lui,
come me, sembrava essere più freddo e distaccato, nonostante
mostrasse sempre
quella sua aura da ragazzo fin troppo disponibile. Sua madre lo aveva
abbracciato più volte, nel corso della serata, e lui si era
sempre dimostrato
parecchio distante, nonostante si notasse perfettamente come fosse
legato alla
sua famiglia. Era una famiglia simpatica, quella, di quelle famiglie
che non
stanno mai zitte e fanno un gran baccano, ma almeno erano divertenti ed
avevano
la meravigliosa capacità di farti sentire davvero a casa.
Erano
le undici di sera ed ancora saltava fuori dal nulla
cibo a volontà. Mara continuava a lanciarmi sguardi
disperati ogni volta che un
qualche parente di Luca le riempiva il piatto. Io, invece, continuavo a
mangiare lentamente così da avere sempre nel piatto qualche
cosa, anche se
cominciavo ad accusare i primi segni di stanchezza ed i primi segnali
di uno
stomaco che sembrava voler esplodere.
“Credo sia arrivato
il momento di smettere di mangiare, mamma”,
esclamò Luca, vedendo arrivare
l’ennesimo piatto sulla tavola. “Se
Claudio viene a sapere che ho sgarrato così tanto nella
dieta mi farà fare
vasche fino all’anno nuovo”.
“Per una sera puoi
anche smettere di pensare al nuoto. Non vedi come sei dimagrito?”,
ribatté,
lei, poggiando sul tavolo un vassoio di dolci dall’aspetto
meraviglioso. “Tuo padre
è troppo severo con i suoi
ragazzi, Maya, diglielo da parte mia”. Quella donna
era uno spasso.
Dopo
più di un’ora sia io che Mara cominciammo davvero
a
sentire la stanchezza arrivare, grazie soprattutto alla serie di
sbadigli che
sembravamo scambiarci. Io, però, ero troppo presa ad
osservare la scena che mi si
parava davanti agli occhi: la mia collega e Luca che, dal nulla,
avevano
cominciato a parlare come se fossero amici di vecchia data. Mi ero
rifiutata di
sedermi accanto a Mara, così ero stata pressoché
rapita dalla zia del nuotatore
che mi aveva voluta al suo fianco e Luca era stato quasi costretto a
sistemarsi
accanto a quella ragazza che era diventata tutta sorrisi ed occhiate
allegre. Sembrava
esserci una strana alchimia tra i due, particolare che era stato notato
da
tutti i presenti tranne che dai diretti interessati, ma erano talmente
presi
dai loro discorsi che al resto dei presenti prestarono attenzione ben
poco.
Così,
dopo aver chiesto alla zia di Luca di lasciare soli
i due ragazzi, mi alzai dalla sedia salutando e ringraziando tutti
quanti, avvisando
che sarei tornata in albergo. Da sola, rifiutando ogni proposta sia da
Mara che
da Luca di accompagnarmi. Non volevo guastar loro la serata ed inoltre
avevo
bisogno di restare un po’ da sola, dopo aver passato una
serata così caotica e
con così tanta gente. Non che non mi fossi divertita, per
carità, ma cominciavo
a sentire la mancanza di un po’ di silenzio.
La
mia collega mi lanciò un’occhiata che sembrava
voler
dire tutto, anche se speravo avesse abbastanza intelligenza da non
farsi
incantare davvero e da non combinare disastri. Il ché, detto
da me, era
assolutamente assurdo. Comunque li lasciai ai loro discorsi,
incamminandomi
verso l’albergo e godendomi il vento leggero che continuava a
soffiare.
Dovevo
resistere solamente un altro giorno, non di più,
poi sarei tornata ancora una volta alla mia vita. Particolare che,
nelle ultime
ore, sembrava mancarmi sempre di più, nonostante la famiglia
di Luca si fosse
fatta in quattro per accogliere Mara e me alla perfezione. Ma volevo
rivedere
mio padre e, altra cosa importante, continuavo ad avere quella
questione in
sospeso con Travis, ed era arrivato il momento di chiarirsi una volta
per
tutte.
“Credo che non
riuscirò mai a ringraziarti abbastanza”,
continuò Mara, durante l’attesa
per l’imbarco dell’aereo che ci avrebbe riportati a
casa.
Era
dal giorno precedente che andava avanti con quella
storia, e quasi cominciavo ad averne abbastanza. Certo, mi faceva
piacere
sapere di essere in parte responsabile per aver smosso la situazione,
ma
cominciava ad essere davvero fin troppo euforica. E non la smetteva un
attimo
di parlare.
La
mattina dopo la cena a casa della famiglia di Luca,
Mara mi aveva presa da parte e mi aveva raccontato come si fosse
trovata bene a
parlare per ore con il nuotatore. Era rientrata alle tre del mattino in
albergo, ma – cosa ben più scioccante –
non era successo assolutamente nulla
tra i due. Niente di niente.
Il
ché poteva voler dire due cose: o non c’era la
minima
attrazione - ma ne dubitavo davvero molto – oppure erano
talmente affiatati e
in sintonia da non voler rovinare tutto quanto dopo la prima
chiacchierata. Ed
erano da ammirare, per certi versi, soprattutto perché se
avessi seguito il
loro esempio, a suo tempo, probabilmente non mi sarei trovata nella
situazione
in cui ero caduta con entrambi i piedi.
Continuavo
ad osservare attentamente Luca, per cercare di
capire quanto meglio possibile il suo comportamento, i suoi
atteggiamenti nei
confronti di quella ragazza che sembrava non riuscire a smettere di
sorridere
sotto i baffi, ma pareva un vero e proprio mistero. Troppo serio ed
impassibile, forse per mascherare una qualsiasi emozione ai miei occhi
dopo la
chiacchierata che avevamo avuto in spiaggia. Eppure, nonostante
sembrasse lo
stesso ragazzo di sempre, era seduto accanto a lei, cosa che non era
mai
successa prima se non a casa della sua famiglia. E lì, alla
fine, erano stati
costretti.
In
ogni caso, non sarei andata chiedere informazioni a
nessuno: avrei atteso fino a quando non sarebbe arrivato il momento in
cui, uno
di loro due, sarebbe venuto da me. Ed ero sicura che prima o poi
sarebbe
successo, come ero sicura che questa storia tra loro sarebbe andata
avanti.
Finalmente
partimmo per tornarcene a casa e, neanche a
dirlo, non appena l’aereo si levò da terra
cominciai a sentire una strana
sensazione alla bocca dello stomaco, come se parte di me volesse
restarsene in
Puglia. E, purtroppo, sapeva che era vero perché, in parte,
non mi sentivo
affatto pronta per ritornare a Roma. Proprio per niente. Ed il motivo
era
solamente uno, alto, stupido e con le spalle larghe.
Vedere
come mi ero ridotta per colpa sua non faceva che
innervosirmi, soprattutto per tutte le promesse che avevo fatto a me
stessa.
Promesse che si erano andare a far fottere senza che me ne accorgessi.
Dovevo
pensare bene a come comportarmi, come agire e cosa
non fare per evitare di rendermi ulteriormente ridicola, dato che mi
ero messa
in mostra decisamente troppo rispetto a quanto avrei sperato. Infatti,
ecco
perché cominciai a maledirmi non appena mi resi conto che,
dopo aver lasciato
le valigie al mio appartamento, presi le chiavi della macchina per
raggiungere
Travis a casa sua.
Avevo
lasciato tutto il gruppo all’aeroporto non appena
avevo recuperato anche l’ultimo borsone della mia
attrezzatura e, a parte Mara,
non mi ero nemmeno disturbata a salutare qualcuno: sentivo la netta
sensazione
che, se non avessi agito in quel momento, non l’avrei
più fatto e mi sarei
tirata indietro come una perfetta codarda, nonostante fossi
perfettamente
consapevole di quanto fosse sbagliato quel mio modo di agire e di
pensare.
Sbagliato
perché sapevo che non avrebbe portato a niente,
ma sentivo come il bisogno di provarci in ogni caso, di tentare
un’ultima cosa
e di capire cosa passasse per la testa di quel maledetto ragazzo.
Così
mi trovai davanti alla porta dell’appartamento di
Travis, senza saper bene che cosa fare, improvvisamente colta da
un’ondata di
terrore e di disagio perché, alla fine, non ci eravamo
lasciati nel migliore
dei modi, durante quella sera passata a scambiarci messaggi, ancora
peggio
l’ultima volta che avevamo davvero scambiato due parole. Non
avevo idea di cosa
potermi trovare davanti oppure chi
trovarmi davanti, ed una parte di me continuava a sperare che non
saltasse
fuori Riccioli d’Oro dal nulla, perché non ero
davvero dell’umore adatto.
Ed
infine mi feci coraggio e bussai, forse un po’ più
forte di quanto avrei voluto, ed attesi qualche istante prima di
sentire la
chiave girare e la porta aprirsi.
Restai
un momento a fissare Travis, a ricordare ogni suo
particolare forse, e a studiare l’espressione stupita che gli
era comparsa sul
volto non appena aveva capito di chi fosse davvero arrivato alla sua
porta a
quell’ora. E senza nemmeno avvisare. Ma come avrei potuto
avvisare, d’altronde?
Con quale coraggio?
Doveva
essere tornato da poco dall’ultimo allenamento,
lui, con indosso ancora i suoi pantaloni sportivi, la felpa con il logo
della
piscina di mio padre ed il solito odore di cloro che arrivava persino a
me.
“Vuoi entrare?”,
mi chiese, dopo qualche istante, senza distogliere lo sguardo dal mio.
Mi
limitai ad annuire, io, invece. Come se fossi
diventata improvvisamente timida e muta, così mi decisi ad
entrare abbassando
lo sguardo a terra, non riuscendo più a sostenere quei suoi
occhi. E continuai
a sentirli addosso, sulla pelle, anche dopo aver sentito la porta
richiudersi e
mi faceva sentire dannatamente a disagio, per certi versi. Ero in
territorio
nemico e mi ci ero buttata di mia spontanea volontà
pensando, addirittura, di
essere nel giusto quando, in realtà, avevo sbagliato su
tutta la linea.
Finalmente
decisi di riprendere coraggio e di alzare gli
occhi per incontrare quelli di Travis che, poggiato alla porta
d’ingresso,
attendeva una mia mossa. Perché, almeno quella volta, sapevo
che lui non
avrebbe mosso un dito, non si sarebbe fatto avanti ed infondo aveva
pienamente
ragione. Quella più confusa ero io, come
sempre, e lui aveva bisogno di una sorta di dimostrazione, ma
io non sapevo
proprio cosa fare e come portarmi.
Certo,
avevo sentito la sua mancanza dall’ultima
telefonata che avevamo avuto, quando lo avevo informato della settimana
che
avrei trascorso in Puglia; tuttavia sapevo anche che, quella miriade di
sensazioni, era sbagliata e non avrei dovuto provarla perché
uno come Travis
non era fatto per me ed io non ero fatta per lui. Noi due eravamo
sbagliati, e
lo sapevamo entrambi, ma lui sembrava voler sorvolare il problema.
Eppure,
con quello sguardo incollato al mio, tutto pareva
andare all’aria, anche il mio più forte tentativo
di mantenermi a distanza di
sicurezza da uno come lui. Anche la questione Simona passava in secondo
piano,
nonostante fosse comunque un problema a dir poco fastidioso.
Al
diavolo!
Agli
effetti collaterali di quella malsana situazione
avrei pensato in un secondo momento, fu l’unica cosa che
riuscii a pensare
quando finalmente mi decisi ad avvicinarmi a lui, poggiando la fronte
al suo
petto e stringendo la sua felpa tra le mani. E fu quasi come tornare a
respirare, sentire le braccia di Travis intorno a me, e bruciava,
faceva male, perché
sapevo che non doveva andare in quel modo, ma in quel momento non
riuscivo
davvero a pensare a nulla di razionale, così avevo lasciato
correre, per
l’ennesima volta. Come avrei potuto fare altrimenti?
Travis’
POV
Me
ne stavo steso sul letto ad osservare Maya che, del
tutto inaspettatamente, era piombata a casa mia senza nemmeno avvisare,
come un
fulmine a ciel sereno. Ed era stato proprio così, come
sentirsi fulminati senza
aspettarselo, trovarsela davanti alla mia porta.
Avevo
preferito non chiedergli il motivo di quella
visita, me ne ero stato zitto per vedere quale sarebbe stata la sua
prima mossa
e, in tutta sincerità, avevo sperato con tutto me stesso in
un finale simile.
Dall’ultimo assurdo epilogo che avevamo avuto per telefono
non c’era stato
altro che silenzio, tra noi, e quei pochi messaggi che ci eravamo
scambiati
avevano fatto più danni che altro, probabilmente, creandole
ancora più domande
nella mente. Come poteva davvero farsi tanti problemi, lei? A volte non
riuscivo davvero a capirla, soprattutto perché se solo
avesse lasciato un
attimo correre sarebbe stato tutto molto più semplice, tutto
molto più sincero.
Ma no, lei doveva continuare a complicare la situazione, creandosi con
le sue
stesse mani migliaia di problemi ed io non sapevo più da che
parte farmi.
Pensavo
di averle dimostrato abbastanza, di averle fatto
capire che non era una delle solite conquiste, una delle tante. Lo
pensavo
anche io, all’inizio, ma con il passare del tempo quel suo
carattere del cazzo
e quelle sue fisime mentali avevano continuato a scavarmi dentro ed
tutto era
quasi diventato importante. Lei era
diventata importante, e dannazione
avrei preferito che non fosse mai successo, per certi versi.
Perché era
complicata e quando ci si metteva sapeva davvero rompere le palle, ma
ero quasi
arrivato ad un punto di non ritorno e vederla arrivare da me aveva
solamente
peggiorato le cose.
Le
avevo raccontato praticamente tutto di me, le avevo
rivelato cose che nemmeno mia madre sapeva eppure sembrava non essere
abbastanza. Oppure era lei la testarda che negava tutto quanto, anche
la più
grande evidenza. Non la capivo, davvero!
E
non riuscii a tenere a freno una mano, che
automaticamente corse ai suoi capelli, mentre anche lei continuava a
fissarmi,
stesa nel mio letto. La avvicinai a me ancora di più,
trovandomela ad un soffio
e non potei fare a meno che ricominciare a baciarla, perché
se davvero si
aspettava che dopo tutto quello che mi aveva fatto passare mi sarei
accontentato, si sbagliava di grosso. La strinsi a me, quasi per paura
che
potesse scappare a gambe levate da un momento all’altro e, da
una come lei, mi
sarei aspettata di tutto. Ecco perché non mi sorpresi
affatto quando, dopo
qualche istante, cercò di spingermi via da lei ed io, da
perfetto idiota,
decisi di non forzare troppo la mano e mi allontanai a mia volta,
cominciando a
studiare quei suoi occhi in tormento, quel mare mosso forse come non
mai.
“Non sarei dovuta
venire”, bisbigliò, forse più
a sé stessa che a me, ma riuscii a sentirla
distintamente comunque.
Sembrava
non avere più il coraggio di guardarmi in
faccia, lei, la solita che sembrava annientata da chissà
quali problemi e
dialoghi interiori. Avrei tanto voluto sapere cosa le stesse passando
per
quella maledetta testa che non smetteva un attimo di pensare. Poi,
finalmente,
risollevò lo sguardo e la vidi più confusa che
mai. Il ché era davvero assurdo.
“Non sarei dovuta
venire, Travis”, ripeté, questa volta
più convinta.
“Allora perché lo
hai fatto? Potevi restartene a casa, non credi?”,
ribattei, stizzito dai
suoi continui cambi d’umore. Perché non ne potevo
davvero più; era stata lei a
piombare a casa mia, a farsi avanti e poi, con una
semplicità incredibile,
continuava a fare retromarcia nel momento in cui bisognava avere quel
briciolo
di coraggio in più per non farsi sopraffare dalle paure. E
lei era davvero una
gran vigliacca, la maggior parte delle volte, e non capivo davvero per
quale
motivo.
“Non lo so”,
rispose, in un sussurro, torturando il lenzuolo con cui si era coperta
fino al
collo. E se fosse stata un’occasione qualsiasi mi avrebbe
fatto addirittura
tenerezza, ma in quel momento ne avevo fin sopra i capelli della sua
stramaledetta indecisione, avevo bisogno anche io di una qualsiasi
dimostrazione, ma lei sembrava convinta con tutta sé stessa
a non darmi alcuna
soddisfazione e a nascondersi come sempre.
“Non puoi non saperlo,
Maya”, continuai. “Dannazione,
è così
difficile per te lasciarti andare? Perché
pensavo avessi più spina dorsale, pensavo fossi
più forte di così, ma
evidentemente mi sbagliavo”.
I
suoi occhi saettarono nei miei nel momento stesso in
cui comprese appieno le mie parole, ed avevano fatto centro: avevo
finalmente
ottenuto una reazione degna di essere chiamata tale. Era arrabbiata, si
sarebbe
visto a chilometri di distanza, ma mi sarebbe andata bene qualsiasi
emozione,
in quel momento, piuttosto che vederla rannicchiata in un angolo del
letto
senza avere il coraggio di alzare lo sguardo.
“Tu non sai
assolutamente nulla di me, razza di idiota!”,
esclamò, inviperita. “Non
hai idea di quanto io possa essere forte
o meno, non lo sai, quindi non osare venire da me a farmi la paternale
per cose
di cui non sei a conoscenza”, continuò,
allontanandosi ancora di più da me.
Poi la vidi sedersi sul bordo del letto, dandomi le spalle, e
recuperare i suoi
vestiti sparsi per il pavimento. Si rivestì in un batter
d’occhio, ostinandosi
a non guardarmi e a chiudersi sempre più a riccio, negandomi
ogni minima
possibilità di avvicinarmi a lei. Si incamminò
verso il salotto, uscendo dalla
mia stanza, ma non potevo lasciarla andare via così, io, non
potevo lasciarmi
scappare l’occasione di chiarirmi davvero con lei.
Così cercai di rivestirmi
anche io, per quanto possibile, e la raggiunsi, trovandola poco
distante dalla
porta d’ingresso, intenta a riprendersi la sua borsa.
“Hai perfettamente
ragione, di te non so nulla. Ma ti sei mai chiesta per quale motivo, eh?”,
le chiesi, senza nemmeno preoccuparmi di come potesse risultare
esasperata ed
arrabbiata la mia voce. “Ti sei mai
chiesta perché io vada avanti a supposizioni, quando si
tratta di te? Perché non
mi dai nemmeno la possibilità di conoscerti davvero, ti tiri
indietro quando le
cose cominciano a farsi un po’ troppo complicate per te e
scappi a gambe levate”.
“Io non sto
scappando!”, sbraitò, lei, colta sul
vivo. E mi fulminò con lo sguardo, con
quegli occhi in tempesta che sembravano volermi dire tutto e niente.
“Davvero?”, le
chiesi, schernendola. “E adesso cosa
stai
facendo, esattamente? Perché se questo non è
scappare, non ho davvero idea di
cosa sia”.
Nessuno
disse niente per quella che mi parve un’eternità,
nessuno osava muovere un muscolo e nessuno osava distogliere lo sguardo
dall’altro,
e se avessimo potuto ci saremmo lanciati addosso qualsiasi oggetto a
portata di
mano.
Avevo
sbagliato io ad affezionarmi troppo a quella
ragazza, perché sembrava troppo presa da sé
stessa e troppo intenta a
preservarsi per rendersi conto di cosa avrebbe potuto ottenere. Sarebbe
bastato
abbassare leggermente quella sua dannatissima corazza,
nient’altro, ma per lei
sembrava troppo complicato persino quello.
“Io starò anche
scappando, ma lo sto facendo perché ti aspetti troppo da me,
lo hai sempre
fatto”, cominciò, in un sibilo, velenosa
come non mai. “Ti sei fatto troppe
illusioni su quello che
abbiamo passato e su cosa abbiamo fatto, come se oltre al sesso potesse
esserci
altro, ma io ho sempre messo in chiaro le mie intenzioni, sempre! Sei
stato tu
a voler quel qualcosa in più, ma io mi sono sempre
dimostrata contraria; ed
ecco il risultato della tua testardaggine! Stiamo litigando, come
sempre, e
come pensi possa funzionare una storia, tra noi? Sei davvero convinto
che possa
andare avanti? Non sai quanto ti spagli, sei un illuso!”.
E
furono quei suoi occhi a ferirmi più di tutto,
più
delle sue parole, perché sembravano davvero convinti di
quello che stavano
dicendo. ma come potevo essermi sbagliato così tanto, su di
lei? La credevo
capace di tutto, tranne di potermi deridere fino a quel punto, come se
non
bastasse l’evidenza a farmi sprofondare metri e metri
sottoterra. Eppure continuavo
ad essere convinto che qualcosa non andava ancora per il verso giusto,
qualcosa
ancora non mi convinceva.
Era
solamente l’ennesimo suo tentativo ti proteggersi e
di mettersi al sicuro, ma io ne avevo davvero abbastanza, non
sopportavo più
quella situazione e nemmeno lei, cocciuta come pochi. Così
mi avvicinai alla
porta d’ingresso, aprendola e spostandomi per farle spazio.
“Allora vattene!”,
le dissi, fulminandola con lo sguardo. “Non
stavi forse scappando? Come sempre, poi”.
“Vaffanculo,
Travis!”, esclamò, prima di uscire
decisa da casa mia e di scomparire alla
mia vista. Tanto meglio, pensai. Mi
avrebbe
creato solamente troppi problemi, lei, con quei suoi atteggiamenti da
stronza. Così
sbattei la porta, maledicendo quella ragazza e me stesso per essermi
lasciato
incantare da un paio di occhi fuori dal comune e da un bel sorriso,
seppur
raro.
Mi
maledissi perché mi ero lasciato incastrare molto
più
di quanto avrei voluto e perché, in quel momento, non sapevo
davvero da che
parte farmi per uscirne.
Allora, che ne pensate?
Qui non vediamo i nostri protagonisti nello stesso luogo per la maggior parte del tempo, ma è un particolare che non mi dispiace, anche perchè ci sono stati momenti in cui la distanza è servita e altri in cui ha creato più casini di quanti non ce ne fossero già.
E di Travis che mi dite? Quel povero ragazzo ha una bella gatta da pelare e, se potessi, mi offrirei volontaria per fargli passare la sbandata.
Spero di potervi tenere aggiornate più spesso e di non farmi vedere una volta ogni mai!
Comunque, se non avete visto nel capitolo scorso, questo è il gruppo su Facebook che ho creato per tenermi in contatto con voi e per tenervi aggiornate con novità, spoiler e altro.
Born to Run
Quindi, unitevi al disagio che qualche altra mente deviata è sempre ben accetta :)
Detto questo, ringrazio come sempre chi si fa sentire con una recensione, chi aggiunge alle preferite/seguite la mia storia e a chi legge in silenzio. GRAZIE!
Alla prossima, runners, e buone vacanze per chi ancora ne ha,
Chiara