Ringrazio tantissimo dunque tutte voi che leggete e recensite e mi ispirate ad andare avanti, siete meravigliose ♥ Vi lascio alla lettura allora, buon proseguimento e ci sentiamo al prossimo capitolo!
Vostra,
Niglia.
Sesshoumaru osservava con aria
insoddisfatta il Generale che cullava e confortava gentilmente la
bambina, e non perché quest’ultima stesse godendo
delle premure di suo padre, quanto piuttosto perché il
demone si stava prendendo troppe libertà con una preda che
non era la sua. Inghiottendo faticosamente un ringhio che minacciava di
denunciare la sua gelosia, il cucciolo incrociò le braccia
sul petto e strinse gli occhi, attendendo impaziente che la scena
finisse.
Vide il suo genitore chinare
appena il capo verso i capelli della bambina e inalare discretamente,
in modo da memorizzare il suo odore. Sesshoumaru trattenne il fiato,
sorpreso: lo aveva fatto anche lui con lei – quel profumo di
fiori ed estate era già impresso a fondo nei suoi senti
– ma se era l’Alpha a farlo il gesto assumeva un
significato del tutto diverso. Voleva dire che ne accettava la sua
presenza all’interno del branco, e il giovane lord fu allora
del tutto rassicurato riguardo le intenzioni del Generale.
Inu No Taisho strofinò
gentilmente la punta del proprio naso contro la fronte della bambina,
strappandole un verso soffocato che era metà singhiozzo e
metà risatina, e grugnì in approvazione.
Un dito le si posò
allora sotto il mento, e Kagome fu costretta a sollevare il viso per
guardare negli occhi il Grande Demone Cane. «Non piangere,
bambina», borbottò lui dolcemente. «Mio
figlio pensava soltanto al tuo benessere, non intendeva ferirti. Dunque
non hai paura di noi?»
Kagome scosse piano la testa, ma
ancora non osava parlare.
Il Generale sospirò,
poi curvò il dito indice in direzione del figlio facendogli
cenno di avvicinarsi. Sesshoumaru fu al suo fianco immediatamente,
ponendosi in modo da poter vedere il viso della bambina e non la
schiena, e guardò il padre con un aria di aspettativa.
«Perché non
ci dici come ti chiami, mh? Di sicuro una bella fanciulla come te
possiede un nome altrettanto bello», la stuzzicò
pazientemente.
Gli occhi della bambina scorsero
da lui a suo figlio e viceversa, indecisa, ma poi tirò su
col naso e si sforzò di essere forte. «Mi chiamo
Kagome», mormorò, lo sguardo abbassato sulle
proprie mani che ancora stringevano la stoffa dell’haori del
signore dell’Ovest.
Si chiese che cosa avrebbe pensato
sua madre se avesse saputo che Kagome stava dando tutte quelle
informazioni su di sé a degli estranei –
di certo sarebbe stata molto delusa! Ma cosa poteva fare? Il bambino
– Sesshoumaru-chan – l’aveva salvata dal
pozzo ed era stato gentile con lei, fin quando non le aveva rivelato
che lei ora era sua; mentre suo padre, quel demone imponente che la
coccolava e aveva una voce ruvida ma gentile, e che le ricordava il suo
Otou-san, beh, Kagome non aveva ancora capito se l’avrebbe
riaccompagnata a casa o meno.
Era la prima volta che nominava il
tempio Higurashi a qualcuno che evidentemente non ne aveva mai sentito
parlare, e la cosa la spaventava. Se neanche loro sapevano dove
abitava, come sarebbe tornata dalla sua famiglia?
La sua aura e la brusca
alterazione del suo odore dovettero sicuramente denunciare
l’attuale stato d’animo disperato e afflitto della
bambina, perché subito Kagome sentì le braccia
del Generale stringersi gentili intorno alle sue spalle e la piccola
mano di Sesshoumaru prendere la sua in una stretta confortante.
«Non affliggerti,
bambina», la consolò il lord, posando il mento sui
suoi morbidi capelli corvini. «Sarai nostra fin quando non
troveremo la tua famiglia.»
Il giovane principe
sbatté perplesso gli occhi, non aspettandosi di udire una
simile promessa, e subito i suoi occhi brillarono d’ira.
«Ma, padre–»
«Sssht,
figlio», lo mise a tacere il Generale. Lo guardò
di sbieco, cercando di convenire i suoi pensieri senza pronunciare
parola. «Dopo», aggiunse in un sussurro.
Sesshoumaru si morse la lingua e
annuì rigidamente, riportando la sua attenzione sulla
bambina – no, si corresse subito,
su Kagome. La sua preda, il suo piccolo uccellino in gabbia.
Non poteva permettere che suo padre gliela portasse via.
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