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Autore: Lily_and_the_Marauders    17/08/2015    1 recensioni
Larry!AU
Louis non era sicuro di cosa lo avesse spinto ad entrare in un rumoroso ed affollato pub di Londra quella sera. O forse lo sapeva. Aveva bisogno di bere, di ingoiare una qualsiasi bevanda così ghiacciata da fargli bruciare la gola. E aveva bisogno di rumore perché, francamente, aveva passato fin troppo tempo a piangersi addosso nel buio del suo appartamento.
O quella volta in cui Louis entra in un pub per dimenticare il passato e trova, in uno sconosciuto, un motivo per ricominciare a vivere.
Genere: Angst, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Piccolo appunto: Vorrei ringraziare Sara, la mia adorabile beta, per aver corretto questa fan fiction in modo molto professionale (hai un futuro, lol) e per avermi supportato [e sopportato] durante gli orribili momenti in cui non avevo neanche un briciolo di ispirazione.
Ti voglio tanto bene.
 
(stalkeratela su twitter @inredlipstickk)
 
 
 
 
Stranger.
 
 
 
Down in this downtown apartment,
Is where two broken hearts went
To see what it feels like to fall for a stranger.
 
 
 
 
 
Louis non era sicuro di cosa lo avesse spinto ad entrare in un rumoroso ed affollato pub di Londra quella sera. O forse lo sapeva. Aveva bisogno di bere, di ingoiare una qualsiasi bevanda così ghiacciata da fargli bruciare la gola. E aveva bisogno di rumore perché, francamente, aveva passato fin troppo tempo a piangersi addosso nel buio del suo appartamento.
 
Lei se ne era andata. Non l’avrebbe mai più rivista. Doveva farsene una ragione e andare avanti con la sua vita. Ma prima di tutto, prima di ritornare alla monotonia del mondo reale, aveva un disperato bisogno di ubriacarsi. Peccato che nessuno dei suoi amici fosse in città. Non che Louis avesse in qualche modo cercato di chiamarli in quegli ultimi giorni, anzi, ma il fatto era che quando stava male chiudersi a guscio era quello che gli riusciva meglio. Non voleva che la gente lo vedesse nei suoi momenti di debolezza e soprattutto non voleva essere compatito, aveva bisogno di processare il suo dolore da solo, di chiudere fuori il mondo per un po’.
Quindi, quella sera, si sarebbe fatto bastare la propria compagnia.
 
Appena entrato nel locale, dovette spintonare un paio di persone prima di arrivare al bancone e mettersi seduto su uno dei pochi sgabelli liberi. La musica era alta e la quantità di persone ammassate in quei cinque metri quadrati di stanza rendevano l’ambiente fin troppo umido.
Dopo essersi sfilato la giacca, Louis infilò una mano in tasca e ne tirò fuori un pugno di spicci e quando finalmente il barista gli rivolse uno sguardo, ordinò una vodka. Buttò giù il contenuto del bicchierino tutto in una volta. Ne ordinò un’altra.
 
« Brutta serata, eh? » commentò una voce accanto a lui.
Louis si voltò e si ritrovò faccia a faccia con un ragazzo all’incirca della sua età. Era bello, notò. Aveva il viso incorniciato da capelli ricci, lunghi quasi fino alle spalle, gli occhi verdi forse un po’ appannati dall’alcol e il sorriso da bambino. Strano contrasto.
« Già » rispose Louis, ingoiando un altro bicchierino di vodka. La gola iniziava a bruciargli.
 
Dopo alcuni minuti di silenzio, il ragazzo accanto a lui parlò di nuovo: « anche per me… ho beccato il mio ragazzo con un altro. » disse con voce piatta.
Louis annuì. « Mi dispiace » rispose. Poi, dopo poco aggiunse: « Mia madre è morta. » Forse non avrebbe dovuto dirlo ad uno sconosciuto, non era una cosa carina da fare, soprattutto perché quel ragazzo gli aveva appena detto di essere stato tradito e sembrava che Louis volesse giocare a chi se la passasse peggio. « Scusa, » mormorò allora « nella mia testa non suonava così scortese ».
 
Il ragazzo scosse la testa e abbozzò un sorriso. « Non sei stato scortese... mi dispiace per tua madre. »
Louis annuì di nuovo ma abbassò gli occhi sul bicchiere che stringeva tra le mani: sapeva qual era lo sguardo di compassione che tutti assumevano quando parlava della morte di sua madre, per questo in genere evitava di sfiorare l’argomento. Ordinò invece un’altra vodka. Il ragazzo accanto a lui non parlò più; con la coda dell’occhio, Louis lo vide bere gli ultimi sorsi della sua bevanda, per poi lasciare dei soldi sul bancone, infilarsi la giacca ed andarsene.
Wow, sei proprio bravo a parlare con le persone.
 
Louis cercò di ignorare il fischio che sentiva nelle orecchie e tentò di concentrarsi sul ritmo della canzone che le casse stavano sparando a tutto volume mentre, senza esitare, faceva scendere altra vodka giù per la gola.
Quando i suoi occhi iniziarono a sfumare leggermente i contorni degli oggetti accanto a lui, decise che era arrivato il momento di uscire da quel posto. Posò sul bancone il resto dei soldi che aveva in tasca sperando che fossero abbastanza e se ne andò prima che il barista si voltasse di nuovo verso di lui.
 
Quando aprì la porta del locale, venne investito da una folata di vento gelido. Ottobre a Londra non era piacevole come nei paesi più a sud dell’Europa. In ogni caso, il freddo lo fece risvegliare dal torpore provocato dall’alcol e camminare, ora, sembrava un’azione molto più semplice rispetto a due minuti prima. Con passo traballante, si incamminò verso la più vicina fermata del bus, ma non fece in tempo a fare neanche dieci metri che inciampò in qualcosa, o meglio, nelle gambe di qualcuno. Forse era più ubriaco di quanto pensasse.
 
« Scusa » borbottò. « Oh, sei di nuovo tu » aggiunse quando si rese conto che quello a cui aveva appena involontariamente dato un calcio era il ragazzo di prima.
« E’ tutto okay » lo rassicurò questi con un sorriso sghembo.
Senza pensarci, Louis si sedette accanto a lui sul marciapiede. « Sei stato qua fuori per tutto questo tempo? »
L’altro annuì. « Mia sorella abita qui e stavo decidendo se chiamarla e fami ospitare a casa sua o aspettare un treno in stazione e tornare a casa. »
Louis guardò l’orologio, era mezzanotte. Non riusciva a credere di aver passato solo due ore in quel pub, sembrava essere trascorsa un’eternità da quando si era trascinato fuori dal suo appartamento per la prima volta dopo quasi due mesi.
« Da dove vieni? » gli chiese Louis.
« Manchester. »
Louis strabuzzò gli occhi. « E cosa sei venuto a fare qui? »
L’altro ragazzo abbassò lo sguardo. « Diciamo che sono scappato… voglio dire, non proprio scappato scappato, solo… »
« Scappato » concluse Louis e il ragazzo alzò le spalle. « Ho capito che c’era qualcosa di sbagliato nel momento in cui ho messo piede in casa, non ho neanche detto una parola quando sono entrato in camera e l’ho visto con un altro. Ho messo i primi vestiti che ho trovato in una borsa e sono corso via. Non è stato il mese più piacevole della mia vita, diciamo.  »
Louis si lasciò scappare un sorriso amaro a quell’affermazione.
« Sono stato per un bel po’ di tempo a casa di un amico, poi anche le pareti di casa sua hanno iniziato a starmi strette, così sono venuto qui. “Harry, sei in grande città, ci sono milioni di cose da vedere e da fare. Puoi lavare i tuoi vestiti, sistemarti e ricominciare di nuovo” ho pensato, e per qualche ora sono stato a posto con me stesso. Poi è ritornato il senso di disgusto e dicono che l’unico modo per sopprimere le emozioni forti è berci su, ed eccoci qua. »
« Ed ha funzionato? » gli chiese Louis con una strana dolcezza nella voce.
« Per qualche ora sì » disse Harry, cupo.
Louis annuì e per un momento si fermò a guardare il profilo di quel ragazzo che aveva appena conosciuto. Prima, quando lo aveva visto nel locale,  aveva subito pensato che fosse bello; ora che lo guardava da più vicino, poteva affermare che era molto più che bello. Aveva gli occhi chiusi, le gambe piegate e tirate al petto e il mento appoggiato ad un ginocchio. I capelli ricci gli ricadevano sul viso e la tentazione di toccarli vinse sulla ragione. Così Louis allungò la mano, prese la ciocca di capelli che copriva il volto di Harry e gliela spostò delicatamente dietro l’orecchio destro.
Se ne pentì subito dopo perché Harry si girò di scatto verso di lui e Louis si sentì come se stesse affogando nei suoi occhi verdi, adesso più vigili. Ritirò in fretta la mano, allora, e distolse lo sguardo.
Ma ecco che Harry gli aveva già afferrato il viso e Louis si ritrovò di nuovo a fissare gli occhi del ragazzo. Sempre più vicini, sempre più vicini. E poi le labbra di Harry si posarono sulle sue, e lo fecero con una leggerezza così surreale che il cure di Louis sprofondò nello stomaco.
 
Erano secoli che Louis non baciava qualcuno, non aveva più sentito il desiderio di condividere un momento così intimo con una persona da quando sua madre si era ammalata e tutto il resto era scivolato in secondo piano.
Ma in quel momento, Louis sentiva di non voler interrompere quel contatto neanche per respirare. Dopo alcuni minuti però, i suoi polmoni sembrarono richiedere aria e, a quanto pare, anche quelli di Harry,  il quale allontanò di qualche millimetro la sua bocca da quella di Louis e fece un grande respiro.
 
Louis aprì gli occhi – che non ricordava di aver chiuso – per trovare Harry che lo fissava.
Il contatto visivo però durò poco, in quanto Louis si sbilanciò in avanti per chiudere di nuovo la distanza tra di loro.  E ricominciarono tutto dacapo: Louis che schiudeva la bocca e Harry che passava la sua lingua sul labbro inferiore di Louis prima di intrecciarla a quella di quest’ultimo. Louis che, per non perdere l’equilibrio, teneva la mano sulla coscia di Harry e Harry che aveva ancora le mani poggiate ai lati del viso di Louis.
Quella serie di baci andò avanti per minuti, ore, giorni.
Poi, lentamente, allo scemare della frenesia, i due si allontanarono l’uno dall’altro restando comunque abbastanza vicini da permettergli di studiare ogni piccolo dettaglio del volto dell’altro.
« Non so il tuo nome » fece improvvisamente il riccio.
Louis ci mise più del necessario per riconnettere il cervello. « Louis » disse. « Louis Tomlinson. »
Harry annuì assimilando l’informazione. « Harry Styles » si presentò a sua volta.
« Sì, l’hai detto prima » disse Louis.
Harry incurvò gli angoli della bocca in un sorriso e due fossette spuntarono sulle sue guance.
« Puoi restare da me se vuoi » buttò lì Louis, alla fine, mordendosi poi la lingua. Aveva davvero invitato uno sconosciuto a passare la notte in casa sua?
Harry si sciolse in un sorriso. « Credevo che prima ci fosse l’appuntamento a cena e poi l’impavida richiesta di passare la notte a casa tua » scherzò.
Louis rise. « Fa così vecchi tempi » ribattè in tono ironico.« Ero serio, comunque » riprese poi il discorso, « resta almeno per questa notte, puoi chiamare tua sorella domani. »
Harry sembrò pensarci su, cosa che portò Louis ad aggiungere frettolosamente « Non ho cattive intenzioni », frase che fece scaturire in Harry una finta espressione pensierosa, per poi replicare: « Sembra esattamente una cosa che direbbe qualcuno che ha cattive intenzioni ». A Louis scappò una risata e accennò una gomitata alle costole del riccio che rise a sua volta, per poi tornare serio.
« Ci conosciamo appena » disse quasi timidamente. Quasi come se avesse appena realizzato che si trovava seduto su un marciapiede fuori da un pub e che aveva appena passato più di mezz’ora a baciare un completo sconosciuto di cui, fino a pochi minuti prima, non sapeva nemmeno il nome.
« Okay, allora posso accompagnarti a casa sua, se mi dai l’indirizzo – ».
« No » lo fermò Harry. « Accetto la prima offerta, è comunque troppo tardi per chiamarla e non vorrei svegliarla » disse.
Louis annuì e tirò fuori il telefono per chiare un taxi.
 
Durante i venti minuti che la piccola macchina nera impiegò per arrivare, Harry e Louis se ne stettero in piedi l’uno accanto all’altro, illuminati solo dalla luce di un lampione poco più in là e, occasionalmente, dalle luci interne del pub ogni volta che qualcuno entrava e usciva.
Tra loro era calato il silenzio, ma non uno di quelli scomodi o pesanti. Era un silenzio confortevole, alternato da sguardi fugaci e mezzi sorrisi e Louis aveva ancora il cuore che palpitava furiosamente.
Quando il taxi arrivò, Louis aprì la portiera e fece entrare Harry, poi pagò il tassista perché “Sei ufficialmente un mio ospite, Harold” e quando sentì Harry ridacchiare per quel soprannome che si era appena inventato, capì che non c’era più speranza: le farfalle sembravano aver deciso di prendere dimorafissa nel suo stomaco.
Il viaggio fu breve, circa un quarto d’ora più tardi stavano salendo le scale che portavano al pianerottolo della casa di Louis. L’effetto dell’alcol sembrava essere sparito del tutto lasciando però il posto ad un’euforia diversa.
Louis girò la chiave nella toppa e spinse piano la porta fino ad aprirla e desiderare subito dopo di richiuderla.
Casa sua era un totale disastro ma, ecco, non è che fosse uscito con l’intenzione di portarci qualcuno.
« Uhm, sì… scusa per il casino » borbottò, quasi sicuramente rosso in viso.
Vide Harry sorridere ma non bastò ad impedirgli di lanciarsi in avanti e iniziare a raccogliere velocemente magliette, calzini, bicchieri, confezioni di pizza avanzata.
« Louis » lo richiamò Harry. « E’ tutto okay, sul serio. E’ accogliente. »
Louis si fermò, lanciando il telecomando che aveva appena raccolto da terra sul divano. Diede uno sguardo intorno: almeno ora si vedeva il pavimento.
« Sì beh… non è il posto più bello del mondo, ma è pur sempre casa » disse, rassegnandosi e gettandosi sul divano.
Harry era ancora in piedi vicino alla porta, il che fece ricordare a Louis di non aver fatto gli onori di casa. Sua madre lo avrebbe disintegrato con un solo sguardo se fosse stata lì. Lo stomaco gli si chiuse ma non ci badò molto.
« Scusa, non ricevo ospiti da un po’, come puoi ben vedere » gli disse.
Harry fece un altro dei suoi sorrisi. « Tranquillo,  è che… mi dispiace abusare della tua ospitalità, ma potrei farmi una doccia e mettere su una lavatrice? »
« Certo » fece Louis alzandosi. « Vieni, ti faccio vedere il resto della reggia » e istintivamente lo prese per mano. Per un momento si ghiacciò sul posto, ma quando Harry non si tirò indietro al contatto, Louis continuò a camminare (nonostanteavesse il cuore che minacciava di scoppiare da un momento all’altro).
« Questa a sinistra è la mia stanza e la porta di fronte a te è il bagno. La cucina è di là, vicino al salotto. »
Harry annuì.
« Uhm, in bagno c’è un piccolo mobile bianco dove puoi trovare degli asciugamani puliti. Ti lascio una maglia e un paio di pantaloni della tuta sul letto… sperando che non ti vadano piccoli » aggiunse poi, rendendosi conto che Harry era qualche centimetro più altro di lui e che le sue spalle erano decisamente più ampie.
« Andranno bene, grazie mille » disse però il ragazzo. Poi, prima di sparire dietro la porta del bagno, stampò un bacio sulle labbra di Louis talmente in fretta che quest’ultimo pensò di esserselo immaginato.
 
Ancora scombussolato ma deciso a non pensare al fatto che stava iniziando a provare dei sentimenti per lo sconosciuto nel suo bagno, decise di andare a preparare del caffè.
Aveva una bella macchina per fare il caffè, una di quelle sofisticate con le capsule e tutto. Forse valeva più della metà delle cose che teneva in casa. Gliel’aveva regalata sua madre quando si era trasferito a Londra per stare più vicino all’Università – l’Università che aveva completamente snobbato negli ultimi due mesi. Sua madre sapeva quanto Louis odiasse il caffè acquoso e, apparentemente, lei e quella macchinetta erano le uniche in grado di prepararne uno abbastanza forte da soddisfare il suo palato. Louis la aveva scollegata dalla corrente dopo che sua madre se ne era andata, ma quella sera, la riaccese per la prima volta da settimane.
 
Uscì dalla cucina stringendo i manici delle due tazze stracolme di caffè proprio nel momento in cui Harry riemerse dal corridoio con addosso i suoi vestiti e, diavolo, per poco Louis non fece cadere tutto a terra.
La t-shirt bianca, che a Louis stava piuttosto larga, fasciava il petto di Harry in una maniera che Louis avrebbe definito davvero poco legale. Non lasciò che il suo sguardo scivolasse oltre per non sembrare un maniaco. Invece, si schiarì la gola improvvisamente asciutta. « Ho, uhm, preparato del caffè. Se ne vuoi. »
Harry sorrise. « Grazie » gli disse, avvicinandosi a lui per prendere la tazza che gli stava porgendo. Solo quando fu abbastanza vicino, Louis notò che non si era asciugato i capelli. Così bagnati, sembravano ancora più lunghi e, laddove erano rimasti appiccicati alle sue guance, c’erano gocce d’acqua che scendevano lente lungo il collo fino a scomparire dentro la maglia.
« Ti prenderai un raffreddore, così » lo avvertì.
Harry scrollò le spalle. « Tranquillo, non li asciugo quasi mai ».
Louis annuì, pensando che un ragazzo con quell’aspetto e in più con anticorpi così potenti dovesse essere in parte dio nordico, o perlomeno il risultato di un qualche esperimento scientifico.  Cercando di controllare i suoi pensieri, si andò a sedere sulla sottospecie di poltrona allargata che chiamava divano, invitando poi Harry a fare lo stesso.
Lo spazio non era molto e finirono per stare più vicini di quanto il cuore di Louis potesse sopportare. Il che era strano dato che aveva praticamente esplorato tutta la sua cavità orale meno di due ore prima. Ma forse era solo perché gli effetti dell’alcol adesso erano totalmente spariti e il suo cervello stava iniziando a processare il fatto che un ragazzo sulla ventina, le cui parti del corpo erano messe tutte al punto giusto e il cui sguardo ricordava vagamente quello di un giovane ed estremamente attraente James Dean era seduto accanto a lui. In casa sua. Sul suo divano e nei suoi vestiti che mettevano molto in risaluto le suddette parti del corpo. Ecco, erano molte cose da assimilare tutte insieme.
Per distrarsi, afferrò il telecomando e spinse un pulsante a caso.
 
« Oh, adoro questo film » disse Harry, quasi più a se stesso che a Louis. Era una replica di Love Actually, forse. Louis non ne era sicuro. Era il tipo di commedia romantica che le sue sorelle più piccole erano solite vedere la domenica sera, secoli fa. In ogni caso, si fermò su quel canale –  perché, beh, a Harry piaceva – e si sistemò meglio sul divano sorseggiando il suo caffè.
Il film andò avanti e Louis ogni tanto sentiva Harry ripetere qualche battuta all’unisono con gli attori. Era adorabile.
Louis non prestò molta attenzione alla TV; nel momento in cui si era appoggiato allo schienale morbido del divano aveva realizzato di essere davvero, davvero stanco. Fece il possibile per tenere gli occhi aperti, comunque. Quando il film finì e l’unico sottofondo rimasto era la voce di una presentatrice di un talk show notturno, le palpebre di Louis iniziarono a farsi pesanti. Stava per chiudere gli occhi quando la testa di Harry si poggiò delicatamente sulla sua spalla e il contatto con i capelli ancora umidi del ragazzo lo fece rabbrividire.
« Harry » sussurrò Louis, ma Harry aveva già chiuso gli occhi. « Harry » ripeté, questa volta un po’ più forte.
« Cosa? » rispose il ragazzo con un filo di voce e gli occhi ancora chiusi.
« Non credo che questa sia la posizione più comoda in cui addormentarsi… Puoi andare nella mia stanza, io rimango qui » gli disse.
« No » fece Harry e alzò la testa. « Non ti lascio a dormire sul divano ».
Louis esitò. « Sei sicuro? Io sto bene anche qui, non c’è – »
Harry sorrise e fu come se dentro di Louis qualcuno avesse acceso un fuocherello. « Andiamo » disse e allungò la mano per stringere quella di Louis che annuì e si alzò trascinando Harry verso la camera da letto.
Come prima, calò un silenzio piacevole tra di loro e per un momento, mentre Harry si infilava sotto le lenzuola, Louis pensò che avrebbe voluto vederlo fare la stessa cosa anche la sera dopo e quella dopo ancora, per i successivi anni a venire. Ed era strano. Ci si poteva innamorare così di una persona appena conosciuta? Perché era proprio il sentimento che stava provando in quell’istante: amore. O meglio, pensava fosse amore. L’unico tipo di amore che Louis avesse mai provato era quello verso sua madre e le sue sorelline; non era mai stato veramente innamorato di un’altra persona al di fuori della sua famiglia. Aveva avuto diverse relazioni, alcune belle e altre che non avevano lasciato nessun segno nel suo cuore,  ma mai, mai aveva provato un sentimento così grande per un ragazzo fino ad allora. Non sapeva se fosse una cosa buona o meno e si ritrovò a pensare che non gli importava più di tanto, alla fine. Harry era lì, nel suo letto, e l’unica cosa che Louis sperava in quel momento era di dormire accanto a lui per il resto della sua vita.
Sarebbe andata così? Solo Dio lo sapeva.
Così si stese anche lui, su un fianco, girato verso Harry che lo stava guardando.
« Hey » gli disse.
« Ciao » ribattè Harry. La sua voce era un sussurro. « Grazie ».
Louis alzò gli occhi al cielo e sorrise. « Ringraziami domani mattina quando avrai assaggiato il tè più buono del mondo ».
Harry sbuffò divertito e avvicinò la testa al petto di Louis nascondendo il viso.
Louis sentiva il suo respiro caldo attraverso la maglia.
« Non mi sentivo così sicuro tra le braccia di una persona da molto tempo » mormorò Harry, dopo qualche secondo.
Louis rimase paralizzato da quell’affermazione e dalla calma con cui Harry aveva confessato quella cosa ad una persona che conosceva solo da poche ore. Ma in fondo, non stava provando anche lui la stessa identica sensazione? Quando era stata l’ultima volta che si era sentito così leggero e protetto dall’abbraccio di qualcuno? Il sonno gli impediva di elaborare delle rispose a quelle domande quindi le scansò per concentrarsi su Harry e su come teneva la fronte poggiata al suo petto e la mano destra sul suo fianco. Lo strinse a sé più saldamente e gli stampò un bacio tra i capelli.
Si addormentarono in quella posizione, l’uno tra le braccia dell’altro. Due cuori infranti che, forse, avevano trovato un posto e un motivo per ricominciare a guarire insieme.
                                                                                                                   
La mattina dopo – o meglio, qualche ora dopo essere andato a letto – Louis si risvegliò a causa di un raggio di sole impertinente che, riflettendo sullo specchio accanto al letto, puntava dritto sui sul suo viso. Si passò il dorso della mano sugli occhi assonnati e sbadigliò. Quando abbassò lo sguardo notò che Harry dormiva ancora ma aveva cambiato posizione: era steso sulla schiena, le braccia aperte, il viso girato verso di lui e le gambe attorcigliate attorno alle coperte. La sua espressione pacifica ricordava quella di un bambino.
Louis non resistette e gli passò una mano tra i capelli per spostarglieli dal viso, proprio come aveva fatto la sera prima. Lo guardò dormire ancora per un po’ e poi decise di andarsi a fare una doccia e di preparare la colazione.
Il getto d’acqua bollente sembrò quasi cancellare tutte quelle domande ancora nascoste in un piccolo scompartimento del suo cervello, lasciando il posto ad un po’ di relax.
 
Per preparare un buon tè, secondo Louis, una persona doveva possedere due requisiti: un buon senso del tempo (lasciare la bustina troppo poco non dava il tempo all’acqua di aromatizzarsi) e l’esperienza in campo di qualità del prodotto in modo da sapere quale fosse il migliore ed evitare di ritrovarsi al mattino con una tazza di tè disgustoso in mano.
Si dava il caso che Louis possedesse entrambe queste qualità e che ne andasse molto fiero.
Riempì il bollitore d’acqua e lo lasciò sul fornello acceso mentre tornava in camera per svegliare Harry che, notò, non si era mosso di un solo millimetro da quando lo aveva lasciato.
« Harry » tentò di chiamarlo ma inutilmente. Allora si avvicinò e si mise seduto sul letto.
« Harry » disse di nuovo, questa volta allungando una mano fino ad accarezzare delicatamente la guancia del ragazzo.  Le palpebre di Harry tremolarono ma non si aprirono. Louis si avvicinò di più ed esitò prima di posare, alla fine, un bacio sulle sue labbra.
Harry aprì gli occhi e sorrise nel bacio mettendo poi mano sulla guancia di Louis per fare in modo che quello non interrompesse il contatto. Non che Louis avesse in mente di farlo, comunque.
Il bacio si approfondì ma non c’era fretta nei loro movimenti, tutt’altro. La lentezza con cui Harry fece scivolare la sua lingua lungo il contorno del labbro inferiore di Louis e la delicatezza con cui, successivamente, morse quello stesso labbro facevano pensare a Louis solo dipiùdipiùdipiù.
Ma non era quello il momento adatto e anche Harry lo sapeva bene. Per questo, insieme, si separarono. Il respiro affannato, il cuore a mille e gli occhi lucidi di Harry erano un insieme di cose che Louis non si sarebbe mai stancato di vedere. « Buongiorno » disse con un sorrisetto.
« E’ davvero un buongiorno » fece Harry con la stessa espressione compiaciuta.
« Ho preparato la colazione, se vuoi » lo informò Louis. Harry annuì e si disincastrò dal groviglio di coperte che aveva creato nel sonno. Una volta in piedi, si stiracchiò e scrocchiò le dita delle mani e del collo. Inutile dire che Louis trovò quella scena particolarmente sexy.
 
La cucina non era molto grande – non che il resto della casa lo fosse –  ma al suo interno c’era spazio per un piccolo tavolino e due sedie. Una volta raggiunto il bollitore che fortunatamente non era esploso nonostante fosse rimasto sul fuoco per più tempo del necessario, Louis versò l’acqua bollente in due tazze, mentre Harry si occupò delle fette di pane tostato.
La scena sembrava così familiare agli occhi di Louis che, se non fosse stato consapevole di essere sveglio, avrebbe davvero creduto di trovarsi in un sogno. E si ripose la stessa domanda: come poteva una persona trovarsi così in sintonia con un perfetto estraneo? Probabilmente, se sua madre fosse stata lì gli avrebbe detto con il suo solito tono affettuoso “certe persone sono destinate a trovarsi, Boo”.
Louis era sempre stato un po’ scettico quando si parlava di cose come il destino ma in quell’istante, in quella mattina di Ottobre, in quella casa, Louis iniziò a credere che qualche entità superiore esistesse davvero.
« Marmellata alla fragola o all’albicocca? » La voce di Harry lo fece riscuotere dai suoi pensieri.
« Uhm… fragola » rispose e tolse le bustine di tè dalle tazze.
« Et voilà! » esclamò Harry posizionando un piatto davanti a lui.
Louis sorrise. « Grazie » gli disse.
Mangiarono in silenzio, a tener loro compagnia c’era la musica che usciva da una vecchia radiolina che Louis aveva trovato in una delle mensole della cucina quando aveva traslocato in quella casa.
 
« Sai dove abita tua sorella? » gli domandò Louis mentre sistemavano i piatti, pochi minuti più tardi.
« Paddington, non ricordo bene la via. Ci sono stato solo due o tre volte da quando si è trasferita » spiegò.
Louis annuì, rispose l’ultimo piatto sulla mensola e si asciugò le mani. « Hai ripreso i tuoi vestiti dall’asciugatrice? » domandò poi. Harry annuì e poi assunse un’espressione mortificata. « Prima ti ho invaso casa e poi ho usato la tua lavatrice. »
Louis rise. « E non dimenticare l’asciugatrice e il tostapane, e hai anche caricato il telefono! Accidenti, Harry, ora dovrò pagare due sterline in più di elettricità! Mi hai proprio prosciugato » disse sarcasticamente facendo sorridere Harry.
Insieme, si incamminarono verso la stanza di Louis.
« Comunque, pensi di tornare a Manchester? » gli domandò Louis mentre apriva l’armadio.
« Beh, di certo non posso mandargli un messaggio con scritto “spedisci il resto della mia roba a questo indirizzo” » rispose Harry, sarcasticamente.
Louis ridacchiò. « Se lo meriterebbe » aggiunse poi, serio.
« Cosa? »
« Essere lasciato per messaggio. Ti ha tradito, non c’è cosa più spregevole al mondo, si meriterebbe una vendetta. »
« Già… potrei lanciargli delle uova sulla macchina. »
« Grande idea, se ti serve una mano sai dove trovarmi. » Gli fece l’occhiolino.
« Grazie » disse Harry. Louis alzò le spalle.
« No, seriamente, ieri non hai lasciato che ti ringraziassi quindi lo faccio ora. Neanche ci conosciamo e mi hai salvato da una notte passata a dormire su una panchina della stazione. Non so se sia stata una mossa stupida o estremamente gentile. Potrei essere un serial killer » gli disse, spalancando gli occhi e puntando due dita verso di lui nel tentativo di imitare, forse, una pistola.
Louis fece un sorriso. « Sei troppo carino per essere un serial killer. »
« Sono quelli più carini che nascondono gli animi più tormentati » ribattè allora Harry, poi scoppiò in una risata e Louis prese una maglia a caso dall’armadio e gliela lanciò in faccia.
« Hey » borbottò Harry assumendo un’espressione offesa. « Non risvegliare l’assassino che è in me. »
Louis scosse la testa sorridendo, scelse qualcosa da mettere e andò a cambiarsi in bagno.
Una volta uscito, trovò Harry ad aspettarlo vicino al portone. Indossava un paio di jeans neri e davvero molto stretti e una camicia con una fantasia colorata, era abbottonata a metà e Louis notò che aveva dei tatuaggi sul petto. Tossicchiò. « Sei pronto? »
Harry alzò gli occhi dal telefono e gli sorrise. « Pronto. »
Louis afferrò le chiavi della macchina da sopra al tavolino e uscirono di casa.
 
« Credo che dovresti girare a destra… adesso » lo informò Harry e Louis sterzò velocemente. Qualcuno dietro di lui suonò il clacson.
« Sei sicuro di dove stiamo andando? » chiese ad Harry per la quinta volta da quando erano partiti.
« L’indirizzo è giusto e Google Maps non ha mai mentito » gli spiegò. « Dritto per due isolati, poi a sinistra e dovremmo esserci. »
Louis fece come gli fu detto e ad un certo punto Harry disse: « Eccola! »
Era una palazzina antica, Louis pensò che dentro doveva essere davvero carina. Fermò la macchina, spense il motore e il cuore iniziò a battergli forte nel petto; erano arrivati, tempo di salutarsi. Era stata una bella avventura.
« Non sali? » gli chiese Harry notando che non si era ancora slacciato la cintura.
Louis scosse la testa. « No, curly » rispose abbozzando un sorriso.
L’espressione di Harry si incupì un po’ e annuì. Poggiò la mano sulla maniglia della porta, poi esitò e si voltò verso di Louis. « Non voglio che finisca così » disse. « Dio, per la prima volta dopo anni mi sono sentito amato da qualcuno, ieri sera. Per la prima volta dopo tanto tempo sono riuscito a dormire tranquillo. Questo mese è stato terribile, Lou. La mia precedente relazione è stata un fiasco, lo era anche prima che il bastardo decidesse di invitare qualcun altro nel mio letto e, onestamente, non so neanche perché sono rimasto con lui per così tanto ma so che andarmene da lì è stata la decisione più giusta della mia vita. Ho capito che potevo trovare una persona migliore ed eccoti qui » sorrise dolcemente. « E’ stata solo una notte, troppo poco per decidere se tra noi ci può essere qualcosa di importante ma io voglio ricominciare a vivere e ricominciare con te sarebbe un onore. »
Louis non sapeva cosa dire, quindi decise di agire: si slacciò la cintura e prese il viso di Harry tra le mani avvicinandolo a sé per baciarlo. Fu rapido, deciso e lo fece restare senza fiato. « Sì » disse solo e Harry sorrise e questa volta fu lui a chiudere la distanza tra di loro.
« Possiamo iniziare con un caffè da mia sorella, ti va? » domandò Harry, poi.
In risposta, Louis intrecciò la propria mano alla sua.
 
 
 
 
 
Down in this downtown apartment
is where two broken hearts went
to see what it feels like to fall for a stranger.
Caught in a landslide of something,
darling, oh I’m asking for one thing:
is this what it feels like to fall for a stranger?
And I’ve got no way to see
what’s meant for you and me
but all along I’ve been falling for a stranger.
 


 
 
Note: La canzone che ha ispirato questa fan fiction è “Stranger” di Ed Sheeran. E’ inedita, in teoria, ma in pratica potete trovarla su tumblr perchè l’ha cantata durante uno dei suoi ultimi concerti.
 
(per ogni cosa, potete trovarmi su twitter: @ohmycastieel)
   
 
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