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Autore: ss55    17/08/2015    0 recensioni
La stuggente vicenda di un uomo che è accaduta e purtroppo riaccadrà infinite altre volte nella vita reale. Questa storia potrebbe aprire gli occhi a chi pensa che il matrimonio sia l'unico problema che oggi affrontano le persone LGBT+.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dopo ciò che mi sarà accaduto al tempo in cui tu, chiunque tu sia, ti ritroverai in mano queste mie parole, credo di avere diritto non solo a chiedere, ma ad esigere il tuo ascolto e quello di tutti coloro capaci di compassione. Spero, anzi, pretendo, che tutti sentano la mia storia, soffrano il mio dolore, subiscano la mia tortura.

Sono nato - quasi la sorte avesse voluto deridermi in anticipo - il 27 giugno 1969.
La mia infanzia, così come quella di moltissime altre persone, fu normale e insulsa almeno quanto spensierata e felice; amavo i miei genitori, giocavo con i compagni di scuola, la domenica andavo in chiesa con mamma e tutto scorreva placido e trasparente come un ruscello d'estate.

Fu all'età della prima adolescenza che iniziarono i problemi.
Ovvio! - Dirai te - quella è l'età in cui iniziano i guai più o meno per tutti! Prima o poi bisogna pur uscire dal tempo dei balocchi!
No.
No.
NO.
Non è ovvio. Non è ciò che accade a tutti.
Come accade tutti, il mio corpo iniziò a cambiare, realizzando un progetto che io non avevo mai firmato. Come accade a tutti, il mio cuore iniziò a battere per una persona diversa al mese, bersagliato da un cupido impazzito. Come accade a tutti, la tempesta di nuove emozioni mi lasciava più confuso e spaventato di quanto fossi mai stato.

E tuttavia io ho sofferto di più. E lo dico con orgoglio, con superbia e, mio malgrado, con una punta di disprezzo per i "normali".
Ho sofferto di più per una piccola - insignificante, direbbero i giusti di questo mondo - caratteristica.
Il mio cuore aveva iniziato a battere per i miei compagni.

Pochi "normali" hanno idea di cosa significhi essere come me a 13 anni. Basta usare la vaselina, no? Ed ecco che tutti i problemi sono magicamente risolti, o soffocati, con una grassa risata.

A 13 anni non ero "gay".
Esatto. Non ero neanche "omosessuale", per quanto ti possa sembrare assurdo.
Non avevo idea di che cosa volesse dire "gay" o "omosessuale". Per me erano due parole, anzi due generici insulti, che apparentemente avevano una connessione con tizi vestiti in modo più o meno indecente, con tanto di spandex e borchie.
Perchè non parli di omosessualità ad un bambino, così come non parli di merda a tavola, o non scoreggi in casa della nonna.
Nessuno mi aveva mai nemmeno suggerito la possibilità della mia stessa esistenza.
Così, durante quei mesi, sapevo unicamente di essere diverso, ma mi era negata un'identità, un riconoscimento.

È solo in seguito che inizi a capire.
È solo in seguito che gli insulti che i ragazzini - e tu stesso - si urlavano l'un l'altro, un pò per scherzo e un pò per pizzicarsi, iniziano ad avere un volto. Il tuo.
Io ero un insulto.

Ed inizi ad odiarti. Inizi ad invidiare i "normali". Inizi a voler cambiare.
Ti metteresti a ridere se ti dicessi che le pagine più sfogliate dei miei "giornaletti" erano quelle con porno lesbo?
Esilarante, vero? Ridi pure.
Stai ridendo di qualcuno che ha così tanta paura di sè stesso che evita gli specchi. Stai ridendo di un nero che si vergogna così tanto della propria razza da lavarsi con la candeggina, nella speranza di eliminare lo "sporco".
Le tue risate mi disgustano.

Un po' come se fosse morto qualcuno, passai per la "fase negazione".
Non ero veramente gay, ero soltanto un normalissimo eterosessuale che ogni tanto aveva desideri erotici "inconsueti".
Non è un teatrino che può andare avanti a lungo - per quanto ti possa sembrare straordinaria l'ipocrisia umana - soprattutto quando continui a masturbarti pensando a ragazzi... sebbene tu stia tecnicamente insieme a una ragazza.

Verso i 17 anni cominciai a rassegnarmi. Ma, purtroppo, non ad accettarmi.
Ok, ero gay, ma ciò non significa che qualcuno lo debba mai sapere. Avrei sposato una bella donna e avrei avuto dei fantastici bambini, che avrei cresciuto con amore, realizzando così la perfetta famiglia "normale".
Come ero crudele. Pensare di costringere non solo me, ma un'altra persona ad una vita intera di menzogne piuttosto di affrontare la mia natura.

E finalmente, a 20 anni, amai. E amai veramente. E soffrii, mentre amavo.
Mi aveva preso di sprovvista, Amore. Non ero pronto.
Odiavo il fatto che amavo, e tuttavia amavo.

Rimpiango di non essere riuscito ad essere libero per quell'amore. Rimpiango gli anni della mia vita gettati nell'oblìo.
Rimpiango di non avere odiato mia madre.
Sì, perché lei ci scoprì. E fu lei, nella sua disgustosa e cattolicissima ignoranza, a serrare del tutto la gabbia che imprigionava il mio cuore, gettando la chiave nel fiume.
Le chiesi scusa, con le lacrime agli occhi. Le promisi che avrei fatto di tutto per non ricadere nella blasfemia. Mi amava così tanto da temere per la mia anima. Mi amava così tanto che avrebbe pregato con me. Mi amava così tanto che mi avrebbe sostenuto con tutto il cuore, mentre io sacrificavo la mia vita per onorare la sua idea di volontà divina.
E feci così perchè l'amavo. Feci così perchè non la odiavo. No. Non era lei quella che odiavo.

Lei è morta la scorsa settimana.
Ora non ho più nessuno ad aiutarmi a sostenere la memoria di tutti i miei anni sprecati. Non ho più nessuno che dissimuli una vita buttata nel cesso con la maschera della dedizione religiosa.
Non riesco, da solo, a sostenere il fatto che a 20 anni rifiutai per sempre la mia parte di felicità.

Ho dedicato la mia vita a fuggire il girone dei sodomiti. Dedico la morte a quello dei suicidi.






 
   
 
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