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Autore: Scottature    17/08/2015    1 recensioni
Questa storia è ispirata alla realtà, come i suoi personaggi. Ed è come vorremmo che fosse.
Sei ragazzi, sei vite, sei voci.
Un'unica storia che li unisce, mentre il tempo cerca di dividerli.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nora




Il ragazzo – avrà avuto 20 anni - la spinse contro il muro e Nora sorrise maliziosamente, sapeva le sue intenzioni.
E sapeva cosa doveva fare.
Si mise a ballare addossata alla parete, come se la cosa non la infastidisse per niente.
Per lei era un gioco e non avrebbe accettato una sconfitta.
Lo fissava, dieci secondi e quello avrebbe ceduto.
La musica era alta e le persone euforiche: si trovava in una delle migliori discoteche della città e, poiché aveva parecchie conoscenze, non aveva dovuto pagare nulla.
Con quel ragazzo era successo tutto in fretta, come spesso capita in situazioni del genere.
Nora stava ballando con le sue amiche, quando il ventenne – lei non lo conosceva - aveva deciso di provarci con lei.
E così si era ritrovata ad aspettare una sua mossa, cercando di porsi in maniera più sensuale possibile.
Le piaceva stuzzicare i ragazzi, ci cascavano sempre.
Le piaceva sentirsi desiderata, “amata”, anche solo per una mezz’ora.
Sentiva, in cuor suo, che nessuno l’avrebbe più amata veramente e per questo cercava di crearsene l’illusione uscendo con alcuni e facendo “cazzate” di questo tipo, come suo fratello le definiva.
Lui, Frank, era il suo angelo custode, l’unica persona che le avrebbe voluto bene sempre e comunque.
Il ragazzo si avvicinò a lei e le mise una mano sul bacino.
Nora fece uno sguardo confuso e stupito, lasciando le labbra semiaperte.
Sapeva che facendogli credere di avere la situazione in pugno, non sarebbe più tornato indietro, quando, in realtà, lei avrebbe potuto solamente gestire le carte in tavola ancora meglio.
Nora gli sorrise, era parecchio più alto di lei ed era costretta ad alzare lo sguardo per potergli osservare il volto: doveva ammetterlo, era davvero carino.
Il ventenne non perse altro tempo; con la mano libera le accarezzò la guancia, per poi avvicinarla velocemente a sé e rubarle un bacio.
Nora socchiuse le labbra e approfondì il contatto, muovendo sensualmente il bacino verso quello del ragazzo.
Sapeva bene la reazione che avrebbe ottenuto da quel suo gesto.
Lui s’irrigidì per un attimo, ma si riprese subito per seguire i movimenti della ragazza e stabilirne il ritmo.
Lei spostò le labbra lascive verso il suo collo, lasciandogli piccoli segni rossi e ritornando poi di nuovo alla bocca.
Il loro movimento stava aumentando insieme al loro desiderio.
Nora non l’avrebbe mai immaginato, ma quel ragazzo ci sapeva davvero fare.
Sapeva stare al suo gioco.
E anche stavolta avrebbe vinto la partita.

“…Nora!”

Giov la stava fissando, sembrava disgustato.
Che ci faceva lui lì?!  Non era partito?!
Nora si bloccò di colpo e si coprì il petto con le mani, come se fosse nuda.
Non voleva che lui la vedesse così e le lacrime le rigarono il volto.

“Perché sei tornato? Perché adesso?”

“Perché mi mancava qualcosa… Ma ho capito che non eri tu.”

Nora sentì che le gambe non le ressero più.
La testa le girava e aveva come una strana nausea.
Giov si stava allontanando, lei non poteva lasciarlo andare: sapeva che se lo avesse fatto, sarebbe stato per sempre.
Aveva bisogno di lui.
Si scostò di dosso il ragazzo che prima la stava baciando e si mise a correre, ma lui era davvero troppo distante.
Lasciò che un’ultima lacrima le bagnasse la guancia e urlò il suo nome con tutto il fiato che aveva in corpo.
Giov si fermò per un attimo, ma non si girò.
E Nora, stanca e abbattuta, si butto a terra.
Solo lui riusciva a demolirla in questo modo.
Era riuscita a fidarsi solo di lui, dopo suo fratello.
Era una delle persone più importanti della sua vita, era cresciuta con lui.
E sapeva che con lui, purtroppo, era lei a perdere.
Contro di lui avrebbe perso sempre.




Nora aprì gli occhi e osservò il soffitto bianco e triste.
La luce era filtrata nella sua camera, si era dimenticata di chiudere i balconi il giorno prima.
Allungò le braccia per sgranchirsele e si lasciò sfuggire uno sbadiglio.
Girò lo sguardo a destra, ritrovandosi il bordo del materasso: stava per cadere dal letto e le coperte erano già finite sul pavimento.
Aveva fatto un altro incubo, maledizione.
Ultimamente, a causa della notizia che le aveva dato Giov, erano diventati frequentissimi.
Espirò profondamente e decise di alzarsi, non sarebbe riuscita a riaddormentarsi se fosse rimasta a letto.
Andò in bagno e si rimirò allo specchio; il giorno prima era andata a dormire tardi e non si era nemmeno struccata.
Gli occhi, infatti, avevano uno spesso contorno nero, mentre alcune ciocche ricce le ricadevano in maniera disordinata sul volto, coprendole leggermente la visuale.
Raccolse i capelli con un elastico e si pulì il viso lavandoselo con acqua fredda.
Era un rito che ormai ripeteva ogni mattina e le serviva per riprendere lucidità velocemente.
Si sentiva già meglio così, anche se le parole e lo sguardo di Giov che aveva visto e sentito nel sogno le erano rimaste impresse in mente.
Nora sentì dei rumori provenire dalla cucina e non perse tempo ad andare a vedere chi ci fosse.
Nel divano c’era un ragazzo, non lo conosceva bene, ma sapeva che era amico di suo fratello e di Giov, e stava dormendo profondamente.
In cucina, invece, suo fratello stava rovistando nella dispensa e teneva in mano una confezione di latte.

“Buongiorno fratellino!”

Nora gli stampò un bacio sulla guancia e gli rubò il latte, per poi andare subito a sedersi versando il contenuto della confezione su un bicchiere.

“Ehi piccola peste! Non pensavo fossi già sveglia.”

Frank scelse un pacco di biscotti con gocce al cioccolato, i loro preferiti, e si sedette vicino a Nora dandole delle piccole pacche sulla testa.

“Ho fatto un incubo e non riuscivo più a dormire…
Voi invece avete festeggiato stanotte? Il tuo amico sta dormendo come un angioletto!”
“C’era la festa a casa di Ebb e siamo tornati tre ore fa.
L’angioletto mi aveva chiesto un favore perché non voleva tornare a casa e io l’ho portato qui.
Che incubo hai fatto?”

Nora sperava che non glielo chiedesse.
Buttò giù un sorso di latte e si prese il tempo per pensare a cosa dire.
Non voleva di nuovo finire a parlare di Giov, si sarebbe solamente rattristata.

“Non me lo ricordo bene…
Un tipo ci stava provando con me in discoteca e all’improvviso è arrivato Giov… gli ho chiesto perché fosse tornato, sembrava deluso e ha detto che gli mancava qualcosa, ma che quella cosa non ero io. E poi se n’è andato.
Tutto qui.”

“Nora… Senti già la sua mancanza adesso che deve ancora partire…
Almeno il ragazzo che ci provava con te era carino?”

Nora dovette tossire, poiché le andò di traverso il latte.
Suo fratello era davvero… impossibile.
Fece finta di prendersela e bofonchiò un “idiota” tirandogli un pugnetto sulla spalla.

“… Comunque, era molto carino.”

Frank scosse la testa e si alzò dirigendosi verso l’ingresso.

“Io esco, vado a vedere se è tutto apposto da Ebb.
Tu sei via a pranzo?”
“No, esco il pomeriggio… forse. A dopo.”

Frank alzò la mano come saluto e uscì di casa, lasciando Nora immersa nei suoi pensieri.

Lei sapeva che il sogno che aveva fatto rappresentava tutte le sue paure.
Aveva il terrore – e la certezza - che quando Giov fosse partito per andare con suo padre a Milano, le cose tra loro sarebbero cambiate.
Lui l’avrebbe dimenticata e la loro storia sarebbe precipitata come un aeroplano di carta.
Quando glielo disse per la prima volta, aveva pensato che stesse scherzando.
Stava fumando una sigaretta e sembrava abbastanza rilassato.
Era stato preciso e schietto, solo due parole: “Devo partire.”

Nora inizialmente non ci credeva, sembrava un’assurdità.
Al padre di Giov non era mai importato molto di lui, aveva in testa solo il lavoro e non si era molto preoccupato nemmeno del divorzio con la moglie, erano affari dell’avvocato secondo lui.
Gestiva un’importante azienda e avevano deciso di allargare il loro mercato trasferendosi a Milano.
Giov non sapeva nulla di tutto questo e aveva sempre cercato di stargli lontano, ma il padre - dal nulla - aveva deciso che suo figlio avrebbe dovuto seguire le sue orme e che per farlo avrebbe dovuto studiare a Milano in una scuola d’élite sotto il suo controllo.
Giov all’inizio aveva cercato di ribellarsi, non voleva andare a vivere lontano da sua madre e dai suoi amici con quello stronzo.
Lui lo odiava: suo padre gli aveva sempre detto che la colpa era sua se la loro famiglia si era divisa e che era un fallito.
Non aveva mai creduto in lui.
Non gli era mai stato vicino nella sua vita.
Lui si era trovato in trappola e nessuno avrebbe potuto tirarlo fuori dai guai.
L’aveva anche ricattato con delle minacce e avrebbe distrutto la sua vita e quella delle poche persone a cui Giov teneva, se non fosse andato con lui.

Nora purtroppo questo lo sapeva, ma lui non poteva abbandonarla così.
Non poteva andare a Milano, buttando all’aria tre anni di ricordi e progetti.
Ripensare al loro passato non era facile e il suo rapporto con Giov era stato sempre molto strano.
Si erano mollati un’infinità di volte, lei lo aveva tradito da ubriaca, lui pure e – diversamente da lei - anche da sobrio, ma alla fine erano sempre tornati insieme a tenersi per mano, a cercare di migliorare un po’.
Erano cresciuti insieme, conoscevano le rispettive debolezze: sapevano quando ci volevano i silenzi e quando invece gli abbracci forti.
Nora, però, era sicura che lui non la amasse, non più.
Vedeva i suoi occhi, erano diversi.
Lui era cresciuto ancor più e lei non era riuscita a stare al passo.
Forse lui si era innamorato di un’altra o forse aveva capito – e lei lo sapeva – che erano più come amici d’infanzia che facevano del sesso occasionale che amanti.
Non poteva lasciarlo andare per questo, non voleva.
Lei era ancora innamorata di lui, aveva ancora impresse le sue cicatrici e i suoi baci.
Mai si sarebbe dimenticata di ciò che le ha fatto provare, delle prime volte insieme e delle piccole guerre che avevano dovuto affrontare.
Lui c’era sempre stato per lei.
E per lei era come se la sua felicità dipendesse da lui.

C’era un libro che a Nora piaceva molto e che da piccola si faceva leggere ogni sera da sua mamma: si era innamorata di tutti i personaggi e soprattutto di una volpe molto saggia.
Questa aveva chiesto ad un piccolo principe di addomesticarla, perché, se ci fosse riuscito, lei sarebbe stata l’unica per lui e lui il solo per lei.
Sarebbero diventati diversi, “speciali” ai loro occhi rispetto a tutti gli altri.
Ad un certo punto la volpe diceva: “Se tu vieni, per esempio, tutti i pomeriggi alle quattro, dalle tre io comincerò ad essere felice. Col passare delle ore aumenterà la mia felicità.
Quando saranno le quattro, incomincerò ad agitarmi e ad inquietarmi; scoprirò il prezzo della felicità!”.

Nora si sentiva così per Giov, riusciva a renderla felice…
E ora anche lei, come la volpe aveva fatto col principe, avrebbe dovuto dirgli addio.
Tutto quello che aveva costruito con lui sarebbe andato in frantumi per sempre.
E anche se lui le avesse ripromesso di tornare, lei sapeva che non l’avrebbe fatto.
Giov è una di quelle persone che se gli si permette di voltare le spalle, torna solo per far sentire la sua mancanza e per poi sparire di nuovo.
Per questo non aveva mai mollato.
Per questo fino all’ultimo l’aveva amato, anche se lui aveva smesso.
Nora avrebbe ricominciato la sua vita senza di lui, ma non poteva cancellare Giov come se fosse uno scarabocchio sul foglio.
Avrebbe sbagliato senza di lui, ma sarebbe cresciuta da sola.
Se però avesse rivisto il suo principe, sarebbe rimasto il più bello ed importante tra tutti.
Se lui fosse tornato, lei l’avrebbe accolto con il sorriso stampato in faccia e una mano tesa, pronta a stringere la sua.
Avrebbero potuto ricominciare tutte le volte che avessero voluto, lasciando la loro partita senza vincitori e perdenti.
E lei si sarebbe potuta sentire ancora una volta davvero felice. 
   
 
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