Genere: Introspettivo, drammatico
Tipo di coppia: Shonen-ai
Personaggi: Akashi Seijuro,
Murasakibara Atsushi
Rating: Giallo?
Parole: 500+
Note: Questa è l’unica storia della
challenge che non è esattamente da intendersi come inclusa nella linea
temporale canon della trama di KnB – la definirei piuttosto ambientata in
un’AU distopica fine a se stessa (molto fine a se stessa), quindi tenete questo
in mente~
Inoltre il titolo è
un po’ preso in senso figurato, ma, come disse il saggio, e vbb.
Scritta il: 13/07/2015
21# • Things you said when we were on top of the world
Era così piccolo, tra le
sue braccia. Così piccolo e indifeso.
Una visione del genere era
dedicata solo a lui, nelle ore più tarde della notte, quando persino quegli
occhi che tutto vedevano avevano bisogno di riposo. Erano gli unici momenti in
cui Akashi Seijuro sembrava quasi una persona normale, e non un maniaco del
controllo, un monarca assoluto al capo della potenza più forte e più crudele.
Era un semplice umano
stretto contro il suo corpo, e Atsushi, carezzandogli distrattamente i capelli
corti con le lunghe dita affusolate, ricordava con nostalgia i tempi in cui era
sempre in quel modo. Un ragazzo come tanti, con uno sguardo che andava
ben oltre a ciò che gli altri potevano vedere, ma comunque coi piedi a terra e
con la consapevolezza che le persone intorno a lui erano - appunto - persone.
Quanti anni erano passati?
Quanto tempo aveva passato al suo fianco, vedendolo sprofondare sempre di più
in quella ricerca ossessiva di perfezione e controllo totale?
Quante cose erano cambiate,
da un incidente tanto ridicolmente banale, da una frase pronunciata in un
attimo di frustrazione e stanchezza?
Forse sarebbe successo
comunque; forse le pressioni che gli arrivavano da tutte le parti l’avrebbero
fatto cambiare in ogni caso. Ma Atsushi non poteva fare a meno di sentirsi
responsabile di tutto questo, mentre come sperando di poter prima o poi
rimediare a quel danno si era associato a lui alla ricerca di quell’Aka-chin
che sembrava essere rimasto sotterrato dietro una maschera di impenetrabile,
freddissimo stoicismo.
Non era morto, sapeva
che c’era ancora. Lo vedeva celato dietro alcuni suoi sguardi, si muoveva di
nascosto assieme ad alcuni suoi gesti, chiamava aiuto, impercettibilmente, nel
profondo delle sue parole.
“Perché tu non mi
tradirai, vero?”
Quelle frecce gialle e
rosse lo scrutavano senza pietà alcuna ogni volta che glielo ripeteva, ma
sapeva che a parlare non era altro che colui che con fatica estrema riusciva ad
arrivare a galla di una coscienza che, ogni volta, lo rispediva sempre più in
fondo nei meandri di un inconscio oscuro e torbido.
Non era morto, ma ormai non
poteva neppure tornare a vivere. “Non tradirmi, non tradirmi, non tradirmi” -
non era che il suo disperato appello, un grido straziato che lo implorava, se
non di poter essere riportato alla luce, almeno di non lasciar prevalere
l’altro.
Era un obbligo troppo
grande per lui, troppo insostenibile. Perché lui non era mai cambiato, non era
che un bambino nel corpo di un gigante, un essere umano troppo poco pronto ad
affrontare faccia a faccia certi aspetti della vita, e che nonostante questo sentiva
il forte gravare della colpa che lo affliggeva con crudeltà. Era l’unico, senza
possibilità di tirarsi indietro, che poteva cambiare le cose.
Non riuscì neppure a
guardare il viso addormentato di colui che teneva tra le braccia, mentre le
lacrime gli annebbiavano la vista già affaticata dal buio della notte. Era
l’ultima volta che poteva vedere l’Aka-chin che amava, l’ultima volta in
assoluto che avrebbe potuto porre le proprie labbra sulla sua fronte in quel
tenero, quasi infantile, gesto d’affetto.
Lo tenne ancora a sé mentre
la mano libera si stringeva tremante sul manico della lama che aveva nascosto
sotto il cuscino, conscio che quel fendente avrebbe finalmente portato a
termine quella lunga, insopportabile agonia.