- prologo
Otto ore prima
«Sky, sei sicura di non voler venire?»
La mia migliore amica è davanti allo specchio di camera sua con il mascara in mano. Indossa un paio di pantaloncini a stampa tribale a vita alta, un crop top bianco in pizzo che le fa risaltare l'abbronzatura e delle Converse dello stesso colore. La sto guardando truccarsi da almeno un quarto d'ora, e ancora non ha finito. Prima di decidere definitivamente cosa mettersi ha cambiato almeno otto abbinamenti e tirato fuori metà del suo armadio. I vestiti sono sparsi tutti spiegazzati per terra e, se entrasse sua madre, probabilmente le verrebbe un mezzo infarto.
«Sono sicura» le dico, per quella che potrebbe essere la trentesima volta. Stasera un gruppo di ragazzi dell'ultimo anno ci hanno invitate ad una festa, una di quelle che si vedono nei film americani nelle ville enormi, una di quelle a cui tutti gli adolescenti vogliono prendere parte almeno una volta nella vita. Non capisco perché sia così eccitata, dato che ce n'è una praticamente ogni fine settimana, e noi siamo andate a tutte, fino ad ora. Però oggi è il compleanno di mio padre, e lo so che per Bree era importante che andassimo a questa festa insieme, dato che sono passati tredici anni da quando ci siamo conosciute, ma mia mamma è stata irremovibile. Papà compie mezzo secolo, e nella nostra famiglia questo è un traguardo importante, perciò è stato inutile discutere: tutti i membri dovranno essere presenti.
Bree sbuffa, mentre chiude il mascara e lo ripone nel beauty-case. «Magari puoi raggiungerci dopo...» azzarda. «Dai, ti prego. Non voglio festeggiare il nostro anniversario con altre persone!»
«Perché non rimani a casa per stavolta, piuttosto? Appena torno, vieni da me e stiamo insieme tutta la sera.»
«Non mi va di stare qui ad annoiarmi mentre ti aspetto.»
«Saranno solo un paio d'ore, Bree. Andiamo al ristorante, mangiamo, e poi torniamo a casa perché mia sorella deve andare a dormire.»
«Quindi torni alle nove, no? Fai in tempo per venire alla festa! Ti prego!»
«Ci siamo state anche due giorni fa. E ti ricordi cos'hai detto? Che era pieno di ragazzi che si drogavano. Non ti è piaciuto, o mi sbaglio? Ci andremo la prossima settimana. Stasera facciamo qualcosa di diverso.»
«Lo so, ma questa volta mi hanno detto che sarà diverso! E poi ho già dato la mia parola agli altri» protesta.
Sospiro, rassegnata. «Allora facciamo così. Tu ora vai a mangiare fuori con le altre, andate alla festa e poi, quando torni a casa, vieni da me e stiamo insieme. Lo sai che io non posso venire.»
«Andata» sorride. Fa una pausa, poi mi chiede: «Come sto?» e fa un giro su se stessa.
«Sei meravigliosa, Bree. Come al solito.»
Mi alzo dal suo letto e l'abbraccio. Mi stringe forte, come fa sempre, e io mi sento a casa. Perché, dopo tredici anni di amicizia, milioni di litigi e altrettante avventure vissute insieme a lei, non posso considerarla niente, se non la mia casa. Bree è la prima persona a cui racconto ogni cosa che mi succede, quella da cui vado quando ho bisogno e quella che si arrabbia con me quando mi metto nei casini, però è la stessa che poi mi tira fuori.
Quando arriviamo a casa mia, che dista meno di duecento metri dalla sua, mi dà un bacio sulla guancia, come ogni volta quando mi deve salutare. Mi abbraccia di nuovo, e mi dice «Ti voglio bene».
Poi si gira e se ne va, e io guardo la sua chioma bionda ondeggiare leggermente per via del vento, le sue gambe lunghe e abbronzate che avanzano verso la fermata dell'autobus che la porterà al ristorante giapponese.
La guardo andare via.
La guardo andare via, per l'ultima volta.
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Ebbene sì, signore e signori!
Sono tornata, ma questa volta non con una fan fiction... bensì, con qualcosa di totalmente inventato!
Vi prego di lasciare un commento per farmi sapere cosa ne pensate, che può solo farmi piacere:)
bacibacibaci,
Andrea