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Autore: Maty66    18/08/2015    6 recensioni
Può un'amicizia sopravvivere a tutto il dolore che a volte la vita ci riserva? Al senso di colpa che ti attanaglia per aver lasciato il tuo migliore amico solo nel momento del bisogno? O al dolore di vedere la propria vita travolta da menomazioni fisiche che forse mineranno la tua indipendenza per sempre?
E cosa si nasconde nel luogo in cui Ben si è rifugiato per sfuggire a tutto? Possono le persone che incontrerà sul suo cammino aiutarlo a riprendere in mano la tua vita?
Sequel di "Il paradiso può attendere". E' consigliabile anche se non necessario, leggere la storia precedente.
Genere: Angst, Avventura, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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LA CLINICA DEGLI ORRORI di MATY66 e CHIARA BJ
 
Capitolo 9
Ragione e sentimento

Ben si svegliò di soprassalto.
Aprendo gli occhi si accorse che stava appena albeggiando, ma provò subito una strana sensazione d’inquietudine.
Da qualche giorno le gambe sembravano dargli il tormento con continui formicolii e improvvisi crampi  e anche se tutti i fisioterapisti gli avevano confermato che era un attimo segno, non riusciva a riposare bene.
Ma quella mattina era sicuro che non era stato svegliato dal fastidio alle gambe.
Guardò verso il letto di Alex e vide che era intatto.
La cosa lo mise subito in allarme.
Non ricordava di aver visto la sera prima il suo compagno di stanza coricarsi e la cosa lo gettò nel panico.
Guardò verso l’orologio sul comodino.
Le sei e quindici.
Fra poco sarebbero riprese le attività nella clinica.
Si era appena sistemato con fatica sulla sedia per andare alla ricerca di Alex quando un urlo risuonò per tutta l’edificio.
 
Chiara aveva il primo turno di mattina.
Erano stati giorni difficili.
La morte di Leon e i dubbi di Alex avevano minato nel profondo il suo animo e le sue certezze.
Aveva iniziato a lavorare per la ‘Felsen’ subito dopo la morte di suo marito René e quel lavoro era stato per lei una vera ancora di salvezza.
 Aiutare gli altri a superare la malattia, la menomazione fisica era stato come avere di nuovo René vicino.
Aveva amato suo marito sopra ogni cosa, lo aveva amato ancor di più dopo  che  avevano scoperto che era malato, dopo che pian piano si era ridotto a camminare prima con le stampelle e poi era finito sulla sedia a rotelle.
Lo aveva amato quando alla fine era stato ricoverato in ospedale, incapace di muoversi del tutto.
Lo aveva amato mentre moriva.
Lo amava ancora oggi e non si era permessa di pensare a nessun altro, anche se René, subito prima di morire, quella notte le aveva fatto giurare  che non sarebbe restata da sola, che si sarebbe ricostruita una vita.
E anche se ora il giovane poliziotto bruno aveva iniziato ad occupare una parte dei suoi pensieri non si permetteva di pensare a lui in quel modo.
La clinica ed il suo lavoro ormai erano la ragione di vita e non poteva credere che Stein avesse trasformato la speranza dei suoi pazienti in un vile espediente, in un pericoloso esperimento per raggiungere la fama.
Non poteva credere che Leon era morto per questo, di non essersi accorta di nulla, di aver partecipato  sia pure inconsapevolmente a questa mostruosità. 
Ma le parole di Alex avevano scavato un solco profondo nella sua coscienza, doveva saperne di più.
Arrivata come al solito alla clinica, decise di parcheggiare la bicicletta sul retro.
Era ancora molto presto, non c’era nessuno in giro.
Scese dal sellino e spinse la bicicletta sul vialetto in ghiaia.
La prima cosa che vide furono le stampelle.
Le riconobbe subito, erano particolari ed era stato Alex a decorarle così, con adesivi  colorati “Per ridere anche di una cosa triste” le aveva detto.
Le sembrò che il cuore smettesse di batterle nel petto quando vide il corpo a terra.
Sembrava una bambola, un fantoccio buttato contro un muro da un bambino dispettoso, un burattino disarticolato.
Aprì la bocca, ma solo dopo alcuni tentativi riuscì ad urlare.
 
Semir quella mattina si era svegliato di buon umore.
Le cose andavano decisamente meglio con Ben, avevano parlato e anche se non tutto era chiarito tra loro, almeno stavolta non si erano lasciati in malo modo.
Il piccolo ispettore turco entrò baldanzoso in ufficio con almeno un’ora d’anticipo sull’orario di servizio.
Aveva intenzione di rivedere tutte le prove sul caso dei farmaci cinesi e di sicuro avrebbe incastrato Stein.
Perché era più che certo  che quel cosiddetto ‘dottore’ era nella storia sino al collo, che c’era lui dietro il traffico dalla Cina e forse anche dietro la morte del piccolo Leon.
Rabbrividì al pensiero di Ben in quella clinica, ma ormai si era rassegnato a non poterlo portare via.
L’unica cosa che poteva fare era risolvere il caso.
Distratto accese la tv che aveva in ufficio per ascoltare le notizie del primo telegiornale.
Il cronista blaterava del tempo, troppo caldo per il periodo,  le coltivazioni di crauti ne  avrebbero risentito.
“Sino alla settimana scorsa dicevano che faceva troppo freddo” pensò Semir con un mezzo sorriso.
Stava spulciando attentamente il rapporto di Hartmut quando il tono del cronista cambiò.
“Ci è appena giunta la notizia del ritrovamento di un cadavere alla clinica ‘Felsen’.  Le prime notizie ipotizzano il suicidio di uno dei pazienti che si sarebbe lanciato dal terrazzo all’ultimo piano dell’edificio…”
Semir sentì di non poter respirare.
Il terrore puro lo prese.
“Che pensi… non è Ben. Sta meglio, era sereno quando abbiamo parlato. Sta meglio, non può essere lui…” pensò cercando di restare razionale.
Con le mani che gli tremavano alzò il volume della tv, ma il cronista era già passato ad un’altra notizia.
Sapeva di essere  irragionevole, ma l’unica cosa che pensò di fare fu di afferrare le chiavi dell’auto e precipitarsi fuori.
 
Nella clinica c’era ormai il delirio.
Poliziotti andavano e venivano, c’erano infermieri e pazienti che piangevano, altri parlottavano tristi.
Ben non aveva occhi che per il corpo steso sul vialetto, coperto pietosamente da un lenzuolo bianco.
Non riusciva a credere che lì sotto ci fosse Alex.
Il giovane guardava scettico i rilievi dei suoi colleghi della polizia locale, sembravano davvero un gruppo di dilettanti allo sbaraglio, erano anche senza tuta bianca e permettevano a chiunque d’inquinare la scena  camminando qua e là senza sovrascarpe.
“Ehi… che fai!!! Non la spostare senza fotografare prima” urlò ad uno dei poliziotti che stava prendendo una delle stampelle.
Il poliziotto lo guardò irato.
“Signor Jager, lei non dovrebbe stare qui” fece uno degli assistenti di Stein spingendo la sedia senza tanti complimenti verso l’ingresso della clinica.
“Faccio da solo grazie” sibilò Ben iniziando a spingere da solo le ruote.
Doveva raggiungere il suo cellulare e chiamare Semir.
Subito.
Salendo la rampa vide Chiara seduta sulle scale, la testa fra le gambe, il corpo scosso dai singhiozzi.
“Chiara…” chiamò.
La giovane alzò lo sguardo su di lui gli occhi rossi e gonfi.
“Come ha potuto farlo…” balbettò fra le lacrime.
Ben la guardò in silenzio per alcuni secondi.
“Non si è ucciso. Credimi, non si è ucciso” sussurrò alla fine.
 
Chiara e Ben si erano rifugiati nella stanza di Ben.
“Cosa vuoi dire… “ chiese finalmente la dottoressa.
“Hai mai visto qualcuno che si butta con le stampelle? E hai visto quanto erano distanti dal corpo? Qualcuno le ha buttate dopo… l’hanno ucciso”
Ben aveva  la voce sicura dettata dall’esperienza.
“Ucciso? Chi? Come…” Chiara ormai non ragionava più chiaramente, riusciva solo a singhiozzare.
La loro attenzione fu distratta dal turbine che entrò nella stanza.
“Allah ti ringrazio. Ben!!!  Stai bene???” urlò Semir  entrando come un toro impazzito.
“Sì, Semir sto bene” sussurrò il giovane.
“Scusatemi” balbettò Chiara precipitandosi fuori.
 
“Niente, il deficiente che dirige le indagini non mi permette di chiamare Hartmut  per i rilievi”
Semir era letteralmente furioso.
“E se chiamassimo la Kruger?” propose Ben.
“La conosci, vorrà delle prove concrete. Vado a parlarle comunque” fece Semir.
Semir fece per uscire.
“Starai attento? Qui la situazione si sta facendo grave…” disse voltandosi.
“Starò attento non ti preoccupare. Sono pur sempre un poliziotto”
Semir non rispose, gli diede solo una pacca sulla spalla, anche se Ben poteva leggergli la paura negli occhi.
 
Mentre guardava dalla finestra il suo amico che si allontanava lungo il viale di ingresso, Ben vide Chiara appoggiata ad un albero del grande giardino.
Dal movimento delle spalle si accorse che stava piangendo di nuovo.
Più svelto che poteva si diresse verso l’ascensore per uscire e raggiungerla.
Provava per quella donna uno strano sentimento, desiderio di protezione e attrazione.
Appena uscito si accorse però che Chiara non era più appoggiata all’albero, ma si stava dirigendo quasi di corsa, verso il fondo del  grande giardino, verso il piccolo capanno che c’era addossato al muro di cinta.
Gli avevano detto che era stata l’abitazione del custode sino a che non era stato licenziato, ma lui non aveva mai avuto la voglia di entrarvi.
Non senza difficoltà, uscendo dal sentiero di ghiaia Ben riuscì a condurre la sedia sino alla piccola costruzione dove era entrata Chiara.
Non sapeva perché l’aveva seguita, ma sentiva di doverlo fare.
La giovane  appariva completamente disperata.
Bussò, ma non ricevette risposta.
Ben con fatica aprì la porta in legno.
Il capanno era stranamente ampio e ben tenuto.
Era anche arredato, con un bel letto al centro e  Chiara stava seduta sul bordo fissando il vuoto.
“Chiara… stai bene?” chiese piano.
“Sì… sto bene. Volevo solo stare un po’ qui a ragionare. E’ il mio rifugio sai…”
“Non è vero, non stai bene” fece Ben, avvicinatosi al letto,  asciugandole le lacrime con il pollice.
“E’ colpa mia” sussurrò Chiara tirando su con il naso.
“Ma che dici…”
“E’ colpa mia invece, se lo fossi stata a sentire, ha cercato di avvertirmi, ma io non volevo credere, non potevo” Chiara singhiozzava disperata.
“Shhhh, va tutto bene, non è assolutamente colpa tua” sussurrò il giovane,  tirando Chiara verso di sé, sino a farla sedere sulle sue ginocchia.
Erano così vicini ed il primo bacio fu naturale come respirare.
Per un minuto Chiara rimase abbracciata a Ben, seduta sulle sue ginocchia, la testa appoggiata nell’incavo del collo, mentre lui le carezzava i capelli.
Provò una strana sensazione quando lui iniziò a baciarle il collo.
Desiderio, paura, eccitazione.
Inarcò la schiena scossa da un brivido folle mentre i baci si facevano più intensi.
Non era il momento e non era il luogo, ma non riusciva più a pensare.
Ansimò forte mentre Ben le sbottonava i bottoni della camicia e le abbassava la spallina del reggiseno, baciandola dappertutto.
 


Angolino (insolito)   delle autrici
Maty: Chiara che dici, andiamo avanti?
Chiara: in che?
Maty: nella descrizione della scena… piccante.
Chiara: Ehi guarda che il raiting della storia NON è rosso
Maty: lo so ma… sarà l’estate, sarà lo svago… ho voglia di scrivere qualcosa di… diverso.
Chiara: Non esageriamo. Siamo adulte, entrambe mamme…
Maty: E mica voglio scrivere mille sfumature di Ben… solo un po’… sfumato…

Carissime, dopo innumerevoli tentennamenti, Chiara ha ceduto alla volontà di Maty che ha scritto… il seguito un po’ “sfumato” del capitolo. La responsabilità è solo di Maty e diciamo che è un regalo di compleanno per Chiara ( o meglio all’avatar della storia). Posto che non vogliamo offendere nessuno e non vogliamo cambiare il raiting della storia il seguito del  capitolo sarà mandato solo a chi lo richiede  a Maty con msg privato sulla posta di efp e mandato con lo stesso mezzo (solo ai maggiorenni ovvio).
Ovviamente il capitolo seguente si  riattacca alla storia senza problemi, anche se non  si legge la parte mancante.

 
Angolino musicale: Ben è tornato ad essere un poliziotto e… altro.
Landon Pigg ‘the way it ends’ (il modo in cui finisce)
Per ascoltarla: https://www.youtube.com/watch?v=iZXvyHrad5k

Corri è questo il nostro destino? Nasconditi la libertà è nostra come il continuo scappare  camminiamo nelle tenebre lo facciamo scopriamo quello che noi tutti sappiamola nostra ora è vicina se è così che finisce non dirmi che non ha senso non ci sarà alcun compromesso cadiamo, risorgeremo tu mi afferrasti e mi insegnasti come Penso di essere pronto ora se è così che finisce questo è il modo in cui doveva finire emergere dalle ombre lo faremo sotto la pelle loro svaniscono questa è la vita senza rimpianti ci rivedremo tutti un giorno concedimi l’amore o concedimi la morte se è così che finisce questa è la vita che comincia se è così che finisce niente ha più senso non ci sarà alcun compromesso cadiamo e rinasceremo ancora se è così che finisce allora questo è il modo in cui doveva finire
 
  
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