Fanfic su artisti musicali > One Direction
Ricorda la storia  |      
Autore: ChelseaH    18/08/2015    3 recensioni
Dove Louis viene spedito dalla madre a un incontro degli Alcolisti Anonimi e dove Harry è "il ragazzo delle ciambelle gratis".
“Questo è stalking allo stato puro” ripeté Liam per la settima volta in sette minuti.
“Guarda la strada” gli intimò Louis, “e non perderlo di vista.”

Harry/Louis
Genere: Commedia, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Liam Payne, Louis Tomlinson, Niall Horan
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Louis Tomlinson picchiettava annoiato il piede contro una delle gambe della sedia, ma il rumore che produceva a intervalli regolari non bastava affatto a distrarlo da ciò che gli stava succedendo attorno. Billy di fianco a lui – ammesso che fosse il suo vero nome – aveva trentaquattro anni e aveva iniziato a bere perché sua moglie beveva e voleva capire cosa avesse l’alcol da offrire più di lui. Jeremy, ventisei anni, aveva una strana e perversa dipendenza dal sesso, sfociata in una dipendenza dall’alcol perché se no non gli tirava, parole sue. Katherine, età sconosciuta, sapeva esattamente quanto l’alcol potesse rovinare una persona – era cresciuta con un padre che massimo alle dieci del mattino era già ubriaco – e quindi aveva giurato – o per meglio dire, spergiurato – a se stessa che mai nella vita avrebbe toccato un alcolico, salvo poi stringere una relazione molto intima con la bottiglia a seguito di una brutta rottura. Gli era sfuggito cosa avesse portato Terry a sedere in quel cerchio, perché nel frattempo era entrato nella stanza un ragazzo che quatto quatto aveva posato tre scatole strabordanti di ciambelle sul tavolino vicino alla porta e dio se avevano un buon profumo quelle ciambelle.

“Magari ora vorrebbe intervenire il nuovo arrivato,” suggerì Travis, il capo della banda, e tutti gli sguardi puntarono in contemporanea su di lui. Sospirò lasciando perdere le ciambelle, si schiarì la voce e senza alzarsi disse: “Ciao, sono Louis.”

“Ciao, Louis” gli risposero gli altri in coro.

Silenzio.

Tutti che lo fissavano.

Louis fece finta di schiarirsi di nuovo la voce.

Ciao, sono Louis. Ho ventitré anni e mia madre mi ha scaricato qua fuori di peso minacciando di non farmi più entrare in casa se non avessi partecipato almeno a una riunione degli Alcolisti Anonimi. Il tutto perché ieri notte sono tornato a casa eccessivamente tardi ed eccessivamente sbronzo e poi Calvin che doveva dormire da noi ha vomitato sul divano perché era più sbronzo di me.

“È ora e tempo che tu capisca che certi comportamenti possono portare a finire molto male” gli aveva detto caricandolo in macchina senza nemmeno dargli modo di capire cosa stesse succedendo, o di replicare che lui non era esattamente un alcolizzato ma solo un normale ragazzo che quando andava a ballare amava bere qualche bicchierino di roba forte. “Solo una riunione Louis, ascolta le storie che la gente ha da condividere e fanne tesoro.”

Be’, ne stava facendo tesoro: non avrebbe mai usato l’alcol per farselo venire duro, non si sarebbe attaccato alla bottiglia solo per solidarietà di una moglie che non aveva e non... cos’erano le altre cose?

“Non hai niente che vuoi condividere con noi, Louis?” la voce di Travis lo riportò alla realtà.

“Ehm... sono Louis e non riesco proprio a resistere alla tentazione. Non so esattamente quale sia il mio problema, l’unica cosa che so è che c’è questa ragazza che sostiene di essere incinta di mio figlio e il tutto è successo in una notte di cui non mi ricordo quasi niente, tranne il fatto di averla puntata prima di iniziare a darci dentro con i super alcolici. In realtà lo so qual è il mio problema, quello stronzo del mio padre biologico qualche mese fa si è ricordato di avere avuto un figlio ventitré anni fa, ed è uno schifo da allora.”

Intorno a lui si levarono sospiri di comprensione e sguardi pieni di empatia.

Si sentì quasi in colpa per essersi inventato quella storia giusto per non ammettere che in realtà non c’era nessuna storia ma solo una madre arrabbiata per il suo divano. Travis addirittura si alzò, gli si avvicinò e si chinò su di lui mettendogli una mano sulla spalla e dicendogli di chiamarlo per qualunque problema. Cavoli, avrebbe fatto meglio a inventarsi un nome falso come aveva fatto Billy di fianco a lui.

“Se nessuno ha altro da aggiungere, dichiarerei chiuso l’incontro di oggi... quelle ciambelle hanno un profumo troppo invitante per continuare a ignorarle oltre” disse poi Travis battendo le mani con aria soddisfatta.

E sì, quelle ciambelle erano tanto buone quanto il loro profumo invitante.


Due settimane e mezzo dopo, Louis incrociò Travis da Starbucks.

Non appena aveva riconosciuto l’uomo aveva fatto letteralmente di tutto per evitarlo, compreso il tirare sua madre per un braccio come faceva quando aveva due anni e supplicarla di andar via perché aveva cambiato idea e il frappuccino non lo voleva più.

Ovviamente non servì a niente e non si sa come Travis si ritrovò seduto a un tavolino a fare conversazione con sua madre, ed erano già passati ai nomi propri.

Johannah. Travis.

“Mi sono preoccupato non vedendo più Louis, la gente di solito non si apre mai al primo incontro e il fatto che lui l’abbia fatto mi ha colpito molto. Ma immagino che poi si sia pentito. Johannah, devi fargli capire che non deve assolutamente vergognarsi, nessuno di noi è lì per giudicarlo. Siamo solo lì per aiutarci a vicenda a uscire da brutte situazioni.”

Johannah annuiva concentrata e promise a Travis che avrebbe tentato di convincere Louis a tornare agli Alcolisti Anonimi. Travis soddisfatto e sollevato si congedò dicendo che aveva un appuntamento e che in realtà era già in ritardo.

Louis William Tomlinson” lo apostrofò la madre non appena Travis fu fuori portata d’orecchio.

“Cosa?” rispose lui facendo finta di non capire.

“Non so cosa tu abbia raccontato, ma stai pur certo che ti presenterai al prossimo incontro, dirai tutta la verità a Travis e ti scuserai per essere stato di peso.”

“Non sono stato di peso, quell’uomo non mi conosce nemmeno.”

“Quell’uomo chissà quante ne ha passate nella sua vita, ora cerca di aiutare gli altri a combattere i loro demoni e sembrava genuinamente preoccupato per te. Quindi qualunque cosa tu ti sia inventato-“

“Okay, okay” tagliò corto Louis, non capendo come mai Johannah ultimamente fosse così severa nei suoi confronti, dopo che per ventitré anni l’aveva lasciato pascolare libero in tutti i prati in cui aveva avuto voglia di rotolarsi.


Gli incontri si tenevano due volte a settimana e Johannah l’indomani scaricò il figlio davanti alla scuola che li ospitava in una delle sue aule, e Louis sentì il motore della macchina ripartire solo dopo che ne ebbe varcato la soglia. Poco più avanti lungo il corridoio principale c’era un ragazzo alto, magro e ricciolino che ficcava la testa in tutte le aule tenendo in equilibrio su una mano sola due enormi cartoni che a giudicare dal profumo contenevano le stesse ciambelle dell’altra volta. Louis inalò a pieni polmoni, decidendo che forse valeva la pena diventare un alcolizzato a tempo pieno se la ricompensa erano quei dolci.

“Scusa, sai per caso in quale aula hanno spostato l’incontro degli Alcolisti Anonimi?” gli chiese il ricciolino non appena si accorse della sua presenza. Louis fece cenno di no con la testa e in quel momento comparve un bidello che disse loro che l’incontro era stato annullato e che senza mezzi termini li invitò ad andarsene in modo che lui potesse finire di pulire in santa pace e chiudere tutta la baracca. Fu così che si ritrovarono nello spiazzo antistante la scuola, uno intento a ponderare cosa fare con le ciambelle che aveva in mano e l’altro intento a meditare sulla maniera meno maleducata per scroccargliene un paio. Mentre ci pensava Louis si mise in bocca una sigaretta ma non la accese, rimanendo a fissare l’altro dritto negli occhi.

“Questo è il momento in cui mi dici che la sigaretta è una metafora e che hai un osteosarcoma? Perché anche se non ti conosco, non sono sicuro di essere dell’umore adatto per certe notizie” gli disse il ricciolino ridendo nervosamente.

“No, questo è il momento in cui cerco di valutare le probabilità che tu abbia in tasca un accendino e in cui cerco di rubarti una ciambella. Non posso credere che tu vada dietro a quella roba da femminucce.”

“Detto da quello che ha capito la citazione al volo” lo rimbeccò l’altro aprendo uno dei cartoni e invitandolo a servirsi. Louis si infilò la sigaretta dietro all’orecchio e scelse una ciambella.

“Ho quattro sorelle” fece spallucce, come se quello spiegasse tutto. Diede un morso alla ciambella e proseguì con la bocca piena. “In realtà ne ho cinque più un fratello ma grazie al cielo loro sono troppo piccoli per queste stronzate.”

“Sai già il sesso del bambino?” gli chiese il ricciolino cambiando completamente argomento e prendendolo alla sprovvista. “Di quanti mesi è incinta?”

Louis si rese conto che il ragazzo che aveva di fronte era probabilmente lo stesso che aveva portato le ciambelle la volta scorsa, e che quindi doveva aver sentito la sua storia strappalacrime. Improvvisamente si sentì molto in colpa, in quella stanza si raggruppavano persone con problemi veri e lui in un certo senso si era preso gioco di tutte loro.

Sospirò.

“Non ho messo incinta nessuna ragazza. Sono tornato a casa ubriaco con un amico, mia madre si è arrabbiata e mi ha spedito qui per punizione.”

“Ah” fu l’unico commento che fece l’altro.

Sembrava deluso.

“Lo so, è orribile scherzare su certe cose, ma era umiliante ammettere che ho ventitré anni e la mamma mi ha messo in punizione per la prima volta in tutta la mia vita. E non sono nemmeno io quello che ha vomitato sul divano.”

Adesso era il ricciolino a fissarlo intensamente e Louis si chiese cosa stesse pensando di lui. Probabilmente che era un coglione viziato.

“Devo andare” gli disse con tono neutro l’altro e fece per incamminarsi.

“Niente accendino?” gli chiese Louis rimettendosi la sigaretta fra le labbra.

“Niente accendino. Però puoi tenerti la sigaretta in bocca e far finta che sia una metafora. Magari puoi anche andare a un gruppo di supporto per malati terminali e far finta di avere una protesi al posto di una gamba.”

Sì, decisamente stava pensando che lui fosse un coglione viziato.

Coglione, viziato e probabilmente insensibile.


La settimana dopo Louis si presentò all’incontro del lunedì nella speranza di incontrare il ragazzo delle ciambelle gratis. Non gli importava molto di scusarsi con Travis - sua madre viveva nell’illusione che l’avesse già fatto e lui si era guardato bene dal dirle che l’incontro non c’era proprio stato – ma per qualche strano motivo gli dava fastidio che il ragazzo ricciolino lo considerasse un tizio senza morale quando in realtà non lo conosceva neanche. Così quando le ciambelle arrivarono accompagnate dal solito delizioso profumo, Louis fece finta di aver bisogno di andare in bagno e lo seguì fino all’uscita della scuola.

“Lo so, ho fatto male a inventarmi quella storia ma a volte ho davvero bisogno di distrarmi. Non hai idea. Fondamentalmente è così che siamo finiti a bere fino alle tre di notte e che Calvin ha finito col vomitare sul divano di casa mia, perché mi volevo distrarre. Non per questo sono una brutta persona. Anzi. Potresti rimanere sorpreso.”

Il ricciolino lo fissava perplesso. Ecco, ora probabilmente stava pensando nell’ordine: coglione, viziato, insensibile e con seri disturbi mentali.

“E comunque la parte del mio padre biologico era vera” aggiunse. “E mi chiamo Louis” disse allungando una mano.

L’altro gliela strinse sempre più perplesso e poi girò sui tacchi e se ne andò senza dire nulla.


***


Louis era seduto al bancone di un pub, del tutto proteso verso l’altro lato intento a raccontare delle sue disavventure a Liam che stava preparando un vassoio pieno di bicchieri di birra da allungare a una delle ragazze che facevano il servizio ai tavoli. Di fianco a lui c’era Niall, più interessato alla replica della partita di tennis che stavano trasmettendo sullo schermo appeso a una delle pareti piuttosto che a quello che aveva da raccontare Louis. Liam e Niall erano due degli amici più vecchi di Louis, li conosceva entrambi fin dall’asilo e per quel che ricordava avevano sempre fatto parte della sua vita e – punti bonus – nessuno dei due aveva mai vomitato sul prezioso divano di sua madre, non ancora perlomeno.

“Comunque mi sembra strano che se la sia presa così tanto, di solito è più comprensiva” gli disse Liam riferendosi alla madre, urlando per sovrastare il chiacchiericcio di sottofondo e la musica piuttosto alta. Louis annuì, cercando comprensione anche in Niall che però era troppo concentrato sulla partita.

“Pensa che a cena si è messa a urlare istericamente contro Fizzy solo perché si è alzata da tavola prima che avessimo tutti finito di mangiare e per un attimo ho temuto che uccidesse Ernie che si era sbrodolato addosso.”

“Sarà incinta” disse divertito Niall girandosi finalmente verso di lui.

“Non dirlo nemmeno per scherzo” lo ammonì Louis, che passava già troppo tempo a fare da baby sitter per i suoi gusti.

“Allora starà andando in menopausa” decretò l’amico. “Sai quando ha avuto il suo ultimo ciclo?” Da quando Niall era riuscito a non mettere incinta una ragazza basandosi su degli strani calcoli che aveva fatto in base al suo ciclo, si sentiva più esperto di un ginecologo a riguardo. Louis l’aveva chiamata solo fortuna sfacciata e Liam gli aveva fatto notare che comprarsi una scatola di preservativi gli sarebbe costata molta meno fatica che passare giornate intere a fare calcoli matematici per sapere quando colpire. Inutile dire che la ragazza in questione era scappata a gambe levate quando aveva scoperto tutte le macchinazioni di Niall.

“Io punto sullo stress, magari ha solo bisogno di una pausa dai suoi sette figli chiassosi e combina guai” osservò Liam con fare saggio. “Fai il bravo Tomlinson, porta queste due al tavolo undici” aggiunse poi allungandogli due bicchieri pieni fino all’orlo. Louis roteò gli occhi infastidito ma prese comunque le birre e si alzò, rimanendo di sasso non appena vide chi erano le due persone sedute al tavolo in questione.

“Ma tu pensa, il ragazzo delle ciambelle gratis beve birra... sconvolgente” disse sarcastico appoggiando con malagrazia i due bicchieri sul tavolo e facendoli strabordare entrambi. “Nick Ellison!” esclamò poi con un finto entusiasmo glaciale fissando gli occhi sul ragazzo seduto di fronte al ricciolino, non mancando di notare che le dita dei due erano intrecciate.

“Harry, lo conosci?!” chiese Nick improvvisamente nervoso.

“Quindi il ragazzo delle ciambelle gratis ha un nome... Harold.”

“Non sapevo che lavorassi qui” disse Harry ignorando il tono di sfida di Louis.

“Non lavoro qui, stavo solo risparmiando un viaggio a un amico. Ma ripensandoci potete andare da soli a prendervi le birre” sentenziò afferrando nuovamente i bicchieri e tornando al bancone.

“Cosa-stai-facendo?” sillabò Liam che aveva assistito da lontano all’intera scena.

“Non le vogliono più, hanno detto che puoi buttarle.”

Senza aggiungere altro Louis girò sui tacchi e si avviò verso l’uscita del pub.

Poi cambiò idea e tornò sui suoi passi, più precisamente verso il tavolo undici dove Harry e Nick lo stavano ancora fissando, il primo confuso e il secondo preoccupato.

Fece il giro del tavolo in modo da trovarsi alle spalle di Harry, gli passò una mano in mezzo ai folti capelli ricci e si chinò su di lui.

“Forse dovresti sapere che il tuo amico quando non esce con te va in giro per locali a ubriacarsi e supplicare la gente di fargli pompini. Credimi, io lo so.”


Calvin stava ridendo da dieci minuti buoni.

“Non riesco a credere che tu abbia smerdato Ellison in quella maniera davanti al suo ragazzo.”

“È quello che si merita” replicò laconico Louis dando un calcio svogliato alla palla.

Lui e Calvin stavano facendo una partita uno contro uno nel parcheggio in disuso che c’era di fronte a casa di Calvin e Louis pensava che tirare quattro calci a un pallone lo avrebbe aiutato a sentirsi meglio ma non stava funzionando.

Nick Ellison era il puttaniere più conosciuto nel giro di locali che frequentavano lui e Calvin. Non aveva ancora capito se fosse più attratto dai ragazzi o dalle ragazze, nei suoi deliri alcolici l’aveva visto buttarsi letteralmente su ogni cosa che respirasse – e poi lui aveva bisogno degli Alcolisti Anonimi – e sì, una sera aveva deciso che la sua preda sarebbe stata proprio Louis. Louis non pretendeva certo di essere un moralista contrario alle storie di una notte, ma era decisamente contrario ai tipi come Ellison e così gli aveva detto di girargli al largo. L’altro l’aveva presa sul personale e si era messo in testa che entro la fine della serata si sarebbe fatto Louis e Louis alla fine esasperato aveva preso i suoi amici e li aveva trascinati altrove pur di non trovarsi più davanti Ellison. Aveva sentito dire più di una volta che avesse un ragazzo stabile, ma si era sempre rifiutato di crederci o comunque aveva pensato che per stare con uno come lui, l’altro dovesse essere della sua stessa pasta. Magari erano una coppia aperta, magari erano una di quelle coppie che stanno insieme giusto per permettere a entrambi di auto convincersi di non essere persone poi così orribili, per avere qualcuno da portare con sé alle cene di famiglia e ai matrimoni o roba simile.

Mai avrebbe immaginato che Ellison stesse con uno come il ragazzo delle ciambelle gratis.

Harry.

Harold.

Il nome gli rimbombava in testa da due giorni, ovvero da quando l’aveva appreso.

E la rabbia che aveva in corpo non accennava a diminuire, anzi aumentava man mano che il pensiero si fissava nella sua mente.

Harry sembrava un bravo ragazzo, uno di quelli bravi per davvero.

Harry sicuramente non aveva idea di cosa combinasse Nick Ellison lontano da lui, o almeno non ce l’aveva fino al momento in cui Louis gliel’aveva detto. Niall l’aveva tacciato di essere proprio uno stronzo quando ci si metteva, ma non era per stronzaggine che Louis aveva fatto ciò che aveva fatto. Nel momento in cui li aveva visti seduti a quel tavolo, nel momento in cui aveva capito che stavano insieme, non ci aveva più visto, era come se gli fosse scoppiata una vena nel cervello perché no, non era contrario alle storie di una notte, ma era fermamente convinto che se vuoi darti alle pazze gioie allora eviti di impegnarti con qualcuno, soprattutto con qualcuno acqua e sapone come Harry. Liam gli aveva fatto notare che lui in fondo non aveva idea di come fosse Harry, ma a Louis pareva abbastanza ovvio che Harry fosse puro e cristallino come l’acqua di una sorgente di montagna.

“Hey attento!” la voce di Calvin lo riportò alla realtà giusto in tempo per schivare e bloccare il pallone che si stava per abbattere sul suo ginocchio. Avrebbe voluto sfogarsi con Calvin ma Calvin non era esattamente l’amico a cui confidare certi particolari perché non solo non avrebbe capito come si sentisse nei confronti di Harry, ma l’avrebbe anche sicuramente preso in giro e in quel momento Louis voleva solo che qualcuno lo rassicurasse riguardo al fatto che Harry stava bene nonostante tutto.

C’era poi il piccolo particolare che la sua mano non riusciva proprio a dimenticare la consistenza dei capelli ricci del ragazzo, e questo l’aveva confidato solo a Liam che si era lasciato andare a una risata bonaria dicendo qualcosa sul fatto che fosse davvero esilarante che “il giorno dopo” Louis Tomlinson si ricordasse ancora di qualcuno che non si era nemmeno fatto. Ma Louis non era così, era più fumo che arrosto e Liam lo sapeva più di chiunque altro visto che era l’unico a cui raccontava letteralmente tutto della sua vita. Be’, Liam e le sue sorelle, ma le sue sorelle erano per l’appunto le sorelle e la metà di loro non era nemmeno grande abbastanza per capirle certe cose, anche se era divertente parlare di ragazzi con Lottie – la più grande di loro, che però aveva sette anni meno di lui – e farsi minacciare che se mai le avesse rubato un ragazzo avrebbero smesso di essere amici e fratelli.

“Si può sapere cos’hai oggi? Dovresti essere al settimo cielo per essere stato proprio tu fra tutti a dare una lezione a quel coglione di Ellison. Non lo mai visto fissarsi su qualcuno come si era fissato con te, gli sta bene.”

Sì, certo... avrebbe dovuto essere proprio fiero di se stesso e invece era solo incazzato nero e per di più una parte di sé si sentiva anche in colpa per essere stato la causa della fine della storia di Harry, anche se tecnicamente non c’entrava proprio nulla. E poi magari non si erano nemmeno lasciati, magari... no, non voleva nemmeno pensare a quell’eventualità.

“Devo andare” decretò facendo rimbalzare il pallone addosso a Calvin e mollando lì l’amico senza nessuna spiegazione.


“Questo è stalking allo stato puro” ripeté Liam per la settima volta in sette minuti.

“Guarda la strada” gli intimò Louis, “e non perderlo di vista.”

Quella mattina mentre serviva la colazione a un’anziana coppia di signori all’hotel nel quale lavorava, Louis aveva avuto un’illuminazione divina e così a fine turno aveva chiamato Liam e gli aveva chiesto di passarlo a prendere al lavoro. Da lì erano andati alla scuola dove si tenevano gli incontri degli Alcolisti Anonimi, avevano parcheggiato un po’ in disparte e avevano pazientemente atteso che il ragazzo delle ciambelle gratis – Harold – andasse a fare il suo dovere. Poi l’avevano seguito con discrezione fino a una pasticceria dove evidentemente lavorava e con altrettanta pazienza avevano aspettato che finisse il turno. Ora lo stavano seguendo sperando che andasse a casa.

“Non potevi semplicemente entrare in pasticceria se volevi parlargli?”

“No, avrebbe trovato un modo per evitarmi.” Liam aprì la bocca per replicare ma poi ci ripensò e stette zitto. Dopo circa dieci minuti videro la macchina nera di Harry sparire all’interno del garage di una villetta a schiera e loro parcheggiarono una cinquantina di metri più avanti.

“Ora cosa hai intenzione di fare?”

“Niente, puoi tornare a casa.” Louis saltò giù dalla macchina ancor prima che l’amico potesse rendersi conto di cosa stesse succedendo e si avvio a passo veloce verso la villetta. Prima di imboccare il vialetto lesse i nomi sulla cassetta della posta e ripeté ad alta voce il nome completo.

Harold Styles.
Suonava dannatamente bene.

Fece un respiro profondo e suonò il campanello. Ad aprirgli la porta fu una signora con indosso un grembiule da cucina, i capelli neri raccolti dietro la testa con una molletta e negli occhi la stessa identica espressione di Harry.

“B-Buonasera” le disse balbettando, improvvisamente aveva perso tutta la baldanza, perché la verità era che il suo piano si fermava allo scoprire dove abitasse Harry, da lì in poi era un enorme salto nel vuoto.

“Posso esserti utile?” gli chiese la donna in tono gentile.

“Sono un amico di Harry... non è che in casa?” improvvisò, sperando che lei non iniziasse a fargli un terzo grado su come si chiamasse, da dove fosse spuntato fuori, perché Harry non gli avesse mai parlato di lui e via dicendo... sapeva per certo che la sua di madre l’avrebbe fatto.

“Sei fortunato, è tornato giusto dieci minuti fa. Credo si stia facendo la doccia, aspettalo pure su in camera” gli disse spalancando la porta e spostandosi per farlo passare.

Possibile che fosse stato così facile?

“G-grazie” le rispose senza questionare e lanciandosi su per le scale.

Una volta arrivato in cima però si bloccò guardandosi intorno, senza avere la minima idea di dove andare.

Il corridoio non era molto lungo e vi si affacciavano cinque porte: la prima alla sua destra era aperta e dentro la piccola stanza vide un vecchio divano, un asse da stiro aperto, un cesto pieno di vestiti da stirare appoggiato su una sedia e altre cose ammucchiate e decise che quella doveva essere una sorta di stanza ripostiglio. Dalla porta di fianco a quella arrivava forte e chiaro il rumore dell’acqua che scrosciava da una doccia, il bagno. La prima porta alla sua sinistra era chiusa ma avvicinandosi Louis sentì distintamente la voce di una ragazza che probabilmente stava parlando al telefono. La seconda porta sulla sinistra era semi aperta e Louis al suo interno intravide dei vestiti – gli stessi che aveva visto indosso a Harry quando lui e Liam avevano iniziato il loro appostamento alla scuola - buttati in terra davanti a un letto a una piazza e mezza e decise che quella doveva essere la stanza che gli interessava. Entrò piano piano, quasi con reverenza, e si guardò intorno: il letto era immacolato, i vestiti sporchi buttati in terra, l’armadio dal quale probabilmente aveva appena tirato fuori quelli puliti era ancora aperto, sopra la scrivania c’erano due mensole stracolme di libri, di fianco al letto una doppia colonna porta cd piena fino a scoppiare. Louis si sedette sul letto e prese a rigirarsi fra le mani una spilletta che aveva trovato appoggiata sul comodino e che recitava ‘salvate i delfini’. Sorrise, gli sembrava una cosa proprio da Harry.

Tu cosa ci fai qui?” la voce del ricciolino lo fece sobbalzare e alzando lo sguardo se lo ritrovò davanti, fermo sulla soglia della porta che ora era spalancata con addosso solo un paio di boxer e fra le mani un asciugamano con il quale si stava asciugando i capelli.

I suoi meravigliosi e morbidi ricci.

“Cosa ci fai seduto sul mio letto?!”

Louis non sapeva cosa rispondere e si rese conto che stava per diventare Louis Tomlinson, il coglione, viziato, insensibile, con seri problemi mentali e stalker. Perché non dava mai retta a Liam?

“Cosa ci fai in camera mia???” ora Harry stava perdendo la pazienza.

Delle goccioline stavano colando dai riccioli bagnati sulle sue spalle e Louis non si era mai accorto di che razza di braccia avesse il ragazzo. Nonostante sembrasse così esile, le sue braccia avevano tutta l’aria di essere forti, per non parlare dei tatuaggi che le ricoprivano, quasi tutti a tema nautico. Era pieno di tatuaggi anche sul petto e sull’addome e Louis si ritrovò ad abbracciarsi pensando ai propri di tatuaggi, nascosti sotto la felpa che indossava.

“Vuoi dirmi cosa vuoi?” Harry quasi urlò esasperato.

Louis sospirò.

Perché riusciva sempre a essere così baldanzoso e gradasso tranne quando esserlo gli avrebbe fatto davvero comodo?

“Ma soprattutto chi ti ha fatto entrare?” così dicendo Harry si decise a entrare nella stanza e a chiudersi la porta alle spalle. Louis lo prese come un segno di pace, nonostante il tono del ragazzo non fosse poi tanto amichevole.

“Mi ha fatto entrare tua madre. Cioè, penso sia tua madre. È molto gentile.”

Harry gli lanciò addosso l’asciugamano bagnato e Louis si sentì investito da una folata di profumo, lo shampoo che usava Harry.

“Volevo sapere come stavi, tutto qui” si decise ad ammettere costringendo la sua mente a lasciare da parte certi pensieri e buttando in terra l’asciugamano. Nel frattempo Harry si era infilato una felpa e un paio di jeans.

“Sto bene” rispose semplicemente l’altro.

“Mi dispiace.”

Ci fu un attimo di silenzio in cui i due si fissarono, poi Harry si lasciò cadere seduto sulla sedia della scrivania.

“Lo sapevo, sai? Lo sapevo che Nick mi tradiva. Credo che lo sappiano tutti che non è esattamente il ragazzo ideale. È per questo che un mese fa l’ho lasciato, non ne potevo più.”

A Louis cadde la mascella a terra.

“Pensavi fosse un appuntamento galante? Forse nella testa di Nick lo era, mi aveva chiesto di uscire dicendo di dovermi parlare, mi ha chiesto di tornare con lui e mi ha detto che sarebbe cambiato. Non so nemmeno perché io ti stia raccontando tutte queste cose.”

“Ma... Cioè... Sono sicuro di avervi visto mano nella mano” obbiettò Louis, improvvisamente di umore decisamente migliore.

“Davvero? Sarà stata abitudine, o sarà stato lui che tentava di convincermi che provo ancora certe cose per lui.”

“E poi?”

“Poi l’amico del barista ha deciso che né io né lui meritassimo una birra. E cinque minuti dopo ero in macchina, da solo. Un quarto d’ora dopo ero già addormentato nel mio letto. Da solo.

Wow.

Questo Liam mica gliel’aveva detto.

Non gli aveva detto che l’oggetto del suo tormento se n’era andato subito dopo di lui e che l’aveva fatto da solo.

“Be’, mi dispiace lo stesso. Niall ha ragione, sono stato uno stronzo.”

Harry lo guardò inarcando un sopracciglio e Louis immaginò si stesse chiedendo chi fosse Niall, o magari stava solo pensando che lui fosse uno psicopatico. In quel momento gli squillò telefono.

Era sua sorella Fizzy.

Fece un cenno di scuse a Harry e rispose.

“Lou, la mamma è svenuta mentre stava cucinando. Non so cosa fare, Lottie è andata con lei sull’ambulanza, non riesco a far star buoni Ernie e Doris, non so dove siano le gemelle, ti prego...” gli disse piangendo disperatamente.


Due ore e mezza dopo Louis si accasciò esausto sul divano di casa.

Dopo la chiamata di Fizzy era saltato come una molla e Harry si era subito offerto di accompagnarlo a casa una volta saputo che non era lì in macchina. A casa aveva trovato un fornello ancora accesso, Ernie e Doris – i gemelli di undici mesi – che strillavano senza sosta, Fizzy con gli occhi gonfi di lacrime seduta fra loro due e le gemelle continuavano a mancare all’appello. Chiamò Liam che meno di dieci minuti dopo era già lì e gli chiese di accompagnare Fizzy all’ospedale nella speranza che vedere la madre la calmasse, anche se lui per primo non aveva idea di cosa stesse accadendo. Dopo un giro di telefonate scoprì che le gemelle erano a casa di una compagna di scuola e quando riappese si rese conto che gli altri due gemelli si erano improvvisamente ammutoliti. Tornando in soggiorno li trovò addormentati fra le braccia di Harry, uno per lato.

“Non so come tu abbia fatto ma grazie.”

“Vai all’ospedale, ci penso io a loro. Prendi pure la mia macchina.”

Louis non se l’era fatto ripetere due volte, concedendosi per la prima volta da quando aveva ricevuto la telefonata di preoccuparsi per la madre. Era una cosa che lei gli aveva inculcato in testa fin dalla nascita di Lottie, ‘se mi dovesse succedere qualcosa, qualunque cosa, la prima cosa che devi fare è pensare alle tue sorelle’.

Passò a prendere le gemelle e una volta arrivato all’ospedale scoprì che c’era anche Niall, Liam era passato a prenderlo mentre portava Fizzy in ospedale, e i due lo rassicurarono subito dicendogli che secondo i medici si era trattato solo di un calo di pressione. Johannah aveva sbattuto la testa svenendo ma avevano già provveduto a fare gli esami del caso e non era nulla che non si potesse curare con un paio di punti e un cerotto. Avevano deciso di tenerla in osservazione per capire da cosa fosse stato dovuto il calo di pressione, le avevano già fatto il prelievo del sangue e tempo ventiquatt’ore sarebbero stati in grado di dire loro qualcosa in più, ma non c’era assolutamente nulla di cui preoccuparsi. Lui e le sorelle entrarono a turno a salutarla e poi fu proprio lei a cacciarli dicendo che l’unica cosa di cui dovevano preoccuparsi era di riempire i propri stomaci, così si divisero fra la macchina di Liam e la sua – ovvero quella di Harold.

“Non posso credere che tu abbia lasciato Ernie e Doris con uno sconosciuto” lo rimbeccò Niall, mentre Lottie seduta dietro di loro annuiva.

“Non penso proprio che sparirà con i gemelli mentre io ho la sua macchina. E comunque non è uno sconosciuto” borbottò Louis e l’immagine di Harry seduto sul divano con i due gemelli in braccio gli si affaccio in maniera prepotente alla mente facendolo arrossire vistosamente. Scosse la testa cercando di non pensarci, Lottie si mise a piangere raccontandogli che aveva sentito la mamma cadere a terra, era corsa in cucina e si era spaventata tantissimo e Louis allungò una mano verso il sedile posteriore tentando di accarezzarle i capelli e promettendole che tutto sarebbe andato bene.

Poi arrivarono a casa e collassò sul divano.

“Circa mezzora fa ho messo a dormire i gemelli, prima li ho cambiati, gli ho fatto anche mangiare qualcosa, la piccolina ha rovesciato tutto ma non ti preoccupare ho pulito... ho dovuto frugare un po’ in giro per trovare quello che mi serviva, sia per pulire che per metterli a letto...” gli disse Harry sedendosi di fianco a lui.

“Ho ordinato le pizze per tutti” gli rese noto Niall sedendosi dall’altro lato e passandogli un braccio intorno alle spalle. “Anche se credo che avanzeranno perché ho mandato su le gemelle a cambiarsi e ora le ho trovate addormentate in camera tua. Nel tuo letto, completamente vestite.”

“Vuoi che dormiamo qui?” gli chiese Liam.

Louis fece stancamente di no con la testa, pensando che i suoi amici avevano già fatto abbastanza.

“Lottie non vuole farmi dormire con lei stanotte” arrivò lamentandosi Fizzy, seguita dalla maggiore che stava facendo disperatamente cenno di no con la testa in direzione di Louis.

“Falla dormire con te, non vedi che è sconvolta?” le disse il fratello ignorando le sue suppliche.

Quando le pizze arrivarono mangiarono in silenzio, erano tutti stanchi e provati, poi ammassarono i cartoni vuoti di fianco al lavandino e misero ciò che era avanzato nel forno per il giorno dopo. Liam e Niall si congedarono e Niall si offrì di coprirgli il turno all’hotel il giorno dopo, visto che anche lui lavorava lì. Lottie e Fizzy crollarono addormentate non appena toccarono il letto e quando Louis scese per controllare che tutto fosse spento si rese conto che Harry era ancora lì. Era seduto al tavolo della cucina con il cellulare in mano e Louis si sentì davvero uno stupido per non averlo ancora ringraziato.

“Grazie” gli disse sedendosi davanti a lui.

“Mi piacciono i bambini” rispose Harry con un sorriso, senza staccare gli occhi dallo schermo del cellulare. Dalla velocità con la quale muoveva le dita, Louis capì che stava scrivendo a qualcuno.

“Si be’... non eri obbligato a stare con loro. Grazie, dico davvero.”

“Ti saluta mia sorella” Harry posò il telefono sul tavolo. “Credo che tu le piaccia” aggiunse alzando lo sguardo verso di lui.

“Come faccio a piacerle se non mi avrà mai nemmeno sentito nominare fino a stasera?”

“Credo tu l’abbia conquistata quando ti sei rifiutato di usare la sigaretta come metafora.”

Erano avvolti dal buio ma Louis non era per nulla sicuro che quello fosse sufficiente a nascondere il rossore che gli aveva improvvisamente scaldato le guance. Quello era successo la seconda volta che si erano visti, la prima che si erano parlati. Il che significava che Harry aveva raccontato di lui a sua sorella fin da quella volta, un po’ come lui aveva stressato Liam fin da allora.

“È tardi, dovresti andare a casa” gli disse sperando che la voce non lo tradisse.

“Veramente ho già avvisato che dormo qui.”

“Eh?”

“Avresti dovuto lasciare che anche i tuoi amici dormissero qui.”

Ah, quindi si trattava di una sorta di pigiama party post tua madre ha avuto un malore e provo pena per te? Comunque fosse, Louis era contento che Harry avesse deciso di rimanere ed era ancora più contento di aver cacciato Niall e Liam.


***


“Non pensi che dovresti avvisarlo?” chiese Harry. Era sul letto di una delle gemelle, girato verso di lui che occupava il secondo letto, ed era tirato su su un gomito. Louis aveva appena finito di raccontargli che Daniel – il marito attuale di sua madre, nonché padre di Ernest e Doris – era in viaggio di lavoro e che dubitava che qualcuno l’avesse avvertito del ricovero di Johannah.

“Ho avvisato mio padre però” disse fissando il soffitto.

“Quello che vuole tornare nella tua vita e che ti ha spinto a diventare un alcolizzato?” lo prese in giro Harry ricordandosi della storia che Louis aveva raccontato il giorno che si erano conosciuti.

“No, non quello. Ho avvisato papà, quello vero. L’altro è solo un coglione che non si è saputo tenere il cazzo nelle mutande quando avrebbe dovuto, ma immagino che dovrei ringraziarlo per questo o ora non sarei qui.”

Harry si mise a ridere.

“Quindi quella parte della storia era vera sul serio.”

“Te l’avevo detto, sei tu che non hai voluto credermi.”

Louis sentiva gli occhi di Harry fissi su di sé, e questa era l’unica ragione per la quale si rifiutava con tutto se stesso di cedere al sonno. Gli piaceva sentirsi osservato da Harry, gli piaceva la risata di Harry, gli piaceva parlare con Harry e gli piaceva che Harry avesse deciso di non lasciarlo solo nonostante fossero finiti col sistemarsi in camera delle sue sorelle di undici anni, con i letti ricoperti da lenzuola rosa delle principesse Disney e Barbie sparse per tutta la stanza. Gli sarebbe piaciuto ancora di più toccare Harry, passargli di nuovo le mani fra i riccioli e... Quasi come se gli avesse letto nel pensiero Harry si alzò, ma contrariamente a ciò che Louis aveva pensato – sperato – andò a curiosare fra i dvd che erano ammucchiati alla rinfusa su una mensola.

“Guardiamo un film?” chiese dandogli le spalle.

Louis guardò l’orologio di Rapunzel appeso alla parte e che segnava mezzanotte e venti minuti. Non che il giorno potesse essere considerato di vacanza, doveva alzarsi presto e assicurarsi che tutte le sue sorelle arrivassero a scuola sane e salve e che Ernie e Doris non morissero di stenti. Ma non voleva assolutamente dormire, non voleva che quell’idillio fra lui e Harry finisse, anche se tale idillio esisteva solo nella sua testa. Emise un verso a labbra serrate e Harry rise di nuovo.

“Lo prenderò per un sì” gli disse scegliendo finalmente un dvd.

Dopo aver acceso il televisore e afferrato il telecomando si avvicinò al letto occupato da Louis e lo fissò dall’alto.

“Mi fai spazio?” gli chiese innocentemente.

Louis smise improvvisamente di fissare il soffitto e si voltò verso di lui ringraziando di essere sdraiato o la forza di gravità gli avrebbe fatto precipitare la mascella dall’altra parte del globo.

Senza proferire parola – non si fidava della sua voce – si spostò e fece posto a Harry che si accomodò al suo fianco. I loro gomiti si sfiorarono attraverso i vestiti mentre il ricciolino armeggiava con il telecomando e Louis ebbe un fremito.

“Puoi piangere in libertà, giuro solennemente che farò finta di non ricordarmelo domani mattina” ridacchiò Harry premendo finalmente play e solo allora Louis capì che il ragazzo aveva scelto quel film, quello sul quale avevano battibeccato quel giorno che ormai gli sembrava così lontano, quando lui aveva disperatamente bisogno di un accendino per fumarsi una sigaretta e Harry ovviamente non ce l’aveva.

Colpa delle stelle.

Quello stupido film “da femminucce” che era stato costretto a vedere tre volte al cinema e miliardi a casa e che ogni volta gli causava strani pruriti alle ghiandole lacrimali.

“Mia madre è all’ospedale, potrebbe avere qualunque cosa e tu mi fai guardare questo?” gli chiese allibito mentre sullo schermo Hazel Grace si trascinava nel cuore letterale di Dio con la sua bombola a ossigeno, senza sapere che da lì a cinque minuti di screen time avrebbe scoperto che le sigarette possono essere usate come metafore e che era fottuta per la vita perché stava per innamorarsi di Ansel Elgort che nella finzione portava il nome improponibile di Augustus Waters.

“Mamma Tomlinson starà bene.”

Harry si tirò leggermente su, quel poco che bastava per sovrastare Louis e gli passò un braccio intorno alle spalle attirandolo gentilmente a sé.

Louis lo lasciò fare.

“Al momento è mamma Deakin” disse dopo qualche minuto di silenzio. “Noi la chiamiamo mamma Jay e basta, è troppo impegnativo stare dietro alla sua vita sentimentale.”

Risero entrambi.

“Fizzy passò mesi a cercare in ogni libreria esistente ‘Un’imperiale afflizione’, non riusciva proprio a capire come il libro che aveva ispirato così tanto Hazel e che li aveva portati a baciarsi nella casa di Anna Frank dall’altra parte del mondo, potesse non esistere” dieci minuti dopo Louis ruppe il silenzio.

“Shhh, niente spoiler!”

Louis alzò leggermente la testa per guardare Harry.

Il ragazzo lo stava ancora tenendo sottobraccio e Louis riusciva a sentire il suo respiro fra i propri capelli.

Erano vicinissimi, non erano mai stati così vicini.

E lui non si era mai sentito così vicino a qualcuno.

“In quale punto del film inizierai a piangere?” gli chiese, solo per sentire di nuovo la sua voce.

Harry tenne lo sguardo fissò sullo schermo del televisore, una mano che quasi inconsciamente iniziò a giocare con il bordo della felpa di Louis e che improvvisamente si ritrovò ad accarezzargli il fianco. Da sotto la felpa.

Louis non era preparato per quel contatto, non era preparato per la mano calda di Harry sulla sua pelle, non era preparato a sentirsi il cuore battere in quella maniera.

Si appoggiò ancora di più a Harry, riempiendo anche quei pochi millimetri che li distanziavano.

Ora sì che erano davvero vicini, i loro corpi separati da pochi pezzi di stoffa.

“Per quel che vale, non ho mai pensato che tu fossi uno stronzo. Solo un po’ irritante. Non sempre. Il più delle volte. Ma non sempre.”

Harry parlava lentamente, il tono di voce basso, quasi un bisbiglio.

Stava continuando ad accarezzarlo, salendo piano piano verso l’alto e lasciandogli la pelle nuda e scoperta man mano che la felpa si alzava sopra la sua mano, che gli stava lasciando una scia infuocata ovunque lo toccasse.

Sullo schermo Hazel e Augustus stavano facendo un picnic al parco, lui stava per regalarle il suo ultimo desiderio sotto forma di un viaggio ad Amsterdam e lei ancora non sospettava di nulla.

“Sei mai stato ad Amsterdam?” chiese improvvisamente a Harry, per pensare ad altro, per distogliere la propria attenzione dal fatto che stava per impazzire e tutto perché era fra le braccia di un semi sconosciuto, a guardare un film strappalacrime sdraiato su lenzuola rosa e nulla di tutto ciò che stava accadendo aveva senso.

O forse ne aveva fin troppo.

Harry si lasciò scivolare leggermente verso il fondo del letto e Louis si ritrovò a fissare dritto negli occhi le sue labbra, ammesso che delle labbra avessero gli occhi.

“No. E se stai per dirmi che mi hai regalato un viaggio ad Amsterdam usando il tuo ultimo desiderio da malato terminale, sappi che non sono in vena di brutte notizie, non a quest’ora di notte.”

Le labbra sorrisero.

Louis si ritrovò a toccargliele ancora prima di capire cosa stesse facendo.

Percorse il loro contorno con un dito ed erano così morbide... ancora più morbide dei suoi riccioli.

“Odio questo stupido film.”

Le labbra sorrisero di nuovo mentre di fianco a lui il corpo di Harry scivolava ancora di più verso il basso e il braccio di Harry lo stringeva ancora di più a sé e la mano di Harry non dava tregua alla sua pelle e... Louis spense il cervello.

Spense il cervello e si protese di quel poco che bastava per colmare la distanza fra le sue labbra e quelle di Harry.

Dapprima si sfiorarono soltanto, poi presero sempre più confidenza fino a quando non si schiusero quasi nello stesso istante per assaggiarsi meglio.

Fino a quando Louis non si ritrovò disteso sopra a Harry.

Fino a quando Harry non sfilò di dosso a Louis la felpa e la maglia a maniche corte che portava sotto, tutto in un unico movimento.

Fino a quando le mani di Louis non si insinuarono sotto alla maglia di Harry, cercando il contatto con la sua pelle nuda e sentendosi incoraggiate quando Harry reagì a quel tocco con un gemito di piacere.

Fino a quando il film divenne solo un rumore di sottofondo e l’unica cosa che contava per Louis era sentirsi sempre più vicino a Harry, sempre più un tutt’uno con Harry, sempre più dentro a Harry.

E alla fine di tutto si addormentarono ancora stretti l’uno all’altro.


***


“Sai cos’è più disgustoso di entrare in una stanza in cui i tuoi genitori stanno facendo sesso? Svegliarti nel bel mezzo della notte e capire che tuo fratello dall’altra parte del muro lo sta facendo, nel letto di un’undicenne.”

Louis per poco non sputò il sorso di cappuccino che aveva appena bevuto mentre Lottie lo fissava divertita.

“Ho chiamato papà prima, ha detto che l’hai chiamato anche tu ieri sera e che gli hai chiesto se poteva prendersi un giorno libero e badare ai gemelli oggi” disse poi la ragazza, cambiando completamente discorso.

“Sì, non sapevo che Niall si era già organizzato per coprirmi il turno” le rispose Louis.

“Fizzy sta aiutando le gemelle a vestirsi, le portiamo noi a scuola così tu puoi andare direttamente dalla mamma e farci sapere qualcosa. Poi però devi andarle a prendere tu.”

Louis fece un cenno di assenso alla sorella, ringraziandola interiormente per il fatto che fossero le sette e mezza del mattino e avesse già organizzato la giornata a tutti in maniera impeccabile.

Lui alla fine aveva dormito sì e no due ore e si sentiva uno straccio, salvo per il fatto che si era svegliato con il volto inondato dai riccioli di Harry e quello era stato meraviglioso.

“Ho vestito i gemelli” in quel momento il ricciolino in questione fece il suo ingresso in cucina, “hanno già fatto colazione, non preoccupatevi.”

“Grazie, non finiremo mai di ringraziarti per essere riuscito a prenderti cura di loro, lo sai vero?” così dicendo Lottie gli schioccò un bacio sulla guancia e Louis si sentì un po’ geloso. “Ma dovevi essere speciale per forza, visto che sei l’unico ragazzo che Lou abbia mai portato a casa.”

Louis rischiò di affogare nel caffè per la seconda volta in meno di cinque minuti.

Harry ricambio il bacio di Lottie e la ragazza sparì di corsa dalla cucina. Meno di dieci minuti dopo in casa erano rimasti solo loro due e i gemelli, un quarto d’ora dopo solo loro due perché il padre di Louis era passato a prendere Ernie e Doris.

Harry e Louis non si erano ancora parlati, salvo per questioni tecniche tipo ‘posso avere un asciugamano?’ o ‘i vestiti dei gemelli sono in quell’armadio’.

Louis stava zitto perché sapeva di dover lasciare Harry libero di tornare alla sua vita ma non voleva farlo e Harry stava zitto perché... Louis non sapeva perché Harry stesse zitto.

“Perché non parli?” gli chiese d’istinto.

Harry inarcò un sopracciglio da sopra la tazza di caffè che si era appena versato.

“Non mi sembra che tu sia molto più loquace di me.”

“Sì be’, vai pure se devi andare” tagliò corto Louis.

Harry posò il caffè sul tavolo.

“Vuoi che me ne vada?” gli chiese, improvvisamente confuso e... deluso? Gli aveva visto lo stesso identico sguardo negli occhi il giorno in cui aveva tentato di giustificarsi con lui per la storia inventata agli Alcolisti Anonimi.

“No” si limitò a dire Louis senza guardarlo, “anche se non capisco perché hai fatto tutto ciò che hai fatto.”

“Cosa avrei fatto?” lo sguardo di Harry ora era indecifrabile.

“Ti sei preso cura di me. Quando in realtà pensi che io sia-“

“Uno stronzo? Pensavo di averti già detto che non l’ho mai pensato” ora sembrava esasperato. “Non l’ho mai pensato, ho solo pensato che tu fossi... non so nemmeno io cosa ho pensato che tu fossi, ma vuoi saperla tutta? Mi sei piaciuto subito Louis, non lo so nemmeno io perché. Il giorno in cui hai raccontato la tua stupida storia su ragazze incinta e padri assenti, sono rimasto ad ascoltarla tutta perché il ragazzo che la stava raccontando mi aveva affascinato all’istante, col suo accento improponibilmente dialettale, il fatto che si capisse lontano dieci chilometri che era tutta una palla, il-“

Prego?

“Louis, te l’ho già detto... non sono stupido. Ho sempre saputo che razza di persona fosse Nick come ho capito subito che la tua era solo una storia inventata. Volevo solo sapere perché l’avessi inventata, per quello ti ho chiesto i dettagli quel giorno... volevo solo parlare con te.”

Harry si lasciò andare a un sospiro frustrato mentre Louis dall’altra parte del tavolo lo fissava a occhi sgranati.

Non aveva proprio capito niente, niente delle dinamiche fra lui e Harry e niente su lui e Harry. Lì a quel tavolo non era certo Harry la creaturina povera, ingenua e indifesa, Harry era forte, Harry era deciso, mentre lui era solo un povero cretino.

Un povero cretino che senza rendersene conto aveva iniziato a sorridere in maniera ebete.

“Allora perché sembravi deluso al nostro terzo incontro all’associazione?” lo sfidò.

“Perché non riuscivo a capire se ti piacessero i ragazzi o le ragazze, c’era qualche strana forza che continuava a farmi gravitare verso di te e avevo una paura assurda che andasse tutto male ancor prima che ci fosse qualcosa da far andare male. Lo so che non ha senso quello che sto dicendo e so che chiunque direbbe che non ci conosciamo nemmeno, ma ho saputo che eri tu fin dal primo istante.”

Louis avrebbe voluto inginocchiarsi e chiedergli di sposarlo lì, all’istante.

Poi si ricordò di avere ventitré anni e di essersi sempre reputato allergico al matrimonio

E che lui e Harry non stavano nemmeno insieme.

E che Harry per tutte quelle settimane si era sentito esattamente come lui, e che quindi tutto, tutto quanto aveva più senso di quanto non ne avessero i tre quarti delle storie che si trascinavano stancamente in giro per il pianeta.

“A casa tua però sembravi genuinamente scocciato.”

“Scusa, stavo cercando di processare il fatto di essere stato pedinato per tutto il pomeriggio senza essermene reso minimamente conto” sorrise.


Presero la sua macchina per andare in ospedale, ed era stata una sua idea, perché se Harry avesse lasciato la propria macchina a casa di Louis, allora sarebbe stato costretto a tornarci.

Johannah quella mattina aveva una cera decisamente migliore e accolse il figlio con un abbraccio lungo cinque minuti. Poi si focalizzò su Harry.

“Fammi indovinare, tu sei il famoso Harold” gli disse sorridendo.

Mamma!

“Non prendertela con Liam e Lottie per avermi raccontato tutto, tesoro.”

Louis prese nota mentalmente di fare – o per meglio dire rifare – il discorsetto a Liam, quel discorsetto nel quale gli spiegava che lui era il suo migliore amico, non quello di sua madre. E Lottie solo il cielo sapeva quando avesse avuto il tempo di farle sapere cosa fosse successo quella notte, ed era tutto così imbarazzante.

Era vero, Louis non aveva mai portato un ragazzo a casa.

Louis non aveva mai nemmeno avuto un ragazzo da portare a casa, un ragazzo vero.

E Louis non sapeva nemmeno se Harold sarebbe diventato il suo ragazzo.

“Louis, caro, è meglio se ora ti siedi... immagino vorrai sapere cosa mi abbiano detto i dottori.”

Louis riportò all’istante l’attenzione sulla madre e Harry fece per lasciarli soli ma Johannah gli fece cenno di rimanere.

Louis si rifiutò di sedersi e lei sorrise.

“Mi terranno in osservazione ancora per un giorno o due, ma la ragione di tutto lo stato di malessere che ho provato negli ultimi tempi è che sono al terzo mese.”

Un vortice di pensieri si affastellò immediato nella mente di Louis. Cosa significava terzo mese? Che qualunque cosa le avessero trovato era già al terzo mese di sviluppo? Che le avevano diagnosticato tre mesi di vita? Non era possibile, mamma Jay stava benissimo, mamma Jay era-

“Credo stia cercando di dire che è incinta” gli sussurrò all’orecchio Harry intuendo i pensieri nefasti che stavano passando per la mente del ragazzo.

Incinta.

Al terzo mese.

Conoscendola, probabilmente erano altri due gemelli.

Se non quattro o cinque.

Louis si lasciò andare a un sospiro di sollievo, prendendo però nota mentalmente del fatto che ancor prima di fare il discorsetto a Liam, avrebbe dovuto uccidere Niall e le sue supposizioni premonitrici.


“Fra mezzora dovrei iniziare a lavorare, se mi porti al lavoro ti offro una ciambella” gli propose Harry mentre uscivano dall’ospedale.

“Affare fatto” gli sorrise Louis e le loro mani scivolarono l’una nell’altra mentre si dirigevano verso la macchina.

In macchina Louis gli raccontò di come avesse ereditato il cognome Tomlinson dal secondo marito di sua madre, quello che lui considerava il suo vero padre, e di come fosse assurdo che sua madre fosse riuscita ad avere sette – quasi otto, se non nove – figli da tre persone diverse ma loro si considerassero tutti fratelli a tutti gli effetti e anche se erano tanti e spesso si sarebbero uccisi a vicenda, nessuno di loro avrebbe rinunciato a nessun altro di loro nella propria vita. Non sapeva perché gli stesse raccontando quelle cose, forse voleva solo fargli capire chi fosse, da dove venisse, anche se Harry aveva ampiamente dimostrato di aver già capito moltissime cose di lui senza nessuno che gliele spiegasse.

“Ciao ma’” salutò Harry entrando nella pasticceria e Louis si accorse che la signora dietro al bancone era la stessa che gli aveva aperto la porta a casa di Harry la sera prima. “Gli offri qualcosa? Io vado a cambiarmi” aggiunse il ricciolino indicandole Louis.

“La pasticceria è tua?” esclamò allibito Louis fissando a bocca aperta il bancone nel quale si alternava un’esposizione meravigliosa di cupcake e ciambelle, ma Harry era già scomparso nel retro.

“No, è solo la pasticceria nella quale sua madre lavora part-time, ma serviva un aiuto e Harry stava cercando lavoro” gli spiegò la madre di Harry sorridendo. “Forse è il caso che ci presentiamo come si deve, non trovi Louis?”

Louis annuì ricambiando il sorriso.

Gli piaceva quella donna.

Si ritrovò a pensare che lei e Jay sarebbero potute andare d’accordo.

Si ritrovò a pensare che forse lui e Harry ora stavano insieme, anche se nessuno dei due l’aveva detto ad alta voce.

Harry in fondo aveva ammesso di aver capito che era lui fin dal primo istante.

Forse tutta quella storia non aveva senso, forse era assurda come assurda era stata la circostanza che li aveva fatti incontrare e come assurde erano tante cose che accadevano ogni giorno a ogni angolo della strada.

Aveva tutto il tempo dell’universo per provare a Liam che lui e Harry si conoscevano, aveva tutto il tempo del mondo per imparare a conoscere Harry fin nel più profondo del suo animo, e farlo sarebbe stato parte dell’avventura nella quale si stava per imbarcare.

L’unica cosa che importava era che Harry ora era il suo Harold e che tutte le persone intorno a loro paressero pensarla alla stessa maniera.

“Tieni” la madre di Harry gli allungò una scatola strapiena di cupcake e ciambelle di ogni gusto. Fece per rifiutare ma lei lo bloccò all’istante. “Harry mi ha raccontato che siete un esercito in casa e dopo lo stress delle ultime ventiquattr’ore fidati che ne avete bisogno.”

Com’è che tutti avevano avuto tempo di raccontare a tutti di lui e Harry quando lui non aveva avuto nemmeno il tempo per respirare? Doveva ammettere che però lui e Harry non gli dispiaceva affatto.

“Grazie” le disse accettando infine la scatola.

In quel momento ricomparve Harry, con addosso una specie di camice da fornaio a righe bianche e rosse.

“Io stacco alle sei, riesci a passarmi a prendere?” gli chiese.

Louis annuì, passare a prenderlo alle sei gli sembrava la promessa più bella dell’universo.

Altro che forse okay sarà il nostro per sempre.



NOTE.

Tutte le citazioni sparse all'interno della storia sono tratte da Colpa delle Stelle di quell'uomo meraviglioso che è John Green, ma immagino che l'abbiate capito anche da soli e il titolo altrettanto ovviamente si ispira a Whatshername dei Green Day.

Waaaaa, non pubblicavo su EFP da una vita e mezza e sono emozionata *ç*

   
 
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > One Direction / Vai alla pagina dell'autore: ChelseaH