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Autore: Katnip_GirlOnFire    18/08/2015    5 recensioni
Questo è il primo lavoro che pubblico in questo fandom.
Saranno una serie di OS ambientate dopo l'episodio 2x16, che mi ha lasciata così male che mi sarei messa a piangere.
Questa raccolta sarà pura Bellarke, tutti piccoli episodi che definiscono il loro rapporto.
Ci sarà un po' di angst, ma anche tanti bei momenti fluff.
Non so come descrivere questa cosa, se non come qualcosa uscito fuori dal mio povero cuore di shipper in subbuglio.
Dopo questa introduzione di schifo non credo di aver invogliato nessuno a leggere, ma per favore, date una letta.
E.
Genere: Angst, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Bellamy Blake, Clarke Griffin
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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                                                                                                                                                                        Attenzione, il livello di fluff di questa OS potrebbe uccidervi.

Dopo la quasi morte per congelamento di Clarke, le cose fra lei e Bellamy sono tornate come prima. Ci era voluto un po’, ma erano finalmente andati oltre le loro problematiche.
Ma la prima volta che la nuova questione si propone, Clarke viene totalmente colta di sorpresa, e ne resta basita. Per non dire sconvolta.
Lei e Bellamy stavano discutendo sui trattati di pace con le tribù vicine.
Bellamy voleva a tutti i costi estendere il loro territorio di caccia, Clarke invece sosteneva che per il sustentamento del campo fosse sufficiente il cibo che riuscivano a procurarsi nel normale territorio di caccia, e che espanderlo avrebbe potuto creare inintenzionalmente un conflitto di interessi con le tribù vicine.
Siamo riusciti a trattare la pace senza spargimenti di sangue, gli aveva detto lei con le mani sui fianchi. Perché devi sempre rendere tutto più difficile?
- Ne abbiamo bisogno, aveva replicato lui.

- No, non è vero.
- Ascoltami una volta tanto, principessina dei miei stivali.
- Sei tu che dovresti ascoltare me, cafone impertinente.

E così via, a un livello sempre crescente di voce.
Clarke era infine uscita come una furia dalla sua tenda, con uno sbuffo esasperato e sbattendo i piedi.
Era passata davanti a un gruppo di ragazzi che pulivano la carne fresca di caccia accanto al falò acceso.
«Oh no, mamma e papà hanno litigato di nuovo», aveva borbottato uno di loro sottovoce.
Ma non abbastanza.
Clarke aveva sentito e aveva boccheggiato.
Mamma e papà?
Che cos’era questa storia? Credevano che lei e Bellamy fossero in una relazione?
Lei e Bellamy?
Di tutte le persone che c’erano nel campo avevano accostato quelle meno probabili.
Non era una cosa seria, dopotutto, ma aveva davvero destabilizzato Clarke.
Era entrata nella tenda di Raven come una furia.
«Non ci posso credere!» aveva urlato.
Il meccanico aveva alzato la testa da un qualche progetto su cui stava lavorando.
«Che c’è, mamma?»
Clarke aveva cominciato a camminare avanti e indietro per la tenda, gesticolando animatamente.
«Prima quell’imbecille se ne esce con una delle sue: Allarghiamo il territorio di caccia. Allarghiamo il  territorio di caccia, principessa dei miei stivali», aveva ripetuto una seconda volta scimmiottando il timbro profondo di Bellamy.
«Ma dico, cos’ha nel cervello, segatura?» Raven per poco non era scoppiata a ridere mentre ascoltava lo sproloquio della ragazza.
«Poi scopro che alcuni ragazzi del campo ci-». Clarke si era bloccata di colpo, le mani a mezz’aria e le spalle rivolte a Raven.
Si era voltata di scatto, guardandola con le sopracciglia aggrottate.
«Mi hai chiamata mamma?», aveva domandato confusa.
«Eh?» aveva risposto Raven distrattamente.
Clarke si era messa le mani sui finchi. «Mi hai appena chiamata mamma»
La cosa cominciava a farsi strana. Che stava succedendo.
«Clarke, ti chiamo mamma da tipo…due mesi. Te ne accorgi ora?». Il meccanico aveva studiato l’espressione dell’amica. «Qual è il problema?»
«Un ragazzo si è riferito a me e Bellamy come- » le parole le erano uscite di bocca come un grugnito. «Mamma e papà»
Raven l’aveva sollecitata, non capendo il punto della questione. «E…?»
Clarke si era buttata a peso morto sul materasso improvvisato, coprendosi il volto con le mani. «Non lo so è- » aveva cercato la parola giusta, senza trovarla. «Strano. E stressante»
Raven aveva scosso la testa, divertita dal disagio della ragazza. Non l’aveva mai vista così preoccupata per una cosa tanto futile.
«Cosa c’è di tanto strano?», le aveva chiesto sedendosi accanto a lei.
«Avete salvato la vita a ogni singolo individuo che brancoli in questo campo. Insieme.
Siete stati i loro leader fin dal primo momento che hanno messo i piedi su questa terra, sempre insieme.
Prendete decisioni, condividete colpe.
Insieme, avete dato ciò di più vicino ad una famiglia che questi criminali avrebbero mai potuto avere dopo essere stati condannati».
Clarke aveva riflettuto. Era tutto vero, era sempre stato così. Bellamy e lei si bilanciavano, erano due facce contrapposte della stessa medaglia.
Avevano bisogno l’uno dell’altra.
Si fidavano ciecamente  l’uno dell’altra.
«E in più», aveva continuato Raven «Riuscite a comunicare anche solo con uno sguardo, vi migliorate a vicenda e litigate come una coppietta sposata».
Le era sfuggita una risata sull’ultimo punto dell’elenco.
Clarke l’aveva fulminata. «Io e Bellamy non facciamo niente come una coppietta sposata»
«E invece si», aveva ribattuto il meccanico. «Metabolizzate e acquisite le abitudini dell’altro, anche, proprio come una coppietta sposata»
Clarke era scattata in piedi. «Questo non è vero!»
«Si che lo è, ma non è questo il punto» aveva rilanciato Raven prendendola per un braccio prima che uscisse dalla tenda. «Quello che intendevo dire, è che non vedo niente di strano in quegli innocui, stupidi nomignoli. Cerca di vedere le cose per quello che sono»
 
(Clarke era uscita dalla tenda, ripromettendosi di fare attenzione per individuare ed eliminare i suddetti comportamenti da “coppietta sposata”.
Molta attenzione.
Che poi non ci sia riuscita, quella è un’altra faccenda.)
 
Pochi giorni dopo, Clarke sta lottando con un armadietto di metallo sigillato recuperato da Mount Weather, pieno di medicinali.
Non devi averci a che fare per forza, le aveva detto Bellamy, ma lei aveva insistito.
Doveva combattere i suoi fantasmi, in qualche modo.
Nonostante tutto l’impegno che sta mettendo nel tentare di scassinare il lucchetto con delle vecchie forcine, l’arnese di metallo non sembra intenzionato ad aprirsi.
È da mezz’ora che sta sudando su quel dannatissimo lucchetto, ma si rifiuta di chiedere aiuto a qualcuno. È una cosa che deve fare lei, e non ha alcuna fretta.
Cazzo, pensa quando una delle due forcine si spezza.
Un lamento disperato, misto a un ringhio di frustrazione le sfugge dalle labbra.
«Principessa?» Clarke non si volta, troppo impegnata.  «Ho bisogno di una mano a-»
Bellamy entra nella tenda/infermeria, per trovare una Clarke accucciata per terra, col sedere per aria, a litigare con quell’armadietto arrivato in infermeria più di una settimana fa.
«Che sta facendo?», domanda confuso.
La risposta arriva  confusa alle sue orecchie. «Solo un attimo Bellamy, devo –figlio di puttana- ehm, finire di fare una cosa».
Bellamy scoppia a ridere per l’imprecazione, facendo voltare la ragazza.
«Cosa?», sibila inviperita.
Bellamy ride ancora più forte alla sua faccia arrossata, coi capelli che sparano in tutte le direzioni e gli occhi fiammeggianti.
«Sembri una matta psicolabile». Ride ancora più forte.
Clarke si alza, infastidita della sua ilarità.
«Vorrei vedere te aprire un lucchetto che sembra fatto di fottuto cemento armato con una forcina rotta, brutto cazzone avariato»
A quel punto Bellamy si sta reggendo la pancia.
«Che c’è?» urla la ragazza esasperata.
Quando recupera fiato, il ragazzo si asciuga le lacrime raccolte all’angolo dell’occhio con un dito. «Dovrei lavarti la bocca col sapone, principessa. Da quando dici tutte queste belle parole?»
Clarke si blocca. Non è solita essere scurrile.
«E poi, cazzone avariato?» continua Bellamy alzando un sopracciglio folto. «Devo chiedere i diritti d’autore?»
È piuttosto sicuro di essere l’unico ad inventare insulti così creativi. Da chi può averlo imparato la principessa, se non da lui?
Clarke si accorge in quel momento di quello che sta succedendo.
Metabolizzate e acquisite anche le abitudini dell’altro…
Non poteva essere.
Non poteva aver acquisito il vocabolario colorito di Bellamy.
No, no. No.
«No, Bellamy» risponde infine raddrizzando le spalle. «Non sei l’unico a poter dire parolacce qui. Vedi, questa principessa può dire tutte le parolacce che vuole»
E detto ciò, Clarke snocciola tutte le imprecazioni più colorite presenti nel suo vocabolario e poi esce dalla tenda con un sorrisino soddisfatto.
Bellamy rimane al centro della tenda con un sorriso da ebete sulle labbra.
 
(Perchè la maggior parte delle imprecazione che compongono il suo arsenale, Clarke le ha imparate da lui)
 
Un episodio analogo si verifica non più di una settimana dopo.
Clarke aveva deciso di creare un piccolo orticello dietro la tenda medica.
Aveva realizzato che sarebbe stato molto meglio riuscire ad avere delle piante utili all’assistenza medica a portata di mano, piuttosto che dover andare a cercarle nel bosco.
Sempre a Mount Wheater era stato recuperato un contenitore di semi di ogni genere.
Proprio come sull’Arca, gli abitanti del monte coltivavano usando la luce indiretta dei panneli solari.
Molti dei semi recuperati erano prettamente di ortaggi commestibili, utili, ma non indispensabili al momento.
Clarke aveva selezionato quelli più adatti alle sue cure, facendosi aiutare dalle conoscenze botaniche di Monty.
L’orticello è piccolo, e vi sono solo due piccoli germogli, attualmente, ma è meglio di niente.
Ogni mattina Clarke si sveglia e si dedica alla cura delle pianticelle.
È un rituale rilassante, ormai.
Bellamy la sta cercando, al solito, e la trova accucciata sulla terra, ad armeggiare con utensili strani e acqua.
Si avvicina piano, meditando di farle uno scherzo.
È in quel momento che la sente mormorare.
Non aveva mai sentito Clarke parlare da sola. Non sapeva lo facesse.
Era una cosa strana, ma dolce al tempo stesso.
Bellamy avanza un altro po’ di soppiatto, cercando di capire quello che sta dicendo.
«È bello passare del tempo con voi signore, che ascoltate senza fare domande», la sente dire mentre versa dell’acqua sul terriccio.
«E le vostre foglie sono ogni giorno più verdi». Ora sta praticamente tubando.
«Mi date molta soddisfazione»
Bellamy non riesce più a trattenersi.
«Ti sei procurata degli interlocutori molto loquaci, principessa».
Clarke si volta di scatto, acquisendo una tonalità di rosso quasi improbabile davanti al ghigno divertito del ragazzo.
«Io…ehm», balbetta imbarazzata guardandosi le mani sporche di terra.
«Avevo letto una storia, da piccola, e c’era una signora che diceva cose carine alle sue piante tutti i giorni, per farle crescere meglio» spiega.
«Certo, lei coltivava fiori. È molto più facile fare complimenti ad una rosa che a una pianta di aloe berbadensis…» aggiunge piano, quasi parlando con se stessa.
Bellamy annuisce comprensivo. «Si, immagino le rose siano un compagnia molto migliore»
Clarke alza lo sguardo inarcando un sopracciglio.
Lui riesce a mantenere un’espressione seria per circa cinque secondi, poi il solito sorrisino canzonatorio gli increspa le labbra.
«Avanti, donna che parlava con l’aloe, sei richiesta in infermeria» la prende in giro poggiandole una mano sulla schiena e spingendola delicatamente fuori dalla sua oasi di tranquillità.
«Sei un cretino», sbuffa lei. «Non offenderti poi, in caso preferissi la compagnia di una delle mie piante spinose alla tua»
«Ne sarei ferito oltremodo» Bellamy si mette una mano sul cuore assumendo un'espressione tormentata.
«Ma credo che sopravviverei»
La guarda andare via stizzita.
In quel momento, l’unico aggettivo che si sente in grado di attribuire alla principessa è – e non lo credeva possibile – carina.
L’importante è che si ricordi di non dirglielo, altrimenti potrebbe beccarsi un cazzotto.
 
(Il giorno dopo Clarke va al suo orticello un po’ più tardi del solito.
Lo trova occupato.
La sera prima si era lamentata di come una piantina -una su due, sai che media, era stato il suo commento sarcastico - si stesse accartocciando su se stessa.
Morirà prima di subito se non si tira su, aveva detto in tono lamentoso.
L'occupante illegittimo è Bellamy, piegato sulla pianta, concentrato nel tentativo di legarla ad un legnetto di sostegno per farla stare su.
Clarke si avvicina sorridendo.
«Avanti, piantina bella» lo sente cantilenare mentre cerca di annodare lo spago intorno alla pianta con le sue dita troppo grandi. «Ho bisogno che collabori qui»
Clarke si mette una mano davanti alla bocca per non ridere.
«Forza bastarda schifosa», lo sente sibilare frustrato fra i denti. «Stai su!»
Non è proprio così che funziona la conversazione con le piante, pensa.
Però ci ha provato.
Come aveva detto Raven?
Metabolizzare e acquisire, eh?)
 
---
 
Dei, amo il flufffffff.
Fluff fluff fluff come un coniglietto bianco fluffoso.
Ok, sto sclerando.
So che avevo detto tutto quel mucchio di cavolate, che ci sarebbe voluto un po’ perché Bellamy perdonasse Clarke. Era quella l’idea originale, si, ma poi la mia mente da fangirl ha preso il sopravvento e beh, questo è quanto.
Sono una pessima scrittrice.
Ma li amo tanto.
E amo tanto anche voi, che leggete queste…cose e  riuscite comunque a farvele piacere.
Stavo pensando: potremmo fondere le nostre menti di fangirl! Che ne dite di scrivermi una situazione in cui vi piacerebbe che i miei Bellarke si trovassero. Una cosa che vorreste vedere nella serie tv. Se si adatterà alla linea della mia storia potrei scriverci sopra una OS da aggiungere alla raccolta. Un po’ come i prompt su tumbler (si chiamano così?)
Boh, fatemi sapere, lasciate una recensione. Consideratelo un atto di donazione alla fondazione RCSFA (Recupero Cervello in Stato di Fangirling Avanzato)
Ciaaaooooo J
E.
 
 
  
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