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Autore: Lady Po    18/08/2015    2 recensioni
Cosa ne sappiamo dell'amore? Siamo in grado di riconoscerlo? Camilla ha mille quesiti e un cuore diviso tra l'amore fraterno che la lega alla sua migliore amica Sara e l'amore tumultuoso, scriteriato e arrogante che nutre in gran segreto nei confronti di Mariano, il ragazzo venerato da anni dalla persona a lei più cara. Sarà in grado di tenere a bada i suoi istinti o cedendovi distruggerà ogni cosa? L'amore a volte può essere buffo, ma può anche far male da morire.
Genere: Commedia, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Chapter 4

Dimenticare.

Era questa la parola d’ordine che mi ero imposta negli ultimi giorni. Dopo il disastroso incontro con il bello&impossibile, non ero più riuscita a chiudere occhio. Ogni notte mi svegliavo in seguito a degli incubi che mi vedevano protagonista e vittima allo stesso tempo. In quei sogni angosciosi, Sara era a conoscenza degli ultimi sviluppi tra me e Mariano e non ne era affatto contenta. Il disappunto e lo sdegno con cui mi guardava riuscivano ad annientarmi e a farmi svegliare ansante e sudata.

Nella realtà, invece, evitavo come la peste di imbattermi nella mia migliore amica poiché mi sarebbe costato parecchio continuare a mentirle. Eppure, mi ripetevo, prima o poi dovrò incontrarla. La scusa dell’improvviso raffreddore non avrebbe retto ancora per molto. Intanto, nel quieto calore del focolare domestico, mi fustigavo per aver commesso un terribile sbaglio.

Il telefono continuava a squillare a vuoto e la casella dei messaggi era intasata. All’improvviso, ebbi come l’impulso di scaraventare tutto per terra e uscire a prendere una boccata d’aria. Erano giorni che non vedevo la luce del sole. Un bel gelato calorico era proprio quello che faceva al caso mio. Non avrei dato nell’occhio, se fossi andata in qualche posto decentrato. Mi adoperai dunque nell’immediato per trovare qualche piccolo bar nelle vicinanze della mia abitazione. Non avendo una macchina a mia disposizione, l’unico modo di raggiungerlo sarebbe stato quello di camminare a piedi. Armata di coraggio e occhiali da sole, m’incamminai per le vie del mio quartiere. Erano le tre del pomeriggio di un caldo mercoledì di aprile, chi poteva mai trovarsi in giro a quell’ora?

Inspirai ed espirai a fondo l’aria primaverile come un balsamo che alleviava i miei tormenti. La strada si mise a salire e ben presto mi ritrovai davanti all’unica piscina comunale di Colonna. Di fianco, il piccolo bar del signor Giovanni si ergeva fiero e moderno nonostante tutti gli anni di attività.

Fu lì che lo vidi. Era Mariano o la mente mi giocava brutti scherzi? In mano teneva un borsone mentre con l’altra trascinava una ragazza bionda come un trofeo appena vinto. I capelli di entrambi volavano nel vento mentre procedevano spediti verso l’entrata della piscina. Cavolacci loro! Sembravano dei modelli di copertine patinate!

Una profonda e inspiegabile gelosia mi pervase e all’improvviso il pensiero di quel gelato tanto auspicato non mi allettava più. La realtà mi piombò addosso come un macigno. Tutti i nodi vennero al pettine ed ebbi tutto più chiaro: Mariano Iacobucci non aveva mai avuto l’intenzione di frequentarmi. Dopo il nostro ultimo incontro, non avevo più ricevuto nessun messaggio di alcun tipo da parte sua. Magari voleva spassarsela un po’ e prendermi in giro, prima di trovare l’ennesima biondina da mostrare al mondo. Ero stata parecchio scema a credere di piacergli, anche se solamente per qualche manciata di minuti. Mi morsi la lingua per non lasciarmi sfuggire qualche imprecazione nei suoi riguardi e tornai indietro delusa e con il morale più a pezzi di prima. Mi ritrovai fuori dal portone di casa in un baleno: la soluzione migliore, in quel momento, mi sembrò quella di salire e concentrarmi su un’attività più proficua e moralmente corretta come lo studio. Quando aprii la porta di casa, trovai mia madre con le braccia conserte e l’espressione corrucciata pronta a fare il suo solito terzo grado. Avrei voluto saltare quel passaggio, ma l’insistenza del suo sguardo mi fece capitolare.

«Sono uscita a prendere una boccata d’aria» spiegai mordicchiandomi il labbro. Dovevo forse darle altre spiegazioni?

«Ha chiamato Sara. E’ preoccupata perché non le rispondi al telefono … a maggior ragione dopo che le hai rivelato di avere un terribile raffreddore. Che succede Cami?»

Nell’udire quelle parole irrigidii i muscoli di tutto il corpo e mi protesi in avanti per aggirare la figura di mia madre che stazionava di fronte a me. Cosa avrei potuto risponderle? “Sai, ho inventato un ipotetico raffreddore perché non ho il coraggio di rivelare alla mia migliore amica che provo una sorta di attrazione ripugnante verso la persona che lei ama da anni”?

 Naturalmente non lo feci e optai per dirle una mezza verità.

«Niente, mamma. Volevo solamente starmene un po’ per conto mio e studiare. Rimedierò alla sciocchezza che ho commesso e chiamerò Sara quanto prima.»

«D’accordo tesoro. Adesso torna a studiare.»

Provai un profondo senso di tenerezza per quel suo essere irrimediabilmente ingenua e credulona. Nel corso dei miei ventisei anni di vita, era capitato che le raccontassi frottole e lei aveva sempre creduto a tutto ciò che le dicevo. La verità era che odiava fare i conti con le situazioni negative. Preferiva aggirare l’ostacolo, piuttosto che superarlo. E sotto questo punto di vista, le assomigliavo molto.

Mi arrovellai per parecchio tempo prima di afferrare il cordless di casa e comporre il numero di Sara. Dopo solo tre squilli, la voce della mia migliore amica invase i miei timpani inondandomi di domande.

«Cami, per l’amor del cielo, dove eri finita? Come stai? Che stai facendo? Tua madre mi ha riferito che stavi schiacciando un pisolino e che ti sei rimessa alla grande.»

«Beh, ecco, sì. Diciamo che sto molto meglio ora. Ho dormito tutto il pomeriggio e ora volevo dedicarmi allo studio.»

«Bene, ne sono felice. Ma ora tieniti forte, ho una grande notizia da darti...»

«Che notizia?» chiesi interrompendola. Se non l’avessi fermata, chissà per quanto tempo sarei rimasta intrappolata nella rete delle sue divagazioni.

«Mariano mi ha invitato ad una festa nella sua villa al mare. Ci saranno tutti, capisci? Sarà l’occasione perfetta per stare con lui e farmi conoscere anche dal suo gruppo.

Ah, dimenticavo … ha espressamente chiesto di portare un’amica. Sai com’è, non conosco nessuno e vuole che mi diverta!»

L’idea di rivedere quell’imbecille era rivoltante. Avevo giurato a me stessa di stargli alla larga e cancellare ogni traccia del mio interesse per lui. Nondimeno, partecipare ad una delle sue feste modaiole, mi metteva a disagio. Come ormai consuetudine, finsi indifferenza e tentai di deviare la conversazione su altri temi. Ritenevo, infatti, un assurdo spreco di tempo affrontare un discorso interamente incentrato su Mariano Iacobucci. Del resto, non avevo alcuna voglia di parlare della sua stupida festa. Che andasse al diavolo!  

«Sto terminando il riassunto del libro. Vuoi che te lo invii oggi stesso?» provai a dire dopo essermi comodamente sdraiata a letto.

«Sei sorda o cosa? Il raffreddore ti ha forse spento l’udito? Mariano Iacobucci mi ha invitato ad una delle sue feste private e tu mi parli di riassunti e libri? Cami, questa è l’inizio di una svolta, lo sento. E tu sarai con me! Venerdì sera indossa un vestito carino e tutto andrà bene. Alle otto in punto passo a prenderti!»

Con il suo modo schietto di esporre le idee, spesso Sara rasentava la superbia di chi vuole averla vinta a tutti i costi. Quell’atteggiamento al vetriolo mi infastidiva parecchio, ma ragionando nell’ottica di rendere felice una persona cara, optai per lasciar correre.

«D’accordo, ma non faremo tardi. Sabato mattina ho degli impegni inderogabili.»

« Hai la mia parola!» e così dicendo riattaccò. Poggiai il cordless sul comodino e mi lasciai sfuggire un sospiro affranto. Per l’ennesima volta avevo lasciato che qualcun altro decidesse al posto mio. Ma, volente o nolente, dovetti ammettere che questa volta era diverso. Dentro di me sapevo che la ragione per cui avevo accettato la proposta di Sara era un’altra, tutt’altro che “onorevole”. All’improvviso quel nome cominciò ad insinuarsi nei meandri della mia mente. Dapprima lentamente, poi in un turbinio di pensieri e fantasticherie, che stentai a calmare con il solo ausilio della forza di volontà. Dovetti ricorrere all’espediente più antico del mondo per allontanare il nome di quel bell’imbusto dalla mia testa; il detto “chiodo schiaccia chiodo”  vi dice qualcosa? Ebbene sì, armata di un coraggio che non credevo di avere, digitai velocemente il messaggio e lo inviai a Federico. Il mio ex, per la cronaca. Assaporai per qualche  secondo il senso di euforia che l’attesa mi provocava, poi mi diedi mentalmente della stupida. Non ci sentivamo da più di un anno e non avevo la più pallida idea di cosa stesse facendo al momento o di chi frequentasse. Contro ogni aspettativa la sua risposta breve e concisa non tardò ad arrivare. E al mio “come stai?” ribatté un laconico “bene”. Nessun punto, nessuna virgola, nessun segno che mi permettesse di capire il suo stato d’animo a riguardo. Era tipico di Federico celare i sentimenti dietro una corazza d’apatia, non c’era da stupirsene. Proprio la sua proverbiale indifferenza era stata spesso motivo di litigi e disguidi tra di noi. “Vorrei vederti” inviai senza pensare. Qualche spirito intraprendente si era impossessato di me, non c’era dubbio. Lui rispose subito dopo chiedendomi il perché avessi deciso di cercarlo proprio adesso, ad un anno di distanza. Non seppi replicare altro che un misero “manchi”. La coscienza iniziava a dare i primi segni di pentimento e non ero nemmeno a metà dell’opera. Allora ritenni opportuno rompere ogni indugio ed invitarlo alla festa del bello&impossibile. All’inizio mi era sembrata un’idea grandiosa, ma, man mano che nella mia testa prendeva forma l’immagine di noi due insieme, la sua magnificenza parve scomparire. Federico era perplesso, ma accettò di buon grado la proposta, con mio sommo stupore. Mi sentii tanto meschina in quel momento; giocare con le sue aspettative era un colpo basso. E per mettere a tacere quel senso di colpa, che infimo si beffava di me, mi raccontai la favoletta delle decisioni prese di “pancia”. Quelle decisioni che ti contorcono lo stomaco, ma vanno prese. Balle! Nella vita puoi scegliere se fare parte della schiera dei buoni o capeggiare in quella dei cattivi. In questo caso non c’erano mezze misure; tutto era bianco o nero. E di quel colore funesto si era appena macchiata la mia anima.

Passai i giorni che mi separavano da quella stupida festa in uno stato di ansia perenne. Nemmeno Sara era a conoscenza del mio folle piano, sarebbe stata una sorpresa perfino per lei. Dov’è finito il mio buon senso? Continuavo a ripetermi mentre indossavo freneticamente un vestito lungo dalla fantasia floreale. Quando il campanello suonò, sussultai. Indossai rapidamente i sandali più comodi che avevo e corsi ad aprire la porta. Non ero pronta all’effetto devastante che la visione di Federico mi provocò. Era come se il tempo si fosse fermato. L’orologio, il traffico, i gesti, le parole...tutto perse importanza. Mi ero ripromessa di mantenere la calma, di stare al gioco fino in fondo, ma dovetti ricredermi ben presto sulle mie capacità recitative. Federico avanzò con le mani in tasca e lo sguardo perso. Conosceva benissimo l’ambiente, così saltò i soliti convenevoli e si accomodò sul divano in pelle dell’area living. Lo seguii senza dire nulla e sedetti di fianco a lui. Subito un’ondata di profumo mi avvolse. Era così particolare, quell’odore, da far dilatare le narici a chiunque vi fosse nelle vicinanze.

«E’ già passato più di un anno...sembra ieri.»

Parlò a voce bassa mentre si guardava intorno con sussiego. Aveva tenuto le mani in tasca tutto il tempo, quasi fosse solamente di passaggio. In fondo non lo era?

«Già» mi limitai a dire. La mia voce era un sussurro in tutto quell’assordante silenzio.

«Perché mi hai invitato a questa festa?» nel domandarlo, Federico mi lanciò un’occhiata interrogativa. Fui quasi tentata di rivelargli i motivi che, all’inizio, mi avevano indotto a cercarlo, ma naturalmente non lo feci. Mi limitai ad assumere un’espressione di circostanza e blaterare banali scuse sul trascorrere del tempo insieme da amici. Nella casa calò un tale silenzio che fu impossibile non sentire chiaramente il suono del campanello. Erano le otto in punto.

«Sara» biascicai scattando come una molla impazzita. Per un attimo pensai di tirarmi indietro e mandare tutto all’aria. Ero ancora in tempo! E dopo? A cosa sarebbe servito? Ormai ero nel pieno dell’opera, valeva la pena rischiare. Il pensiero di Mariano Iacobucci e delle sue ragazze “trofeo” mi ispirava solo disgusto.  

«Sei bellissima Cami» esordì lei febbricitante. Dietro di me, Federico si era alzato e ci aveva raggiunto sull’uscio.

«Ciao Sara» proferì all’indirizzo della mia amica. Lei non si scompose, ma guardò me con un evidente quanto sinistro punto interrogativo stampato in faccia. A quel punto dovetti intervenire e spiegai, senza tanti giri di parole, che avevo invitato Federico per trascorrere del tempo insieme e lasciare così a lei la possibilità di interagire in tutta tranquillità con il suo amato. Ci conoscevamo tutti da troppo tempo  per non intuire che c’era qualcosa che non quadrava. Ma per fortuna Sara capì che non era il momento di fare domande e abbracciò il moro alla mia sinistra con trasporto fraterno. Anche dopo la nostra rottura, erano rimasti in buoni rapporti e di questo gliene ero sempre stata grata.

«Andiamo?» disse, infine, battendo le mani eccitata.

«Andiamo!» ripetemmo all’unisono.

***

Marina di Colonna era una piccola cittadina marittima; frazione di Colonna, per l’appunto. Era personalissimo uso e costume di molte persone (soprattutto le più abbienti) trasferirvisi in estate. Un porto turistico che vantava il mare più bello che avessi mai visto: quel trionfo di blu e quelle immense spiagge di sabbia dorata avevano il potere di calmarmi.

La macchina continuava a sfrecciare lungo il litorale, infilando una curva dietro l’altra. I finestrini abbassati permettevano al vento di scompigliarci i capelli, ma a noi poco importava, anzi: il rumore del vento unito al rombo del motore esercitava uno strano senso di quiete. Inoltre la luce delle stelle si rifletteva sui muri colorati dando una parvenza magica a tutte quelle case ancora disabitate.

Guardai di sottecchi il ragazzo al mio fianco intento nella guida: moro, occhi di un marrone espressivo e fisico snello. Pur non essendo il mio prototipo di uomo ideale, dovetti ammettere a me stessa che era parecchio bello. Nei cinque anni che eravamo stati insieme forse non glielo avevo detto abbastanza. Ebbi l’istinto di fargli una carezza ma poi mi trattenni, temendo che potesse fraintendere il mio gesto. Qualche minuto dopo, sentii la macchina rallentare in prossimità di un piccolo spiazzo a ridosso della scogliera.

«Siamo arrivati» cinguettò Sara; non aveva fatto altro che parlare di Mariano Iacobucci durante tutto il viaggio. Le si leggeva chiaro in faccia quanto fosse speranzosa ed io mi sentii morire, colpevole di averle mentito su tante questioni riguardanti il suo amore platonico.

«Ti sei messa in tiro, eh? Ricordo ancora tutte le volte che ci hai fatto pedinare quel tipo inutilmente! Speriamo che stasera sia la volta buona!» esordì scherzosamente Federico, stiracchiando le braccia verso l’alto. In fondo, seppure in percentuale minore, era stato trascinato anche lui nei folli inseguimenti della mia amica.

«Fede, non starai mica prendendomi in giro?» lo fulminò Sara camminando malamente sui ciottoli.

«Affatto! Stai proprio bene stasera» ribatté l’altro. E non aveva tutti i torti: era splendida! Il copricostume nero le fasciava perfettamente il corpo esile, ma dalle forme generose e i capelli, lisciati alla perfezione, le ricadevano sulle spalle conferendole un’aria sobria e pulita.

La villa di Mariano si presentò ai nostri occhi sbalorditi in tutta la sua maestosità: sembrava una di quelle case degli Hamptons, a Long Island. Di un bianco candido, con un ampio portico e verde tutto intorno. Un’enorme piscina con il perimetro di granito chiaro costeggiava la fiancata destra della casa, seguita da un gazebo rigorosamente bianco. Uno spilungone biondino, che riconobbi essere uno dei migliori amici del bello&impossibile, ci venne incontro con un sorriso smagliante e un cocktail nelle mani.

«Suppongo tu sia uno dei nuovi giocattolini di Marino! Beh, niente male. Prego, accomodatevi» mi disse accompagnando quelle parole con un teatrale inchino. Chiaramente, avvampai. Che quello str**zo avesse parlato a qualcuno del nostro incontro?

Archiviati i convenevoli, fummo catapultati nel bel mezzo della festa. Fra i tanti volti sconosciuti, solamente uno mi era vagamente familiare. Riconobbi la figura snella e filiforme della ragazza che avevo visto con Mariano pochi giorni addietro in piscina. Chiacchierava amabilmente con un ragazzo altrettanto bello e sembrava non avere occhi che per lui. Provai un’inspiegabile sensazione di sollievo, che non seppi giustificare nemmeno a me stessa. O forse non ne avevo semplicemente voglia. Tutt’intorno regnava un’atmosfera carnevalesca e volevo divertirmi.

«Eccolo!» disse Sara afferrando allegramente il mio braccio, quasi abbracciandolo. A qualche metro di distanza, Mariano Iacobucci se ne stava seduto su una panchina a sorseggiare un cocktail vagamente esotico, circondato da una folla di persone variopinte. Avrei potuto giurare che il suo sguardo si era immediatamente posato su di me e Federico, se non fosse per la confusione tremenda. Infatti, quando tornai a guardare nella sua direzione, era sparito. Lo cercai con gli occhi per tutto l’area, ma nulla. Non v’era più traccia! Anche Sara si era dileguata tra la folla, così mi ritrovai a ballare insieme al mio ex-fidanzato in una festa di sconosciuti. Che sballo, eh?

«Dietro di te!» disse improvvisamente lui.

«Cosa?»

«Sta arrivando il tizio di cui è innamorata Sara» precisò istantaneamente. Ma non feci in tempo nemmeno ad aprire bocca, che Mariano ci aveva raggiunti.

«Hai portato un amico, a quanto vedo. Piacere, sono Mariano, un amico di Camilla»

«A dire il vero sono il suo ex, ma penso possa rientrare lo stesso nella definizione di amico. Sono Federico, comunque.»

Il tono apparentemente conciliante di tutta la conversazione suonò alle mie orecchie un po’ troppo forzato, ma evitai di controbattere.

«Ti va di ballare?» mi chiese improvvisamente il bello&impossibile, ignorando del tutto il mio accompagnatore. Lo guardai per un attimo indecisa. Non volevo che Federico si facesse strane idee, ma al contempo non desideravo altro che stare vicino a lui, a Mariano. Era una sensazione soffocante, la sentivo contorcermi le viscere.

«Vai pure, io faccio un giro.» Le parole di Federico mi stordirono. All’inizio non avevo compreso del tutto, ma poi capii che lui aveva capito. Mi conosceva fin troppo bene e non potevo nascondere nulla al suo sguardo. Gli sorrisi debolmente , conscia della brutta impressione che doveva essersi fatto di me, poi seguii il padrone di casa all’interno della villa.

«Dove mi stai portando?» tuonai, in preda alle solite sensazioni contrastanti.

«Lo scoprirai presto.»

   
 
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