Chapter
4
Dimenticare.
Era
questa la parola d’ordine che mi ero imposta negli ultimi
giorni. Dopo il
disastroso incontro con il bello&impossibile, non ero
più riuscita a
chiudere occhio. Ogni notte mi svegliavo in seguito a degli incubi che
mi
vedevano protagonista e vittima allo stesso tempo. In quei sogni
angosciosi,
Sara era a conoscenza degli ultimi sviluppi tra me e Mariano e non ne
era
affatto contenta. Il disappunto e lo sdegno con cui mi guardava
riuscivano ad
annientarmi e a farmi svegliare ansante e sudata.
Nella
realtà, invece, evitavo come la peste di imbattermi nella
mia migliore amica
poiché mi sarebbe costato parecchio continuare a mentirle.
Eppure, mi ripetevo,
prima o poi dovrò incontrarla. La scusa
dell’improvviso raffreddore non avrebbe
retto ancora per molto. Intanto, nel quieto calore del focolare
domestico, mi
fustigavo per aver commesso un terribile sbaglio.
Il
telefono continuava a squillare a vuoto e la casella dei messaggi era
intasata.
All’improvviso, ebbi come l’impulso di scaraventare
tutto per terra e uscire a
prendere una boccata d’aria. Erano giorni che non vedevo la
luce del sole. Un
bel gelato calorico era proprio quello che faceva al caso mio. Non
avrei dato
nell’occhio, se fossi andata in qualche posto decentrato. Mi
adoperai dunque
nell’immediato per trovare qualche piccolo bar nelle
vicinanze della mia
abitazione. Non avendo una macchina a mia disposizione,
l’unico modo di
raggiungerlo sarebbe stato quello di camminare a piedi. Armata di
coraggio e
occhiali da sole, m’incamminai per le vie del mio quartiere.
Erano le tre del
pomeriggio di un caldo mercoledì di aprile, chi poteva mai
trovarsi in giro a quell’ora?
Inspirai
ed espirai a fondo l’aria primaverile come un balsamo che
alleviava i miei
tormenti. La strada si mise a salire e ben presto mi ritrovai davanti
all’unica
piscina comunale di Colonna. Di fianco, il piccolo bar del signor
Giovanni si
ergeva fiero e moderno nonostante tutti gli anni di
attività.
Fu
lì che lo vidi. Era Mariano o la mente mi giocava brutti
scherzi? In mano
teneva un borsone mentre con l’altra trascinava una ragazza
bionda come un
trofeo appena vinto. I capelli di entrambi volavano nel vento mentre
procedevano spediti verso l’entrata della piscina. Cavolacci
loro! Sembravano
dei modelli di copertine patinate!
Una
profonda e inspiegabile gelosia mi pervase e all’improvviso
il pensiero di quel
gelato tanto auspicato non mi allettava più. La
realtà mi piombò addosso come
un macigno. Tutti i nodi vennero al pettine ed ebbi tutto
più chiaro: Mariano
Iacobucci non aveva mai avuto l’intenzione di frequentarmi.
Dopo il nostro
ultimo incontro, non avevo più ricevuto nessun messaggio di
alcun tipo da parte
sua. Magari voleva spassarsela un po’ e prendermi in giro,
prima di trovare
l’ennesima biondina da mostrare al mondo. Ero stata parecchio
scema a credere
di piacergli, anche se solamente per qualche manciata di minuti. Mi
morsi la
lingua per non lasciarmi sfuggire qualche imprecazione nei suoi
riguardi e
tornai indietro delusa e con il morale più a pezzi di prima.
Mi ritrovai fuori
dal portone di casa in un baleno: la soluzione migliore, in quel
momento, mi
sembrò quella di salire e concentrarmi su
un’attività più proficua e moralmente
corretta come lo studio. Quando aprii la porta di casa, trovai mia
madre con le
braccia conserte e l’espressione corrucciata pronta a fare il
suo solito terzo
grado. Avrei voluto saltare quel passaggio, ma l’insistenza
del suo sguardo mi
fece capitolare.
«Sono
uscita a prendere una boccata d’aria» spiegai
mordicchiandomi il labbro. Dovevo
forse darle altre spiegazioni?
«Ha
chiamato Sara. E’ preoccupata perché non le
rispondi al telefono … a maggior
ragione dopo che le hai rivelato di avere un terribile raffreddore. Che
succede
Cami?»
Nell’udire
quelle parole irrigidii i muscoli di tutto il corpo e mi protesi in
avanti per
aggirare la figura di mia madre che stazionava di fronte a me. Cosa
avrei
potuto risponderle? “Sai, ho inventato un ipotetico
raffreddore perché non ho
il coraggio di rivelare alla mia migliore amica che provo una sorta di
attrazione ripugnante verso la persona che lei ama da anni”?
Naturalmente non lo feci e
optai per dirle una
mezza verità.
«Niente,
mamma. Volevo solamente starmene un po’ per conto mio e
studiare. Rimedierò
alla sciocchezza che ho commesso e chiamerò Sara quanto
prima.»
«D’accordo
tesoro. Adesso torna a studiare.»
Provai
un profondo senso di tenerezza per quel suo essere irrimediabilmente
ingenua e
credulona. Nel corso dei miei ventisei anni di vita, era capitato che
le
raccontassi frottole e lei aveva sempre creduto a tutto ciò
che le dicevo. La
verità era che odiava fare i conti con le situazioni
negative. Preferiva
aggirare l’ostacolo, piuttosto che superarlo. E sotto questo
punto di vista, le
assomigliavo molto.
Mi
arrovellai per parecchio tempo prima di afferrare il cordless di casa e
comporre il numero di Sara. Dopo solo tre squilli, la voce della mia
migliore
amica invase i miei timpani inondandomi di domande.
«Cami,
per l’amor del cielo, dove eri finita? Come stai? Che stai
facendo? Tua madre
mi ha riferito che stavi schiacciando un pisolino e che ti sei rimessa
alla
grande.»
«Beh,
ecco, sì. Diciamo che sto molto meglio ora. Ho dormito tutto
il pomeriggio e
ora volevo dedicarmi allo studio.»
«Bene,
ne sono felice. Ma ora tieniti forte, ho una grande notizia da
darti...»
«Che
notizia?» chiesi interrompendola. Se non l’avessi
fermata, chissà per quanto
tempo sarei rimasta intrappolata nella rete delle sue divagazioni.
«Mariano
mi ha invitato ad una festa nella sua villa al mare. Ci saranno tutti,
capisci?
Sarà l’occasione perfetta per stare con lui e
farmi conoscere anche dal suo
gruppo.
Ah,
dimenticavo … ha espressamente chiesto di portare
un’amica. Sai com’è, non
conosco nessuno e vuole che mi diverta!»
L’idea
di rivedere quell’imbecille era rivoltante. Avevo giurato a
me stessa di
stargli alla larga e cancellare ogni traccia del mio interesse per lui.
Nondimeno, partecipare ad una delle sue feste modaiole, mi metteva a
disagio.
Come ormai consuetudine, finsi indifferenza e tentai di deviare la
conversazione su altri temi. Ritenevo, infatti, un assurdo spreco di
tempo
affrontare un discorso interamente incentrato su Mariano Iacobucci. Del
resto,
non avevo alcuna voglia di parlare della sua stupida festa. Che andasse
al
diavolo!
«Sto
terminando il riassunto del libro. Vuoi che te lo invii oggi
stesso?» provai a
dire dopo essermi comodamente sdraiata a letto.
«Sei
sorda o cosa? Il raffreddore ti ha forse spento l’udito?
Mariano Iacobucci mi
ha invitato ad una delle sue feste private e tu mi parli di riassunti e
libri?
Cami, questa è l’inizio di una svolta, lo sento. E
tu sarai con me! Venerdì
sera indossa un vestito carino e tutto andrà bene. Alle otto
in punto passo a
prenderti!»
Con
il suo modo schietto di esporre le idee, spesso Sara rasentava la
superbia di
chi vuole averla vinta a tutti i costi. Quell’atteggiamento
al vetriolo mi
infastidiva parecchio, ma ragionando nell’ottica di rendere
felice una persona
cara, optai per lasciar correre.
«D’accordo,
ma non faremo tardi. Sabato mattina ho degli impegni
inderogabili.»
«
Hai la mia parola!» e così dicendo
riattaccò. Poggiai il cordless sul comodino
e mi lasciai sfuggire un sospiro affranto. Per l’ennesima
volta avevo lasciato
che qualcun altro decidesse al posto mio. Ma, volente o nolente,
dovetti
ammettere che questa volta era diverso. Dentro di me sapevo che la
ragione per
cui avevo accettato la proposta di Sara era un’altra,
tutt’altro che
“onorevole”. All’improvviso quel nome
cominciò ad insinuarsi nei meandri della
mia mente. Dapprima lentamente, poi in un turbinio di pensieri e
fantasticherie, che stentai a calmare con il solo ausilio della forza
di
volontà. Dovetti ricorrere all’espediente
più antico del mondo per allontanare
il nome di quel bell’imbusto dalla mia testa; il detto
“chiodo schiaccia
chiodo” vi
dice qualcosa? Ebbene sì,
armata di un coraggio che non credevo di avere, digitai velocemente il
messaggio e lo inviai a Federico. Il mio ex, per la cronaca. Assaporai
per
qualche secondo il
senso di euforia che l’attesa
mi provocava, poi mi diedi mentalmente della stupida. Non ci sentivamo
da più
di un anno e non avevo la più pallida idea di cosa stesse
facendo al momento o
di chi frequentasse. Contro ogni aspettativa la sua risposta breve e
concisa
non tardò ad arrivare. E al mio “come
stai?” ribatté un laconico
“bene”. Nessun
punto, nessuna virgola, nessun segno che mi permettesse di capire il
suo stato
d’animo a riguardo. Era tipico di Federico celare i
sentimenti dietro una
corazza d’apatia, non c’era da stupirsene. Proprio
la sua proverbiale indifferenza
era stata spesso motivo di litigi e disguidi tra di noi.
“Vorrei vederti”
inviai senza pensare. Qualche spirito intraprendente si era
impossessato di me,
non c’era dubbio. Lui rispose subito dopo chiedendomi il
perché avessi deciso
di cercarlo proprio adesso, ad un anno di distanza. Non seppi replicare
altro
che un misero “manchi”. La coscienza iniziava a
dare i primi segni di
pentimento e non ero nemmeno a metà dell’opera.
Allora ritenni opportuno
rompere ogni indugio ed invitarlo alla festa del
bello&impossibile. All’inizio
mi era sembrata un’idea grandiosa, ma, man mano che nella mia
testa prendeva
forma l’immagine di noi due insieme, la sua magnificenza
parve scomparire.
Federico era perplesso, ma accettò di buon grado la
proposta, con mio sommo
stupore. Mi sentii tanto meschina in quel momento; giocare con le sue
aspettative
era un colpo basso. E per mettere a tacere quel senso di colpa, che
infimo si
beffava di me, mi raccontai la favoletta delle decisioni prese di
“pancia”. Quelle
decisioni che ti
contorcono lo stomaco, ma vanno prese. Balle! Nella vita puoi scegliere
se fare
parte della schiera dei buoni o capeggiare in quella dei cattivi. In
questo
caso non c’erano mezze misure; tutto era bianco o nero. E di
quel colore
funesto si era appena macchiata la mia anima.
Passai
i giorni che mi separavano da quella stupida festa in uno stato di
ansia
perenne. Nemmeno Sara era a conoscenza del mio folle piano, sarebbe
stata una
sorpresa perfino per lei. Dov’è
finito il
mio buon senso? Continuavo a ripetermi mentre indossavo
freneticamente un
vestito lungo dalla fantasia floreale. Quando il campanello
suonò, sussultai.
Indossai rapidamente i sandali più comodi che avevo e corsi
ad aprire la porta.
Non ero pronta all’effetto devastante che la visione di
Federico mi provocò.
Era come se il tempo si fosse fermato. L’orologio, il
traffico, i gesti, le
parole...tutto perse importanza. Mi ero ripromessa di mantenere la
calma, di
stare al gioco fino in fondo, ma dovetti ricredermi ben presto sulle
mie capacità
recitative. Federico avanzò con le mani in tasca e lo
sguardo perso. Conosceva
benissimo l’ambiente, così saltò i
soliti convenevoli e si accomodò sul divano
in pelle dell’area living. Lo seguii senza dire nulla e
sedetti di fianco a
lui. Subito un’ondata di profumo mi avvolse. Era
così particolare, quell’odore,
da far dilatare le narici a chiunque vi fosse nelle vicinanze.
«E’
già passato più di un anno...sembra
ieri.»
Parlò
a voce bassa mentre si guardava intorno con sussiego. Aveva tenuto le
mani in
tasca tutto il tempo, quasi fosse solamente di passaggio. In fondo non
lo era?
«Già»
mi limitai a dire. La mia voce era un sussurro in tutto
quell’assordante
silenzio.
«Perché
mi hai invitato a questa festa?» nel domandarlo, Federico mi
lanciò un’occhiata
interrogativa. Fui quasi tentata di rivelargli i motivi che,
all’inizio, mi
avevano indotto a cercarlo, ma naturalmente non lo feci. Mi limitai ad
assumere
un’espressione di circostanza e blaterare banali scuse sul
trascorrere del
tempo insieme da amici. Nella casa calò un tale silenzio che
fu impossibile non
sentire chiaramente il suono del campanello. Erano le otto in punto.
«Sara»
biascicai scattando come una molla impazzita. Per un attimo pensai di
tirarmi
indietro e mandare tutto all’aria. Ero ancora in tempo! E
dopo? A cosa sarebbe
servito? Ormai ero nel pieno dell’opera, valeva la pena
rischiare. Il pensiero
di Mariano Iacobucci e delle sue ragazze “trofeo”
mi ispirava solo disgusto.
«Sei
bellissima Cami» esordì lei febbricitante. Dietro
di me, Federico si era alzato
e ci aveva raggiunto sull’uscio.
«Ciao
Sara» proferì all’indirizzo della mia
amica. Lei non si scompose, ma guardò me
con un evidente quanto sinistro punto interrogativo stampato in faccia.
A quel
punto dovetti intervenire e spiegai, senza tanti giri di parole, che
avevo
invitato Federico per trascorrere del tempo insieme e lasciare
così a lei la
possibilità di interagire in tutta tranquillità
con il suo amato. Ci
conoscevamo tutti da troppo tempo per
non intuire che c’era qualcosa che non quadrava. Ma per
fortuna Sara capì che non
era il momento di fare domande e abbracciò il moro alla mia
sinistra con
trasporto fraterno. Anche dopo la nostra rottura, erano rimasti in
buoni
rapporti e di questo gliene ero sempre stata grata.
«Andiamo?»
disse, infine, battendo le mani eccitata.
«Andiamo!»
ripetemmo all’unisono.
***
Marina
di Colonna era una piccola cittadina marittima; frazione di Colonna,
per l’appunto.
Era personalissimo uso e costume di molte persone (soprattutto le
più abbienti)
trasferirvisi in estate. Un porto turistico che vantava il mare
più bello che
avessi mai visto: quel trionfo di blu e quelle immense spiagge di
sabbia dorata
avevano il potere di calmarmi.
La
macchina continuava a sfrecciare lungo il litorale, infilando una curva
dietro
l’altra. I finestrini abbassati permettevano al vento di
scompigliarci i
capelli, ma a noi poco importava, anzi: il rumore del vento unito al
rombo del
motore esercitava uno strano senso di quiete. Inoltre la luce delle
stelle si
rifletteva sui muri colorati dando una parvenza magica a tutte quelle
case
ancora disabitate.
Guardai
di sottecchi il ragazzo al mio fianco intento nella guida: moro, occhi
di un
marrone espressivo e fisico snello. Pur non essendo il mio prototipo di
uomo
ideale, dovetti ammettere a me stessa che era parecchio bello. Nei
cinque anni
che eravamo stati insieme forse non glielo avevo detto abbastanza. Ebbi
l’istinto
di fargli una carezza ma poi mi trattenni, temendo che potesse
fraintendere il
mio gesto. Qualche minuto dopo, sentii la macchina rallentare in
prossimità di
un piccolo spiazzo a ridosso della scogliera.
«Siamo
arrivati» cinguettò Sara; non aveva fatto altro
che parlare di Mariano
Iacobucci durante tutto il viaggio. Le si leggeva chiaro in faccia
quanto fosse
speranzosa ed io mi sentii morire, colpevole di averle mentito su tante
questioni riguardanti il suo amore platonico.
«Ti
sei messa in tiro, eh? Ricordo ancora tutte le volte che ci hai fatto
pedinare
quel tipo inutilmente! Speriamo che stasera sia la volta
buona!» esordì
scherzosamente Federico, stiracchiando le braccia verso
l’alto. In fondo,
seppure in percentuale minore, era stato trascinato anche lui nei folli
inseguimenti della mia amica.
«Fede,
non starai mica prendendomi in giro?» lo fulminò
Sara camminando malamente sui
ciottoli.
«Affatto!
Stai proprio bene stasera» ribatté
l’altro. E non aveva tutti i torti: era
splendida! Il copricostume nero le fasciava perfettamente il corpo
esile, ma
dalle forme generose e i capelli, lisciati alla perfezione, le
ricadevano sulle
spalle conferendole un’aria sobria e pulita.
La
villa di Mariano si presentò ai nostri occhi sbalorditi in
tutta la sua
maestosità: sembrava una di quelle case degli Hamptons, a
Long Island. Di un
bianco candido, con un ampio portico e verde tutto intorno.
Un’enorme piscina con
il perimetro di granito chiaro costeggiava la fiancata destra della
casa,
seguita da un gazebo rigorosamente bianco. Uno spilungone biondino, che
riconobbi essere uno dei migliori amici del bello&impossibile,
ci venne
incontro con un sorriso smagliante e un cocktail nelle mani.
«Suppongo
tu sia uno dei nuovi giocattolini di Marino! Beh, niente male. Prego,
accomodatevi»
mi disse accompagnando quelle parole con un teatrale inchino.
Chiaramente, avvampai.
Che quello str**zo avesse parlato a qualcuno del nostro incontro?
Archiviati
i convenevoli, fummo catapultati nel bel mezzo della festa. Fra i tanti
volti
sconosciuti, solamente uno mi era vagamente familiare. Riconobbi la
figura
snella e filiforme della ragazza che avevo visto con Mariano pochi
giorni
addietro in piscina. Chiacchierava amabilmente con un ragazzo
altrettanto bello
e sembrava non avere occhi che per lui. Provai
un’inspiegabile sensazione di
sollievo, che non seppi giustificare nemmeno a me stessa. O forse non
ne avevo
semplicemente voglia. Tutt’intorno regnava
un’atmosfera carnevalesca e volevo
divertirmi.
«Eccolo!»
disse Sara afferrando allegramente il mio braccio, quasi
abbracciandolo. A
qualche metro di distanza, Mariano Iacobucci se ne stava seduto su una
panchina
a sorseggiare un cocktail vagamente esotico, circondato da una folla di
persone
variopinte. Avrei potuto giurare che il suo sguardo si era
immediatamente
posato su di me e Federico, se non fosse per la confusione tremenda.
Infatti, quando
tornai a guardare nella sua direzione, era sparito. Lo cercai con gli
occhi per
tutto l’area, ma nulla. Non v’era più
traccia! Anche Sara si era dileguata tra
la folla, così mi ritrovai a ballare insieme al mio
ex-fidanzato in una festa
di sconosciuti. Che sballo, eh?
«Dietro
di te!» disse improvvisamente lui.
«Cosa?»
«Sta
arrivando il tizio di cui è innamorata Sara»
precisò istantaneamente. Ma non feci
in tempo nemmeno ad aprire bocca, che Mariano ci aveva raggiunti.
«Hai
portato un amico, a quanto vedo. Piacere, sono Mariano, un amico di
Camilla»
«A
dire il vero sono il suo ex, ma penso possa rientrare lo stesso nella
definizione di amico. Sono Federico, comunque.»
Il
tono apparentemente conciliante di tutta la conversazione
suonò alle mie
orecchie un po’ troppo forzato, ma evitai di controbattere.
«Ti
va di ballare?» mi chiese improvvisamente il
bello&impossibile, ignorando del
tutto il mio accompagnatore. Lo guardai per un attimo indecisa. Non
volevo che Federico
si facesse strane idee, ma al contempo non desideravo altro che stare
vicino a lui,
a Mariano. Era una sensazione soffocante, la sentivo contorcermi le
viscere.
«Vai
pure, io faccio un giro.» Le parole di Federico mi
stordirono. All’inizio non
avevo compreso del tutto, ma poi capii che lui aveva capito. Mi
conosceva fin
troppo bene e non potevo nascondere nulla al suo sguardo. Gli sorrisi
debolmente , conscia della brutta impressione che doveva essersi fatto
di me,
poi seguii il padrone di casa all’interno della villa.
«Dove
mi stai portando?» tuonai, in preda alle solite sensazioni
contrastanti.
«Lo
scoprirai presto.»