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Autore: DezoPenguin    18/08/2015    2 recensioni
Elementary My Dear Natsuki parte quinta. Natsuki si avvicina alla verità sulla morte di sua madre, ma lo sguardo della Corte d'Ossidiana è caduto anche su di lei. Mentre Shizuru accetta di investigare sulla morte di un nobile straniero, ha il suo inizio un gioco di inganni con in palio il destino di entrambe.
Genere: Avventura, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shoujo-ai | Personaggi: Natsuki Kuga, Reito Kanzaki, Shizuru Fujino
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Elementary My Dear Natsuki'
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NDT: questa è una traduzione. Potete leggere l'originale qui. 

NDA – bene, eccoci qua, per un altro capitolo della serie ‘Elementare, mia cara Natsuki’.

“Aspetta un attimo!” direte voi, come Shizuru, notando che secondo le note alla fine di ‘Acque profonde, Natsuki’ e secondo la lista sul mio profilo il quarto capitolo dovrebbe intitolarsi ‘Conosci i miei metodi, Natsuki’, e che ‘Il problema finale’ dovrebbe essere la quinta parte.

Uhm...

Bene, alcuni di voi sapranno (specialmente se se avete letto il racconto autoconclusivo ‘Blocco dello Scrittore’) che mi sono trovato contro un muro mentre cercavo di scrivere ‘Conosci i miei metodi, Natsuki’. Avevo i personaggi e la trama completa, quello che non avevo erano i dettagli tecnici del mistero: tutto il “Shizuru nota l’indizio X che conduce alla deduzione Y”. Avevo il chi, il cosa, il quando, il dove e il perché… ma non il come. Avevo l’intenzione di postare ‘Conosci i miei metodi, Natsuki’ nel settembre del 2010. Avrete notato che non è più settembre. Non è nemmeno ottobre.

E per rendere le cose più difficili, non sembravo avere alcun problema a scrivere ‘Il problema finale’. Lo avevo iniziato perché ero dell’umore di scrivere per Shizlock e Watsuki (grazie ad OscarLady di shoujoai-punto-com per questi soprannomi e a deathcurse perché si è assicurato che non mi uscissero più dalla testa!) e perchè avevo bisogno di buttare giù qualcosa altrimenti sarei impazzito. Così ho scritto. E scritto. E scritto. In altre parole, avevo postato i capitoli di ‘Acque profonde, Natsuki’ a due settimane di distanza l’uno dall’altro, per essere assolutamente sicuro di avere abbastanza tempo per sistemare le parti difficili nel caso si fosse reso necessario. Questa storia, invece, verrà aggiornata settimanalmente. Mentre sto scrivendo questa introduzione, ho i primi dodici capitoli già pronti, per quanto non ancora corretti.

Quindi, se davvero avevo scritto già così tanto, perché non ho pubblicato prima? Beh, avevo molto su cui riflettere. Questo è un romanzo in cui si sviluppano lentamente e con costanza queste due trame: le indagini di Natsuki in cerca di vendetta sugli assassini di sua madre ed il fatto che Natsuki e Shizuru diventino sempre più vicine, cercando di rompere la riservatezza di cui si circondano. Quelli di voi che conoscono i racconti di Sherlock Holmes sapranno che in una storia intitolata ‘Il problema finale’ ci saranno diverse sottotrame che raggiungeranno il loro apice. Pubblicare questa storia senza ‘Conosci i miei metodi, Natsuki’ ad occupare il proprio spazio all’interno dell’intreccio, avrebbe fatto sembrare ‘Il problema finale’ incompleto per quanto riguardava lo sviluppo della trama.

Inoltre dovete sapere che ‘Conosci i miei metodi, Natsuki’ conteneva la comparsata di Nao all’interno della serie, ed avevo paura che saltandolo mi sarei svegliato legato in vicolo buio o roba del genere.

Comunque, seriamente, mi ci sono volute molte riflessioni per giungere a questa decisione. A tutte le persone con cui ho condiviso i miei sentimenti e a cui ho chiesto consigli: grazie per avermi ascoltato blaterare (compatite la mia povera moglie Tarma, che è stata costretta ad ascoltare i miei vaneggiamenti nella vita reale!) e grazie per aver offerto la vostra opinione. Non avrei mai preso una decisione senza tutto il vostro sostegno!

Quindi ho deciso che, invece di lasciare in sospeso voi lettori per sempre in attesa di ‘Elementare mia cara Natsuki 4’… lo salterò e andrò avanti. Siete stati fantastici e avete sostenuto con entusiasmo questa serie e credo meritiate di vederne la fine. Se mai riuscirò a risolvere i miei problemi con ‘Conosci i miei metodi, Natsuki’ potrei ritornare indietro e provarci di nuovo (posso già sentire deathcurse e Dracis Tran che mi suggeriscono di farlo per il NaNoWriMo del prossimo anno!), ma, per il momento, andiamo avanti...

… Bè, però prima ho scritto un breve riassunto della trama, così almeno saprete quello che vi siete persi!

 

~X X X~

 

Riassunto di “Conosci i miei metodi, Natsuki”.

Seguendo le scoperte fatte in ‘Acque profonde, Natsuki’, Natsuki Kuga era venuta a sapere che gli uomini che avevano ucciso sua madre erano membri di una società segreta, l’Illuminato Ordine della Corte d’Ossidiana. Quattordici anni dopo quel crimine, la Corte d’Ossidiana esisteva ancora, ed era ancora attiva. Natsuki all’inizio aveva pensato che dietro l’omicidio ci fossero dei delinquenti nel senso più semplice del termine, quelle che spesso venivano definite ‘classi criminali’, ma era chiaro che stava avendo a che fare con persone completamente diverse – coloro che si muovevano nei circoli del potere politico e finanziario.

‘Cautela’ era diventata la parola d’ordine di Natsuki.

 Temendo di fare una mossa sbagliata che avrebbe rovinato tutte le sue possibilità, Natsuki cominciò a raccogliere informazioni sulle sei persone i cui nomi aveva trovato nell’agenda di John Smith. Fu un lavoro lento e prudente ed i mesi passarono – trascorse abbastanza tempo perché Natsuki potesse accompagnare Shizuru Viola in alcuni dei suoi casi (incluso quello raccontato in ‘Blocco dello Scrittore’) e per venire a sapere che Nagi Dai Artai era stato giudicato complice dell’assassinio di John Smith e condannato a sette anni di lavori forzati.

Gennaio diventò febbraio e febbraio diventò marzo e alla fine del mese un certo Nathaniel Crosby contattò Shizuru, in cerca di aiuto per liberarsi di un ricattatore. Lui le mostrò delle lettere anonime che alludevano a certe indiscrezioni da lui commesse ad un certo indirizzo nel quartiere di Soho. Crosby confessò, contrito, che a quell’indirizzo c’era un bordello. Anche se Crosby non era sposato, era un banchiere e ricopriva una posizione di responsabilità in una professione estremamente rispettabile (se non addirittura bigotta). La vergogna pubblica lo avrebbe rovinato. I pagamenti venivano fatti lasciando il denaro in un certo posto, quindi il ricattatore poteva essere uomo o donna, ma le lettere rivelavano che colui che le aveva scritte era una persona istruita..

Investigando sul crimine, Shizuru e Natsuki incontrarono l’elegante Madame Julia, proprietaria del bordello, ed una ragazza chiamata Nao, che faceva parte (nel senso più letterale del termine, senza doppi sensi) del personale di servizio del locale. Quando fu interrogata su quello che poteva aver visto, Nao ebbe uno scambio di battute con Shizuru ed irritò Natsuki. Le nostre eroine non riuscirono ad ottenere alcuna informazione utile e nessun componente del personale e nessuna delle ‘signorine’ che lì esercitavano sembravano ricordare che qualche persona sospetta avesse sorvegliato o fatto domande su Crosby.

Ulteriori indagini vennero interrotte quando Nathaniel Crosby fu trovato brutalmente assassinato. Naturalmente Shizuru ne rimase turbata e cercò di scoprire chi avesse ucciso il suo cliente. Il Capo Ispettore Reito Kanzaki fu d’accordo che lei lavorasse al caso, ma il fratello del defunto no. Il suddetto fratello era nientemeno che Duncan Crosby, uno dei sei membri della Corte d’Ossidiana di cui Natsuki era venuta a sapere ed immediatamente la ragazza si chiese se la società segreta fosse in qualche modo coinvolta nel delitto.

Comunque, Shizuru continuò le proprie ricerche, investigando in profondità sia il caso del ricatto sia altri aspetti della vita di Crosby. Nel corso delle indagini venne a sapere di certe irregolarità finanziarie alla banca, ma un avvenimento ancor più scioccante contribuì a distrarla: altri due uomini, clienti regolari del bordello, erano morti (apparentemente di morte naturale) nell’ultimo mese. Nuove ricerche rivelarono che i due erano stati vittime dello stesso ricattatore.

Reito fu d’accordo con Shizuru che c’era il forte sospetto che quelle morti fossero nient’altro che omicidi, sospetto basato su un dettaglio che era stato ignorato dai medici e/o dalla famiglia dei defunti, ma non da Shizuru. Crosby, a quanto pareva, era un uomo troppo prudente per cadere in trappole così sottili e quindi era stato eliminato in modo più violento e plateale.

Quindi Shizuru si ritrovò con una situazione che era il contrario delle solite: invece del ricattato che uccide il ricattatore per porre fine alle sue angherie, erano le vittime di un ricattatore che finivano uccise.

Con tre esempi di ricatto da valutare invece di uno, Shizuru presto scoprì che Crosby non stava venendo ricattato per le sue abitudini sessuali, ma per i suoi reati finanziari, che aveva commesso su ordine del fratello. Natsuki sospettò immediatamente che la Corte d’Ossidiana avesse le mani in pasta in quell’affare; mentre Duncan Crosby avvertiva Shizuru di tenersi alla larga da faccende che non la riguardavano. Comunque Shizuru scoprì che nelle lettere di ricatto i riferimenti alle indiscrezioni di Crosby erano dovuti al fatto che l’uomo aveva l’abitudine di lasciarsi andare confidenze dopo il sesso. Shizuru continuò con le indagini e scoprì che il ricattatore era Nao. Comunque la ragazza era già fuggita dal bordello, visto che si era resa conto di essere sospettata.

Natsuki si mise immediatamente sulle tracce di Nao, sapendo che la ragazza poteva avere informazioni sulla Corte d’Ossidiana. Usando un indizio che aveva tenuto nascosto a Shizuru, trovò Nao e l’accusò di ricatto ed omicidio. Lottarono e Natsuki ebbe la meglio, ma furono interrotte da Duncan Crosby. Lui aveva le stesse intenzioni di Natsuki, ma voleva uccidere Nao, per impedire che informazioni sulla Corte d’Ossidiana e sulle sue malefatte potessero arrivare alle autorità (dopottutto Nao poteva offrire tali informazioni alla polizia per chiedere clemenza in caso fosse stata arrestata.)

Natsuki e Nao furono salvate dall’arrivo di Madame Julia, che uccise Crosby. Sfortunatamente per Natsuki, la donna voleva uccidere anche lei! Infatti era Julia il killer, non Nao, visto che Julia era sua madre. Da giovane prostituta aveva affidato sua figlia ad un orfanotrofio nella speranza che la piccola vivesse una vita migliore, ma Nao non fu adottata e fuggì dall’istituto. Julia aveva quindi accolto la ragazza presso di se’ per tenerla al sicuro, anche se non le aveva mai rivelato la propria identità per paura che Nao la odiasse. Accortasi dei ricatti della ragazza, era stata lei ad uccidere tutte le vittime, terrorizzata dal fatto che quegli uomini ricchi e potenti tentassero di risalire al ricattatore per toglierlo di mezzo.

Ma arrivò Shizuru e salvò Natsuki – mentre quest’ultima aveva dato la caccia a Nao, Shizuru invece aveva inseguito Julia, avendo correttamente dedotto la vera identità dell’assassino (e avendo scoperto che Julia era la madre di Nao da tutta una varietà di piccoli indizi). Julia implorò perché Nao fosse lasciata libera: visto che sarebbe stata impiccata per omicidio, era disposta a confessare come propri anche i reati commessi da Nao. Natsuki, simpatizzando con la storia di Nao a causa del proprio passato, aggiunse la propria voce alle suppliche di Julia e riuscì a convincere Shizuru. La morte di Duncan Crosby sarebbe finita anch’essa nell’elenco di omicidi legati a quel caso. Più tardi, Nao raccontò a Natsuki quel poco che sapeva della Corte d’Ossidiana, e di come Duncan Crosby avesse fatto parte del circolo più interno, il cosiddetto ‘Primo Distretto’, che era a conoscenza delle mire della società. Nao disse a Natsuki che aveva intenzione di lasciare l’Inghilterra, visto che il braccio della Corte d’Ossidiana era molto lungo e chi poteva sapere cos’avesse rivelato Crosby ai suoi compagni?

Sfortunatamente la profezia di Nao si rivelò esatta, perché il coinvolgimento di Natsuki nell’affare aveva portato il suo nome all’attenzione del Primo Distretto, permettendo loro di collegarlo con la loro conoscenza del suo passato e al fatto che qualcuno, in tempi recenti, aveva fatto domande sui membri della Corte. Così decisero che Natsuki Kuga era un problema troppo grosso per essere lasciata a piede libero…

 

 

Il problema finale – capitolo 1

Erano in due, furfanti da strada con abiti lisi e cappelli sudici. Mi ero aspettata qualcosa del genere, ma anche così era stato comunque spiacevole vedere le mie speranze infrangersi e le mie paure avverarsi in un incontro improvviso.

"Allora è così che sarà," mormorai. All'improvviso, una risata sembrò sgorgare dalle profondità della mia gola, e le mie labbra si curvarono in un sogghigno feroce.

"Bene. Ad ogni modo mi stavo annoiando ad aspettare."

Dopotutto avevo atteso per un bel po'. Per tutto il tempo che avevo passato qui nei miei diciannove anni, l'East End non era mai stato uno dei miei posti preferiti, in particolare le aree di Whitechapel e Spitalfields, strozzate com'erano da povertà disperata, dove le scintille dello spirito umano erano troppo spesso spente dalla brutalità della vita reale. Una decina d'anni prima Jack lo Squartatore aveva scioccato Londra con la paura, ma lui era stato solo il mostro più visibile.

Ma nelle ombre della paura e della violenza, la criminalità prosperava, e avevo contatti, connessioni che mi davano informazioni, a volte per denaro, a volte in cambio di qualcos'altro. Questo era il mondo in cui mi ero immersa, sviluppando la mia abilità di combattere, di maneggiare le armi da fuoco, di scassinare serrature e cercare informazioni, gli strumenti che, pensavo, mi sarebbero stati necessari per la mia vendetta.

Fred Porlock era probabilmente il più affidabile di quei contatti. Non solo perché mi aveva dato l'informazione decisiva, quella che finalmente mi aveva messo sulla pista dopo così tanti anni. Era un professionista a trovare informazioni e a procurare oggetti particolari, a volte sul mercato nero, a volte agiva semplicemente per conto di clienti e venditori onesti che volevano transazioni condotte con discrezione. Il suo messaggio era stato sintetico, aveva chiesto di incontrarmi perché aveva in mano qualcosa che mi avrebbe interessato, e visto che si trattava di Porlock, avevo deciso di rispondere.

Lo trovai seduto al suo solito posto in un locale chiamato The Drake, dove operai e sfaccendati vociavano chiedendo da bere, e prostitute spendevano i loro guadagni in gin, sperando che desse loro il coraggio di uscire di nuovo e guadagnare ancora. Porlock era stempiato e aveva un naso prominente, e aveva le maniche della camicia rimboccate, lasciando esposti muscolosi avambracci in grado di assestare un buon colpo.

"Kuga! Che sorpresa inaspettata."

Inarcai un sopracciglio.

"Sorpresa? Sei stato tu a chiedere questo incontro. Almeno questa volta non hai scelto il Ten Bells. Okay, sono in anticipo di un quarto d'ora, ma non è realmente una sorpresa."

L'uomo mi guardò, gli occhi decisi e il sorriso che gli svaniva dalle labbra.

"Ma non ho chiesto nessun incontro."

"Ho ricevuto il tuo telegramma, Porlock," sbattei il pezzo di carta sul tavolo. "Non fare giochetti."

"Non ne ho l'intenzione. Sul serio, Kuga, da quando spedisco telegrammi?"

Battei le palpebre.

Poi imprecai.

La risposta alla domanda era "mai". Porlock comunicava con me usando sempre un ragazzino come messaggero, o, molto raramente, tramite delle lettere. La spesa di un telegramma non era affatto il suo stile.

Non si occupava di nulla che fosse tanto urgente da giustificare un telegramma. Però era probabilmente giustificato per chi l'aveva effettivamente spedito. Dopotutto mandare un telegramma gli aveva permesso di evitare di pagare un falsario che imitasse la calligrafia di Porlock—sempre che ne avessero un esemplare. Un telegramma nascondeva la calligrafia di chi lo spediva, e il suo stile necessariamente sintetico significava evitare una scelta di parole sbagliata che avrebbe fatto scoprire il trucco.

E io avevo abboccato.

No, un attimo, pensai. Se questa è una trappola, perchè Porlock è qui? Ma conoscevo anche questa risposta: la persona che aveva mandato il telegramma aveva scelto uno dei locali abitualmente frequentati da Porlock perché il luogo dell'incontro avrebbe dovuto essere credibile. Incidentalmente si era trovato lì, ma lo sapevo solo perché ero in anticipo di un quarto d'ora—probabilmente non avrei dovuto nemmeno arrivarci, al Drake.

"Dannazione!" imprecai. "Questo posto ha una porta di servizio?"

"Dietro il bar, apri la porta e troverai in un corridoio di circa cinque piedi. La porta sulla sinistra è un magazzino, quella sulla destra porta al vicolo sul retro."

Annuii.

"Grazie."

"Kuga, abbi cura di te," aggiunse in tono serio. "Hai bisogno di qualcuno che ti guardi le spalle?"

Scossi la testa, anche se la sua offerta mi aveva commosso.

"Sono abituata ad arrangiarmi, e non sono arrivata impreparata." Aprii la giacca per mostrargli i revolver nelle loro fondine. "Ma ti ringrazio di nuovo."

L'oste mi si parò davanti mentre aggiravo il bancone del bar.

"E tu dove pensi di andare?" abbaiò.

"Esco dal retro. Qualche problema?"

Fissai l'uomo dai capelli rossi con quello che i miei conoscenti definivano "L'Occhiata Mortale di Kuga". Come molte delle persone che l'avevano subita, lui s'accartocciò subito.

"N-no, vai pure," balbettò, quasi inciampando nei propri piedi per la fretta di levarsi di torno.

Peccato che con questi due non funzioni, pensai mentre affrontavo i miei due assalitori. Li avevo incontrati arrivando dalla direzione contraria a quella che loro si aspettavano, ma avevano superato con facilità lo stupore, e un'occhiataccia non sarebbe stata sufficiente a farli sparire. Avrei dovuto usare una forma di persuasione un po' più attiva.

Quello più vicino, un tipo grosso e dal volto congestionato, si slanciò fuori dalle ombre del caseggiato. Sollevò la mano destra, che stringeva il manico di un pesante randello. Feci rapidamente un passo avanti; vista la mia statura e il mio peso, arrivare ai ferri corti con avversario non era mai una buona idea, ma la sua arma gli dava un raggio che lo metteva significativamente in vantaggio. Il suo fianco era esposto perché aveva sollevato la mazza, così lo colpii due volte, sotto le costole. Lui grugnì, e io cercai di eseguire una presa sul suo braccio destro, usando il suo momento di dolore a mio vantaggio per afferrargli l'arto e torcerlo. Usando il suo braccio come un perno, feci leva per girarlo e sbatterlo contro il muro di mattoni. Lui barcollò, ma sollevò il braccio sinistro in tempo per assorbire l'impatto con l'avambraccio invece che con la faccia. Maledizione!

Avrei continuato ad attaccarlo mentre era ancora sbilanciato, ma il suo compare, un uomo alto, dinoccolato, con una faccia da topo, stava già arrivando per prendermi alle spalle. Tirai un calcio all'indietro, più per istinto che per strategia, e sentii il mio stivale colpire qualcosa di morbido, e sentii un urlo di dolore. Mi voltai di scatto per affrontarlo, mentre il mio piede destro si alzava in un arco brutale e fui di nuovo fortunata perchè lo colpii al gomito e lo sentii spezzarsi. Però aveva ancora il coltello nell'altra mano, una lama lunga venti centimetri che sembrava fatta per sventrare il pesce—ma era adatta anche a sventrare una donna.

Il primo aggressore si allontanò dal muro e si voltò per combattere, scuotendo la testa per schiarirsela. Anche se Faccia di Topo era ferito seriamente, il tipo grosso era solo rimasto disorientato per un attimo, ed ero certa che fosse più offeso che dolorante. E, naturalmente, avevano ancora le loro armi.

Però avevo guadagnato un paio di secondi, e li usai. Mentre la mia taglia mi metteva in svantaggio nel corpo a corpo, a una pistola non importava se pesavo cento chili o solo dieci. Con una manovra esperta, estrassi le mie Smith & Wesson Safety Hammerless .32 da sotto il mio cappotto, puntandone una su ciascun aggressore. Naturalmente, sparare con precisione a due bersagli contemporaneamente era quasi impossibile, ma erano tanto vicini che probabilmente sarei riuscita a ferirne almeno uno, se non entrambi.

E comunque, loro non sapevano quanto potessi essere precisa. I malfattori inglesi tendono a non portare armi da fuoco, e le abilità di un pistolero sono roba da romanzi, non per la realtà.

"Che ne dite se smettiamo, ragazzi, prima che qualcuno rimanga ucciso?"

Mi fissarono, riflettendo sulle loro opzioni. Lo sguardo di quello grosso era duro e spietato, mentre gli occhi di Faccia di Topo splendevano di odio e dolore. Quegli uomini avevano già ucciso prima, ne ero certa, sapevano cos'era la morte, e sapevano che le battaglie avevano conseguenze permanenti e fatali. L'unica questione era se davvero pensavano che la loro posizione valesse questo rischio. Aspettammo in quell'attimo immobile, pronti a fare una mossa che avrebbe deciso coem sarebbero andate le cose.

Fu lo stato disgustoso delle strade dell'East End a salvarmi. Sentii un lieve sciacquio alle mie spalle, uno stivale che calpestava qualcosa di umido, e reagii subito, lanciandomi in avanti. Quasi non ce la feci; sentii una scia di fuoco gelido attraversarmi la schiena e mi accorsi che ero stata ferita da un coltello. Il mio movimento non era stato controllato, e caddi su un ginocchio, e mentre i primi due assalitori mi saltavano addosso sfruttai la mia stessa spinta e rotolai in avanti, mi voltai di scatto e tirai un calcio sul ginocchio a Faccia di Topo, la sua gamba cedette e lui cadde, aprendomi una linea di tiro. Colsi l'occasione, e sparai con la mia pistola destra. La mira non era accurata, visto che ero prona e in movimento, senza avere la possibilità di mirare con calma, ma colpì l'uomo che mi aveva accoltellata nel lato sinistro del petto, e fermò il suo slancio mentre si stringeva la ferita.

Non persi tempo a sparare ancora perché avevo altri problemi. Rotolai in un salto mortale inverso, sussultando quando i muscoli della mia schiena ferita si tesero e balzai in piedi non appena i miei stivali atterrarono sul selciato. Il tipo grosso aveva calato il suo randello nel punto in ucui si era trovata la mia testa e invece colpì la mia coscia, con violenza. Sussultai, ma visto che il suo braccio si abbassato, io lo attaccai con un movimento verso l'alto, piantandogli in faccia il calcio della mia pistola. Il suo naso si appiattì con uno scricchiolio soddisfacente e gli strisciai la canna sul viso, tagliandogli la guancia. Era un duro, però, così lanciò un grido strozzato e mi attaccò di nuovo con il randello. Mi abbassai evitando il colpo e lo feci inciampare mentre passavo il suo braccio sopra la mia spalla, sbattendolo per terra accanto ai suoi compagni. Faccia di Topo squittì quando l'uomo gli cadde addosso, probabilmente sopra il braccio rotto.

Fuggii.

Sì, forse non era stato molto eroico da parte mia, ma comunque non aveva nulla da guadagnare, rimanendo. Erano loro che stavano tentando di uccidermi, non il contrario. Il suono del fischietto di un agente (un colpo di pistola attira l'attenzione perfino nell'East End) mi fece sapere che avevo fatto la cosa giusta. Non avevo alcun desiderio di dare spiegazioni alla legge, non quando un gruppo di uomini pericolosi mi stava alle costole.

La Corte d'Ossidiana.

Da quanto ne sapevo erano una società segreta, una delle dozzine che infestavano la nostra cultura. Alcune non erano altro che club per l'elite della nazione, come la massoneria; altre erano dedicate allo studio di spazzatura mistica come l'Ordine Ermetico o l'Alba Dorata; altre ancora davano la possibilità ai loro discepoli di avvoltolarsi nel vizio—non c'era niente di meglio di travestire le orge da 'sacri riti' per renderle più accettabili. La Corte d'Ossidiana non era niente del genere. Si dedicava all'accrescimento della ricchezza e del potere dei suoi accoliti, e l'estorsione, il furto, lo spionaggio e l'omicidio erano solo alcune delle sue tattiche. Essenzialmente, era una banda di malfattori in cui si trovavano finanzieri e professionisti, invece delle cosiddette 'classi criminali'.

Mia madre era stata una delle loro vittime.

Attraversai di corsa una laterale, che era quasi un vicolo, e uscii dall'altra parte rallentando fino a mantenere un passo sostenuto, l'andatura di qualcuno che ha posti dove andate e nessun desiderio di attardarsi per le strade di Whitechapel. Una prostituta in male arnese mi fermò e mi fece una proposta sorprendentemente creativa, anche se era talmente ubriaca di gin da non riusciva a capire che una persona che indossa i pantaloni non è necessariamente un uomo (o forse non le importava, gli affari sono affari, ma l'argomento della proposta mi informò che pensava che io possedessi un'attrezzatura di cui non ero equipaggiata). La scansai con un grugnito e continuai. Vidi una carrozza più avanti, ma la ignorai e presi un'altra laterale; non c'era alcun motivo per cui un vetturino dovesse aspettare in quel quartiere malfamato, quindi o era stato pagato da qualcun altro e lo stava aspettando, o aveva un altro motivo. Come ad esempio trovare una donna che fuggiva da tre aggressori.

Un pensiero terrorizzato e paranoico? Forse. Ma ero stata presa in trappola da qualcuno che conosceva i miei contatti e le mie abitudini, e questo significava che era capaci di pianificare con accuratezza, di preparare un'altra trappola nel caso fossi sfuggita alla prima.

Mi allontanai di diversi isolati prima di cominciare a cercare una carrozza, e riuscii a fermarne una alcuni minuti più tardi.

Stavo provando un misto di compiacimento e irritazione mentre salivo le scale delle mie stanze al 221B di Baker Street. Mi sentivo bene perché ero sfuggita alla trappola che mi era stata tesa, ed ero scocciata perché ci ero cascata. Inoltre ero preoccupata. Fino a quel momento i tentativi che avevano fatto per uccidermi erano stati studiati in modo da apparire accidentali—una carrozza che mi era venuta addosso, un mattone caduto da un edificio, uno sfortunato esempio di crimine da strada nel quartiere peggiore della città. Cose che potevano essere dovute al caso e non considerate un deliberato tentativo di omicidio. Ma quando sarebbe durata? Si erano già spinti troppo in là (Porlock, ad esempio, era venuto a sapere che ero stata attirata con l'inganno). Quanto tempo sarebbe passato prima che assumessero un cecchino per uccidermi da cento metri di distanza, e al diavolo la discrezione?

Mi faceva male dappertutto mentre aprivo la porta ed entravo. Il taglio che avevo sulla schiena bruciava, la mia coscia sinistra pulsava nel punto in cui la mazza l'aveva colpita, facendomi sapere che mi sarebbe venuto un brutto livido. Il resto del mio corpo era dolorante, la scarica di adrenalina del combattimento e l'eccitazione che ne era seguita si erano dissipate durante il viaggio in carrozza e ora potevo sentire tutto. Quindi non fui sorpresa quando la donna vestita in kimono distesa sul sofà si alzò di scatto quando mi vide, gridando, "Natsuki, cos’è successo?" con gli occhi scarlatti pieni di preoccupazione.

Era davvero strano; il rosso avrebbe dovuto essere un colore minaccioso e spaventoso, e gli occhi rossi erano comuni nei vampiri e nei mostri dei romanzi gotici, ma gli occhi di Shizuru Viola erano fra i più gentili che avessi mai visto. Mi dispiacque essere la causa della sua espressione preoccupata.

"Un paio di amici hanno deciso di giocare pesante."

Sfilai il cappotto e mi voltai per appenderlo, e fu un errore.

"Natsuki, state sanguinando!"

Avrei dovuto usare un panciotto. Lo strato extra di tessuto imbottito avrebbe impedito all'assassino di ferirmi, e anche se ci fosse riuscito, la macchia di sangue non sarebbe stata evidente come lo era sulla mia camicia bianca.

"È solo un graffio."

"Non lo sapete, non riuscite nemmeno a vederlo. E i vostri abiti sono di nuovo sporchi; chissà cosa può essere entrato nella ferita? Permettetemi di vedere."

"Shizuru, non è necessario che voi—"

"Natsuki."

Non c’era modo di discutere quando usava quel tono. Mentre lei si alzava e prendeva il bacile ed un panno, per poi raggiungere l’armadio in cui teneva la cassetta del pronto soccorso, io mi tolsi il colletto e sbottonai la camicia, lasciandola cadere a terra.

"Ara, oggi Natsuki sta indossando un corpetto molto carino," mi prese in giro Shizuru. Arrossii; l'indumento di pizzo e satin non era esattamente quello che un conoscente casuale si sarebbe aspettato che indossassi, ma…dannazione, mi piaceva portare dei abiti eleganti e femminili. È solo che non erano pratici per le cose che mi tenevano occupata per la maggior parte del tempo. Inoltre, c'era il fatto che avevo saltato parecchi anni di etichetta e portamento, qiundi i vestiti che sognavo di indossare mi sarebbero stati bene tanto quanto a un maiale. La biancheria elegante, invece, potevo godermela sia sotto un abito da ballo che sotto un paio di blue-jeans da cow-boy.

Mi sfilai il corpetto e lo gettai da parte. Tra il taglio fatto dal coltello e la stoffa che non avrebbe sopportato il lavaggio necessario a ripulirla dal sangue, ormai era rovinato comunque.

"Sdraiatevi sul divano, per favore," disse Shizuru, e così feci, dopo essermi tolta gli stivali.

"Va bene, potete procedere," brontolai, ancora un po’ a disagio. Shizuru appoggiò tutto sul tavolino da caffè e si inginocchiò accanto al divano. Sfiorò con le dita la mia schiena nuda, senza toccare il taglio ma seguendone il profilo. Tremai a quel contatto, che alla mia pelle sembrava dolce come la seta della biancheria che avevo appena tolto.

"È stata causata da un coltello," disse teneramente Shizuru, anche se la sua voce aveva un sottofondo strano, come se fosse offesa dal fatto che qualcuno mi avesse ferita, o forse dal fatto che io l’avessi permesso. Non ero sicura di quale delle due si trattasse, e Shizuru parlava delle proprie emozioni tanto spesso quanto io parlavo del mio passato, vale a dire mai.

"Ho detto che hanno giocato pesante," risposi, sulla difensiva.

"Se Natsuki fosse un gatto, direi che ha appena usato una delle sue nove vite."

"Non è così grave," protestai. "Se fosse stata più seria di un semplice graffio me ne sarei accorta."

"Comunque, Natsuki probabilmente collezionerà un’altra cicatrice interessante. Sembra che non abbiate avuto molta cura di voi stessa in passato,” mi rimproverò Shizuru. Toccò con cautela una cicatrice sulla mia scapola destra, da una ferita mi ero procurata durante un combattimento tre anni prima, poi ne accarezzò un’altra, più lunga, fatta cadendo da un edificio. Cominciava sul mio fianco destro per poi scendere, e la punta dell’indice di Shizuru la seguì finché non sparì sotto la vita dei miei jeans.

"Queste sono vecchie," disse, ancora con quel tono di disapprovazione, "quindi speravo che Natsuki stesse imparando a badare a se’ stessa ma ora ho i miei dubbi."

"Siete di umore strano oggi, Shizuru."

"Ara, è così?"

Udii uno sciacquio sommeso mentre bagnava il panno nel bacile, poi cominciò a pulire la ferita. Fui costretta ad ammettere che stava facendo un lavoro migliore di quanto io potessi mai fare, visto che non doveva mettersi davanti a uno specchio e piegare il collo sulla propria spalla per vedere quello che stava facendo, e ne fui felice, visto che non potevo sapere su che cosa fossi rotolata mentre arrancavo sul selciato.

Ma comunque… si stava comportando in modo strano. Okay, più strano del solito, visto che Shizuru era sempre un po’ strana. Ma non era la sua normale stranezza, sempre che una frase del genere avesse senso.

"Ecco," disse, mettendo da parte il panno. Girai il capo e lo vidi, macchiato di sangue, appoggiato al bordo del bacile.

"Ora, questo brucerà un po’."

Versò il disinfettante e sussultai. Era davvero strano il modo in cui riuscivo a sopportare un dolore intenso e andare avanti senza esitazione, mentre piccolezze come questa o come un dito sbattuto contro un mobile le gonfiavo oltre le debite proporzioni.

Forse era perché in genere le ferite gravi erano causate da faccende gravi, momenti in cui non ci si doveva piegare. Comunque finì presto e Shizuru cominciò a medicarmi. Quando fece passare la benda sotto di me per fasciarmi il torace, mi sembrò quasi che mi abbracciasse. Sentii il sussurro delle sue maniche contro la mia pelle nuda, la seta del suo kimono che quasi mi accarezzava, grazie alla pressione dei suoi avambracci. Mi si bloccò il respiro in gola, mentre i miei nervi sembravano tremare.

"Natsuki, qualcosa non va?" chiese Shizuru. "Vi ho fatto male?"

"N-no, sto bene," mormorai. "Fa freddo qui, ecco tutto."

"Anche in primavera Natsuki rimane una figlia dell’estate."

"Credo mia madre sapesse quello che stava facendo quando mi ha dato questo nome."

"Bene, ho finito. Potete vestirvi."

Si allontanò ed io mi alzai a sedere, sentendomi ancora strana. Non sapevo come spiegare quella sensazione, le reazioni che avevo avuto, o cosa fossero esattamente.

La risposta più semplice era che stavo ancora risentendo dei postumi di quello che era successo—la compresione che ero stata attirata in una trappola, la disperata lotta per la mia vita, la mia fuga dall'East End, l'eccitazione del sapere che savano diventando tanto seri nei loro tentativi di uccidermi da tentare un attacco diretto. Quelle rapide esplosioni di emozioni, una dopo l'altra, sarebbero state sufficienti a disorientare chiunque.

"Qualcosa non va, Natsuki? Mi state guardando in modo molto strano ."

Scossi la testa, cercando di schiarirla, e riordinai i miei pensieri.

"Mi dispiace; credo di avere ancora i nervi a fior di pelle. Abbiamo ancora quella pomata? Credo che mi verrà un brutto livido sulla gamba."

Lei annuì e mi porse un vasetto.

"Ecco."

Mi alzai e mi diressi verso la mia stanza.

"Vado a cambiarmi.”

Con la mano sulla maniglia, mi fermai e mi voltai.

"Vi ringrazio, Shizuru, perché vi prendete cura di me. Non lo dico abbastanza spesso, ma è bello avere una casa e qualcuno da cui tornare, dopo una giornata come questa. Quindi, grazie."

Ruotai la maniglia ed entrai in camera da letto, ma prima di chiudere la porta sentii, o pensai di sentire—fu così sommesso che potrei averlo immaginato—Shizuru parlare.

"No, ookini, Natsuki, per tutto."

  
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