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Autore: DigitalGenius    19/08/2015    2 recensioni
Garfield arrossì lievemente. Non poté evitare che il cuore gli si fermasse, nel guardarla, anche se non era la vera Raven.
«Allora, cosa ti porta qui?» gli domandò lei sorridendo.
Garfield dischiuse le labbra per risponderle. All’improvviso tutti i suoi piani, tutti i discorsi a cui aveva pensato per riportare Raven tra i Titans, sembravano inutili. Chinò lo sguardo e strofinò per terra una suola della scarpa.
Sentiva quegli occhi addosso a sé e quello sguardo lo trafiggeva.
«Dov’è che sono le altre emozioni? Potrei parlare con alcune di voi?» esordì all’improvviso agitando le punte delle orecchie.
Coraggio scrollò le spalle. Il sorriso le si spense mentre si avvicinava al bordo del precipizio su cui si trovavano. «Loro non verranno» annunciò rassegnata. «Si vergognano»
«Perché dovrebbero?» le domandò il ragazzo seguendola. «Sono sempre il buon vecchio Beast Boy, credevo di piacere almeno alla metà di loro»
«Tu ci piaci» lo tranquillizzò lei nel vederlo quasi nel panico. Gli sorrise. «Diciamo che non sono pronte ad incontrarti. O almeno non lo sono la maggior parte di loro»
«Perché?» domandò Garfield mogio. «Perché loro no e tu sì?»
«Perché?» ripeté lei. «Perché io sono il Coraggio»
Genere: Azione, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Beast Boy, Raven, Robin, Starfire
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 10
Quello che il demone non dice



Raven tenne lo sguardo fisso sullo schermo del televisore e raddrizzò la schiena sporgendosi in avanti e serrando le dita attorno al bracciolo del divano con tanta forza da farle diventare bianche.
Starfire precipitò al suolo con tanta rapidità che la telecamera non fu in grado di seguirla.
Raven scattò in piedi, portandosi una mano a coprire la bocca per mascherare un gemito di preoccupazione. Nel bagno alla destra della stanza, oltre la porta aperta, il rubinetto del lavandino schizzò in aria, rimbalzando contro il soffitto e finendo affianco al water. Un possente getto d’acqua iniziò a zampillare verso l’alto e schizzò lo specchio, allagando il pavimento.
Con gli occhi sgranati ed il volto teso, Raven era pronta a recitare il suo mantra per fermare la caduta di Starfire. Si rese conto con un gemito di essere troppo lontana per essere d’aiuto.
Lilith, ancora seduta immobile sul cuscino, la fissava sbattendo gli occhi ed un’espressione che era quasi lo specchio di quella della sua. Non riusciva ad isolare l’ansia di lei dalle sue sensazioni personali, quindi l’aura nera dei suoi poteri che si dipanava attorno a lei fece esplodere una bottiglia piena d’acqua e mandò in frantumi un bicchiere.
Il servizio televisivo proseguiva, Raven non osava distoglierne lo sguardo. Non aveva mai visto Starfire crollare in quel modo sul campo di battaglia. L’amica si era sempre ripresa in fretta, ed era sempre tornata a spalleggiare i suoi compagni in breve tempo. L’inquadratura si concentrò sulla sua caduta, Beastboy si trasformò in uno pterodattilo e planò su Starfire, avvolse gli artigli attorno alle braccia dell’aliena ad un paio di metri dal suolo, poi planò con dolcezza e la depositò piano sul marciapiede. Tornò umano immediatamente dopo e, con un sospiro ed un sorriso mesto, fece cenno agli altri Titans che la ragazza stava bene. Anche se lei non si era mossa né aveva dato segno di aver ripreso i sensi.
Raven sospirò e rilassò le spalle, portò una mano al petto e sorrise. La percezione del mondo attorno a lei tornò vivida. Mosse le dita dei piedi nudi sul pavimento, l’acqua stava per raggiungere il tappeto ricoperto di cocci di vetro.
Smise di prestare attenzione alla televisione. Tratteneva ancora il fiato e tremava leggermente. Sollevò le mani fino a sfiorarsi il mento e le labbra serrate, poi si voltò di scatto verso il terrazzino. Oltre il vetro, in lontananza, riusciva a vedere le sagome di due dei grattacieli che aveva riconosciuto in televisione. Era il luogo in cui si stava svolgendo lo scontro.
Dovrei essere lì, dovrei essere con loro. Si disse Raven. Se fossi lì potrei fare qualcosa per Kori.
Si mosse tra il divano ed il tavolino, afferrò la maniglia della portafinestra spalancandola. Deglutì e mise i piedi sulla pietra chiara e fredda dell’esterno, pronta a spiccare il volo per raggiungere i suoi vecchi amici. Una macchia di oscurità prese vita alle sue spalle, Belial ne emerse con uno scatto e le afferrò il polso con la mano fredda.
La ragazza rabbrividì, si voltò e deglutì.
Belial. Mi dispiace, ma i miei amici hanno bisogno di me.
Gli occhi cechi del ragazzo erano puntati su di lei, tanto da sembrare che riuscissero a vederla per davvero. Raven lasciò la maniglia e fissò il ragazzo in quegli occhi.
La sua mente si ribellò. Lasciami andare, hanno bisogno di me.
«Raven» mormorò Belial tra i denti «Cosa è successo? Riesco a sentire la tua ansia»
La ragazza si voltò ancora una volta verso i grattacieli, strattonò il braccio per liberarsi dalla sua presa, ma lui la strinse più forte.
«I Titans» gli disse con voce rotta. «Starfire è caduta. Non si è rialzata. Devo andare a controllare che stia bene»
«Starà bene» disse Belial. Non si mosse né le permise di allontanarsi.
Raven insisté. «Hanno bisogno del mio aiuto»
Ti prego, lasciami andare. Tornerò il prima possibile, ma non posso lasciarli così.
Lui provò a riportarla dentro casa. «Staranno bene. Noi abbiamo cose più importanti a cui pensare» disse a denti stretti.
«No!» sbottò Raven. Strinse le dita della mano libera attorno quelle di lui, provando a liberarsi. Ma la presa di lui divenne tanto ferrea da bloccarle il sangue. «Io devo raggiungerli, devo dire loro perché me ne sono andata, devo spiegargli tutto»
Una scarica di energia demoniaca aprì numerose crepare nel vetro della portafinestra.
Lilith strinse la testa tra le mani, sollevò le ginocchia e vi poggio sopra la fronte. La tensione empatica presente nella stanza quasi la soffocava, un vaso esplose e due finestre si infransero. I cocci schizzarono addosso ai tre, lasciando striature rosse sulla loro pelle.
Belial sollevò una mano per cercare a tentoni il viso di Raven. Le sfiorò la guancia e le disse:
«Raven, non stai ragionando! Se vai adesso avremo fatto tutto questo per niente!»
La ragazza scosse la testa, conficcò le unghie nel polso di lui e si corrucciò. Non c’è nulla che possa ostacolarci, in quello che devo fare adesso. Non c’è ragione per cui aiutarli possa metterci in difficoltà.
«No. Invece è adesso che sto ragionando, dopo tanto tempo» scosse la testa, abbassò gli occhi e li fece scorrere su Lilith. La bambina era arretrata, la schiena premuta contro i cuscini del divano come se potessero salvarla da quella discussione, gli occhi sgranati ed il respiro corto.
Come ho fatto a pensare che non dire nulla potesse essere la scelta migliore? Cosa mi è preso? Dopo tutto quello che è successo, dopo quello che abbiamo passato insieme…
Belial strinse i denti, pose il palmo sulla nuca di Raven e le tirò con forza il viso contro il suo. Le loro fronti picchiarono l’una contro l’altra e lui strinse le dita tra i capelli di lei per impedirle di divincolarsi. «Loro non hanno bisogno te» disse. La lasciò andare, sentendola di nuovo docile nella sua presa. Sorrise. «Loro staranno bene. È per questo che non gli hai detto nulla». Le accarezzò una guancia. «Se loro sapessero vorrebbero aiutarti e rischierebbero di farsi male. E poi queste sono questioni da risolvere in famiglia»
Raven si morse il labbro e chinò il capo. Sollevò gli occhi per guardare ancora il profilo di quegli edifici, poi Lilith e Belial.
Staranno bene, se vado adesso finirò per metterli in pericolo. Devo pensare a Trigon, adesso. Non posso permettere che si facciano del male a causa mia.
Belial la lasciò andare, indietreggiò e mise un piede su un frammento di vetri, infrangendolo con un sonoro crack. Si accostò al divano per sorreggersi, sollevò il piede ferito mentre bloccava un’esclamazione sul fondo della gola.
Il sangue iniziò a gocciolare sul pavimento, formando piccoli cerchi e striature rosse nella pozza d’acqua che si allargava tra il bagno ed il salotto.
Lilith si sollevò e gattonò sui cuscini del divano fino ad arrivare alle spalle del ragazzo, sbirciò da sopra la sua spalla e sollevò gli occhi verso la sorella.
Raven, ancora ferma davanti alla finestra, ricambiò lo sguardo per un istante prima di voltarsi verso il tavolino che stava davanti alla televisione. C’era un pacco di fazzoletti abbandonato, tese la mano in quella direzione e quello fu avvolto da uno strato di energia scura oscillante e fluttuò verso di lei.
«Mi dispiace» disse a Belial, inginocchiandosi davanti a lui. Sollevò il piede ferito con dolcezza, mosse la mano con leggerezza, quasi come avrebbe fatto in un oceano per smuovere dell’acqua verso sé, e la scheggia di vetro uscì dalla carne fluttuando in aria. Lasciò che cadesse a terra, poggiò le dita sul taglio ed usò i suoi poteri per curarlo.
Devo solo finire questa cosa con la mia famiglia, poi potrò tornare dai Titans, se ancora mi vorranno con loro.

Victor fissò il monitor che ronzava.
Il bip regolare dell’elettrocardiogramma era perfettamente sincronizzato con il battito del cuore di Koriand’r, che stava seduta sul vecchio letto cigolante dell’infermeria della torre. Il respiro della ragazza era leggero e normale, mentre guardava Victor studiare le sue analisi.
Il ragazzo si strofinò una mano dietro la nuca, afferrò l’angolo di una pagina e la sollevò per sbirciare la successiva. Deglutì, serrò le labbra e riabbassò il foglio evitando lo sguardo dell’amica.
«Qui è tutto normale. È stato solo un calo di pressione e per qualche minuto non è arrivato abbastanza sangue al cervello, quindi hai perso i sensi. Basterebbe che tu mangiassi per riprendere le forze»
Strinse le dita sulla carta fino a stropicciarla ed abbassò il braccio nascondendolo dietro la schiena.
Quando alzò lo sguardo Koriand’r lo stava fissando. Strinse il pugno, fece un passo verso di lei e poggiò il palmo sulla sua fronte.
Poi si ritrasse, puntò i piedi accanto al letto e tese le braccia lungo i fianchi. «Sì, sono certo che ti basterà mettere qualcosa sotto i denti e riposare. Domani mattina starai meglio»
Kori scosse il capo lentamente, sollevò la coperta spostandola di lato e fece scivolare una gamba giù dal letto. Quando vi poggiò sopra le mani e vi fece leva per alzarsi Il materasso ondeggiò sotto il suo peso. Si morse il labbro e trattenne il fiato. Victor la afferrò per le spalle e la spinse contro il cuscino.
La ragazza sollevò la mano e strinse due dita alla radice del naso, inspirando. «Non sono umana, Vic. Questa non è una cosa che dovrebbe succedermi»
Lui le sorrise, poggiando il referto medico sul comodino. «Lo so, lo so». Le sollevò le gambe e le risistemò sul letto, afferrò la coperta e la incastrò sotto il materasso, spingendola sotto fin quando non vide che lei non riusciva più a muoversi. Sospirò e le si sedette affianco. «Stavo solo cercando di tranquillizzarti ed a parte il salto della colazione di questa mattina non ci sono altre ragioni che potrebbero giustificare il tuo svenimento». Si grattò la guancia e distolse ancora lo sguardo, battendo il tallone del piede contro il pavimento. «Senti, sinceramente non so che altro dirti, se non di riposare più che puoi».
Le strinse la mano e puntò gli occhi nei suoi con un sospiro. «Ti terrò in osservazione, anche se non so cosa devo davvero osservare». Le lasciò la mano, sollevò il braccio e si strofinò le dita ai lati della fronte, mentre la metà umana del suo volto si tendeva in una smorfia.
Koriand’r spostò lo sguardo verso la parete affianco alla porta d’ingresso, strinse la coperta tra le mani e strofinò le gambe contro e lenzuola. Sollevò il volto con uno scatto e tese le labbra in un sorriso. «Va bene allora. Riposerò»
Portò il braccio dietro la schiena e sollevò il cuscino fino all’altezza del collo, abbandonò la testa contro la parete ed incrociò le braccia. Chiuse gli occhi e sospirò.
Cyborg le sfiorò in braccio e strinse le labbra. «Ti prometto che farò il possibile per fati stare meglio» si alzò, afferrò i fogli delle analisi e guardò ancora una volta il monitor. «Meglio che vada, ora».
Raggiunse la porta a grandi falcate e spinse il pulsante di apertura. La porta di metallo si aprì, fino a scivolare interamente all’interno della parete. Si fermò di colpo; Richard era immobile dietro la porta, a testa bassa e con il vassoio del pranzo tra le mani.
Alzò il volto e guardò Cyborg, aprì la bocca per porre una domanda, ma l’amico lo precedette, «Deve stare a riposo, le analisi non hanno trovato nulla che non vada». Gli diede una pacca sulla spalla, lo spinse dentro la stanza e si allontanò lungo il corridoio.
La porta scorrevole si chiuse alle spalle di Richard, Koriand’r rizzò la schiena e trattenne il fiato, sorridendogli e stringendo ancora il lenzuolo.
«Dick» mormorò. Si morse il labbro e sollevò le spalle, sporgendosi in avanti e stringendosi le mani sollevandole davanti al volto. Stette in silenzio mentre il ragazzo le si avvicinava lentamente, e sorrise nel vederlo esitare davanti a lei. «Tutto bene?» gli domandò.
Richard sospirò e chiuse gli occhi, poi li riaprì e poggiò il vassoio sul comodino, avvicinandosi a Koriand’r e sedendosi sul bordo del letto, là dove fino a poco prima era stato Cyborg. Allungò una mano e la tenne sospesa tra il piatto di minestra, il tubetto di maionese, il panino ed il bicchiere di succo di frutta. Sollevò lo sguardo verso il monitor, batté due dita sulla coperta ed afferrò il panino spezzandolo in due. Ne porse un pezzo alla ragazza e rimise l’altro al suo posto, mentre Koriand’r addentava l’altro.
«Grazie» gli disse lei a bocca piena. Masticò ed ingoiò, portò il pezzo di pane alla bocca per dare un altro morso, ma si interruppe e guardò Richard in faccia. Lui invece evitava il suo sguardo. Allungò una mano e gli sfiorò il braccio, stringendogli la felpa tra le dita e strattonandolo per avvicinarlo. «Stai bene?» gli domandò con un sorriso.
Lui scosse la testa, alzò lo sguardo su Koriand’r e scosse il braccio, sciogliendo la sua presa, facendo scivolare la mano in quella di lei e stringendola. «Dovrei essere io a chiederlo a te» disse. Passò i polpastrelli sul polso della ragazza e sollevò gli occhi su di lei, mentre l’espressione tesa crepava leggermente e le labbra si contorcevano in una smorfia. Si alzò le avvolse un braccio attorno alle spalle, spingendo la sua testa contro il proprio petto e stringendola a sé. «Avrei dovuto stare più attento» le disse contrò l’orecchio in un alito caldo. «Avrei dovuto impedire che ti facessi male. Pensavo che ti avrei persa»
Il pezzo di pane le sfuggì di mano e rotolò a terra fino ad urtare contro la gamba del comodino. «Come sai sono più dura di quanto pensi» sorrise, lo afferrò per le spalle e lo spinse via fino a guardarlo in faccia. «Ma è stato molto dolce da parte tua preoccuparti per me». Sbatté gli occhi e scrollò le spalle come se fosse una cosa da niente, poggiò le mani sulle guance di Richard e si sporse verso di lui per baciarlo. Il ragazzo arrossì irrigidendosi, ma quando sentì le labbra di lei sulle sue si rilassò e le avvolse le braccia attorno alla vita avvicinandola a sé. Il tum-tum del cuore di Koriand’r era amplificato dalle macchine ed era il solo rumore nella stanza.

I passi pesanti di Victor rimbombavano tra le pareti mentre lui proseguiva lungo il corridoio, lasciando impronte lucide sul pavimento impolverato. Da una delle porte in fondo proveniva una canzone rap, e la voce di Garfield seguiva perfettamente il ritmo delle parole e della musica.
Batté le dita contro la gamba di metallo e il ticchettio che ne derivò rimase offuscato dalla musica. Victor raggiunse l’ultima porta e premette il bottone d’apertura, quella scivolò dentro la parete cigolando lievemente e Garfield, all’interno della stanza, sobbalzò e si voltò a fissarle l’amico nascondendo malamente una pianta dietro la schiena. Perse l’equilibrio dopo aver poggiato la scarpa su una montagnola di terra umida, il piede gli scivolò di lato. «Posso spiegare!» disse. Perse la presa sul vaso e questo scivolò sul pavimento rompendosi mentre lui si raddrizzava e si sforzava di non rovinare a terra. Riuscì a riportare i piedi paralleli e tese le gambe rigido, mentre il sorriso si incrinava in una smorfia e le labbra si assottigliavano.
Victor fece scorrere lo sguardo sull’ampia camera, le vetrate larghe permettevano alla luce di inondare completamente la stanza, varie piante erano ammucchiate ai lati della porta mentre vasi di varie dimensioni erano alle spalle di Garfield, pronti per essere riempiti.
Seguirono alcuni secondi di silenzio in cui Victor ignorò gli occhi sgranati di Garfield puntati su di lui, incrociò le braccia e strinse le spalle. «Allora?» domandò. «Sto aspettando»
Il mutaforma sussultò, scosse la testa e si batté le mani sulle guance come per riprendersi prima di saltellare tra una paletta ed un paio di guanti da giardiniere per. «La sorellina di Raven è per metà ninfa» iniziò agitando le mani verso le piante, ma Cyborg sollevò un braccio e gli fece cenno di fermarsi, picchiettandosi la fronte con un dito.
«E ci risiamo» sospirò «Pensavo che avessi lasciato perdere»
Gli occhi di Garfield si affilarono al punto che le sopracciglia parevano quasi toccarsi, ma Victor non lo lasciò ribattere. «Senti, io non ho visto nulla e non so nulla» lo vide sorridere e gli diede un leggero buffetto. «Ma se le cose non andranno come speri, non» chiuse gli occhi cercando le parole giuste. «Non aspettarti che le cose vadano come speri, ecco».

Passi cadenzati. Erano distanti, soffocati da bassi gemiti e piagnucolii.
Evren chiuse gli occhi e ispirò a pieni polmoni, l’aria era viziata, carica dell’odore di polvere che si era accumulata negli anni. Si concentrò sulle proprie mani; immaginò l’esplosione di calore che circonda le dita quando affonda le mani nella carne di un essere vivente. La sensazione viscida del sangue che gli ricopre il braccio, gli schizzi che gli bagnano il volto.
Sorrise, trepidante.
I passi erano sempre più vicini, i fastidiosi piagnucolii dell’Incubo crescevano di intensità.
Così inetto e rumoroso, dischiuse le palpebre: i raggi del sole si gettavano nella sala attraverso i buchi nel soffitto, tagliando l’oscurità sotto forma di decine di piccole lame oblique.
Ci fu un tonfo, i piagnucolii dell’Incubo furono spezzati da un gemito di dolore.
Evren sorrise, non ti darò nemmeno il tempo di emettere un fiato, si voltò con lentezza esasperante, concentrandosi sui ogni suono. Il lieve tonfo degli scarponi, il fruscio del mantello di scaglie nere, i battiti furiosi del cuore dell’Incubo. Erano così forti che non riusciva a percepire quelli controllati di Belial.
Poco più avanti rispetto all’entrata, il suo amato fratellino era in piedi e composto. Steso di fianco a lui, l’Incubo era trattenuto con la faccia premuta a terra da una catena di energia. Evren sfregò i polpastrelli di pollice e indice, aveva i muscoli del braccio tesi e pronti a scattare «Belial, ti prego» disse, chissà se nella sua voce c’era quel tono lievemente corrucciato che sperava di avere «Un po’ di gentilezza per un nostro compagno».
Un angolo della bocca di Belial tremò appena, come se stesse trattenendo a fatica un sospiro irritato. Le catene che legavano l’Incubo brillarono più intensamente, prima di scomporsi in frammenti irregolari. Gli occhi del demone si fecero più piccoli, alzò il busto, rivolgendogli uno sguardo confuso. Dischiuse le labbra. Evren scosse la testa e mosse la mano come per scacciare una mosca; i muscoli del braccio erano sempre più rigidi e desiderosi di scattare «Via, non dire niente» lo fece alzare e gli rivolse un sorriso carico di aspettativa.
Gli piantò la mano nel petto.
L’essere ebbe uno spasmo; Evren avvicinò appena il volto, spingendo con il braccio più in profondità, fino a stringergli il cuore. L’Incubo mosse la bocca senza riuscire a emettere fiato, il sorriso di Evren si fece più dolce «Shhh, non sforzarti» Estrasse la mano di scatto, il cuore pulsante ancora stretto tra le proprie dita, mentre sferrava un calcio nello stomaco del demone «Mi ero ripromesso di tapparti la bocca». Cadde mentre Belial si passava la mano sulla guancia, arricciando il naso, probabilmente seccato dal grosso schizzo di sangue che l’aveva raggiunto.
Con un movimento secco, Evren piantò il piede nel centro del petto del mostro. Il gemito di dolore risuonò per tutta la sala e rimbombò fino a distorcersi. Poi l’Incubo smise di muoversi.
Finalmente.
Lasciò cadere il cuore a terra; quando quello era ancora a mezz’aria, una scintilla azzurra scaturì dalla pelle nera e proruppe, inghiottendo l’organo in un fuoco vivo. Evren sospirò, scosse la mano sporca di sangue per scrollarselo via. Era troppo denso e maleodorante per i suoi gusti, Beh, dopo aver bevuto quello di una ninfa è difficile trovare qualcosa di meglio.
«Allora, fratellino» attaccò in direzione di Belial, che aveva fatto un passo in dietro per evitare di essere schizzato «La prossima volta gradirei affidassi le missioni a qualcuno di competente» si mordicchiò l’interno della guancia, meditabondo «Non vorrei che il compleanno di Rae venisse rovinato da invitati imprevisti»

Richard contrasse le dita sul foglio che stringeva, le rivelazioni a cui era giunto non lasciavano molti dubbi, né speranze sull’utilità di quell’incantesimo.
«Spero davvero che i ragazzi abbiano ragione» sussurrò infine, depositando le carte sulla scrivania e sollevando gli occhi sulla vecchia foto di gruppo che non aveva mai avuto il coraggio di togliere dalla parete.


***

Come potete vedere a volte ci vuole un po’, ma il nuovo capitolo arriva sempre, quindi non perdete mai le speranze XD
Ringrazio Digital che ha scritto il pezzo con Evren perché io non ne avevo voglia <3

  
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