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Autore: Delaila Scissorhands    31/01/2009    3 recensioni
Tum. E poi basta. Silenzio. [Originale, da un mio GdR.]
Genere: Romantico, Triste, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Si appoggiò al muro, quel muro bianco e sterile, e si portò una mano al viso, come se in quel palmo potesse essere assorbito e poi sparire. Portò anche l’altra mano a far compagnia alla prima, chinando il capo in avanti e respirando piano. Tum, tum, tum. Era il suo cuore, quello che stava battendo, vero? Vero? Ma certo, che era il suo. Da quella stanza non proveniva alcun suono, se non un incessante bip. Un bip che stava cominciando decisamente a dargli sui nervi. Un bip che, seppur dall’altro lato della porta, gli perforava il timpano e gli entrava sin dentro, sino al cuore, sino allo stomaco. Ed avrebbe volentieri sfondato la porta, entrare in quella stanza e gettare quell’inutile macchinario dalla finestra. Ma non poteva, no. Era il macchinario che decideva la vita, quello, e senza di esso non sarebbe riuscito a sapere sull’andamento di quel cuore. Alzò il viso dalle mani, e se ne portò una al petto, sul lato sinistro, guardando di fronte a sé. Sì, batteva ancora. Ed il macchinario gli diceva che anche l’altro cuore, stava battendo. Era debole, era molto debole, ma batteva. Arrancava con le unghie e con i denti, urlava, si arrampicava su per il fosso. Perché voleva farcela, e lui lo sapeva. Che diamine… l’avrebbe fatto, no? Ci sarebbe riuscito. Gliel’aveva promesso.

« Prometti che non mi lascerai mai. »

« Te lo prometto. »

E si erano abbracciati, in quel momento. E non poteva sciogliere una promessa suggellata con un abbraccio. Sarebbe stato contro natura, contro ogni legge morale. Un abbraccio, diamine, un abbraccio. Non erano briciole, non erano cose insignificanti. Però, ora era in quel letto, con quei macchinari a farla da padrone, e gli occhi inesorabilmente chiusi. Se avesse potuto aprirli… se solo avesse potuto osservare ancora una volta quei due microcosmi. Ci si perdeva, ogni volta.

« Cosa guardi? »

« Gli occhi. »

« Gli occhi? »

« I tuoi. »

« …Cosa ci vedi? »

« Te. »

E sorrideva, ed aveva un sorriso talmente bello e luminoso, talmente contagioso. Ora, però, le sue labbra non si sarebbero incurvate, non si sarebbero allargate in quel sorriso che gli piaceva tanto. Non l’avrebbero fatto, non ora.

 

~

 

Le luci del Night Club si illuminavano ad intermittenza, al tempo di una musica house che veniva diffusa dagli altoparlanti. Sul palco, sei ballerine decisamente poco vestite davano sfoggio dei loro doni della natura. Ai piedi del palco, un centinaio di clienti decisamente poco decenti davano sfoggio del loro dono della natura. Damian lanciò un’occhiata ai calzoni di uno di loro – un tipo di mezz’età, intento a sbavare sul sedere di Shana. Arricciò le labbra, scuotendo la testa e tornando al bancone.

« Non hanno proprio niente da fare. »

Posò il vassoio sul bancone, e vi si appoggiò con i gomiti, guardandosi attorno.

« Tu, invece, qualcosa da fare ce l’hai, vero? »

La sua voce gli giunse all’orecchio, e non poté fare a meno di sorridere. Ridusse gli occhi a fessure, mentre si ostinava a voler guardare davanti a sé.

« Perché, c’è qualcuno che mi aspetta? »

Alzò le sopracciglia, costringendosi a non guardare di lato. Non sarebbe riuscito a mantenere il suo autocontrollo, in caso contrario. Si mordicchiò un labbro, poi, chinando la testa di lato. Aveva fissato il viso su un pilastro, un soggetto decisamente meno interessante di quello che gli stava accanto, con le labbra praticamente appiccicate al suo orecchio.

« Qualcuno è il mio secondo nome. »

La sua risata, quella limpida, quella cristallina, gli invase l’orecchio, il volto, il petto, il cuore. Ridacchiò assieme a lui, concedendosi finalmente di girare il viso. E trovò le sue labbra ad aspettarlo, dolci e calde come sempre. Si abbandonò a quel bacio, uno di quei baci lenti e passionali, come piaceva ad entrambi.

« Pensavo che stasera fossi impegnato. »

Fissò i propri occhi castani nel suo azzurro, sorridendo e rimanendo a distanza molto ravvicinata.

« Per te non sono mai occupato. »

Un’altra risata, e la sua mano raggiunse quella di Damian.

« Andiamo. »

 

~

 

Andrée era stato sempre così, in fondo. Avrebbe potuto far crollare mezzo mondo, se solo avesse voluto, ma da solo era anche in grado di trasmettere un’infinita dolcezza. Ed era per questo che si erano scelti, entrambi, anche quasi per caso. Era ciò che pensava Damian, mentre, sotto le coperte, stringeva il piccolo corpicino di Andrée al suo, facendo sfiorare la pelle; amavano quei contatti, li amavano entrambi. Gli posò un bacio sulla fronte, e poi uno casto, sulle labbra.

« Come hai passato la giornata, ‘mour? »

Damian era stato tutta la giornata fuori, fuori Londra. Affari con clienti esterni, e lui era il massimo nelle trattative. D’altronde, usare il suo fascino per corrompere i clienti non era stata un’idea tanto malvagia. Aveva chiesto il permesso ad Andrée, naturalmente. E lui aveva acconsentito, senza farsi problemi di sorta. Damian aveva accettato la sua professione, e lui si sentiva in dovere di accettare la sua.

« Non è stato facile, ma alla fine ce l’ho fatta. »

Annuì e, mugolando, si accoccolò contro Andrée. Anche lui amava ricevere coccole, ogni tanto. Ed infatti, le mani del biondo furono subito tra i suoi capelli corvini, accarezzandoli dolcemente – Dio, quanto gli piaceva farsi accarezzare i capelli!

« Io ne ero sicuro. Son stato preoccupato, però. Lo sono sempre, quando sei lontano. »

Il biondo si imbronciò amabilmente, gonfiando leggermente le guance e corrugando la fronte. Damian ridacchiò, tornando col viso al livello di quello di Andrée.

« Quante volte ti ho detto che non devi? »

Assunse un’aria di rimprovero, un rimprovero talmente dolce ed affettuoso che neanche uno scemo ci avrebbe creduto. Andrée sorrise, un sorriso a trentadue denti, di quello che gli illuminava gli occhi. Dio, quanto piacevano a Damian, quei sorrisi. Gli infondevano una gioia tale che, per quanto gli riguardava, sarebbe potuto essere anche in punto di morte: sarebbe morto felice.

« Mille. Forse mille e tre. Ma lo sai che non lo farò mai. »

Damian sospirò, posando un bacio sulle labbra del biondo. Quelle labbra talmente saporite, talmente soffici, talmente calde, che avrebbe preferito non staccarvisi mai.

E così era, tra di loro: rimproveri e riprese continue, sorrisi, risate, dispetti, coccole e sospiri; tutta la loro vita era quella, e gli bastava così.

 

~

 

Si tormentava le nocche, seduto su quella scomodissima sedia di plastica. Lo sguardo basso, i capelli – oramai spettinati – a coprirgli parte del viso, la mascella serrata ed il cuore impazzito. Aveva una paura tale che ne sarebbe morto, prima o poi. Doveva sapere. Aveva bisogno che quella poco rassicurante figura in bianco uscisse da quella porta e gli dicesse che Andrée era pronto a saltargli in braccio e ad essere portato via. Arricciò le labbra, sospirando. Quanto ci voleva?

Finalmente, la porta si aprì. Un ometto tarchiato, di mezz’età, capelli radi e guance risplendenti di grasso, si avvicinò a Damian. Il ragazzo si alzò velocemente, sistemandosi il pantalone e rivolgendo al dottore uno sguardo preoccupato.

« Noi ci abbiamo provato. Ora, sta tutto a lui. Deve essere motivato a continuare. E’ caduto in un baratro dal quale è difficile risalire. »

Tum. E basta. Silenzio.

« Lo terremo qui ancora per qualche giorno. Se non si sveglia, stacchiamo tutto. »

Provò a riascoltare. No, proprio nulla. Nessun suono, da lì dentro; più niente.

Il moro annuì lentamente, gettando lo sguardo altrove. Quel dottore, che di pazienti ne aveva visti tanti, stava solo facendo il suo lavoro. Era l’ennesimo annuncio uguale agli altri che dava, l’ennesima maschera di dispiacere che si sarebbe frantumata quando sarebbe sceso al bar con i colleghi a prendere un caffè. L’ennesimo sospiro, l’ennesima diagnosi appuntata sull’ennesima cartella. L’ennesimo macchinario probabilmente staccato, l’ennesima flebo, l’ennesimo lavaggio. L’ennesima siringa, l’ennesima prognosi riservata, l’ennesimo letto occupato. Era diventato quello, il suo Andrée: un ennesimo. Per Damian era tutto, era la vita, era l’amore, era la dolcezza, era la speranza, era la felicità, era il cuore, era il corpo, era la mente, era l’anima. Per quel dottore che assomigliava tanto al Grande Puffo, invece, era il paziente. E quello sarebbe rimasto, anche dietro quella maschera di puro dispiacere.

Il Grande Puffo si congedò, e permise a Damian di entrare nella stanza.

E finalmente poté vederlo.

La sua vita sdraiata in un letto d’Ospedale – ecco cosa stava osservando. Una morsa al cuore – quale cuore? S’era fermato, il suo cuore – lo prese, mentre avvicinava una sedia al letto e vi si sedeva, con lentezza e debolezza. Non… non era possibile, no. Non stava accadendo a lui. Ora Andrée si sarebbe alzato, gli avrebbe rivolto uno dei suoi soliti sorrisi, e sarebbero tornati a casa, assieme. Ma Andrée non si mosse. Unico segno di vita era il suo petto che andava su e giù, e quel cavolo di bip del macchinario che continuava, debole ma sempre presente. Damian si appoggiò allo schienale della sedia – ma erano tutte scomode, le sedie, in quell’Ospedale? – e sospirò. Fissò il proprio sguardo su viso di Andrée. Dio, quant’era bello. Il viso rilassato, quasi sorridente; i capelli dorati sparsi sul cuscino bianco e sterile; le braccia lungo i fianchi, al di sopra della coperta, per permettere di sistemare la flebo; la pelle rosea e liscia, perfetta, come sempre. Sorrise, Damian, sorrise davvero. Quasi se l’era dimenticato, come era bello.

« Ciao, ‘mour. Come va? … Che domande, ti faccio. Non deve andare poi tanto bene, per te. Sai, stamattina eri meraviglioso, quando ti sei svegliato. Eri talmente felice, e talmente sorridente… perché non mi hai detto delle pillole? Dovevi dirmelo, lo sai. Ne avremmo parlato, come parliamo sempre. Perché le hai prese a mia insaputa? … Oh, ma io lo so. Non ho saputo controllarti. Non avevi il diritto di dirmelo, sono stato io a non averti controllato. Hai rischiato di far venire un infarto anche a me, lo sai? Non volevano farmi venire, in ambulanza. Cédric non c’era, non sarebbe potuto venire nessun altro. Non riuscivano a capire cosa io fossi per te, gli ci è voluto un po’ per capirlo, ma alla fine mi hanno dato la possibilità di salire. Eri bello, ‘mour, eri bello in ambulanza, eri bello al Pronto Soccorso, sei bello ora. Sei sempre bello. Perché mi fai questo? Perché vuoi lasciarmi solo? Sai quanto tu sia importante per me. Mi avevi promesso che non te ne saresti andato. Stai infrangendo la tua promessa. Io non ho infranto la mia; non me ne sono andato alla prima occasione. Non l’avrei mai fatto. Però mi ami, ‘mour, vero? L’hai sempre detto. Me lo ripetevi sempre. E quindi, se è vero, non devi infrangere la promessa. Non devi andartene, non devi lasciarmi solo. Lo sai che da solo non riesco a stare. Non farmi questo, per favore. »

Senza che neanche se ne accorgesse, una lacrima gli rigò la guancia. Per favore. Non aveva mai chiesto per favore a nessuno. Non aveva chiesto per favore ad anima viva. Ed ora lo stava chiedendo alla sua vita stessa, lo stava chiedendo a lei, per far sì che non lo lasciasse da solo. Si sporse in avanti, appoggiando i gomiti sul materasso, appena vicino al braccio di Andrée. Con le punte delle dita cominciò a sfiorargli la pelle, assorto nel risentire la sua morbidezza. Sorrise, mentre un’altra lacrima rigava l’altra guancia. In quei momenti, gli ricordava tanto il suo Andrée, proprio quando piangeva e rideva allo stesso tempo. Si asciugò le lacrime con l’altra mano, poi sospirò e prese a fissare il vuoto davanti a sé.

« Damian, mi bagni il braccio. »


Momento di alcuni chiarimenti. Damian ed Andrée sono due personaggi di un GdR che frequento. Damian è mio. Andrée è il personaggio della mia piccola stellina. La storia è nata all'interno di un GDR, e se non apprezzate, c'è quella bellissima via d'uscita in alto a destra, rossa.
  
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