Debolezze
Don’t be afraid to be yourself
Il professor Terada era quello che veniva
comunemente definito un “uomo tutto d’un pezzo”. Serio nel
suo mestiere, elegante nella vita sociale, e al contempo di indole amichevole
con tutti.
Ma anche gli “uomini
tutti d’un pezzo” hanno le loro debolezze.
Lunedì
pomeriggio. La campanella annunciò la fine delle lezioni, e gli studenti
si riversarono vociando fuori dell’aula, sfrecciando in corridoio,
impazienti di tornare a casa.
L’insegnante
rispose ai saluti che gli venivano rivolti, ma rimase a testa bassa,
concentrato sul registro personale, in cui stava ancora annotando i compiti
assegnati per l’indomani.
Fu
per questo che non si accorse subito che in classe con lui era rimasto
qualcuno.
Quando
infine chiuse il registro, afferrò la borsa e si alzò dalla
cattedra, il suo sguardo si soffermò su una figurina nelle ultime file
di banchi.
Rika
Sasaki era seduta sul piano del proprio banco, la cartella stretta tra le
braccia, il capo chino, il viso nascosto dai capelli castani. In
quell’aula vuota, sembrava infinitamente sola e fragile.
Superata
la sorpresa, Terada esitò. Doveva esserci qualche problema grave. Non
l’aveva mai vista così: era una ragazzina molto tranquilla, ma
sempre serena, almeno all’apparenza.
«Sasaki?»
Lei
sussultò e alzò lo sguardo. Anche a quella distanza, era evidente
che era sull’orlo delle lacrime.
«Scusi,
professore, credevo fosse uscito» disse precipitosamente.
Però
non dava segno di voler evitare le sue domande: lo fissava come se sperasse che
lui continuasse a parlarle.
I
suoi non erano gli occhi di una bambina...
Ma cosa vado a pensare?
Terada
si scosse. Lasciò cadere il registro e la borsa sulla cattedra e mosse
qualche passo verso il fondo dell’aula, dove Sasaki era ancora immobile a
guardarlo, stringendo convulsamente a sé la cartella.
«C’è
qualcosa che non va?» le chiese, fermandosi a qualche passo da lei.
Sasaki
non rispose. Abbassò gli occhi, e le lacrime iniziarono a scorrere
libere sul suo viso. L’uomo non osò muoversi; non voleva turbarla
più di quanto non fosse già.
Terada
non aveva figli. Non era sicuro di saperci fare poi molto con i ragazzi, al di
là del classico rapporto insegnante-alunno. Ma con quella ragazza la faccenda era ancora diversa. Gli era sempre
sembrata posata e matura per la sua età. Sentiva di poterle parlare
senza ricorrere ad inutili paternalismi; ma ad ogni modo non intendeva
forzarla, o rischiare di spaventarla. Non sapeva bene come affrontare la
situazione...
«Non
è nulla» mormorò alla fine lei, in tono nient’affatto
convincente.
«Non
credo che sia “nulla”.» Il professore tentò un sorriso
rassicurante. «Problemi a scuola? Non posso aiutarti in qualche
modo?»
Sasaki
scosse lentamente la testa, sempre senza guardarlo.
«No,
non ho problemi a scuola.» Ancora una volta, non sembrava convinta delle
proprie parole. Arrossì. «Non credo che possa aiutarmi. Grazie
comunque, professore.»
Una
supposizione improvvisa – una pura ipotesi, in realtà – si
fece strada nella mente dell’insegnante.
«Sasaki...»
Si decise ad avvicinarsi ancora. «Ho notato una cosa, da quando insegno
in questa classe. I tuoi compagni parlano spesso dei loro genitori, dei loro
fratelli e sorelle. Di te, della tua famiglia, non ho mai saputo nulla.»
Abbassò la voce. «Non ti va di parlarne? È perché
c’è qualcosa che non va con i tuoi...?»
La
ragazza scosse di nuovo il capo.
All’improvviso
alzò lo sguardo e lo fissò apertamente in volto, arrossendo con
ancor più intensità. Le lacrime le inondavano le guance.
«Ha
mai avuto l’impressione di essere completamente sbagliato, sempre nel
posto sbagliato e nel momento sbagliato?»
Una
domanda così diretta quanto inaspettata lo spiazzò. Non
trovò nulla da dire; ma ormai la sua giovane allieva aveva rotto gli
argini. Continuò a parlare, liberandosi delle parole come un fiume in
piena che travolgesse gli ostacoli nella sua corsa.
«So
cosa dicono tutti. Eccola là.
Sasaki la saggia. Sasaki che ha sempre una parola giusta per tutti. Sasaki la
brava ragazza. Se solo sapessero... Se solo sapessero cosa prova la brava ragazza... Se solo
sapessero quanto le costa tenersi tutto dentro...» Di colpo si
portò le mani al viso, singhiozzando senza più ritegno. «Fa
male, fa malissimo, non poter essere quello che si è, non poter esprimere
quello che si prova...»
«Cosa
dici?» mormorò Terada, un po’ confuso. Cercò di
posarle una mano sulla spalla, ma alla fine cambiò idea. Non voleva
trattarla come una bambina che avesse bisogno di carezze consolatorie. Lei non
era così. «Sasaki, non dovresti neppure pensare queste cose.
Nessuno ti impedisce di mostrare quello che sei... E sai cosa vedo io?»
Lei
sollevò il viso arrossato e lo guardò. L’uomo ne
approfittò per sorriderle dolcemente.
«Vedo
una ragazza coraggiosa, giudiziosa, sincera, sempre pronta ad ascoltare gli
altri... L’hai detto: una brava ragazza.» Sedette sul banco di
fronte al suo. Da pari a pari. «Non c’è nulla di male in
questo, sai? E per quante cose tu possa “tenerti dentro”, sono
certo che non hai motivo di vergognarti neanche di quelle. Il fatto stesso che tu
ora ti stia esponendo con questo vecchio impiccione del tuo professore»
continuò allegramente, allargando le braccia, «senza timore di
essere giudicata, dimostra quanto tu sia responsabile delle tue azioni...
Perciò, lo vedi anche tu, nulla ti impedisce di aprirti agli altri per
quello che sei, come stai facendo ora con me.» Tirò fuori dalla
tasca della giacca un fazzoletto e glielo porse con un altro sorriso.
«Non devi avere paura di essere te stessa, Rika.»
La
ragazzina spalancò gli occhi, ancora colmi di lacrime.
Terada
non avrebbe saputo dire se fosse più colpita dalle sue parole o dal
fatto che lui l’aveva chiamata per nome.
Lei
accettò il fazzoletto che le porgeva, ma non si asciugò subito
gli occhi.
«Lo
pensa davvero?»
L’uomo
si chinò sul banco, sporgendosi verso di lei.
«Certo
che sì.»
Rika
si alzò e finalmente si passò il fazzoletto sul viso. Poi gli si
avvicinò.
«Allora
mi lasci fare una cosa.»
Si
sollevò sulle punte dei piedi, chiuse gli occhi e posò sulla sua
bocca un piccolo bacio leggerissimo, dal sapore di pianto.
Dopo
un attimo si ritrasse. Aveva di nuovo le guance in fiamme, ma non piangeva
più.
Terada
rimase attonito a guardarla.
Il
senso delle sue parole di poco prima lo colpì, quasi dolorosamente.
“Fa male, fa malissimo,
non poter essere quello che si è, non poter esprimere quello che si
prova...”
Davanti
a lui non c’era più una ragazza. Ora Terada la vide per quello che
era: una giovane donna. Innamorata.
Rika
si mise la cartella in spalla e gli restituì il fazzoletto, tenendo per un
istante le mani sulla sua. Sorrise timidamente.
«A
domani, professor Terada.»
Attraversò
la classe vuota, raggiunse la porta e uscì, rivolgendogli un altro
breve, luminoso sorriso.
L’uomo
la seguì con lo sguardo finché non fu scomparsa nel corridoio.
«A
domani, Rika» mormorò tra sé.
Strinse
forte il fazzoletto umido delle sue lacrime.
Quindi
si alzò, tornò a prendere borsa e registro e uscì a sua
volta dall’aula.
Il professor Terada era quello che veniva
comunemente definito un “uomo tutto d’un pezzo”.
Ma anche gli “uomini
tutti d’un pezzo” hanno le loro debolezze.
La sua si chiamava Rika
Sasaki.
Questa
shot, oltre ad essere un piccolo tributo al Terada/Rika – pairing su cui
ci si sofferma poco, purtroppo – vuole essere anche un omaggio a tutti quegli
amori apparentemente impossibili che tutti, almeno una volta nella vita, ci ritroviamo a provare. Ve lo dice una che attualmente ci
è dentro fino al collo.
Spero vi
sia piaciuta! ^^ Arigatou!