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Autore: Shainareth    31/01/2009    5 recensioni
[Mai HiME - anime] Natsuki strinse il piccolo post-it giallo nel palmo della mano. I suoi occhi verdi si fissarono sul moto ondoso del mare, lì dove diversi anni prima aveva rischiato di perdere la vita insieme a sua madre e al fedele Duran.
A scanso di equivoci, la presente NON è una YuuichixNatsuki. Anzi, se vi piace può essere considerata come un sequel di Pioggia, sebbene non sia strettamente legata ad essa, e prende spunto dall'epilogo del Natsuki's Prelude.
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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- Questa storia fa parte della serie 'Bivio'
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CAPITOLO NONO





Si era costretta a rimanere ferma dov’era, anche per via del fatto che quell’atteggiamento di Natsuki l’aveva scombussolata al punto da inibirle qualsiasi reazione. Era stato solo dopo un paio di minuti che era stata in grado di tornare alla finestra, indirizzando immediatamente lo sguardo verso l’uscita dell’edificio, visibile dall’aula in cui si trovava. Non dovette aspettare molto, perché, tra i pochi studenti ancora presenti nei dintorni, poté presto scorgere quei due che l’avevano appena salutata per andare via insieme. Insieme.

   Fu solo quando sparirono alla sua vista che Shizuru si rese conto che il suo corpo era scosso da un tremore che non gli era proprio. Si strinse nelle spalle, disorientata, avvertendo il battito cardiaco farsi sempre più accelerato ed il respiro pesante. Non si domandò cosa le stesse accadendo, poiché lo sapeva, e questo la spaventava. L’ultima volta che aveva avuto una reazione simile…

   Aveva giurato a se stessa che non sarebbe più capitato, perché Natsuki aveva già sofferto abbastanza per colpa sua: era stata costretta a fare qualcosa che non voleva, e cioè combattere contro una sua amica.

   Gli occhi le si velarono di lacrime e la Presidentessa del Consiglio Studentesco si morse il labbro inferiore, cercando in tutti i modi di calmarsi; ma quanto più si sforzava di non perdere la testa, tanto più si agitava.

 

La sua Natsuki era diventata forte e non aveva più bisogno del suo aiuto.

 

La sua Natsuki si stava allontanando da lei.

 

La sua Natsuki le preferiva qualcun altro.

 

Serrò la presa delle dita attorno ai gomiti al punto da sentire le unghie nella carne. Non poteva più ricorrere all’aiuto di Kiyohime, né della sua infallibile naginata. Come avrebbe potuto, allora, proteggere la sua Natsuki dal mondo esterno? Come avrebbe potuto, allora, evitare che lei la abbandonasse?

   «Natsuki…»

   Non si accorse del tono che le uscì di bocca, ma se lo avesse fatto, se ne sarebbe meravigliata: le apparteneva solo per metà. Non era più melodioso, non era più gentile: era un richiamo disperato e orribilmente inquietante. Se Natsuki lo avesse udito, si sarebbe di nuovo sentita scaraventata in quel regime di terrore vissuto meno di sei mesi prima.

   D’un tratto quello status mentale che le annebbiava la ragione venne quasi a dissolversi, lasciandole la spiacevole sensazione di aver smarrito il senso del tempo, come se fosse stata svenuta, e adesso la testa le girava. Due braccia la sorreggevano, circondandola completamente, ed un petto robusto premeva contro la sua schiena. Forse quella era la prima volta che entrava in contatto così intimo con un uomo.

   «Shizuru-san.» La voce calda di Reito le accarezzò le orecchie, riuscendo nell’incredibile impresa di rassicurarla. Avvertì il tepore del suo respiro sui capelli, la gentilezza del suo tocco, l’affetto con cui, vedendola in quelle condizioni, si era premurato a correrle accanto. Era stato uno dei pochi ad assistere al teatro dell’orrore che lei aveva messo su tempo addietro. Anzi, per meglio dire, ne era stato il vero artefice, seppur inconsciamente, e Shizuru, mettendoci molto di suo, si era subito prodigata a dargli man forte.

 

Dentro di me c’è una bestia, che si comporta come se fosse stata intrappolata in una gabbia. Come se si fosse impossessata del mio corpo. Qualcosa che mi sembra molto familiare, ma al contempo ancora estranea… Qualcosa di estremamente aberrante. […] Ecco perché la desideravo. Credevo che lei sarebbe riuscita ad estirpare la bestia che c’è in me. Era una tenue, flebile fiammella di speranza.

 

«Reito-san…» Abituata a mostrarsi sempre elegante anche nella sua follia, adesso la ragazza si sentiva tutt’altro che capace di badare a se stessa, tutt’altro che capace di sostenere il gioco delle apparenze. Le sue parole non erano che un tremolio quasi indistinguibile, tanto la sua gola era soffocata da quel nodo che le toglieva il fiato. «Natsuki si sta allontanando da me…»

   «Lo so» le rispose lui, affermando una truce verità con quel suo modo di fare confortante. Era un’impresa in cui soltanto loro due riuscivano così bene.

   «Allora… cosa devo fare?»

   Kanzaki si curvò per poggiare il mento sulla sua spalla, lo sguardo perso nel gioco di luci del sole che continuava a scomparire all’orizzonte. «Temo che l’unica cosa che tu possa fare, è lasciarla andare.» Adesso si sentiva libero: la bestia che lo aveva afflitto fin dalla nascita era ormai svanita nel nulla, distrutta dai poteri delle HiME insieme a quella maledetta Stella che aveva condizionato la vita di tutti loro.

   Per Fujino, però, le cose non stavano allo stesso modo, perché la bestia che avvertiva dentro di sé non era dovuta a cause esterne, ma faceva parte integrante del suo essere. «Come posso lasciarla andare? Natsuki mi appartiene…»

   «Se lo credi davvero, la perderai del tutto.»

   «Perché?»

   «Perché ho creduto la stessa cosa di Mai-san, mettendole addosso un’ansia che avrei dovuto evitarle» riconobbe il giovane. «Se da un lato le assicuravo che la miglior cosa da fare era quella di lasciarsi i problemi alle spalle per cominciare a vivere pensando anche a se stessa, dall’altra, mio malgrado, ne approfittavo per avvicinarla a me, cercando in tutti i modi di diventare quel sostegno di cui lei avrebbe sempre avuto bisogno.»

   «Dovrei rinunciare a Natsuki…?» Shizuru si sentiva morire anche solo a pensarlo.

   «Dovresti cominciare a pensare alla sua felicità.»

   «Tu hai rinunciato al tuo amore?»

   «No. Ma ho deciso di accettare la volontà di Mai-san.»

   «Non so se ci riuscirò…»

   «È il solo modo che hai per non perdere quel poco che ti resta di lei.»

   Reclinò il capo all’indietro, fino a poggiare la nuca nell’incavo del collo di Reito, gli occhi spenti. «Capisco…»

 

 

Si trovavano ad attraversare un vialetto che costeggiava il giardino di rose dove Mai aveva conosciuto Mashiro e Fumi, perché Natsuki aveva preferito prendere una strada differente da quella solita, così da sfuggire al più presto allo sguardo di Shizuru.

   I due liceali camminarono in assoluto silenzio per un pezzo prima che la ragazza domandasse in un bisbiglio: «Ci sta seguendo qualcuno?»

   Lui si issò meglio la custodia della shinai sulla spalla e poi si volse indietro, senza neanche chiedersi la ragione di quella curiosità. «No, siamo da soli.»

   Natsuki rallentò il passo. «Davvero?»

   «Sì.»

   Si fermò. Le ci vollero alcuni attimi prima di immagazzinare a dovere quella notizia, e quando lo fece sentì le gambe tremare. Dovette aggrapparsi al braccio del giovane per non collassare in terra, tanto che lui si spaventò.

   «Ehi, stai bene?!»

   Lei annuì più volte, freneticamente, avvertendo sempre più l’opprimente bisogno di piangere. Masashi se ne accorse e, approfittando del contatto fisico, la guidò adagio verso il gazebo, dove avrebbe potuto farla sedere per qualche minuto. Faceva freddo ed il vento invernale scuoteva le piante spoglie di fiori. Il kendoka fece riparare la propria kohai dietro ad una delle colonne che tenevano in piedi la piccola costruzione in cemento e le si inginocchiò di fronte, preoccupato.

   «Vuoi che vada a prenderti qualcosa di caldo da bere?» le propose, avvertendo sulla pelle il gelo delle mani di lei. La vide scuotere il capo. «Ti riaccompagno al dormitorio?»

   «Takeda?» esordì invece l’ex-HiME, cercando di tranquillizzare anzitutto se stessa. «Sto bene. Sul serio.»

   «A me non sembra» osservò lui, deciso. Era chiaro che qualcosa non andasse, per la miseria! Che cosa le avevano fatto per ridurla in questo stato? Quasi non la riconosceva più… «Scusa se te lo chiedo, ma hai litigato con Fujino?»

   La fanciulla strinse la presa attorno alle sue dita. «Mi… Mi dispiace.»

   «Per cosa?»

   «Perché non so se mi sto comportando bene con te.»

   Il suo compagno di scuola sorrise per rassicurarla. «Non importa. Preferisco così, perché almeno, finalmente, mi prendi in considerazione.»

   Questa volta in piena consapevolezza, Natsuki crollò in lacrime: eccolo, l’amore di cui tutti parlavano, quel sentimento forte e sincero, capace di riscaldare il cuore senza pretendere nulla in cambio. Masashi rimase in attesa che lei si calmasse, avvertendo un pugno allo stomaco ogni volta che un singhiozzo la faceva sussultare. Non disse nulla, si limitò a sorreggerla e a stringerle le mani nelle proprie.

   Non sapeva dire, la ragazza, se quel pianto fosse dovuto al sollievo che vi fosse qualcuno capace di volerle bene in modo disinteressato o se invece servisse per sfogare la tensione accumulata in precedenza. Si rendeva solamente conto di essere riuscita a far capire a Shizuru che lei non le apparteneva, che aveva una propria autonomia, che voleva sentirsi libera di donare il proprio affetto a qualcun altro. Aveva deciso di risolvere la questione in quel momento anche in virtù del fatto che la sua rivale al Carnival aveva ormai perso i poteri, come tutte le altre HiME, e per tale ragione, se anche fosse uscita nuovamente di senno, poteva essere ritenuta molto meno pericolosa di un tempo. E se anche avesse avuto la meglio su di lei, Natsuki avrebbe potuto di sicuro contare sull’aiuto di Takeda. Era stata la sua presenza, unita a tutti i discorsi che i suoi amici e conoscenti le avevano fatto, dimostrandole un amore onesto e privo di egoismo, a darle la forza necessaria per affrontare la sua più grande paura.

   Si sentiva meglio, sì. Una piccola parte del suo essere riusciva ancora a provare l’ombra di un remoto senso di colpa verso l’amica, segno che ci teneva tuttora a lei; eppure, la consapevolezza di avere compiuto, almeno per una volta in vita sua, il passo giusto, le faceva, adesso, sentire l’animo leggero come mai era stato in precedenza, nemmeno dopo la disfatta della Stella e del Signore d’Ossidiana.

   Ben presto il suo pianto si placò, e la prima cosa che disse, quando riprese fiato, fu: «Grazie, Takeda.»

   «Non ho fatto nulla.»

   Scosse i crini scuri e alzò lo sguardo ancora intriso di lacrime su di lui. «Nonostante il mio essere scostante, nonostante le mie stranezze… sei sempre rimasto a vegliare su di me, anche se da lontano.»

   Il volto del giovane si fece buio. «Avevo deciso di rinunciare a te perché avevo capito che era inutile continuare a sperare in un amore che non sarebbe mai nato da parte tua.» Il fantasma di un sorriso gli si dipinse sulle labbra. «Ma non c’è stato verso di mettermi il cuore in pace.»

   Natsuki si rese finalmente conto di quanto fosse profondo il sentimento che il suo senpai doveva provare per lei e si morse l’interno della bocca, dandosi della stupida per non averlo scoperto prima. Per quale dannato motivo non aveva potuto vivere come una normale studentessa della sua età? Per quale dannato motivo, dopo il Carnival, i problemi, pur mutando in qualcosa di diverso, erano ancora lì a perseguitarla, allontanandola per l’ennesima volta da ciò che contava davvero nella vita?

   Masashi le lasciò una mano per prendere il fazzoletto pulito dalla tasca del proprio cappotto; glielo porse, così che lei potesse asciugarsi il viso. La sentì pigolare un tremulo grazie. «Kuga… non è necessario uscire insieme, se non te la senti.»

   La fanciulla esplose in una breve risata, stupita dalla differenza che vi era fra quel ragazzo e Shizuru. Dondolò di nuovo la testa a destra e a manca in segno di diniego. «No, no… Voglio saldare il mio debito» ci tenne a fargli sapere. «Ti chiedo solo la cortesia di aspettare. Mi rendo conto di essermi smentita per due volte, sull’argomento, ma questa volta non cambierò idea.» Si passò il fazzoletto sugli occhi. «Ho solo bisogno di tempo per riflettere, perché non ho ancora capito se ho iniziato ad interessarmi a te per una questione di comodo... o se perché, invece, lo sento davvero.» Vide Takeda strabuzzare gli occhi, incredulo, la mascella che gli ricadeva verso il basso, ma continuò a parlare, imperterrita, sentendosi loquace per la prima volta in vita sua. Glielo doveva, e pertanto decise di non risparmiarsi. «Non voglio illuderti dicendoti che fra qualche tempo io sarò in grado di ricambiare i tuoi sentimenti. Non meriti di stare ancora male per colpa mia, quindi… sentiti pure libero di vivere la vita come meglio credi, senza curarti di me.»

   «La fai facile, tu…» biascicò l’altro, ciondolando il capo in avanti per non farle capire di essere sul punto di piangere anche.

   «Dopo il vostro diploma, tu e Shizuru dovrete entrare in una nuova realtà, e magari col tempo le cose cambieranno dentro tutti noi.»

   «Non credo basterà così poco…» protestò, scoraggiato.

   Natsuki lo strattonò per una manica, e Masashi tornò ad alzare gli occhi verdi su di lei e si accorse che era arrossita. «Vorresti… aspettare?» Batté le palpebre, sicuro di non aver inteso le sue parole. «Non ti sto chiedendo di aspettare ch’io prenda una decisione, sarebbe egoistico da parte mia… Però… mi piacerebbe che, rivedendoci, in futuro, nessuno di noi due possa avere alcun dubbio riguardo a… quello che proviamo…»

   Non era un rifiuto, constatò, ma neanche un sì. Tuttavia, la cosa ebbe il potere di tranquillizzarlo. «Aspetteremo insieme» le assicurò, sorridendole sebbene sentisse ancora il cuore pesante.

   «Grazie» mormorò lei. «E scusa.»

   «Per cosa?»

   «Non ha importanza. Scusa» insistette, accigliandosi perché non le andava di ripetersi una terza volta: non era già abbastanza difficile confessare certe cose? Il giovane quasi rise, sollevato. Si passò una mano sul volto: stava tornando la Natsuki di sempre. Non ricevendo risposta, lei lo afferrò per la sciarpa e gliela strinse attorno al collo con fare violento. «E guai a te se questa conversazione giunge alle orecchie di altra gente» sottolineò per evitare sorprese in futuro.

   «S-Sarò muto come… un pesce…» rantolò Masashi, sentendosi soffocare, e temendo seriamente per la propria incolumità.

   La sua compagna lo lasciò andare e si rimise lentamente in piedi, guardandolo di sbieco. «Bene. Ora puoi andare a casa.»

   «Posso riaccompagnarti al dormitorio?» osò l’altro, mentre tornava a respirare a pieni polmoni.

   «Non se ne parla:» si scandalizzò Kuga, mostrandogli il pugno, «se qualcuno ti vedesse, penserebbe chissà cosa.» Nella sua testa si materializzò all’istante l’immagine di Nao che, spanciandosi dal ridere, le lanciava contro battutine idiote dai triplici sensi, uno più sconcio dell’altro.

   Il capitano della squadra di kendo annuì, alzando le mani in segno di resa. «Allora… ci vediamo domani.»

   «Sì, meglio.»

   Si levò sulle gambe robuste ed iniziò ad allontanarsi, le mani in tasca, ancora troppo frastornato per l’accaduto per potersi sentire libero di dare un giudizio sull’evoluzione che aveva preso il suo rapporto con l’amata.

   Natsuki lo seguì per qualche attimo con lo sguardo, indecisa se richiamarlo indietro o meno per potergli chiedere quel maledetto numero di telefono. Alla fine desistette, stringendo nel pugno il fazzoletto che lui le aveva prestato.

 

 

 

 

 

«Dove stai andando, adesso?» le chiese Sakomizu-sensei, interrando delle nuove piante nella piccola aiuola di cui si prendeva quotidianamente cura.

   Nascosta dietro al solito albero che la teneva all’ombra degli sguardi indiscreti, la ragazza dai capelli scuri fece qualche passo in avanti ed alzò gli occhi al cielo, ammirando estasiata la pioggia di petali di ciliegio che cadevano dagli alberi del giardino della scuola: con l’arrivo della primavera, anche lei si sentiva rinascere come la natura. «Chi lo sa. Penso di aver bisogno di un po’ di tempo per riordinare le idee. Questo è quello che voglio fare adesso.»

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Non so se qualcuno si aspettava qualcosa di diverso, ma il finale di questa long-fic era praticamente già segnato dall’epilogo della serie animata, dalla quale ho appunto rubato le ultime battute di Sakomizu e Natsuki.

Spendo due parole per dire "Grazie di cuore!" alle persone che mi hanno sostenuta in questa impresa e che mi hanno dato un parere sincero al riguardo: Hinata_chan, NicoDevil, Atlantislux, Hanako_chan, Gufo_Tave e Chiarucciapuccia.

Lasciatemi fare, però, un ringraziamento speciale ad una ragazza che circa un mese e mezzo fa ha letteralmente ucciso l’ispirazione che mi avrebbe consentito di scrivere una semplice shot su Natsuki e Yuuichi (sempre sulla scia di Pioggia), perché quel giorno la suddetta persona fece un grave torto a me e ad altre due mie amiche, offendendo pesantemente la nostra moralità e dubitando della nostra onestà. All’epoca non lo avrei mai detto, tuttavia è stato proprio grazie a quel penoso incidente, che tra l’altro ha portato quella tizia ad allontanarsi dal nostro gruppo (poiché tutti gli altri ci hanno difese a spada tratta), se ho potuto imbastire questa storia a capitoli in cui mi sono gettata perché nauseata dalla cecità e dall’ottusità del fandom yurista (specie quello non italiano). Secondo alcune fangirls, poi, tra le due, è Natsuki ad essere in torto poiché non ricambia i sentimenti di Shizuru, e non quest’ultima che si è approfittata di lei. Roba da manicomio.

Sebbene non siano la mia passione, non ho nulla contro lo shoujo-ai e/o lo shonen-ai, purché essi abbiano senso: lo ShizNat, secondo la mia logica, non ne ha (non in Mai-HiME, per lo meno), ecco  perché non posso scriverci su. E, sperando di avere spiegato a dovere le mie motivazioni proprio in questa fiction, concludo affermando che sono stata davvero felice di sentire il parere di altre persone che la pensano allo stesso modo al riguardo.

Grazie ancora di tutto,

Shainareth

 

 

 

 

 

 

  
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