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Autore: Ciarun    20/08/2015    1 recensioni
1492, Colombo salpa alla ricerca di una nuova via per l'oriente, ma non trova le Indie... e nemmeno l'America. Storia dove il fantasy e lo storico si mescolano. (Chiedo scusa per la qualità dei miei disegni fatti a mano, ma non sapevo in quale altro modo fare)
Genere: Avventura, Fantasy, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prologo:

Terra! Che magica parola. “Ancor più magica”, pensò l’ammiraglio accarezzandosi i capelli sudati, “quando l’unico albero che vedi per mesi è quello della nave”. Ma ora l’attesa era finita e le speranze riapparivano come la linea sottile della costa all’orizzonte. “Don Colòn, siamo salvi!” esclamò un mozzo guardandolo con le lacrime agli occhi. Era incredibile pensare a quanto fosse stata tesa l’atmosfera fino qualche minuto prima, ai tentati ammutinamenti, alla paura tremenda di perdersi nell’infinità dell’oceano; ma tutto era stato cancellato da quelle visione stupenda.  Colombo annuì al marinaio, “E’ così.”, sospirò con aria saggia,  “Io non ho mai dubitato neanche per un secondo che ce l’avremmo fatta.” Non era vero. Si considerava un uomo colto e istruito, lontano dalle superstizioni dell’equipaggio, eppure, per qualche momento, nella sua testa l’immaginazione aveva galoppato troppo velocemente. Con i giorni che passavano tutti uguali e il mare che si estendeva senza sosta di fronte a lui, un mare che nessun uomo, eccetto forse l’Ulisse di Dante, aveva osato attraversare, più di una volta aveva avuto l’impressione di scorgere una qualche strana figura tra i le onde scure. Che fosse uno di quei mostri marini di cui parlavano le leggende? Aveva subito scacciato dalla mente quell’idea ma la parte più irrazionale di lui era tornata a fare capolino la notte dopo. Aveva sognato di essere chiamato dalla vedetta terrorizzata;  era salito in camicia da notte sul ponte e lì la visione lo aveva agghiacciato: la distesa dell’acqua ad un tratto si fermava a sprofondare in un abisso senza fine, tra scrosci di spuma e un rumore incredibile. Era follia! Chiunque avesse studiato un po’ sapeva che la Terra non era piatta, eppure lo spettacolo di fronte a lui era vivido; poteva quasi percepire sulla guancia il calore bruciante dell’Inferno che lo attendeva sul fondo del burrone. Si era svegliato con l’aria frastornata tipica degli incubi più improbabili, la camicia da notte bagnata di sudore. Ora però tutto era finito finalmente e sia lui che l’equipaggio potevano tirare un sospiro di sollievo, anzi, adesso in Colombo stava facendo capolino una certa agitazione, un entusiasmo quasi palpabile. Nonostante tutte le critiche e i dubbi alla fine era stato lui ad aver ragione, aveva trovato la via per le Indie e ora avrebbe potuto sbattere in faccia il suo successo a quegli ingrati dei suoi connazionali a Genova e a tutti quelli che avevano dubitato di lui. “Si,” mormorò con la bocca che si incurvava in un sorriso, “ora tutto andrà per il meglio.”
La spiaggia era di un bianco accecante, più scuro sulla battigia e lo sguardo di Colombo si perse per un attimo a fissare il riflusso del mare che cancellava le loro orme sulla sabbia bagnata, poi fissò gli occhi sui marinai che lo circondavano. La maggior parte di quegli uomini erano marmaglia ignorante, dispostissima a sgozzare qualcuno per una bottiglia di rum fino a poco prima, eppure ora erano tutti in silenzio e sull’attenti, in attesa della sua mossa. Percepivano l’importanza dell’occasione e in quel momento anche lui sentiva la tensione garrire in lui come la bandiera che teneva in mano. “Reclamo queste terre in nome delle maestà cattolicissime Isabella di Castiglia e Ferdinando d’Aragona!”, esclamò piantandola nella sabbia soffice. Un coro di esultanze seguì dappresso quelle parole e l’atmosfera solenne si dissipò con esse. I marinai cominciarono ad allestire l’accampamento lungo la spiaggia, ma il genovese sapeva che prima c’era qualcos’altro da fare. Chiamò a se dieci degli uomini più affidabili dell’equipaggio, “Esplorate la zona,” ordinò, “vedete se riuscite a trovare fonti d’acqua, di cibo e presenze di indigeni. Se doveste imbattervi in qualcuno non fate nulla di avventato e correte subito a chiamarmi. Ci siamo intesi?” “Non vi preoccupate Don Colòn,” rispose Pedro, un catalano dai folti baffi scuri e dai denti marci, “faremo tutto per bene.” Detto ciò il gruppetto scomparve tra gli alberi che circondavano la costa e Colombo tornò a dirigere la costruzione dell’accampamento. In questo modo passò via senza schiamazzi gran parte del pomeriggio, finché, al calar del sole, un frastuono distrasse gli avventurieri. Troppo lontano per vedere di cosa si trattasse l’ammiraglio si fece porgere un cannocchiale: tra le fronde si agitavano nella fuga le figure degli esploratori che lui stesso aveva mandato poco prima ma erano meno di quanti erano partiti e, soprattutto, non erano soli. Alle loro spalle qualcosa li inseguiva, qualcosa che dapprincipio a Colombo parve solo una macchia scura, poi,aguzzando la vista, tutto fu più chiaro e il genovese si stropicciò per bene gli occhi per essere sicuro di non stare sognando. Alla luce del crepuscolo correva veloce una creatura, forse appena uscita da un bestiario antico, alternando spostamenti sulle zampe poderose a brevi planate con le ampie ali. Era un grifone! Gli sembrava assurdo anche solo pensarlo eppure era esattamente questo: un grifone; identico a come era descritto nelle leggende. Il petto era muscoloso e piumato, sormontato da una testa aquilina che strideva e schioccava in continuazione il becco, le zampe anteriori erano artigliate come quelle di un rapace e tra le scapole spuntavano due ali, in quel momento strette intorno ai fianchi della creatura. Avvicinandosi al ventre le piume scure si diradavano fino a scomparire in una pelliccia rossiccia che ricopriva le zampe di un grosso felino e una lunga coda. L’essere, una volta uscito dal fitto degli alberi, stese per un secondo le ali in tutta la loro ampiezza, come a volersele sgranchire, poi si slanciò in avanti e con un piccolo volo, o un grosso salto a seconda dei punti di vista, atterrò su uno dei poveri malcapitati e cominciò d infierire con il becco e gli artigli. Colombo guardò inorridito per qualche secondo, poi udì, o gli parve di udire, a quella distanza non era sicuro di nulla, un’imprecazione in una lingua sconosciuta. Riportando l’occhio sulla scena vide qualcosa, che dopo poco identificò con un piccolissimo dardo, conficcarsi nel fianco della bestia, che si limitò a gracchiare ma non si mosse. A quello seguirono un altro dardo e poi un altro, e un altro ancora, finche le cosce e il ventre del grifone non ne furono ricoperti, a quel punto la creatura si allontanò dalla preda ferita e prese a correre, forse reso folle dal dolore, poi si accasciò a terra inerte. Solo allora, dalla macchia emerse un gruppetto di quindici, venti uomini, vestiti di abiti marroni e verdi, adatti a mimetizzarsi nel bosco e tutti armati di cerbottane. I figuri circondarono il grifone tramortito e si affrettarono a legarlo con funi robuste.  Colombo posò lo strumento, notando solo ora di avere la bocca spalancata dallo sconcerto. Intorno a lui i marinai lo guardavano ansiosi di capire cosa stesse succedendo, o provavano ad aguzzare la vista per scorgere loro stessi la scena, ma con scarsi risultati, come si poteva dedurre dalle loro espressioni. Ed era un bene per loro, venne da pensare all’ammiraglio. Tutto questo andava ben oltre i suoi sogni assurdi di mostri marini e voragini nel mare, solo che era pura e semplice realtà. “Dove diavolo sono finito?”, mormorò sconcertato. Nessuno seppe dargli una risposta.
   
 
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