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Autore: rossella0806    20/08/2015    2 recensioni
Aurora è una ragazza con un passato molto doloroso alle spalle: dopo l'ennesima batosta ricevuta nella vita, decide di rifugiarsi in un paesino sperduto, un posto magico circondato da lago e montagne, per poter riflettere e ridare un senso alla propria vita.
Qui si ritroverà a fare i conti con se stessa e con la curiosità dei paesani, gente semplice che si rivelerà di grande aiuto per la sua rinascita spirituale.
Grazie a tutti loro, dal sindaco impicciona, a Liliana, la bottegaia del paese, a Linda, una ragazzina di dodici anni, a Macchia, un gattino trovatello e a Tommaso, aitante vigile del fuoco, Aurora imparerà a vivere e ad affrontare la sua solitudine.
E, alla fine, non solo verrà riscattata dalla sua passione per la fotografia ma, grazie anche ad un incontro inaspettato, si scoprirà più forte e amata di quanto avrebbe mai immaginato.
Genere: Commedia, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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RICORDI E IDEE


SABATO 22  LUGLIO


Il mattino successivo, Aurora e la madre si avviano verso la piccola stazione ferroviaria del paese.
L’aria è frizzante, il sole si sta alzando nel cielo limpido e sereno.
La strada che conduce alla stazione non è molto lunga, ma per raggiungerla è necessario attraversare un paio di vicoli, la piazza della chiesa e passare sopra il ponte che divide le due rive del fiume.
Una volta fatto tutto ciò, gli ultimi duecento metri dal traguardo sono invasi, da un lato, da cespugli di buganvillea e casette a due piani, dall’altro da distese di prati più o meno incolti e ricoveri di bestiame ormai in disuso.
Giunte a destinazione, le due donne si dirigono verso la bacheca con gli orari di partenza e arrivo dei treni.
-C’è n’è uno alle otto e diciassette. Ti può andare bene?- domanda la figlia, un vestito di viscosa blu dalle maniche corte.
-Non ho fretta. Altrimenti a che ora c’è?-
La madre, una camicetta bianca e un paio di pantaloni rossi sui sandali, trasporta con noncuranza una borsa nera, particolarmente capiente, di paglia intrecciata, mentre fissa il grande ritaglio di carta, fisso di orari e località a lei sconosciute.
Aurora continua a non fissare la donna, poi, con voce annoiata, prosegue:
-Alle otto e venticinque, alle otto e trentatré … ogni otto minuti per intenderci-
-Prenderò il primo che hai detto, tanto tu non resti qui con me, vero?-
-Perché dovrei restare? Ci sono altre persone che aspettano come te-
-Ma io non le conosco, e loro non conoscono me-
La più giovane delle due scuote la testa indispettita, rivolgendo alla più anziana un sorriso a metà tra il sarcastico e l'allibito:
-Ho delle commissioni da sbrigare, se vuoi posso rimanere fino a quando arriva il primo treno, non di più ... -
-Se ti senti in obbligo, non è necessario. Mi siederò su quella panchina e aspetterò da sola-
La accontenta la madre, mentre si siede sull’unica panchina in pietra della stazione, la borsa di paglia appoggiata sulle ginocchia, aspettando che anche la figlia faccia lo stesso.
-Non ti sei informata nemmeno per il treno che devi prendere in città?- domanda Auroa dopo un minuto di silenzio, le braccia conserte, mantenendosi sempre a debita distanza dalla donna.
-No, non ho avuto tempo. Ieri mattina credevo di essere in ritardo per prendere quello che mi avrebbe portato qui. Aurora, cerca di capirmi, ti prego! Mi sono alzata alle cinque per raggiungerti, solo per farti piacere … non avercela con me, almeno provaci!-
-Non sono io quella che ha iniziato tutto, forse non te lo ricordi-
-Se vuoi punire me, lo accetto, ma ricordati che a casa ci sono tante persone che aspettano il tuo ritorno: tuo padre, tua sorella, tuo fratello … -
-Non è mio fratello!-
La forestiera deve aver pronunciato un po’ troppo ad alta voce quella considerazione, perché i due uomini in giacca e cravatta di fianco a lei, si girano e le rivolgono uno sguardo interrogativo.
Così, a voce più bassa, prosegue:
-E’ un estraneo per me, con cui non voglio avere nulla a che fare. Aver sentito parlare di lui e aver visto una sua fotografia poco più che bambino, non vuol certo dire conoscerlo!-
La donna abbassa lo sguardo: sa che quello che le ha appena detto la figlia corrisponde a verità, tuttavia non vuole ammettere neppure a sé stessa l’errore che ha commesso anni prima. Prende coraggio e ritorna a guardare in faccia la sua interlocutrice:
-Se non vuoi tornare per noi, torna per il tuo lavoro, per i tuoi colleghi, i tuoi amici … -
-Lascia stare i sentimentalismi, non ne sono in vena … guarda, sta arrivando il treno. Ciao, buon viaggio– spara a raffica la ragazza, facendo già per allontanarsi da tutta quella situazione sgradevole.
-Aspetta- la blocca la madre, il braccio a trattenere quello della figlia -pensa a quello che ti ho detto. E ricordati che per quanti sforzi uno faccia, non si riuscirà mai a scappare da se stessi, mai, ricordatelo. Si può andare in capo al mondo, dall’altra parte dell’oceano, ma non possiamo cancellare quello che proviamo e soprattutto quello che siamo- 
Poi si avvicina per darle un bacio sfuggente sulla guancia e, senza degnarla oltre di uno sguardo, sale lentamente sul treno.


Quando esce dalla stazione, Aurora ha la testa che le scoppia: le tempie le pulsano e le lacrime le pizzicano gli occhi, ma non sono ancora pronte a scendere.
Tornerei solo per lui, si dice, per i suoi sorrisi e la sua bocca, per le sue parole.
Rimane per qualche secondo sul viale affiancato dai cespugli di buganvillea: due bambine stanno giocando nel cortile della casa di fronte, ridono spensierate mentre fanno a gara a chi lancia più in alto la palla.
Vorrei essere come loro, anzi no, vorrei solo la mia vita di prima, quella che mi permetteva di essere normale e di non soffrire ogni giorno appena apro gli occhi.
Senza pensarci, le viene in mente una poesia che aveva letto su uno di quei quadernetti dedicati a sentimenti così vivi eppure così cedevoli: l'amicizia, l'amore, la fiducia, tutte parole che, senza la persona giusta con cui condividerle, risuonano vuote e impossibili …

Credo in te.
Credo nel tuo sorriso
Dono della tua felicità.
Credo nelle tue lacrime
Di gioia o di tristezza.
Credo nel tuo sguardo
Limpido e sincero.
Credo nella tua parola
Di amore e di speranza.

Ormai lei a cosa crede? A chi deve credere? Tutta la sua esistenza è stata un inganno, gli attimi di spensieratezza, di gioia, di allegria, persino quelli tristi, non sono mai stati pienamente condivisi.
Non le rimane altro che una famiglia spezzata e uno sconosciuto che tenta di entrare a far parte della sua vita.
La testa continua a scoppiarle, le tempie a martellarle e le voci e le scene a rincorrersi nella testa.
Le mani dalle dita affusolate a cercare il suo viso, la bocca sottile che si distende in un sorriso perfetto e che si adagia dolcemente sul collo di lei, il corpo premuto con delicatezza contro il suo. E poi …
L’ufficio vuoto, lui all’inizio scherzando le prende il volto, le mani salde nella presa, prepotente l’attimo dopo, la bocca egregiamente disegnata a cercare con infernale passione quella di lei, la figura alta e atletica a premerle il corpo. E poi …
-Hai un fratello-
-Ma cosa dici, mamma?! Ho solo una sorella, quella rompiscatole di Silvia. Cos’è, hai bevuto?!-
-Non sto scherzando, ha due anni più di te. L’ho avuto quando abitavamo in Belgio: tuo padre viaggiava sempre per lavoro e noi due c'eravamo appena sposati da qualche mese. Credevo che mi trascurasse e che mi avesse scelta solo per ripicca nei confronti dei suoi genitori e della ragazza che avevano deciso per lui, così da stupida ho cominciato una relazione con uno scrittore norvegese che avevo conosciuto per la casa editrice… -
-Ma cosa stai dicendo?!-
-E’ la verità, Aurora. Ho dovuto prendere una decisione non sai quanto sofferta: rovinare la famiglia che avevo appena formato, ammettendo la verità, oppure far crescere di nascosto tuo fratello. Da codarda, ho fatto quest’ultima scelta.
Non è stato difficile, la pancia praticamente non mi si vedeva, e tuo padre era sempre in viaggio.
Due giorni dopo la nascita di Edoardo, l’ho affidato a una coppia di nostri amici italiani a Liegi, e per i successivi tre anni che siamo rimasti lì, ho potuto vederlo ogni giorno.
Poi, quando siamo di nuovo tornati in Italia e sono stata assunta a tempo pieno dalla casa editrice, tutto è stato più difficile e allo stesso tempo più semplice: ogni volta, appena potevo, correvo da lui … perché credi che mi assentassi così spesso per tutti quei giorni? Non era solo per lavoro come vi raccontavo, ma era per andare a trovare Edoardo, e trascorrere quanto più tempo possibile con mio figlio. Sono stata una madre mostruosa, ma per lui ci sono sempre stata: ci telefonavamo, ci scrivevamo, solo per le feste non potevamo stare insieme, perché voi eravate e siete la mia famiglia. Ho cercato di rimediare come meglio ho potuto … tu riesci a capirmi?-
-E’ tardi per capire … Chi altri lo sapeva?-
-Nessuno-
-E adesso? A chi lo hai detto adesso?-
-Tu sei la prima-
-Nemmeno Silvia lo sa?-
-No, nemmeno lei-
-E papà?-
-Non ho il coraggio di affrontarlo-
-Mi stai rovinando la vita, te ne rendi conto?-
-Voglio migliorartela, Aurora, desidero solo che tu, insieme a Silvia lo conosciate, solo questo. Poi spetterà a voi decidere se frequentarlo oppure no. Ti prego, vi chiedo solo un incontro o una telefonata. Lui vuole conoscervi-
-Io invece voglio dimenticarlo,ancora prima di incontrarlo, così come voglio dimenticare te!-
Il resto del colloquio Aurora lo ha come rimosso: ancora adesso non vuole ricordarlo, è come se il velo di Maya avesse ricoperto quegli attimi vissuti in maniera così brusca, così cruda, catapultandola in una realtà che le hanno sempre deliberatamente fatto ignorare.
La sensazione di essere uscita troppo presto da quel guscio protettivo che ha continuamente considerato la sua esistenza, la fa sentire come il bruco che ha perso precocemente la sua crisalide, come il serpente che ha effettuato troppo presto la muta.
Ma quella rivelazione, in confronto a quanto sarebbe successo pochi giorni dopo, era solo un aperitivo amaro, dal gusto acido, che rimane in bocca per lungo tempo, e basta un nonnulla perché si ripresenti prepotente sulle papille, a coprire tutti i sapori più dolci.
Il ricordo di quella notte non l’abbandona mai, lo ritrova nell’odore della paura che invade i suoi sogni, un odore che all’inizio è invitante, ma presto diventa acre, irrespirabile e opprimente ...
Lei che si  fa convincere a bere, proprio lei astemia, il ricordo vivo e ancora pulsante dei vestiti stropicciati, delle sue mani a bloccarle i polsi, lei che stupida e infantile, prima di quel gesto e prima dell’arrivo di lui, aveva addirittura creduto di provare qualcosa per l’altro, quell’uomo così forte, con quel piglio da comandante, sempre sicuro di sé e del suo lavoro, sempre pronto a sorriderle.
E poi capire che era solo una sciocca infatuazione, non per l’uomo, ma per il ruolo che rivestiva, per le belle parole, i bei vestiti, il tono di sicurezza che traspariva dalla voce.
Tutto distrutto, la sua vita, il suo lavoro, il concorso per diventare assistente, tutto.
Solo il viso di lui, quel sorriso perfetto, quel profumo inebriante che si sprigiona dalle dita affusolate e da quel corpo, solo lui poteva ancora rappresentare l’ancora di salvezza, senza la quale, la nave della sua esistenza precaria, sarebbe inevitabilmente affondata.
 

La forestiera ritorna alla casa rossa completamente affranta e stordita: si prende una pastiglia per il mal di testa e si rintana nella sua camera per cercare di riposare, ma non riesce a tenere gli occhi chiusi per più di mezz’ora, così si alza dal letto e si affaccia alla finestra.
Le tempie ora non le pulsano più, la mente sta ritornando lucida e al presente: mentre il suo sguardo si allarga verso il lago in lontananza, le affiora avida l’ idea della mostra fotografica che deve cominciare a preparare.
Non ha ancora i pensieri molto chiari su come realizzare il progetto, anche se ormai mancano pochissimi giorni all’inizio dei festeggiamenti e quel pomeriggio vorrebbe andare dalla sindaco per presentarle un primo abbozzo della mostra. 
All’ improvviso la sua mente ha un’illuminazione che è convinta farà molto piacere anche alla prima cittadina.
Si dirige verso il cassetto dello scrittoio, presa da un desiderio insperato di fare, di disegnare, di creare.
Prende un foglio di carta e una penna e inizia a scrivere.



Quando arriva nell’ufficio del sindaco, poco prima delle quattro, viene accolta molto cordialmente.
La stanza è piccola ma ordinata e particolarmente luminosa grazie alla grande finestra che dà le spalle alla scrivania.
Sulla parete di sinistra ha trovato spazio una libreria con gli scaffali imbottiti di libri e di piccole cianfrusaglie, su quella destra invece una poltrona color caffè in eco pelle che ha tutta l’aria di essere comoda, protetta davanti da un tavolino di vetro.
Le due donne si salutano con una stretta di mano, poi la prima cittadina indica alla forestiera una sedia di legno intarsiato di fronte allo scrittoio: Aurora si siede ubbidiente, sebbene il richiamo della spaziosa poltrona sia molto forte, forse perché le dà un senso di accoglienza e di protezione che da tempo ormai ricerca invano. Così, senza aspettare oltre, distoglie la sua attenzione dall’oggetto banalmente normale, dirottandola invece sul motivo per cui è lì:
-Non sapevo se l’avrei trovata, ma ho voluto venire ugualmente-
-Ha fatto bene! Di solito il sabato non sono in ufficio, tuttavia a pochi giorni dall’inizio della festa, ho ancora molte faccende da sbrigare: gli ultimi preparativi, il discorso inaugurale da correggere, più altre noiose ma necessarie incombenze che riguardano l’amministrazione!  Allora- prosegue la donna, un tailleur grigio perla che le avvolge la snella figura, i capelli raccolti in una crocchia – ha già pensato a qualcosa per la realizzazione della mostra fotografica?-
-Sì, sono venuta proprio per parlare di questo, anche se è solo un’idea e non so se potrà piacerle-
-Lei la esponga, poi valuteremo insieme se può andare bene oppure no. La ascolto-
La ragazza estrae dalla tracolla arancione il foglio di carta su cui ha scritto poche ore prima i suoi pensieri, e lo mostra alla prima cittadina:
-Credo che potrebbe venire fuori una bella cosa se unissimo la parte tradizionale del paese con quella  moderna: come vede, vorrei infatti dividere la rassegna in due spazi. Il primo ovviamente riguarda la festa, quindi scatterò delle fotografie che vadano a ritrarne la realizzazione, come ad esempio gli allestimenti degli stand dove verranno vendute le torte o quello per il banco di beneficienza. In poche parole seguirò il lavoro del Comitato dietro le quinte-
-Sì, potrebbe essere fattibile … e poi?-
-Sono rimasta colpita quando la sera della riunione in parrocchia, Liliana ha raccontato della sfilata dei carri: ecco, vorrei poter fare qualche foto o magari ritrarli durante la loro realizzazione … -
-Su questo punto purtroppo la devo interrompere: i carri vengono scelti e preparati almeno sei mesi prima dell’inizio dei festeggiamenti e gli abitanti dei vari rioni sono gelosissimi delle loro opere, è tradizione che vengano svelati solo il giorno della sfilata-
Un’espressione di scoraggiamento appare sul viso di Aurora.
-Allora potrei  fotografare solo i particolari, non il lavoro d’insieme. Crede si possa fare?-
-Potrebbe andare bene, anche se prima dovrà chiedere l’autorizzazione agli incaricati dei rioni … proverò a contattarli- la donna si appunta su un’agenda aperta di fronte a lei qualche riga, poi continua:
-E questa sarebbe la parte moderna della mostra, giusto?-
-Sì, esattamente. Allo stesso tempo, però, mi piacerebbe dedicare uno spazio anche alle figure tradizionali del paese, come i contadini e i mungitori. Li vorrei ritrarre durante le loro occupazioni quotidiane, scegliendo ovviamente un momento che anche a loro vada bene-
-Questa sì che è una bella idea! - annuisce la prima cittadina - potrebbe essere una bella lezione anche per i nostri bambini, che sempre di più si stanno allontanando dall’ esistenza semplice e genuina che tiene in vita il nostro paese. Sono convinta che saranno entusiasti anche gli altri membri del Comitato!-
-Questo vuol dire che posso mettermi all’opera già da oggi?-
-Direi proprio di sì: manca meno di una settimana all’inizio della festa e se vuole terminare in tempo, dovrà rimboccarsi le maniche. Un’ultima cosa, il nome della mostra lo ha già pensato?-
La forestiera annuisce sorridendo, indicando un mezzo scarabocchio su un angolo del foglio appoggiato sulla scrivania:
-Ho un’idea anche per questo. Le può piacere Lavori di ieri e di oggi: il passato e il presente fra tradizione e modernità? Forse è un po’ troppo lungo, però mi sembra che suoni bene!-
-S-ì, sì direi che può andare! Anche se ancora non le assicuro niente: prima di approvare l’intero progetto, vorrei sottoporlo anche agli altri membri del Comitato, ma come le ho accennato non credo ci saranno problemi. Più tardi proverò a sentirli e vediamo cosa dicono. Comunque, complimenti, mi sembra che abbia le idee piuttosto chiare su come realizzare il progetto … -
-Voglio farvi fare bella figura-
-E’ molto gentile da parte sua offrirsi così spontaneamente per una festa che nemmeno conosce! Dal momento che ha pensato praticamente a tutto, non resta che scegliere il luogo dove allestire la mostra, o già ne ha uno?-
-A questo non saprei proprio come rimediare. Non conosco ancora così bene il paese da … -
-Se me lo permette, almeno a quello ho già pensato io! Ha presente la vecchia chiesa abbandonata, quella di pietra, di fronte alla strada che porta in paese?-
-Uhm sì, l’ho vista quando sono arrivata-
-Molto bene. Quella è la chiesa di sant’Abbondio, l’hanno sconsacrata dopo la fine della seconda guerra mondiale: era diventata il rifugio dei nostri concittadini durante i bombardamenti sulle montagne e dicono che i nazisti abbiano compiuto delle azioni ignobili al suo interno, hanno rubato i paramenti e violentato alcune giovani del posto, tanto che il vescovo di allora ha preferito sconsacrarla. Nonostante la sua storia indubbiamente triste, l’apriamo una volta all’anno, proprio durante i quattro giorni della nostra festa, in modo che anche voi turisti possiate ammirarne i meravigliosi affreschi e venire a conoscenza della sua drammatica storia-
Un brivido percorre la schiena di Aurora.
-Non c’è un altro luogo dove poter allestire la mostra?-
-Purtroppo no. Si potrebbe fare qui in municipio, ma la verità è che di stanze disponibili non ce ne sono. Oppure c’è la casa rossa, però non so se lei sarebbe disposta ad ospitare l’intero paese e anche i turisti … -
-Se le cose stanno così, allora la chiesa rimane l’unica alternativa-
-Infatti … -
-Va bene- conclude la ragazza , alzandosi -ora è meglio che vada, così potrò riorganizzare al meglio le idee. Grazie ancora per la sua attenzione-
-Non deve ringraziarmi, anzi, grazie a lei per la sua generosità. Buon lavoro ... -




Il pomeriggio sul tardi, mentre sta attraversando la via principale, la forestiera si accorge ben presto che la notizia dell’installazione di una rassegna fotografica si è già diffusa per il paese.
Adesso, ogni qualvolta attraversi la piazza o si ritrovi a passare per le strade, tutti la fermano e vogliono saperne di più, ma lei non sa cosa rispondere, perché in realtà ha un sacco di idee nella testa, ma ancora nessuna pronta da realizzare.
Così si rifugia senza farsi vedere in un vicolo parallelo alla bottega dove è entrata pochi minuti prima per fare rifornimenti: lì è ben protetta dall’angolo di un muro di pietra, da cui sbircia un secondo sì e uno no, per riuscire a trovare il momento giusto in cui possa svicolare senza essere fermata per l’ennesima volta.
Quando finalmente rientra alla casa rossa, non appena apre la porta, il gatto che ha trovato tre giorni prima le viene incontro e comincia a miagolare con insistenza.
-Ciao, piccolo. Avrai fame, adesso ti do un po’ di latte ... - il felino le trotterella dietro fino alla cucina, dove attende il suo pasto davanti al sottovaso che è diventato la sua ciotola.
-Non ti ho ancora dato un nome e prima o poi dovrò farti vedere da un veterinario … - continua Aurora, abbassandosi per versare nella scodella il liquido bianco –potrei chiamarti Macchia, sei tutto nero ma quella chiazza che ti copre la pancia mi fai ricordare una macchia … -
Mentre il gatto continua a leccare nel sottovaso, lei decide di salire in camera da letto per cercare la sua macchina fotografica, i fogli da disegno e il carboncino: da quegli oggetti non si separa mai da oltre vent’anni, quando sa di poterli usare, li porta sempre con sé.
Apre il comò neoclassico e tira fuori tutto il materiale di cui ha bisogno per iniziare a lavorare al suo progetto.
Si avvicina alla finestra e la apre per fare qualche scatto di prova: all’orizzonte il lago è calmo e i riflessi del sole creano dei brillanti giochi di luce sulla sua superficie, mentre il campanile con la torre dell’orologio si staglia altezzoso e solido a poche centinaia di metri da lei.
Dalla posizione in cui si trova, le vette delle montagne non sembrano tanto alte, una vicina all’altra come una catena ininterrotta di triangoli un po’ in sovrappeso, ma sono ugualmente maestose e protettive.
C’è una buona luce e lei continua a fotografare, fino a quando intravede sul sentiero che porta alla casa rossa la figura di una bambina che si sta avvicinando: è Linda, la figlia della bottegaia.
Aurora si affaccia per salutarla, quasi felice per quel'incontro a distanza:
-Ciao, Linda! Che ci fai qui?-
La ragazzina alza la testa e si copre la fronte con una mano perché ha il sole contro e non riesce a vederla bene, ma riconosce subito la voce:
-Ciao! Sono venuta a fare una passeggiata. Posso entrare?-
-Sì, aspetta che scendo … -
-Che caldo che fa fuori. Qui invece è così fresco- esclama Linda, una volta entrata, mentre si fa aria con una mano.
-Vieni in cucina, ti offro del tè freddo: è alla menta,
l’ho fatto stamattina-
-Ah bene, ne ho proprio bisogno!-
Nel giro di pochi secondi, la bambina si è appena seduta su una delle sedie attorno al tavolo, quando esclama:
-Un gatto! Ma è tuo? Com’è piccolo … - lo prende in braccio, approfittando del fatto che il micio si faccia coccolare, regalandole anche qualche fusa.
-Si chiama Macchia, in realtà ho appena deciso il nome: l’ho trovato dietro al roveto nel giardino, qualche giorno fa. Mi ha fatto tenerezza e così l’ho preso, ma non so se è di qualcuno. Magari l’hanno perso e lo stanno cercando-
-Oh non penso proprio. Se qui in paese qualcuno perde qualcosa, nel giro di cinque minuti tutti lo sanno! E non mi sembra che qualcuno abbia smarrito un gatto!-
-Da una parte meglio così, mi ci sto affezionando. Senti, ti va di portarlo dal veterinario con me? Pensavo magari di andarci adesso, non è tanto tardi, però non so dove andare. In città ce ne sarà uno, vero?-
-Sì, c’è Ginevra, lei cura anche il mio Blasco!-
-Blasco?-
-Sì, il mio gatto-
-Ah, certo, il gatto arancione! Bene, allora passiamo da tua mamma e le chiediamo se puoi venire con me in città. D’accordo?
-Va bene. Finisco di bere il tè e andiamo!-
 
   
 
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