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Autore: Petricor75    21/08/2015    0 recensioni
Questa è una fanfic che ho scritto a quattro mani con la mia migliore amica, che ha anche un account qui, ma siccome non se lo ricorda, mi tocca citarla in questo modo! Lei è sempre stata la prima a leggere i tutti miei racconti, ma stavolta sono riuscita a coinvolgerla e ne sono molto contenta.
Contiene spoilers: Si precisa che la storia prende spunto dai fatti accaduti all'inizio dell'episodio 5.13, da quel momento esula dalla trama della serie TV, sebbene vi siano altri piccoli riferimenti che ho trovato carino incorporare.
Disclaimer:
Questi personaggi non mi appartengono, ma sono di proprietà degli autori di "Rizzoli & Isles".
Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Jane Rizzoli, Maura Isles
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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"Frankie! Falla finita! Non ci vado all'ospedale! Fattene una ragione!", protestò la bambina capricciosa che viveva dentro il Detective Rizzoli. "...Oookey... Mi arrendo Jane!", esclamò indietreggiando suo fratello, scorgendo da lontano l'inconfondibile Toyota di sua madre fermarsi nel parcheggio in prossimità del molo. Lei si voltò nella stessa direzione e immediatamente si sgonfiò, "NaaaahFfffrankieeee!", brontolò alzando gli occhi al cielo. Il fratello prese coraggio e l'affrontò con tono risoluto. "Jane! Basta giocare! Hai bisogno di qualche ora di riposo, hai bisogno di scaldarti...", la squadrò indignato arricciando il naso, "...e di farti una doccia, oserei dire! Non vuoi andare in ospedale? Ok! Ma togliti dalla testa di andartene in giro da sola, per le prossime ore! ...dovresti ringraziarmi, che l'ho tenuta lontano da qui fino a stamattina!", concluse indicando la donna che si avvicinava con passo veloce cinguettando i loro nomi. Guardò il fratello piacevolmente stupita e inorgoglita. "Jane! Jane...", la chiamò la madre raggiungendola. "Tesoro! Stai bene?", chiese concitata mentre le prendeva il viso tra le mani. L'agitazione la faceva sempre risultare più materiale del solito e a lei parve di essere tornata bambina, quando tutte le donne italiane del quartiere dov'era cresciuta le strizzavano le guance. "Mh!", articolò agitando goffamente le braccia, "Mh! Lhscihmi hndhre Mh!", si divincolò dalla presa, "Mà! Ho quarant'anni, Cristo!", esclamò guardandosi intorno imbarazzata.

Angela si mise al volante con aria offesa. Teneva la bocca serrata e respirava pesantemente. Mentre la scrutava, a Jane venne da pensare che in quell'occasione, Maura avrebbe detto che il suo linguaggio del corpo avrebbe dovuto influenzarla anche nella guida, rendendola più aggressiva, come affermavano le statistiche. Il suo sorriso si allargò istintivamente e subito si spense al ricordo di ciò che era accaduto poco prima tra loro. Affondò nel sedile, "Mà...", la chiamò. "Non adesso, Jane! Non una parola!", esplose Angela, gesticolando animatamente. La donna si arrese così al fatto che sarebbe stato un lungo viaggio, verso casa.

"Jane, ti ho preparato una bella cioccolata calda, non traccheggiare, altrimenti si raffredda!", gridò Angela dalla cucina di Maura mentre versava la bevanda in due grosse tazze, per farsi perdonare la reazione di poco prima. Si mise in ascolto, in attesa di una risposta da parte della figlia, era sicura che avesse sentito. Aveva aspettato che spegnesse il phon, prima di togliere dal fuoco il pentolino con la delizia. "Jane! Avanti tesoro, sbrigati!".

"Arrivo, Mà!", rispose spazientita lei dal bagno della dependance, infilandosi una maglietta. "Cristo!", imprecò rassegnata a bassa voce per non farsi udire oltre le pareti. "La doccia non ha funzionato un granché", pensò avvilita compatendosi davanti allo specchio. Fece un profondo respiro e si trascinò fuori, attraversando il vialetto che separava le due abitazioni, ciabattò fino al divano e vi si accasciò stancamente senza degnare di uno sguardo la madre. Angela la studiò attentamente in silenzio, con le labbra contratte, mentre continuava a girare distratta la sua cioccolata. Decise di prendere in mano la situazione e mettere da parte la propria arrabbiatura riguardo al gesto sconsiderato che la figlia aveva compiuto solo poche ore prima. Con le tazze di cioccolata ognuna in una mano, si avviò verso il divano lasciando dietro di sé una scia profumata. Si sedette delicatamente vicino alla sua primogenita e le porse una delle due porcellane, mentre la scrutava con amore e apprensione. Jane accettò la calda bevanda biascicando un "Grazie", mentre fissava lo schermo della TV spento. "Tesoro mio.. Cosa c'è che non va?", chiese timidamente. "Niente Mà", si risvegliò la donna. "Non sei per niente convincente!" rispose fingendosi offesa Angela, "Ricordati che sono tua madre, non ti ho mai vista così... vuoi aiutarmi a capire cosa ti fa soffrire così? ...Perché quello che vedo è dolore, no?", aggiunse addolcendosi la donna. L'altra si portò la tazza di cioccolata alle labbra e ne prese un piccolo sorso prima di annuire brevemente. Angela attese che la figlia proseguisse, passò quasi un minuto, prima di sentirle bisbigliare il nome di Maura. Seguitò a guardarla amorevolmente in silenzio. "Non lo so, Mà...", continuò scuotendo il capo, "...quando sono scesa da quella specie di peschereccio ero così felice di vederla... di abbracciarla... ma lei...". La madre attese pazientemente sorseggiando dalla sua tazza. "...lei era fredda... lontana... non riusciva neanche a guardarmi negli occhi, Mà! Non l'ho mai, mai vista così... neanche quando ho sparato a Paddy Doyle!", concluse delusa Jane, finalmente rivolgendo uno sguardo umido di lacrime alla donna, deglutì a vuoto riuscendo a tamponare il pianto. La madre posò la sua bevanda sul tavolino basso davanti al divano, prese gentilmente la tazza dalle mani di Jane e depositò anche quella, prima di cercare ancora le sue mani. Si prese un lungo momento per raccogliere i pensieri. "Quando Frankie stamattina mi ha chiamata dicendomi cosa era successo, mi sono infuriata con lui e anche con Maura, per non avermi avvertita prima, ma poi ho ragionato... cosa avrei potuto fare, se non dare di matto anche io?", le raccontò, "...mi ha detto che quando è arrivato, Maura era sotto shock, non faceva che scrutare l'acqua affacciata dal ponte, e continuava a gridare il tuo nome, ci sono voluti più di dieci minuti a tuo fratello, per allontanarla da lì... era sconvolta, Jane! Temeva di averti persa per sempre... si sarà sentita in imbarazzo di mostrarsi tanto vulnerabile di fronte a tutta quella gente...", aggiunse, "...di palesare i suoi sentimenti per te...", azzardò delicatamente, dopo un attimo di silenzio, per enfatizzare il concetto che voleva esprimere. Scrutò Jane, che teneva lo sguardo basso dall'inizio di quella conversazione, le prese il viso con una mano e gentilmente la costrinse a guardarla negli occhi. "Jane...", la chiamò, "...come mai tu sei così tanto turbata e neanche un pochino arrabbiata? Te lo sei chiesto, tesoro?", Angela non voleva una risposta, e seguitò a parlare, per impedire alla figlia di interromperla, "...io credo che dovresti farti tutte queste domande, prima di andare da lei e chiedere il perché del suo comportamento, in maniera che possiate chiarirvi.", concluse. "Non ti seguo, Mà!", affermò perplessa la figlia. Angela si alzò lentamente dal divano, "Pensaci tesoro, concediti di pensarci e apriti alle risposte che ti darai... tutto succede per un motivo, Jane... non lasciare che questo trambusto che... che hai combinato...", affermò in tono scherzoso per non far sentire la figlia in difetto, "...lasci il tempo che ha trovato... fa che serva a qualcosa... il modo in cui tu e Maura avete vissuto e reagito a quello che è successo è molto significativo... non lasciatelo passare così...", concluse. Si chinò sulla figlia per depositarle un amorevole bacio sulla testa, si voltò per prendere le tazze sul tavolino, e si avviò verso la cucina, comunicando così a Jane che la conversazione era conclusa del tutto.

Era da molto tempo che rifletteva sul rapporto tra Maura e sua figlia, ed era convinta che il legame tra le due donne fosse, ora più che mai, ad un punto di svolta. Al contrario di Maura, Jane aveva passato l'infanzia e l'adolescenza circondata da amici e amiche e aveva avuto più di una migliore amica, aveva abbastanza termini di paragone. Dal canto suo, Angela anche aveva avuto una migliore amica, e sebbene la vita le aveva separate, erano sempre rimaste in contatto, e le poche volte che si vedevano era come se si fossero lasciate il giorno prima. Ma non ricordava che si fossero mai guardate come si guardavano sua figlia e Maura. Non ricordava che si fossero mai punzecchiate come facevano loro due continuamente. Non ricordava questa pseudo-dipendenza che invece era palese tra le due donne. "Non possono stare lontane pochi giorni l'una dall'altra, che si cercano in continuazione! Ha sentito tramite Skype più Maura in tre giorni di assenza, che Casey durante tutto il tempo che lui ha passato in Afghanistan! E chi c'era con Jane, quando andava dal medico per la gravidanza? Maura! E quando ha perso il bambino, chi l'ha vegliata tutto il tempo in ospedale? Sempre Maura! Ma guarda un po'!", rifletté sorridendo Angela, mentre lavava le due tazze. Ma non spettava a lei tirare conclusioni al posto loro, di questo ne era ben consapevole. Dovevano arrivarci da sole, e il rischio che era stato corso quella notte non poteva restare vano.

"...Ma guarda un po'!". Jane, assorta nei suoi pensieri e sdraiata sul divano, stava fissando distrattamente il soffitto, sbarrò immediatamente gli occhi, sicura di non essersi assopita involontariamente. Silenzio, rumore di stoviglie sbattute. Si alzò lentamente, facendo lavorare i suoi addominali, fino a far capolino dallo schienale del divano. Il suo sguardo verso la cucina era un misto tra stupore e curiosità, la bocca leggermente distorta in una buffa smorfia di disgusto. La madre era intenta ad asciugare le stoviglie. "Che c'è... ci sono i fantasmi ora? Ci stai facendo amicizia?", sbottò in una delle sue battute. Angela si voltò di scatto con aria vaga e imbarazzata, "Eh?". Jane assunse un'espressione basita. "Mà! ...con chi cavolo stavi parlando, si può sapere?", domandò con i suoi tipici modi da bambina stizzita. Angela, resasi finalmente conto di aver ragionato a voce alta, schiacciò il sedere contro il bancone sperando di avere la forza necessaria a spostare anche tutta la parete a cui era fissato, potendo così allontanarsi dalla figlia. "Io?", domandò paralizzata, saettando lo sguardo a caso da un punto all'altro della grande stanza, nel tentativo di farsi venire in mente una scusa credibile. Si ricordò dello strofinaccio che stringeva ancora in pugno, "Aaahh... no... ehm... dicevo...", esordì, voltandosi verso il lavello, "...ma guarda un po'... che... macchie di calcare su questo rubinetto!", cinguettò affaccendandosi a strofinare energicamente macchie inesistenti sul metallo lucido. Dopo pochi istanti di pesante silenzio, la vibrazione del telefono della Detective la salvò da ulteriori indagini.

"Rizzoli... ok arrivo subito", parlò la donna alzandosi dal divano. Angela notò con piacere che il viso della sua ragazza era un po' più disteso e capì di essere salva. "Devo andare, Mà!", comunicò avvicinandosi. La guardò dolcemente abbozzando un sorriso e inaspettatamente l'abbracciò, "Grazie, Mà... ti voglio bene...". A quel punto la madre la strinse ancora di più a sé. "Mà... Non respiro...", bofonchiò Jane col sorriso sulle labbra.
   
 
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