Anime & Manga > Rocky Joe
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Autore: innominetuo    21/08/2015    13 recensioni
Joe Yabuki ritorna sui suoi passi, dopo un anno di dolore e di rimpianto. La morte di Tooru Rikishi lo ha segnato profondamente. Ma il ring lo sta aspettando ormai da tempo.
E non solo il ring.
…Se le cose fossero andate in un modo un po’ diverso, rispetto alla versione ufficiale?
Storia di pugilato, di amore, di onore: può essere letta e compresa anche se non si conosce il fandom e quindi considerata alla stregua di un'originale.
°°°°§*§°°°°
Questi personaggi non mi appartengono: dichiaro di aver redatto la seguente long fic nel rispetto dei diritti di autore e della proprietà intellettuale, senza scopo di lucro alcuno, in onore ad Asao Takamori ed a Tetsuya Chiba.
Si dichiara che tutte le immagini quivi presenti sono mero frutto di ricerca su Google e che quindi non debba intendersi il compimento di nessuna violazione del copyright.
Si dichiara, altresì, che qualsivoglia riferimento a nomi/cognomi, fatti e luoghi, laddove corrispondenti a realtà, sono puro frutto del Caso.
LCS innominetuo
Genere: Drammatico, Romantico, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Bianche Ceneri'
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Al Tange Boxing Club...

Danpei se ne rimase letteralmente con la bocca spalancata, di fronte all’ospite inatteso.

Quella sicumera, quel particolare modo di vestirsi, così elegante quasi al limite dell’affettato… Quando poi il tizio portò la mano alle labbra per estrarre la sigaretta, traendone pigramente uno sbuffo di fumo, Danpei notò con orrore che gli mancava l’ultima falange del mignolo destro*. Uno yakuza. Magari si trattava pure di uno dei coordinatori, uno shatei-gashira**, visto e considerato il livello di eleganza dei suoi vestiti, che stonava nella cornice di povertà del quartiere… Non era affatto un brutto ceffo, anzi. Si intuiva che dovesse essere al massimo sulla cinquantina, anche se a prima vista poteva parere più anziano, per lo sguardo segnato da molte rughe di espressione: era di media statura, di corporatura snella ma forte e nervosa, con una folta zazzera nera con pochi fili grigi ed un viso dai lineamenti regolari e gradevoli. Gli intensi occhi neri lo fissavano, tranquilli. Ma fu il leggero sorriso sulle labbra ben disegnate a far scorrere un brivido in Danpei per tutta la sua colonna vertebrale.

Conosceva quel sorriso. Lo aveva visto neanche una mezzoretta prima…

“Piacere di fare la Sua conoscenza, Tange-san. Ormai era tempo che Lei ed io ci scambiassimo due chiacchiere, in tranquillità. Spero anzi di non disturbarLa. È da solo?” gli chiese con pacatezza. La sua voce aveva un timbro piacevole, non troppo profonda, quasi musicale.

“S-sì… in questo momento sono solo… ma ancora non mi ha detto chi è Lei…” riuscì finalmente Danpei a farfugliare, presagendo e temendo la risposta dello sconosciuto.

“Mi perdoni, ha ragione. Ecco a Lei il mio biglietto da visita.”*** chiosò l’interpellato, consegnandogli con garbo un raffinato biglietto in carta di riso, contrassegnato dal logo della “famiglia”.

Una delle più importanti del Giappone.

“Hiro Nakamura…” sillabò Tange, cercando di prendere tempo per decidere cosa fare e come comportarsi. Di sottecchi, scrutava l’uomo.

“Non mi fa accomodare? Le ruberò solo un momento.” Senza parlare, Tange si scostò dall’uscio, per permettere a Nakamura di entrare nella palestra. L’ospite entrò con disinvoltura, andando a sedersi sulla panca di legno. Si appoggiò al tavolo, per stare più comodo, guardandosi tranquillamente intorno. “Vedo che qui non ve la passate molto bene…” sottolineò, con fare compunto.

“Che cosa vuole?” eruppe Danpei, non potendone più. Più trascorrevano i minuti, più quel tizio lo faceva innervosire. Lo temeva, sì, essendo uno di quelli, ma al tempo stesso voleva che quell’incontro finisse il prima possibile.

Nakamura lo contemplò un attimo, con calma. “Credo che Lei abbia capito molto bene che cosa io voglia. Io non sono qui per Lei, ma per Joe.”

“…Perché?”

Al che Nakamura trasse un leggero sospiro.

“Suvvia, Tange-san. Lei non è uno stupido. E possiede uno sguardo vivace, sebbene da un solo occhio. Quando poco fa Le sono apparso davanti, è letteralmente sobbalzato” enunciò, sorridendo.

“Che cosa vuole dal mio ragazzo?” ringhiò Danpei, mostrandogli i grossi pugni davanti al viso.

“Il mio ragazzo, vorrà dire. Non intendo più rinunciare a lui.” concluse, asciutto.

“Lo rivuole…adesso? Dopo più di vent’anni? Dov’è stato finora?” gli urlò Tange, furibondo, afferrandolo per il bavero e scuotendolo come un fantoccio. “Dov’era, quando quel povero figliolo vagava da solo come un’anima in pena, senza che nessuno si occupasse di lui? Dov’era quando si è messo nei pasticci, finendo in riformatorio? Dov’era tutte le volte che Joe era stanco, affamato, aveva i brividi di febbre, si sentiva solo? Eh? Adesso cosa pretende, maledizione!”

Nonostante ciò, lo sguardo di Nakamura rimase imperturbabile. Con estrema calma, questi strinse la grossa mano di Danpei in una morsa d’acciaio, staccandosela d’addosso bruscamente. Si intuiva una forza non indifferente nel magro corpo racchiuso in quell’elegante completo sartoriale. “Ora si calmi, per favore. Lei non può sapere come siano andate le cose. L’ho lasciata sfogare solo perché vuol bene a mio figlio e tiene a lui. Ma non accetterò altre Sue intemperanze. Mi ha capito?”

Tange rabbrividì, dando le spalle allo yakuza. Improvvisamente sentì freddo, molto freddo, nonostante la primavera inoltrata.

°°°°°°

Diciannove anni prima, all’incirca… Kyoto, hanamachi di Gion Higashi.


“Come sarebbe dire… sono spariti nel nulla?” sibilò Hiro, ad una Kaneko pallida come il marmo.

“Calmati, Nakamura-san. Ti prego.” intervenne in tono sommesso la padrona dell’okiya, Fumiyo Watanabe, un’anziana ed impeccabile signora di mezz’età. “È da stamattina che stiamo cercando Kahori per tutta Kyoto e stiamo impazzendo dalla preoccupazione. Soprattutto per il piccolo Kei****… Dove sarà finita quella benedetta figliola? Dove?” mormorò la donna, torcendosi le mani. Kaneko piangeva silenziosamente, ad occhi bassi.

Hiro comprese che le due donne erano sinceramente ignare del motivo della sparizione di Kahori e del bambino, oltreché in preda ad un’autentica angoscia. Di solito tra la padrona di un’okiya e le geishe si instaura un rapporto cordiale sì, ma sempre entro certi confini dettati dalla forma e dall’etichetta. Invece, nella okiya Watanabe si era creata, col tempo, un’atmosfera familiare: Fumiyo e Kaneko erano sinceramente affezionate alla giovane maiko, la più bella ed invidiata di tutta Gion. Quando erano state messe al corrente della sua gravidanza, non solo l’avevano convinta a rimanere all’okiya, ma si erano prese cura di lei e del suo bimbo in arrivo. Una volta nato, Kei era stato oggetto di coccole e di cure infinite da parte di tutte e tre: dopo un fugace momento di delusione da parte di Fumiyo, che aveva sperato nella nascita di una bambina da avviare, a suo tempo, alla carriera di geisha, il piccolo Kei era stato trattato dalla oka-san come un nipotino. La scomparsa improvvisa di Kahori e del suo figlioletto aveva sconvolto letteralmente la buona signora che, insieme alla geiko*****, si era subito precipitata in prefettura per denunciarne la scomparsa. Tutte le affannose ricerche della giornata, purtroppo, non avevano dato ancora buoni frutti.

E così sarebbe stato anche nelle settimane e nei mesi successivi…


°°°°°°°

“L’ho cercato per anni… insieme a sua madre. Solo dopo molte ricerche venni a sapere dell’incidente del pullman in cui sopravvissero solo poche persone. Il corpicino di Kei non venne mai ritrovato. Kahori riposa a Niigata” nominandola, un velo di tristezza attraversò lo sguardo di Hiro “Poi per molti anni non potei più occuparmi personalmente della ricerca di mio figlio, perché il mio waka-gashira mi inviò negli Stati Uniti per implementare i nostri affari. I miei detectives privati, che avevo assoldato per ritrovare Kei in mia assenza, non appena riuscivano a rintracciarlo, ecco che lui spariva di nuovo.”

“Joe è cresciuto in vari orfanotrofi: non appena fuggiva da uno, veniva riacciuffato e rinchiuso in un altro. Credo che fosse per questo motivo che non si riusciva mai a trovarlo…” sospirò Danpei, che da alcuni minuti stava ascoltando con molta attenzione le vicende personali di Nakamura e le origini di Joe. Era profondamente commosso. Solo per una sfortunata serie di circostanze quel povero ragazzo non aveva potuto godere dell’affetto e del calore di una famiglia!

“Esatto. Anche il fatto che avesse un cognome fittizio non ha di certo facilitato le mie ricerche… Kahori non lo aveva ancora dichiarato all’anagrafe… Né io avevo ancora potuto riconoscerlo ufficialmente. Per questo Kei non aveva documenti di identità indosso. E quando lo trovarono, il corpo di sua madre, a causa dell’incidente, non stava accanto a lui. E così in orfanotrofio gli hanno attribuito nome e cognome di comodo, reputandolo un orfano senza genitori.******”

“Ed ora?” chiese Danpei, che si era alzato un momento per prendere una bottiglia di sakè, che offrì a Nakamura.

Ci sono momenti, nella vita, che necessitano di un goccetto, perché sono troppo più amari dell’alcool…

“Ed ora voglio avvicinarmi a mio figlio. Voglio che mi accetti come suo padre. Lo avevo già ritrovato, grazie agli echi della stampa, quando ha cominciato con la carriera di pugile… poi dopo la morte di un suo avversario è sparito di nuovo…” mormorò, bevendo un sorso di sakè con fare meditabondo “È bravo come pugile. Molto bravo. Mi riempie d’orgoglio, come il giorno della sua nascita… io lo cullavo, sa? Lo ninnavo finché non si addormentava: era un neonato molto irrequieto, faceva fatica ad addormentarsi…”

“Già… ecco l’origine della triste melodia che spesso Joe fischietta, quasi senza accorgersene…” rifletté Tange “Lei sa perché Kahori è scappata con il bambino?”

Nakamura abbassò lo sguardo, con molta tristezza. Tange provò quasi compassione per il pericoloso yakuza che ora appariva così abbattuto. “Kahori non sapeva della mia… professione, ecco. Le avevo mentito, spacciandomi per un agente commerciale. Temo che l’aver scoperto la mia appartenenza ad un’ikka debba averla sconvolta…”. Con mano tremante, Hiro trasse dalla tasca interna della giacca a doppiopetto un biglietto, ove erano vergate poche righe, porgendolo a Danpei. Quel biglietto era l’unica cosa che Kahori avesse lasciato all’okiya per lui, oltre ad una lunga lettera in cui chiedeva perdono a Fumiyo ed a Kaneko. Tange fece scorrere lo sguardo su quelle poche righe, mezze cancellate dalle lacrime (“Non permetterò che Kei-chan diventi un bugiardo ed un delinquente come te. E non ti perdonerò mai per avermi ingannata. Mai. K.”).

“Capisco.” Tange sospirò. “Solo che temo che sarà difficile per Joe accettare la situazione. Ha sofferto molto nella vita, anche se cerca di non darlo mai a vedere, tenendosi tutto dentro. Se posso permettermi di darLe un consiglio…” cominciò Tange, un po’ titubante.

“Mi dica pure. Il Suo parere è importante per me: Lei è l’unica figura paterna che il mio ragazzo abbia conosciuto sinora… di certo lo conosce meglio di me…” concluse, sorridendo amaramente.

“Cerchi di essere graduale, di non voler entrare nella sua vita tutto di un botto. Io prometto che Le darò una mano per farLa accettare da Joe. Ma La avviso: quel ragazzo ha il cuore d’oro, ma è testardo come un mulo ed odia le novità. Si è costruito tutto da solo il suo equilibrio e fatica ad accettare i cambiamenti, persino quelli belli.”

“Grazie. Lo apprezzo molto, davvero” sussurrò Hiro, con la voce rotta dall’emozione.

“Però guardi che io ne faccio un’altra, di promessa. Guai a Lei se dovesse farlo soffrire. Guai a Lei se dovesse abbandonarlo, dopo essersi conquistato la sua fiducia. Yakuza o no: io La farò a pezzi. Sono stato chiaro?” ruggì l’ex promessa dei pesi massimi. “La vede questa benda? Sa perché ho perso l’occhio e con esso la possibilità di diventare un campione?” chiese Tange, sfiorandosi la toppa sull’occhio sinistro. Al silenzio di Hiro, proseguì: “Fu a causa di uno di quelli come Lei. Un incontro truccato, organizzato da un sokaiya*******. Evidentemente, qualcosa andò storto… e così un gancio destro mi ha privato della vista dell’occhio, rendendomi guercio. Dopo poco, venni a sapere che il premio in palio all’incontro era farlocco e che il mio avversario aveva tenuto nascosto un sasso nel suo pugno che, chissà come mai, era sfuggito al controllo di routine! Questo per dire che quelli come Lei hanno un debito con me, Danpei Tange. Non lo dimentichi. E non dimentichi che non permetterò mai che si faccia del male al mio Joe.”

“D’accordo, Tange-san. Terrò bene a mente le Sue parole.” Nakamura si alzò, si inchinò rispettosamente a Tange e, senza dire più nulla, se ne andò.

Appena pochi minuti dopo tornarono sia Joe che Nishi: per tutto il resto della giornata trovarono Tange un po’ troppo silenzioso.
 
§§§§§§§

Qualche giorno dopo… nel tardo pomeriggio.

“Ehm… è permesso?”. Il grazioso visino di Noriko fece capolino nella palestra. Ad un saluto di Tange accompagnato da un sorriso, la fanciulla entrò, portando con sé una sporta di paglia che appoggiò con garbo sul tavolo, traendone fuori un paio di completi sportivi di differenti taglie, oltre che una vestaglia da ring in satin azzurro. Bella ragazza, pensò Danpei. E pure dolce e gentile… magari quel benedetto figliolo si fosse deciso una buona volta ad invitarla ad uscire, per fare pure lui la vita come tutti i giovani della sua età! Eppure Joe sembrava fare orecchie da mercante, al riguardo. Sempreché… sempreché non ci fosse di mezzo una certa signorina… dei quartieri alti, però… Il chiacchiericcio allegro di Noriko lo distolse dalle sue fantasticherie.

“Ecco qui, Tange-san, le due tute che ha ordinato al nostro emporio: ce le hanno consegnate oggi. E questa…” disse, dispiegando bene, per tutta la sua lunghezza, la bella vestaglia azzurra “questa invece è un mio regalo personale per Joe… ho ricamato il suo nome sulla schiena: spero che gli piaccia…”

“È bellissima, Nori grazie. Se non gli piacesse, sarebbe uno stupido. Grazie ancora, cara.” disse Tange, un po’ commosso, accarezzando il satin, chiamandola con il nomignolo affettuoso in uso nel quartiere.

“Non c’è di che. Ne sto ricamando un’altra, pure per Nishi, anch’essa azzurra. Non è stato facile trovarne una della sua taglia, per questo non è ancora pronta ed ho ritardato a ricamarla. L’ho spiegato oggi a Nishi, giù al negozio, per evitare che si offenda…”

Tange sorrise: era tipico di Noriko essere gentile e garbata con tutti e non trascurare mai nessuno nelle sue piccole attenzioni. Nonostante si sforzasse di trattare Joe e Nishi allo stesso modo, però, non vi erano dubbi sulla sua predilezione per il primo. Anche se, a voler chiamare le cose con il loro nome, non era solo predilezione quella che la ragazza provava per Joe… L’oggetto dei pensieri di Noriko fece infine il suo ingresso, accompagnato da Saki & Co.: dopo le ore di allenamento di routine, il ragazzo aveva finalmente accontentato i suoi piccoli amici, portandoli a giocare al pachinko******** in una sala giochi non troppo lontana dal quartiere. I bambini riempirono la palestra di risate e di scoppi di voci, mostrando a Danpei ed a Noriko i giocattoli vinti da Joe.

“Io ho la macchinina più bella!”

“Zitto, Kinoko! Io ho qui la volante della polizia! Ha pure la sirena!!!” urlò Chūkichi, eccitatissimo, facendo correre la sua rumorosa macchinina sul pavimento del ring.

“Ma cosa dite? Vogliamo parlare del mio guantone da baseball? Neppure Yoshio Yoshida********* ne ha uno così!!!” chiocciò Tonkichi, tirando su con il naso, essendo perennemente raffreddato.

“E finitela di fare tutto ‘sto casino! O zio Joe non ci porterà più in giro!” brontolò Taro, che, dall’alto dei suoi tredici anni, si atteggiava ormai a fratello maggiore, sgridando spesso i più piccoli.

Joe sorrise a Noriko, facendola arrossire, suo solito. Aveva passato un’oretta in allegria con quelle piccole pesti, rilassandosi in vista del match del giorno dopo, che si sarebbe tenuto contro Harajima. Un po’ di tempo in compagnia dei bambini gli aveva consentito di sgombrare la mente e di affrontare l’incontro più in serenità. Finalmente i cinque monelli uscirono fuori per giocare sul prato con i loro nuovi giocattoli, e gli adulti poterono tirare un attimo il fiato, oltre che dare sollievo ai loro poveri timpani.

“Ehi Joe, guarda un po’ qui, cosa ha fatto per te Noriko” annunciò Tange, sollevando un poco la vestaglia e mostrandogli la scritta sulla schiena “Ha ricamato lei stessa il tuo nome e quello della nostra palestra. Visto che bella?”. Joe accarezzò la stoffa, allargando la vestaglia per esaminarla meglio. Il ricamo era stato eseguito a regola d’arte, con caratteri occidentali molto eleganti.

Il ragazzo era senza parole. Deglutì, un po’ imbarazzato, riuscendo finalmente a dire qualcosa: “L’hai fatto per me? Non so che dire… grazie, Nori. È stupenda questa vestaglia.” La ripiegò con garbo, posandola sul tavolo. Noriko divenne di tutti i colori dell’arcobaleno, dato che Joe, un po’ sovrappensiero, non smetteva di fissarla.

Tange colse la palla al balzo: “Perché non la riaccompagni a casa? Si sta facendo tardi e questo non è un quartiere raccomandabile… già che ci sei vedi di stanare Nishi, che sta lavorando un po’ troppo ultimamente. Deve pure allenarsi, o prevedo dei pessimi risultati per i suoi prossimi incontri!” brontolò Tange, cominciando a preparare la cena.

“Mi spiace Tange-san… per Nishi, intendo. Mio padre gli sta facendo fare molti straordinari… ormai non riesce più a fare a meno di lui!” sorrise Noriko, felice all’aspettativa di essere riaccompagnata a casa da Joe e di poter stare da sola con lui per qualche minuto.

“Ok. Andiamo, Nori.”

Fuori dalla palestra, non v’era più traccia dei bambini: come un piccolo stormo di passerotti, essi si erano volatilizzati, tornando ciascuno di loro alle proprie case, essendo ormai quasi ora di cena. I due giovani poterono quindi incamminarsi in assoluta tranquillità. Per qualche minuto, camminarono fianco a fianco in perfetto silenzio. Poi, timidamente, Noriko infilò la sua mano, prendendo a braccetto Joe. Questi si voltò leggermente, guardando la ragazza, cosa che fece divenire questa di bragia per l’ennesima volta. Riprendendo a camminare a passo tranquillo, i due raggiunsero il parco giochi Tamahime Koen, a quell’ora completamente deserto.

“Joe…” mormorò Noriko, un po’ incerta.

“Hmm…?”

“Ecco… so già che ti sembrerò sfacciata… ma…” balbettò.

“Cosa c’è, Nori?” sussurrò Joe, con dolcezza, avvicinandosi a lei, cosa che le fece balzare il cuore in gola. “Dimmi: cosa c’è…”

“Io volevo chiederti s-se posso sperarci…” farfugliò la ragazza, ormai del colore dei papaveri, con voce quasi inudibile.

Joe batté le palpebre, un po’ perplesso. Tuttavia, era da qualche giorno che Joe si stava sforzando di pensare un po’ anche a Noriko, cercando di scacciare dalla mente il pensiero di Yoko. Doveva a tutti i costi smettere di fantasticare su una donna tanto inaccessibile per lui, così ricca e potente, e dedicare le sue attenzioni, piuttosto, ad una ragazza semplice e carina come Nori, abituata a vivere in un quartiere modesto. Una ragazza che circolava a piedi o al massimo in bicicletta, indossando un paio di jeans e senza nessun filo di perle.

Un dannato filo di perle che si intonava alla perfezione ad una certa carnagione, luminosa e candida come la neve…

Maledizione.

Più cercava di non vedere davanti a sé il bellissimo volto di Yoko, e più l’illusione continuava a prender vita…quasi sognando ad occhi aperti! Così, soprattutto per smettere di fantasticare, Joe, senza pensarci due volte, racchiuse tra le mani il viso di Noriko e si chinò a sfiorarle le labbra. A Noriko parve di librarsi in volo… chiuse gli occhi e gli si rannicchiò sul petto, per meglio gustare la sensazione meravigliosa del sapore delle labbra di Joe… non aveva mai osato immaginarsele così morbide e dolci… Il bacio però durò solo per pochi secondi: Nori dovette ridiscendere subito sulla terra, per il pesante tonfo che si udì, a poca distanza tra loro, cosa che li fece sussultare entrambi, facendoli staccare l’uno dall’altra, con fare imbarazzato.

“Scusate se vi ho interrotto.”

Con voce atona, Nishi tirò su la bicicletta, che gli era scivolata dalle mani, sconvolto alla vista del suo migliore amico che stava baciando la ragazza dei suoi sogni.

“Nishi… cosa… cosa ci fai qui?” riuscì ad articolare Noriko, non senza fatica.

“Nulla di che. Ho staccato dal lavoro ed ho tagliato per il parco per far prima. Non pensavo di incontrare nessuno… né volevo disturbare.” concluse, con malcelato sarcasmo.

“Stavo riaccompagnando Nori a casa. Tange ti sta aspettando per gli allenamenti. Io ritorno subito.”

“Oh, non ti preoccupare, Joe. Fai pure con comodo.”

Al che Nishi, stringendo le labbra per non piangere, inforcò la bici per sparire via da lì il prima possibile.

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SPIGOLATURE DELL’AUTRICE:


Il personaggio di Hiro Nakamura è di mio esclusivo appannaggio: non esiste nella storia originale. Del resto, ho spiegato come avviso nel prologo che la fan fiction rispetta la storia originale, soprattutto per quanto concerne la carriera pugilistica di Joe (incontri e sfidanti), ma che contiene pure delle "novità" sulla vita personale di alcuni personaggi, Joe per primo. Infatti, io ho ideato per lui una serie di accadimenti sul piano privato (cfr. "what if?" negli avvisi), per meglio svilupparlo come persona oltre che come pugile.

*Yubitsume: ovvero l’amputazione delle dita. Gli appartenenti alle “famiglie” (chiamate ikka) della Yakuza si autoinfliggono l’amputazione delle dita (di solito partono dall’ultima falange del dito mignolo: ogni infrazione, un’amputazione… che allegria, eh!) quando devono farsi perdonare un ordine mal eseguito. In questo modo, saldano il loro “debito d’onore” con i boss e non vengono scacciati dai clan. Le origini di questa pratica, oggi interamente simbolica, risalgono all’epoca samurai: quando una katana, cioè la spada del samurai più lunga delle due che porta su di sé, è impugnata correttamente, il mignolo è il dito più forte, l’anulare è il secondo dito più forte, il medio il terzo dito più forte e l’indice non conta quasi nulla. Lo yubitsume comporta un indebolimento della mano e quindi della capacità di impugnare correttamente la spada, ponendo lo spadaccino come più debole e quindi dipendente dal suo padrone per la sua protezione.

**La Yakuza è piramidale e fortemente gerarchica. A capo dell’organizzazione troviamo il kumi-chō (“capo famiglia”). Sotto di lui vi sono: il saiko-komon, ovvero un consigliere anziano che gestisce un gruppo di avvocati, consulenti, commercialisti, segretari e contabili; il waka-gashira, che vigila sull’esecuzione degli ordini del kumi-chō; lo shatei-gashira, che coordina i diversi capi regionali. Ad ognuna di queste figure corrispondono svariati gruppi e sottogruppi di sottoposti, i kyodai (“figli”), suddivisi in dozzine di sottofamiglie.

***So che può sembrare strano, ma gli yakuza non si vergognano affatto ad esporsi: essendo praticamente intessuti nella società giapponese, sono soliti approcciarsi in modo molto educato e cortese, proprio come le persone “normali”… mostrando con orgoglio i loro biglietti da visita, con ivi esplicata la loro appartenenza alla “famiglia”!

****il nome Kei in giapponese vuol dire “benedetto”: mi è piaciuto e l’ho scelto per questa ff. È sia maschile che femminile.

*****Geiko è un sinonimo di geisha.

******Yabuki in giapponese vuol dire “piedi piccoli”: ho dedotto che in orfanotrofio glielo avessero attribuito per una caratteristica fisica di Joe bambino. Un po’ come accade nei nostri orfanotrofi, con cognomi augurali del tipo di “Diotallevi”.

******* Il termine sokaiya (“esperto di meeting”) indica una particolare categoria di ricattatori professionisti. Il loro modus operandi consiste nell’acquistare delle azioni di una società, in modo da poter presenziare alle assemblee con i soci azionisti. Nel frattempo, oltre che acquistare le azioni, i sokaiya si avvalgono di investigatori privati per raccogliere informazioni dannose sulla società: status finanziario, pratiche irregolari di gestione dell’azienda, scandali privati (...pure a luci rosse...), prove di evasione fiscale, mobbing in danno ai lavoratori, violazione di leggi sulla sicurezza e sull’inquinamento. Poi contattano l'imprenditore e lo minacciano di rivelare le informazioni acquisite. Questa forma di estorsione fa fruttare fior di quattrini alla Yakuza. Per camuffare i pagamenti ai sokiya, le imprese organizzano falsi eventi-specchietto, come feste di beneficienza, concorsi di bellezza, o tornei sportivi.

********Il pachinko è il gioco d’azzardo più popolare fra i giapponesi ed i rumorosi locali (assordanti, anzi!) in cui si pratica sono quasi sempre affollatissimi proprio perché è un gioco che in Giappone non passa mai di moda. Le macchinette del pachinko si presentano di aspetto simile al nostro flipper, posizionato più in verticale, ma con un funzionamento molto diverso. Per giocare si acquistano in cassa delle piccole palline metalliche: inserendole, si deve lanciarle attraverso una specie di leva a molla per mandarle in punti precisi: se viene colpito il punto giusto, si accumula il punteggio, ed il giocatore potrà vincere altre palline che avrà modo di rigiocare oppure di permutare in denaro, in giocattoli, in piccoli elettrodomestici ed in articoli da regalo

*********Yoshio Yoshida, nato a Kyoto nel 1933 e tuttora in vita, è stato, in assoluto, il campione di baseball più famoso ed amato in Giappone.

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Se vi interessa approfondire l’argomento sulla Yakuza, vi lascio questo interessante link, da me consultato e studiato ad hoc: clicca

Come già avvisato nei precedenti capitoli, le note bibliografiche saranno compiutamente indicate pedissequamente ai credits in un link apposito, alla fine della fan fiction.

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Sì, lo so: avevo promesso l’angolo del boxeur per questo capitolo… solo che questa storia si sta praticamente scrivendo per conto suo, vive di vita propria e fa quello che vuole! L’incontro di boxe lo leggerete al prossimo aggiornamento, sorry! E ritroverete la bella Yoko, promesso!
  
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