Fanfic su artisti musicali > Pierce the Veil
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Autore: Laly_94    21/08/2015    2 recensioni
I Pierce The Veil non sono più una band da cinque anni ormai, e Vic ogni giorno si fa strada nella sua vita con il peso del senso di colpa sulle sue spalle, la sua vita gli fa schifo e vorrebbe aver lottato ai tempi.
Lila è una ragazza normale, bassa e banale, arrabbiata e in cerca di vendetta, ha una forza e una potenza che superano ogni limite.
L'incontro può solo scatenare un uragano.
Genere: Malinconico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti, Vic Fuentes
Note: OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
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5 – It’s Up To Me, I’m Gonna Do What I Have To Do
 
Aveva deluso tutti, aveva deluso chi in realtà amava, aveva deluso chi gli era sempre stato vicino, aveva persino deluso le persone che lo odiavano.
Ma non era quello che faceva più male, il dolore più insopportabile era aver deluso sé stesso, aveva tanti progetti, era una mente brillante, ripensare adesso a quello che era solo dieci anni prima lo fece rabbrividire, come mai era cambiato? Cosa gli era successo? Si era davvero montato la testa? Davvero non voleva più la gloria?
Quando era un bambino sua madre gli faceva vedere i libri dei più grandi esponenti rock, durante l’ora di musica il loro professore gli parlava del successo dei Rolling Stones, di come le loro canzoni arrivassero non solo alla testa, ma al cuore delle persone; aveva solo undici anni quando tutti parlavano della morte di Kurt Cobain, si ricordava di aver pianto per giorni.
Quello era l’effetto che avrebbe voluto fare, e per un periodo era stato così eh, la gente lo amava, lo acclamava, faceva piangere le persone con le canzoni che cantava, eppure…
Aveva voluto rovinare tutto, deludendo tutti.
Per quello non voleva vedere più quella ragazzina, Lila, lei da quel momento gli avrebbe ricordato tutti i suoi fallimenti, gli avrebbe ricordato quanto ci fosse ancora gente che lo odiava, non poteva farsi questo.
Deciso a lasciarsi tutto alle spalle, la sua teste premette il pulsante di reset e via, lei sarebbe stata solo una pazza che un giorno era entrata in negozio, niente di più, niente di meno, e se tornava?
Ci avrebbe pensato se fosse successo.
 
Lila quando finì di leggere quelle carte non potè essere più d’accordo, c’erano spiegate le ragioni per le quali avrebbe dovuto staccare la spina chela teneva in vita e le ragioni per le quali non avrebbe dovuto farlo, c’era spiegato cosa voleva dire quello che aveva sua nonna, era spiegato così bene e nei minimi particolari che quasi si sorprese.
Prese una penna dalla scrivania del medico e, con la mano tremante firmò le carte, doveva farlo, per sua nonna.
Una morte cerebrale significava che non si sarebbe mai più svegliata, anche se si fosse svegliata sua nonna non sarebbe stata più la stessa, rimaneva un vegetale, senza possibilità che il cervello tornasse a funzionare perché ormai era fuori funzione da più di 24 ore.
Sua nonna non sarebbe più stata la stessa, quindi a prescindere sarebbe stata sola, non ne valeva la pena pagare fior di quattrini sperando che tornasse come prima, quindi, dato che tutte le decisioni spettavano a lei, avrebbe fatto quello che le sembrava più giusto.
Inoltre doveva già all’ospedale duemila dollari, non voleva indebitarsi di più, in più Nana non si sarebbe mai svegliata, quindi che senso aveva?
Diede le carte al dottore che la guardò con un’espressione di dolore negli occhi.
-domani, alle 17.00 eseguiremo l’operazione, vuole essere presente?- chiese il medico.
-assolutamente!- rispose in tono sicuro.
Poteva sembrare impassibile e sicura di sé se solo quelle stupide mani avessero retto il gioco.
-se vuole mi posso informare per il funerale, lo stato a chi non ha abbastanza fondi lo offre.-
Al pensiero della spesa del funerale le salì la nausea.
Ringraziò il dottore dicendogli che se lo faceva per lei, gli sarebbe stata grata per tutta la vita, il dottore accettò, e poi si salutarono.
Lila diede l’ultimo saluto della giornata alla nonna, prese la sua borsa che aveva lasciato sulla sedia vicino a letto e uscì da quella stanza che puzzava di disinfettante, percorse quell’infinità di corridoi tranquillamente senza andare troppo veloce, ma neanche troppo piano.
Uscì anche dall’ospedale e si diresse alla macchina, inserì la chiave, azionò il motore e partì, le mani tremavano ancora ma era lucida e riusciva ad afferrare il volante saldamente.
Non aveva programmi per quel pomeriggio, infatti non tornò a casa non seppe come mai andò al negozio di musica e parcheggiò vicino all’entrata.
Con tutto quello che le era successo non si ricordava neanche chi ci fosse di turno in quel momento, le opzioni erano due: entrare e rischiare di incontrarlo, tornarsene a casa a deprimersi.
Dato che non aveva proprio voglia di deprimersi scese dalla macchina diretta all’entrata, trattenne il respiro e quando entrò e non lo vide in giro tirò un sospiro di sollievo, iniziò ad aggirarsi per i bassi scaffali cercando tutto e niente, con quello che aveva in tasca non si poteva neanche permettere una bottiglietta d’acqua, figuriamoci un CD!
Però le piaceva guardare, così andò allo scaffale delle nuove uscite per vedere cosa c’era di nuovo, oltre a colori sgargianti e culi in copertina non vide altro.
Prese in mano un CD e lo osservò i titoli delle canzoni erano privi di significato e per di più il nome in copertina era impronunciabile; come diavolo facevano le persone a comprare quei CD?
 
Vic non era a casa, era in negozio, stava mettendo tutti i nuovi arrivi in ordine su un carrellino che poi avrebbe portato fuori per finire di allestire lo scaffale, non stava pensando a niente in particolare, il suo pensiero andava semplicemente da un CD a un altro, si chiedeva come i cantanti erano caduti in basso con i nuovi CD, anche se alcuni di quelli non si meritavano neanche di essere chiamati tali, con vestiti sgargianti e voci metallizzate, poi li sentivi live e tutta la magia spariva, non sapevano cantare, erano stonati e magari non riuscivano neanche a stare in piedi per le parrucche o per i tacchi alti metri!
Quando finì di svuotare l’ultimo scatolone li impilò tutti e li buttò in un angolo, il camion dei rifiuti sarebbe arrivato il giorno dopo, uscì spingendo il carrello, non guardò le persone, anzi, tenne la testa bassa per paura che qualcuno potesse riconoscerlo, quando arrivò allo scaffale non notò la persona che stava prendendo il CD che anche lui voleva prendere per spostare.
Quando le loro mani si incontrarono però si guardarono.
-ciao.- disse lei impassibile, non c’era, e invece eccolo lì.
-ciao… posso aiutarti?- chiese gentile lui, al che lei si sorprese.
-no grazie… stavo solo guardando.- disse lei.
Lui spostò i CD e lei lo osservò fare quello che era diventato il suo lavoro, non si era mai soffermata sul suo viso non l’aveva mai visto da così vicino, era bello, malgrado la sua età era ancora giovane, quello sguardo non durò molto perché lui se ne accorse.
-sei tranquilla oggi.- commentò sorridendo. e quel sorriso… oh quel sorriso era la ragione per la quale lei si era innamorata di lui, quando a dieci anni aveva visto per la prima volta quella band in TV, il ragazzo che aveva davanti aveva sorriso alla donna che lo stava intervistando, la mente di una bambina è grande e aperta, e vedendo quel diciannovenne si immaginò che bella vita avrebbero vissuto insieme.
Quelli però erano sogni di una bambina.
-già… sono passata solo perché mi piace guardare… come stai?-
-di merda… tu?- chiese lui non staccando gli occhi da quello che stava facendo, come se non gli importasse molto della risposta.
-di merda… tu come mai?- chiese lei, non perché fosse curiosa, anzi, tutt’altro, le interessava poco il perché, però così avrebbero continuato a parlare.
-perché sono un coglione, te invece?-
-ho firmato dei fogli nei quali dico che voglio staccare mia nonna dal respiratore… morirà, domani alle cinque.- il che la fece sorridere oltre al vuoto nello stomaco…
-è strano no? Avere una data e un’ora precisa della tua morte…-
-già…- in quel momento il suo stomaco brontolò.
Da quanto tempo non mangiava??
-hai fame?- chiese lui accorgendosi.
-non proprio...-
-beh, il tuo corpo dice il contrario… ti va di venire a cena da me?- chiese lui, lei stava per rispondere quando lui sorrise…
-ah no, è vero, spariresti per giorni pur di non venire.- rispose lui al suo posto.
Lei a quelle parole si sentì male.
-a proposito di questo Vic… mi spiace, la sera che me l’hai chiesto, quando sono tornata a casa ho avuto da fare e il sabato non ho lavorato e sono stata impegnata in ospedale, non sapevano cos’aveva mia nonna e… perdonami…- a quella scusa non potè fare a meno di sentirsi in colpa con sé stesso… lei era stata male e lui… l’aveva presa in giro… chissà che dolore si celava dentro a quel piccolo corpicino…
-ti va di venire a cena da me?- chiese ancora, questa volta lasciò che lei rispondesse.
-sì, mi andrebbe molto.-
Lui sorrise e rimase un attimo a fissare i suoi occhi… ecco… i suoi occhi, non li aveva ancora visti bene ma, i suoi occhi, erano qualcosa di meraviglioso!
Così grandi e penetranti, azzurri macchiati di verde, in effetti lei era qualcosa di meraviglioso.
Si accorse che non l’aveva ancora guardata come si deve, e come avrebbe potuto?
Si ritagliò qualche secondo per osservarla, era appena più bassa di lui, magra ma con le curve al punto giusto, indossava una semplice canotta bianca e un paio di jeans in tinta, ai piedi portava un meraviglioso paio di sandali azzurri e i capelli lunghi e color cioccolato le ricadevano sulle spalle.
Non era truccata, ma stava benissimo così, gli zigomi erano alti, e le labbra rosee e carnose gli faceva sognare come sarebbe stato posare le sue labbra su quelle, quale privilegio, non aveva mai incontrato labbra così; gli zigomi però le donavano un’aria giovane, questo gli fece venite in mente una domanda.
-aspetta… ma quanti anni hai?- chiese curioso.
Ricominciò a mettere apposto lo scaffale.
-non si chiede l’età a una ragazza!- disse lei sorridendo, lui le sorrise, e riecco quel sorriso, quel diavolo di sorriso, da piccola si sforzava davanti allo specchio per rendere il suo sorriso così bello, ma non ci riusciva e aveva capito che quel sorriso era un dono, e quel dono ce l’aveva solo lui.
-scherzo… comunque ho ventun anni…- disse abbassando la testa mostrando un sorriso timido.
-ven… ventuno? Sei seria?- chiese bloccandosi.
-sì perché?-
-beh…- iniziò riprendendo a lavorare badando poco se metteva la D prima o dopo la E.
-innanzi tutto sei piccola… cioè non che io sia vecchio, però abbiamo dieci anni di differenza! E poi… andiamo! Sembra che hai almeno cinque anni in meno!- continuò.
-beh grazie… e comunque… chissene se ho dieci anni in meno! Mica ci dobbiamo sposare! E anche se fosse il problema sarebbe la differenza d’età o il fatto che tu sei stronzo?- chiese sorridendo, non voleva essere cattiva, infatti lui colse il tono scherzoso e lui fece finta di offendersi e tentò di rimanere serio.
-mi hai beccato, ma non dirlo a nessuno!- disse a bassa voce, lei scoppiò a ridere e quello che disse dopo non era intenzionato a far male o a riaprire qualche vecchia ferita però accadde.
-ti sei già rovinato da solo!- appena si accorse di quello che aveva detto però si scusò immediatamente, lui tentò di non dare a vedere che si era un po’ rattristato, ma andiamo! Se lo meritava!
-voglio scusarmi con te… non posso farlo con gli altri, ma con te posso e… mi farò perdonare, e quando mi perdonerai quel momento sarà solo un brutto ricordo del passato, non del presente come ora… stasera ti racconterò tutto quello che non sai…-


*note autrice*
mi scuso perchè ho appena scoperto che oggi è venerdì e non giovedì... sono un disastro! -.-' Comunque ecco il capitolo!
spero che vi piaccia e non dimenticatevi di recensire! <3
  
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