Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: dreyu95    21/08/2015    2 recensioni
Eren è un teeneger problematico, quando sua madre rimane uccisa per sbaglio durante una sparatoria decide di lasciare la società, sperimentando droghe e rubando nel degradante sobborgo di Trost. Crede di aver trovato la libertà, ma in realtà è nuovamente schiavo, di un vizio ben punibile dalla legge. L'incontro con uno strano sbirro gli cambierà ulteriormente la vita.
Genere: Angst, Erotico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Eren Jaeger, Rivaille, Un po' tutti
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti
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Endovena


1

Cosa prova un ragazzino quando torna a casa da scuola e degli uomini sconosciuti in divisa gli dicono che sua madre non c'è più?
Confusione, vuoto, dolore, rabbia.
Un essere giovane e innocente reso così fragile da non riuscire più a controllare le emozioni, ma non per questo incapace di comprendere davvero ciò che è successo.
Vendetta.

I giornali, la tv. Potevo sentire ovunque quella notizia; se anche avessi potuto premere un tasto nella mia testa con scritto RESET e cancellare la mia memoria mi veniva ricordato di continuo con violenza che mia madre era morta, per colpa di un uomo di cui non conosco il volto ma solo la divisa, di colore blu, simbolo di equilibrio, calma...
Sicurezza.
Continuava la sua vita e soprattutto il suo lavoro. Non c'è giustizia.
Giunsi alla conclusione che la società fa schifo. Non sei libero, non sei protetto e nemmeno aiutato.
Perciò un giorno...
"Andiamocene di casa"
Proposi alla mia sorella adottiva di lasciare tutto, la nostra dimora, la nostra scuola e vivere in strada, da soli. Ero sicuro che ce la saremmo cavata. Non avevamo bisogno di vivere come voleva la merdosissima società di cui non mi sentivo più di fare parte, con quel padre incapace rotto in culo assente il giorno che nostra madre è morta e persino al funerale perchè fuori per lavoro.
"Ti seguirò. Qualunque cosa tu decida di fare, io sarò con te. Sei la mia famiglia"
Accettò e non perdemmo tempo per fuggire.
Ciò che desideravo era essere libero, o almeno credere di esserlo; ma in realtà c'era una cosa che desideravo ancora di più, che volevo assolutamente, io...
"Lo ucciderò. Con le mie stesse mani."
Quando questo pensiero rimbombava nella mia testa non ero in me. Decisamente. Eppure a volte tornava a tormentarmi. Allettante e pungente, come l'ago che stava perforando la mia pelle fino ad addentrarsi nella vena del mio braccio.
Sete di vendetta, che non potevo ancora colmare.
Sollievo. Pochi minuti di gradevole e leggero sollievo. E poi sentirsi uno schifo, si, come la società. Ed è pesante, come il mio corpo. Non riuscivo più nemmeno a piangere ormai, eppure inizia a sentire delle gocce scendere sul mio viso. Ah, la pioggia.
Iniziò a piovere nella degradante e trascurata periferia di Shingashina.
"Eren!" Una voce familiare.
"Mikasa"
Mia sorella si avvicinò restando di fronte a me, in piedi, a fissarmi in silenzio per qualche istante. Adocchiò la siringa nella mia mano. Sguardo indecifrabile. Afferrò l'oggetto e lo lanciò lontano con fare brusco, si sedette accanto a me.
Ancora silenzio, a parte il rumore della pioggia che aumentava.
"Sono stanco"
"Cerca di riposare"
Sentii il calore di una stoffa calda sulla mia spalla, Mikasa si era tolta dal collo la sciarpa che le regalai tanto tempo fa per un suo compleanno e l'aveva messa attorno ad entrambi come una coperta.
La notte passò, anche se la mattina sembrava non voler arrivare.
Ero ancora lì in terra, in fondo a quel vicolo, fradicio dalla testa ai piedi come un bastardo randagio. I capelli mi stavano tutti appiccicati sulla faccia; mi guardai intorno cercando Mikasa, avevo la sua sciarpa al collo.
Sentii dei passi.
"Colazioneee, abbiamo appena rubato dei panini caldi, appena sfornati, succulenti e croccanti dal forno nella via accanto!"
Mikasa e la sua amica Sasha arrivarono con dei panini tra le mani. Mikasa velocizzò il passo chiedendomi come mi sentissi mentre Sasha si avvicinò fiera per poi poggiarsi contro un cassonetto dell' immondizia e cominciare a ingurgitare tutti i panini che aveva tirandone fuori qualcuno persino da sotto la giacca.
Feci una smorfia.
"Non ho molta fame..."
Sasha mi guardò molto male e Mikasa cambiò espressione da preoccupata a severa e decisa. Finii per mangiare come volle dopo avermi spinto a forza un panino in bocca con tanto di approvazione di Sasha che alzò un pollice.
"Hai contattato Armin?" Chiesi mentre le passai la sciarpa.
Mikasa annuì.
"L'ho incontrato prima, si va a casa sua. Ha detto che possiamo usare la doccia e cambiarci."
Sasha estrasse da una tasca un pacchetto di sigarette e se ne accese una ridacchiando da sola.
"Amo fumare queste sigarette, sono al cioccolato, a volte mi vien voglia di mangiarle!"
"Allora si va?" Mikasa annuì nuovamente, si avviò e prima di poterci incamminare fuori dal vicolo in direzione casa di Armin stampò un bacio tenero e veloce vicino le labbra di Sasha che in risposta sorrise e mosse la mano in segno di saluto. "Ci vediamo stasera!"
Appena ci allontanammo guardai Mikasa.
"Cosa fate stasera?"
"Il rave. Ci andiamo tutti."
"AH. Già..!"
Mi grattai la testa per poi fermarmi improvvisamente.
"Mh?" Mikasa si voltò interrogativa.
"Un'auto della polizia, ce l'hai ancora quella bomboletta??"
"Eren... Armin ci asp-"
"Dammi qua, muoviti! Faccio veloce tu vai pure avanti!"
Non se lo fece ripetere e obbedì dandomi una bomboletta spray che usavo per "imbrattare" la città con un simbolo di due ali che per me rappresentavano la libertà.
Lì vicino a me c'era una bella vettura parcheggiata della polizia e non potevo lasciarmi scappare l'occasione di "marchiarla" con il mio simbolo anarchico. Era un'idea grandiosa, anzi titanica!
Bene. Ero carico e la prima ala era fatta, proprio sul vetro frontale; toccava alla seconda...
"Cosa. Cazzo. Stai. Facendo. Moccioso."
Mi voltai e credo di non aver mai desiderato sparire in vita mia come quella volta. Impallidii irrigidendomi e abbassai appena lo sguardo ritrovandomi con gli occhi in quelli di un uomo...basso. In divisa.
"Mi rispondi? Lo sai che questa è una vettura della polizia? La mia fottuta vettura della polizia per essere chiari."
"E-ehm...Io..." Mi stavo davvero facendo fregare così? In quel modo pietoso? Ero stato colto con le mani nel sacco.
"Senti stupido ragazzino togliti di culo, subito. Vai a scuola e non fare più queste cagate, intesi? Non è così che sarai "figo" come dite voi giovani."
"C-come...?"
"Togliti di culo prima che ti porti a calci in questura."
Ero pietrificato, scossi la testa e mi aggrottai assumendo uno sguardo deciso, alzai il dito medio.
"Fanculo la società!!"
Girai i tacchi e scappai via più veloce che potei ancor prima di vedere la sua reazione.
Dovevo averlo stupito, però dopotutto era stato clemente per essere un poliziotto.
Avevo il fiatone, mi sedetti su una panchina e cominciai a pensare intensamente a ciò che era successo un istante prima ma soprattutto a quel poliziotto.
Non sopportavo la polizia. La detestavo con ovvie ragioni ma non mi era mai capitato di incontrare un poliziotto così.
A primo impatto risultava sboccato e minaccioso, lo sguardo accigliato, occhi come ghiaccio, capelli neri... Eppure... Compassionevole...?
Improvvisamente realizzai che mi aveva dato di moccioso che doveva andare a scuola.
Mi alzai di scatto e sbraitai dando un calcio a una bottiglia rotta in terra.
"Ho 20 anni io!!"
Improvvisamente mi sentii entusiasta come se avessi incontrato il cantante della mia band preferita. Ma cazzo era un poliziotto pronto ad ammanettarmi se necessario!
Mi sedetti nuovamente sulla panchina e portai le dita tra i capelli piatti e umidicci dalla pioggia della scorsa notte.
Non mi ero ancora fatto quella mattina ma subito dopo sentii una scarica elettrica in tutto il mio corpo fino ad arrivare al cervello che con un impulso mi fece ripensare a un gradevole odore che aveva acceso il mio interesse.
Giunsi non proprio presto alla dimora del mio amico Armin. C'era ovviamente già Mikasa. Non dissi nulla dell'incontro.
"Hai ripreso a drogarti?"
"Bè, uhm" Distolsi lo sguardo.
"Cazzo Eren! E' meglio se ti fai una canna di tanto in tanto! Te l'hanno data Reiner e Bertholdt la roba vero?"
"Si...Si! E allora? Sono ancora miei amici anche se ho lasciato Annie"
"Ma cosa dici!? Non sono tuoi amici Eren! Non è che se prendi la droga da Annie è cattiva e se la prendi da loro no!!"
"Non ha senso quello che dici! Fumati un'altra canna Armin! Non ne hai fumate abbastanza oggi!!"
Il volto del mio amico dai capelli biondi si scurì.
"....Scusa Armin"
"Non importa" Sospirò.
Guardai Mikasa che stava in disparte in silenzio senza commentare, provava un forte odio nei confronti di Annie; era un brutto periodo, iniziai questa specie di relazione, divenni un drogato in piena regola e con la fine della nostra malsana relazione riuscii a diminuire l'uso di sostanze anche se non mi ero ancora completamente ripulito.
"Devo fare la doccia, stasera ci divertiremo! Mikasa quanti soldi abbiamo?"
"...Non ci sono più soldi."
"Cosa?"
Mi sentii trafiggere lo stomaco.
"Che...Cosa?"
"Dobbiamo contattare papà"
Le mie mani iniziarono a sudare, sentii ribollire il corpo ed esplosi come un vulcano.
Una miriade di parolacce, gridai e sbraitai agitando le mani e sbattendo il piede sul pavimento.
"Eren! Eren calmati!"
Sentii la voce di Armin.
"Non voglio! Non tornerò a casa!"
"Lo farò io, andrò solo io Eren"
Disse calma e decisa Mikasa.
"...No...Cioè...Oh merda."
Mi lasciai cadere in ginocchio a terra.
"Ci dev'essere un altro modo"
Armin balzò in piedi sbattendo la mano sul tavolo davanti a sè.
"Basta!! Adesso non pensateci, potrete restare qui per un paio di giorni"
Alzai lentamente lo sguardo con fare abbattuto e gli sorrisi.
"Grazie"
Una grossa nuvola di fumo invase la stanza, risate e discorsi intensi riempirono le ore a seguire.
Feci la doccia. Lo specchio dinanzi a me mostrava il riflesso di un ragazzo alto, con spalle definite anche se di figura sottile, non proprio ben nutrito, capelli corti castani arruffati e...
Avvicinai di più il volto. Avevo occhi arrossati e occhiaie. Sospirai dal naso per poi uscire dal bagno.
Misi dei pantaloni e una maglia a caso per poi infilare sopra la mia giacca di pelle che avevo lasciato qui a casa di Armin la volta precedente.
   
 
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