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Autore: hapworth    22/08/2015    2 recensioni
«Ehm…» aveva aperto bocca, intimidito leggermente, quando era stato nuovamente posato a terra lindo e pulito. Lo sguardo del moro si era posato su di lui e Erwin era arrossito, indeciso se parlare o meno sotto quell’espressione insondabile.
«Che c’è?»
«Tu… Perché mi tratti come un-» non riuscì a terminare neppure il pensiero.
«Moccioso idiota? Perché lo sei. Ti sei messo a piagnucolare come una femminuccia sotto il letto, sporcandoti dalla testa ai piedi. Non è un comportamento idiota, secondo te?»
[child!Erwin/Rivaille] ~ Terza classificata al Beware the... Warning Contest - Seconda edizione indetto da Rota23
Genere: Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Erwin Smith, Levi Ackerman
Note: AU, De-Aging | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Another World'
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Partecipa al Beware the... Warning Contest - Seconda Edizione indetto da Rota23.
In realtà questa fanfiction è da parecchio tempo che l'avevo iniziata e che stava marcendo sul mio pc, in attesa di essere conclusa dopo un colpo di genio (?) o la giusta motivazione. Il contest mi ha dato la giusta spinta per finirla, quindi niente... Eccola qua.
Non ha un'ambientazione definita, né per quanto riguarda il luogo né per gli anni. I personaggi non mi appartengono, come sempre, mi sono presa solo la libertà di modificare le età dei personaggi e di trasportarli in un altro universo perché mi serviva ai fini di trama. ù-ù
Auguro a tutti buona lettura^^

By
athenachan


Prompt di base: “Age gap.”
Obbligo: “Il minimo del gap deve essere dieci anni; applicabile solo all'interno della coppia trattata.”


Autore: athenachan (mikki~ sul forum)
Titolo storia: Ti renderò felice
Fandom: L'attacco dei Giganti
Personaggi: Erwin Smith, Rivaille
Pair: Erwin/Rivaille
Generi: Fluff, Malinconico.
Avvertimenti generali: Alternative Universe, child!erwin.
Avvertimento prenotato: Age gap (il minimo del gap deve essere dieci anni; applicabile solo all'interno della coppia trattata).
Note autore: Saranno due anni che provo a finire questa cosa e, alla fine, ci sono pure riuscita con un certo margine di tempo rispetto alla scadenza del contest. Non potevo chiedere di meglio ;;
Non c'è un'ambientazione predefinita o degli anni da considerare circa lo svolgimento della storia, indicativamente mi verrebbe da dire fine Ottocento/inizio Novecento, ma non è obbligatorio e come ambientazione opterei per l'Inghilterra o la Germania, ma ovviamente non è specificato, dunque non è così importante ai fini di trama.
La differenza di età tra Erwin e Rivaille è esattamente di dodici anni (si incontrano per la prima volta quando Erwin ha nove anni e Rivaille ventuno), viene specificato solo una volta durante la storia, quindi ho preferito sottolinearlo anche nelle note.


Ti renderò felice

Era indubbiamente una giornata storta, il piccolo Erwin lo aveva capito subito quella mattina. Il letto si era bagnato e lui si era svegliato fin troppo agitato per credere che, nelle ore seguenti, tutto sarebbe andato a posto.
Aveva consumato la colazione da solo, come sempre, nella grande casa in cui “viveva” con i sui genitori; la verità era che li vedeva sì e no due volte alla settimana, troppo occupati nei loro affari per aver cura di lui. Non li colpevolizzava per quello, anzi, sapeva che tutto ciò che aveva sempre avuto in quei dieci anni era merito loro. Del loro duro lavoro. Tuttavia… A volte desiderava fortemente averli vicino, farsi abbracciare e, perché no, abbracciarli forte, cercando quell’affetto che non ricordava più.
«Signorino Erwin, dove siete?»
Stava appollaiato dove le scale terminavano, vicino alla porta della soffitta, quando la voce della sua domestica – quella che lo aveva cresciuto – si fece udire. Zoe era una balia gentile, talvolta un po’ strana con certe uscite fuori luogo e che, ancora, lui non capiva però ci si trovava bene: dell’affetto per lei lo provava davvero. E forse era anche per merito di quella donna dai capelli legati sempre indietro e gli occhiali, che non aveva perso del tutto la capacità di stare con gli adulti, di voler bene. Non era mai stato un bambino disubbidiente e perciò scese giù all’ingresso, da dove sapeva era arrivata la voce della donna.
Lo aspettava con le mani sui pantaloni eleganti, ma non troppo e quel viso che spesso veniva scambiato per quello di un maschio; lo guardava con un sorriso gentile. Lui era vestito di tutto punto: con gli stivali scuri, la camicia bianca e i pantaloni marroncini, i capelli ordinati sulla fronte. Un vero signorino, anche se a lui non piaceva molto.
Il suo viso si spostò poi al fianco della ragazza; c’era un ragazzo mai visto prima, dall’espressione arrabbiata con gli occhi sottili e grigi, che lo fissava. Erwin fece un passo indietro, le mani strette tra loro dietro la schiena, mentre a disagio tornava a guardare la propria domestica, in attesa, anche se di sottecchi osservava il nuovo arrivato. Era pallido di pelle ed era piuttosto basso rispetto a Zoe, ma questo non lo faceva di certo sembrare un bambino, specie per via dell’abbigliamento un po’ troppo simile a quello di alcuni maggiordomi di casa: una bella giacca nera, pantaloni dello stesso colore e una camicia bianca.
«Signorino Erwin, lui sarà il vostro maggiordomo personale da oggi in poi.»
Il piccolo dai capelli biondi tornò con gli occhi direttamente sul ragazzo, osservandolo confuso e stupito dalla dichiarazione della donna: perché mai, un maggiordomo tutto per lui? I suoi genitori avevano deciso di abbandonarlo completamente? Doveva… Crescere da solo da quel momento in avanti? Aveva un fastidiosissimo pizzicore agli occhi: sapeva che, se non si fosse trattenuto e poi allontanato, avrebbe finito per scoppiare in lacrime davanti a quel nuovo arrivato che non sembrava per niente felice dell’incarico assegnatogli.
«Si chiama Rivaille, è straniero, ma conosce bene la nostra lingua, quindi non vi dovete preoccupare.»
Zoe aveva continuato a parlare, senza prestare troppa attenzione agli occhi azzurri che, lucidi, sembravano non vedere davvero quello che osservavano; stavano cercando di scaricarlo? Volevano davvero che avesse qualcuno con cui stare sempre perché non volevano più… Occuparsi di lui? Era un peso? Era quello il motivo? Era perché a volte, quando si sentiva solo, bagnava ancora il letto? O forse perché non era abbastanza e volevano liberarsi di lui, in attesa di poter avere un figlio più degno?
Erwin si morse il labbro inferiore, prima di scattare all’indietro e correre via, sotto lo sguardo stupito della donna e quello insondabile del nuovo arrivato che nel frattempo non solo non aveva detto una parola, ma aveva incrociato le braccia al petto, osservando il piccolo correre via.

Il suo posto preferito per nascondersi era la stanza dei propri genitori: nessuno andava mai a cercarlo lì, troppo assurdo andare a vedere sotto il grande letto dei Signori per poterlo trovare. E, in fondo, il bambino non era un tipo che si nascondeva spesso o che scappava; semplicemente gli piaceva rifugiarsi, a volte, dove nessuno lo riusciva a trovare. Dove poteva piangere in pace senza che nessuno lo andasse a disturbare perché era umiliante… Non avrebbe dovuto piangere: se suo padre lo avesse visto, gli avrebbe tirato uno schiaffo sulla guancia e lo avrebbe odiato. Lo sapeva.
Diceva sempre che un vero uomo non piangeva, che neppure di fronte alla morte delle persone care, si doveva mostrare debolezza. Ma lui era solo un bambino! Come poteva pretendere che ci riuscisse sempre?
A volte avrebbe solo voluto stringersi alla sottana di Zoe, cercando un abbraccio, un bacio sulla fronte. Cose che sua madre non gli aveva mai dato – figurarsi suo padre. Tuttavia non poteva fare a meno di sperarlo, ogni volta che li vedeva, in un gesto gentile e affettuoso e non quella muta indifferenza sui suoi studi, sui giochi infantili con la forchetta o le parole troppo rapide, quando parlava con loro – perché si entusiasmava, emozionato – che non andavano fatte per nessuna ragione perché erano umiliazione.
Aveva smesso di dire che voleva bene a entrambi quando si era reso conto che loro mai gli avrebbero risposto; anche se faceva male, il suo era un affetto non ricambiato. Sospirò, tra i singhiozzi, portandosi una manina sopra le guance umide per asciugarsele, tirando su il naso.
«Moccioso, vieni fuori.»
Erwin sobbalzò, da sotto il letto, prima di vedere, di fianco a sé, oltre le coperte che pendevano, delle scarpe laccate. Non sapeva chi fosse: la voce non la conosceva, ma visto che nessuno in quella casa lo aveva mai chiamato in quel modo, poté solo dedurre che fosse il nuovo arrivato. Così, anche se aveva gli occhi rossi e le guance umide, strisciò fuori dal proprio nascondiglio, specchiandosi – mentre era ancora a gattoni con le mani sul pavimento e il viso rivolto in alto – negli occhi grigi del proprio maggiordomo che, con una smorfia, gli afferrò il braccio per farlo sollevare.
«Non andare in posti così polverosi. Guarda come ti sei conciato, ah! Bambini…» parlava come se non ci fosse stato anche lui lì, mentre gli passava la mano guantata sulla camicia, prima immacolata e che, in quel momento invece, era leggermente impolverata.
«E guardati le mani, accidenti. Forza, andiamo a lavarle.» Erwin strabuzzò gli occhi, senza dire ancora una parola, mentre si lasciava trascinare dall’altro verso uno dei bagni del piano. Venne preso per i fianchi con un braccio e, con la mano libera – che aveva opportunamente privato del guanto – Rivaille gli aveva cominciato a pulire le dita nere. Poi aveva finito per bagnargli anche la faccia rossa e, infine, lo aveva strofinato con un asciugamano e lo aveva anche cambiato.
Il tutto senza dire niente.
«Ehm…» aveva aperto bocca, intimidito leggermente, quando era stato nuovamente posato a terra lindo e pulito. Lo sguardo del moro si era posato su di lui e Erwin era arrossito, indeciso se parlare o meno sotto quell’espressione insondabile.
«Che c’è?»
«Tu… Perché mi tratti come un-» non riuscì a terminare neppure il pensiero.
«Moccioso idiota? Perché lo sei. Ti sei messo a piagnucolare come una femminuccia sotto il letto, sporcandoti dalla testa ai piedi. Non è un comportamento idiota, secondo te?»
Erwin rimase completamente senza parole; teneva le labbra socchiuse e le braccia lungo i fianchi, tremanti, indeciso se insultarlo – lui che non aveva mai gridato contro nessuno – o abbassare la testa di fronte all’evidenza. Non era una alternativa, era vero, quella di abbassare la testa visto che suo padre, come minimo, lo avrebbe ucciso se solo avesse saputo di quel suo pensiero; però era altrettanto umiliante l’idea di gridare contro a qualcuno.
«Non sono un moccioso idiota! Solo che… Solo che non voglio essere visto mentre piango! È umiliante per un uomo!» spiegò, stringendo i pugnetti e chiudendo nervoso gli occhi chiari, guardando il pavimento e arrossendo di vergogna.
«Ma tu non sei un uomo, sei un marmocchio. I marmocchi, anche se piangono, non sono un problema. E poi non c’è tuo padre che ti vede, quindi puoi fare come ti pare.» inutile dire che, di fronte a quelle parole, Erwin non poté fare a meno di sollevare il visetto arrossato e, con nuovamente le lacrime agli occhi, fare uno scatto per stringersi alle gambe del suo maggiordomo, frignando davvero come un moccioso. Dal canto suo Rivaille sospirò, infastidito, ma nemmeno troppo, lasciandolo fare: si stava scoprendo più tollerante di quanto avesse mai potuto credere.

Da quel momento in poi il piccolo Erwin non fece altro che rimanere incollato – letteralmente – al suo nuovo maggiordomo: poteva apparire scontroso e un poco maleducato, però a lui stava simpatico. Era più gentile di quanto, a una prima occhiata, potesse apparire. Zoe e gli altri domestici ne erano rimasti sorpresi, perché il loro Signorino mai si era legato così ad alcuno di loro, ma d’altra parte erano anche felici di vederlo più allegro quando veniva rimproverato dall’altro ragazzo. Sembrava lo facesse apposta a farsi prendere per un braccio e trascinare a ripulirsi.
Il piccolo Erwin aveva imparato in fretta che la cosa più odiata da Rivaille era lo sporco, di qualunque genere: per quel motivo, quando finiva accidentalmente a terra o si sporcava di proposito, finiva sempre per essere trascinato nel bagno e ripulito, cambiato da capo a piedi a seconda del danno.
Si divertiva a vedere come l’espressione già di per sé strana dell’altro, quando lo irritava, finisse per diventare ancora più divertente. Ma era anche vero che, inconsciamente, era felice dell’attenzione con la quale il francese finiva per ricoprirlo. Nessuno, prima, lo aveva fatto sentire tanto importante. Nemmeno Zoe, che oltre a lui aveva molte altre faccende di cui occuparsi. Mentre Rivaille… Rivaille doveva solo occuparsi di lui, di nient’altro!
«Devi smetterla di sporcarti di proposito, moccioso. Non è salutare, né per te né per me, davvero.» lo rimproverava sempre in quel modo, ma Erwin sorrideva contento, prima di stringersi alle sue gambe con le braccia corte, con le quali non riusciva ancora a tenerlo bene. Il moro non lo rifiutava: si limitava a sbuffare e alzare gli occhi verso l’alto, senza tuttavia toccarlo o altro in quei momenti. Forse avrebbe voluto che gli facesse una carezza, ma andava bene anche in quel modo, davvero; era già abbastanza riuscire ad esprimere i propri sentimenti verso qualcuno, senza la paura di apparire infantile. Aveva perfino smesso di bagnare il letto; non se l’era più fatta addosso nemmeno una notte, da quando era arrivato Rivaille.
I suoi genitori non si erano fatti vedere: avevano mandato a dire, a quanto gli aveva detto Zoe, che erano impegnati in un viaggio importante, ospiti di una qualche famiglia, amici di vecchia data e che sarebbero tornati da lì a un mese; ma non si era intristito come al solito: lui aveva il suo maggiordomo con cui stare, qualcuno che c’era davvero, non come i suoi genitori.
Non giocavano, o almeno non particolarmente; il francese si limitava a seguirlo nelle sue esplorazioni della casa, mentre Erwin si inventava chissà quale avventura, per la prima volta in coppia. Certo, Rivaille non partecipava, però era lì: poteva far finta che stesse andando con lui in una Valle della Morte o in qualche Covo di Pirati sanguinari… Poco importava se era lui quello che lottava contro i mostri e gli assassini – che poi non erano altro che armadi e specchi o ombre invisibili – gli bastava la sua presenza, niente di più. D’altra parte il ragazzo mai aveva avuto da ridire; certo, ogni tanto diceva che erano giochi stupidi, ma non se ne era mai andato, anche quando Erwin rovinava a terra dopo essere inciampato da solo o aver rovesciato una scatola vuota nella soffitta. Aspettava che finisse il gioco, prima di trascinarlo di peso a lavarsi e cambiarsi. Era una forma di accettazione e lo sapeva. Ed era importante, almeno per lui.

«Rivaille, tu ce l’hai una fidanzata?»
Stavano mangiando la merenda, quando all’improvviso Erwin aveva finito per fare quella domanda; in realtà gli era venuto in mente di farla perché… Beh, lui ce l’aveva già, la fidanzata, anche se non l’aveva mai vista di persona. Aveva visto una foto, però non aveva fatto altro che lasciarlo indifferente quel visetto pallido e pulito, incorniciato da dei capelli biondi e lunghi con gli occhi simili ai propri.
«Mh, no.»
«A me non piacciono, non vogliono mai giocare! Me l’ha detto Mike. E poi io Mary non l’ho mai vista, perché devo esserci fidanzato? Mi piaci più tu. Perché non posso non avere una fidanzata, come te?» Il moro non rispose, scuotendo appena il capo mentre Erwin si imbronciava, masticando la torta di mele con rabbia, sbuffando. Lui, le femmine, non le trovava nemmeno simpatiche. Le poche volte che aveva incontrato Christa – la fidanzata di Mike – l’aveva trovata insopportabile: era timida e si nascondeva dietro l’amico e poi voleva solo giocare con i pupazzi! Rovinava le avventure che lui voleva inventare con l’altro bambino.
Ovviamente, però, i genitori di Mike finivano per costringerli a giocare con la piccola e, così, Erwin aveva preso l’abitudine di non andare più dall’altro quando c’era la sua fidanzata: non voleva mica rovinarsi un intero pomeriggio a servire il tè alle bambole, lui! Preferiva di gran lunga mangiare una fetta di torta e poi mettersi a giocare, sotto la supervisione di Rivaille.
Il piccolo dai capelli biondi finì in fretta la propria torta e, una volta finita, sbadigliò portandosi una mano davanti, educatamente. Il proprio maggiordomo lo guardò, prima di guardare a lato e osservare l’ora.
«Pisolino, Erwin.» disse, prima di alzarsi mentre Sasha ripuliva il tavolo dal piattino e la tazzina ormai vuota del più piccolo. Il bambino dagli occhi azzurri, per contro, guardò Rivaille accigliato: era ancora presto! Perché voleva mandarlo a fare il pisolino?
«No! Ti prego Rivaille, è presto!» si lagnò, mentre però il proprio maggiordomo lo prendeva per i fianchi e lo sollevava, portandoselo contro e Erwin non poté avere altra scelta se non allacciare le braccia intorno alle spalle del ragazzo, appoggiando la testa contro il collo di quello. Ne sentiva il buon odore e il calore che, malgrado il carattere all’apparenza freddo, il moro gli dava.
Potevano dire che era cattivo e poco rispettoso, che lo trattava in modo inadeguato, ma… A Erwin piaceva davvero, stare insieme a Rivaille: era la sola persona che gli diceva tutto, che stava con lui e lo accompagnava ovunque – poco importava che lo facesse perché era il suo compito – che lo prendeva in braccio ogni tanto, come in quel momento e lo portava a dormire aspettando che si addormentasse. Forse non gli voleva bene come lui gliene voleva, ma… A lui non importava. Gli bastava avere qualcuno che ci fosse, che esistesse al proprio fianco; non come i propri genitori che lo guardavano freddamente, che non gli parlavano, non lo sfioravano, non si curavano minimamente di lui se non per rimproverarlo della propria inadeguatezza.
«Rivaille…» mugugnò, mentre chiudeva pigramente gli occhi, stringendosi di più con le braccia e con le gambe intorno al busto del maggiore che lo teneva con le braccia sotto le gambe. Non disse nulla, ma a Erwin bastò sapere che lo poteva sentire. «Ti voglio bene.»
Sentì in lontananza lo sbuffò del proprio maggiordomo e, poi, che veniva adagiato sotto le coperte del proprio letto; sapeva che il moro mai avrebbe ammesso di volergliene giusto un po’, di bene. Ma lui lo leggeva nelle sue mani, nelle sue attenzioni e in quella sua presenza che gli voleva bene davvero.

Era sempre stato un bambino pacato, a suo modo determinato Erwin: aveva fatto tutto ciò che i genitori si aspettavano da lui, sempre e comunque. Mai una sola volta aveva alzato la voce contro di loro, andando a scontrarsi con le decisioni che venivano prese da sua madre e da suo padre. Mai, neanche una volta, eppure quando sua madre tornò per un periodo relativamente lungo – per gli standard – a casa, parve accorgersi dell’attaccamento del figlio per il nuovo maggiordomo.
Il biondo aveva ormai quindici anni, ma non sembrava cambiato per niente, nell’attaccamento al ventisettenne che lo serviva con solerzia – benché di nascosto non facesse altro che rimproverarlo per la sua casuale disattenzione a sporcarsi in qualsiasi buona occasione.
La donna parve molto turbata da tale legame, non si sforzava neppure di nascondere la propria preoccupazione e, infatti, non appena ne ebbe l'occasione espose la sua teoria.
Stavano mangiando lei e il figlio, con Rivaille che serviva il biondo e una cameriera che faceva altrettanto con la signora.
«Erwin, non pensi di essere un po' troppo cresciuto per avere un maggiordomo personale? Da oggi farà come tutti gli altri, non dovrà più occuparsi solo di te. E al prossimo viaggio lo porterò con me.»
Fu in quel momento, che l'equilibrio si spezzò, irrimediabilmente.
Erwin, malgrado il suo essere ormai adolescente, non aveva neppure per un istante pensato di potersi opporre a qualcosa deciso dalla madre – o dal padre che fosse – tuttavia all'eventualità pressante che gli potesse essere tolta l'unica persona che lo trattava come un suo pari, come un'altra persona, non tacque come, invece, era solito fare.
«Non sono d'accordo, madre. Voi avete diverse cameriere personali al vostro servizio. Io ho solo Rivaille, non necessito di altri servitori. Dunque lui non verrà, né smetterà di fare ciò che ha sempre fatto.» Il tono era pacato, eppure i suoi occhi azzurri si erano fatti sottili, determinati. Non stava osservando l'uomo dai capelli neri, guardava solo gli occhi ghiaccio della madre, stupita e anche un po' interdetta da tale presa di posizione. Forse, in fondo, si aspettava che avrebbe eseguito passivamente le sue disposizioni, come sempre.
«Lo trovo sconveniente, sarebbe molto meglio una camer-»
«Una donna sarebbe molto più sconveniente. Mio padre ha al suo servizio solo uomini, o vi siete dimenticata che non è consono mettere una serva a un padrone e viceversa? Non è forse per tale motivo che mi avete affidato alle cure di Rivaille, piuttosto che a quelle di Zoe?»
La donna era piuttosto turbata, quantomai interdetta dalle parole del figlio: era vero, ma lei sentiva che era necessario allontanare quel francese da Erwin. Era un sesto senso, che le imponeva, quasi, di farlo per evitare qualcosa di irreparabile.
Si pulì le labbra con la stoffa del tovagliolo panna, rivolgendo uno sguardo al servitore in piedi di fianco al figlio; la guardava anche lui, ma i suoi occhi trasmettevano molto più che determinazione. Era qualcosa di più intenso, come un desiderio di possesso; confonderlo con la gelosia sarebbe stato un attimo. Doveva tenere alla propria posizione – fu quello che si disse – mentre acconsentiva alle parole del figlio, per il momento.

«Pensava sul serio che le avrei lasciato fare di te quello che voleva. Accidenti, prima mi dà qualcuno e poi me lo toglie? Ma che si faccia un esame di coscienza, accidenti.»
Erwin era arrabbiato. Raramente mostrava quella parte di sé agli altri, anche perché non era mai stato molto estroverso per quanto riguardava i suoi sentimenti più sinceri e profondi; odiava che qualcuno di cui non si fidava lo vedesse in qualche modo debole. Sapeva che era a causa di suo padre, delle sue aspettative, del fatto che lo avesse sempre trattato come un peso o un bambino troppo sensibile, per essere un vero uomo; ormai non era più un bambino, ma quel trauma probabilmente gli era rimasto dentro e non sarebbe mai riuscito a toglierselo di dosso.
«Dovresti avere un po' più di gratitudine... Ti ricordo che devi la tua posizione a lei e a tuo padre.» Rivaille odiava fare l'avvocato del Diavolo, ma allo stesso tempo non poteva fare a meno di sentirsi preoccupato, almeno un po', per quando Erwin si arrabbiava in quel modo. Era così attaccato a lui da voler addirittura andare contro il volere dei suoi genitori? Probabilmente sì. Erwin del resto era un ragazzino semplice e sincero – almeno con lui – che non aveva mai negato di volergli bene o di tenere alla sua presenza; mai avrebbe immaginato, quando era entrato in quella casa, di diventare così importante per qualcuno, lui che non era mai stato nessuno prima di sette anni prima.
«Hai ragione, ma non l'ho chiesto io... E poi-»
«Non farmi incazzare, Erwin. Vuoi fare a cambio?»
«Sei diventato molto più irrispettoso, sai?» lo prese in giro, senza cattiveria, facendolo tuttavia irritare parecchio. A volte era troppo supponente, quel moccioso.
Il ragazzino dai capelli chiari rise, nel vedere l'espressione contrariata di Rivaille: era sempre divertente provocarlo o comunque vedere come se la prendesse a cuore. Nonostante gli anni trascorsi, Erwin non poteva fare a meno di sentirsi davvero felice insieme a quel maggiordomo per niente rispettoso della sua autorità: lo aveva cresciuto, ma non lo aveva mai visto né come un fratello né tanto meno come un padre. Rivaille era speciale, era qualcosa di diverso, non era neppure un amico, anche se non riusciva ancora a capire che cosa fosse esattamente. Sapeva solo che gli piaceva tanto, abbastanza da dire che fosse molto più importante di tutto il resto. Potevano portargli via tutto: la libertà, il futuro, i sogni... Ma non sarebbero riusciti a portargli via il suo maggiordomo. Non lo avrebbe permesso, per nessuna ragione al mondo.
«Bene, ora signorino se permette ho una stanza da sistemare.»
Erwin annuì, ridacchiando appena mentre l'uomo si congedava senza ulteriori convenevoli. Sì, gli piaceva davvero tanto il modo di fare di Rivaille, molto più di quanto fosse moralmente accettabile.

La discussione con la madre non ebbe seguito ulteriore e, così, Erwin poté rimanere con Rivaille ancora qualche tempo, senza ulteriori discussioni. Tuttavia, quando ebbe raggiunto i diciassette anni, suo padre cominciò a forzare la mano per fargli incontrare più spesso la sua fidanzata.
«Ci sono cose importanti, come le relazioni sociali. Vuoi mandare forse a monte questo matrimonio, Erwin? E per cosa? Perché i tuoi studi sono più importanti? Cosa vuoi ancora imparare? Ormai sei pronto per succedermi, quello a cui devi pensare ora è il futuro della famiglia.»
Le sue parole erano, ancora una volta, una spina nel fianco. Una stilettata dritta nel cuore, perché inconsciamente aveva sempre cercato di essere ciò che quell'uomo voleva. Al meglio delle sue possibilità aveva cercato di non deluderlo, di fare tutto quanto fosse in suo potere fare per renderlo orgoglioso di lui. Ma mai una volta, neppure una, aveva ricevuto qualcosa in cambio. C'era sempre qualcosa dopo, un modo per essere migliore, un modo per renderlo più orgoglioso... Non sarebbe mai finita, ne aveva l'assoluta certezza. E faceva male.
«È esattamente quello che intendo fare.»
«Come?»
«Non ho alcuna intenzione di pensare a sposarmi, non ora. Siamo in un periodo di crisi, come puoi pensare che un matrimonio possa sanare tutto? La famiglia di Mary non è così facoltosa da permetterci di mantenere la nostra casa a lungo. Dobbiamo rimboccarci le maniche, prima di qualsiasi altra-»
«Ti ricordo che fino a prova contraria sono io quello che prende decisioni in questa casa!»
Il più giovane non poté evitare di sorridere appena. Cosa si aspettava, in fondo? Comprensione, accettazione? Sapeva di non averle mai potute pretendere, di non poterle avere in nessun modo, non da suo padre almeno – e nemmeno da sua madre, alla fine.
Fu in quel momento che decise qualcosa che avrebbe cambiato per sempre la propria vita. Una decisione presa sulla consapevolezza che aveva di sé, perché non aveva intenzione di vivere una vita spenta e infelice. Sapeva già dove avrebbe potuto trovare la felicità e non aveva alcuna ragione per non approfittarne.

«Tu sei pazzo.» Erwin rise alle parole del proprio maggiordomo, che stava rifacendo il suo letto mentre lui, intanto, restava seduto a guardarlo. «E perché mai? Pensavo potesse essere una buona idea.»
«Come se i Signori te lo lasciassero fare, toglitelo pure dalla testa.» Sbuffò, il biondo, scuotendo il capo prima di alzarsi e arrivare vicino all'altro, abbracciandolo da dietro e poggiando il mento sulla sua spalla. «Ma non sarebbe bello? E poi sono un ottimo oratore, troverei senz'altro il modo di convincerli.»
Il moro cercò di divincolarsi, ma non sembrava poi così deciso o convinto, tanto che dopo un primo momento lasciò perdere. Erwin, dal canto suo, gli schioccò un bacio alla base del collo, tornando poi tranquillo, ma continuando a tenerlo stretto.
«Non li convincerai mai.»
«Sempre ottimista.»
«Le coscienze non sono ottimiste, sono realiste.» Gli fece notare puntigliosamente, mentre gli assestava una gomitata e tornava a fare il letto. Erwin rise nuovamente, abbassando appena la testa e grattandosi la nuca. «Je t'aime, Rivaille.»
Il maggiordomo bofonchiò qualcosa che parve essere un insulto, ma il biondo poté notare distintamente il colore rosato sulle gote pallide, cosa che lo fece uscire dalla stanza soddisfatto, pronto a qualsiasi eventualità rispetto alla sua idea.
Un mese dopo l'erede degli Smith partiva, insieme al suo maggiordomo, verso la Francia – il fatto che qualche settimana dopo se ne persero totalmente le tracce doveva essere inaspettato, ma alcuni servitori della casa principale avrebbero potuto dire che non lo era affatto.


Fine

   
 
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