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Autore: Kamper    01/02/2009    0 recensioni
Cosa faresti se dovessi vivere l'eternità nei panni di ciò che più odi? E cosa faresti se questa condanna ti venisse inflitta dalla persona che più ami?
Genere: Drammatico, Horror, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Carlisle Cullen, Edward Cullen, Isabella Swan, Nuovo personaggio
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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NESSUN DORMA

 

Manowar, dall’album Warriors of the world [2002] a sua volta cover dell'omonima aria di Giacomo Puccini dalla Turandot

 

Nessun dorma, nessun dorma…

Tu pure, o principessa

Nella tua fredda stanza…

 

 

Forks (Washington),10 settembre, 3:00 AM

Isabella Cullen

 

A volte la vita sa essere tremendamente ingiusta, non pensate? Ti regala attimi, sogni, speranze, felicità, meraviglie ed amore, salvo poi riprendersi tutto in un istante, lasciandoti sola e vuota, peggio se possibile di come stavi prima.

«E’ già passato un anno» mi dissi.

Era il mio primo compleanno, e per adesso lo stavo passando da sola. Senza né’ mio marito né mia figlia.

Per la precisione lo stavo passando in compagnia di me stessa. Ed era più di quanto volessi. Nonostante i ricordi della mia vita precedente fossero sfumati, come dietro ad una cortina di nebbia, non impenetrabili, ma difficili da raggiungere, l’ombra della timida e impacciata Isabella Swan mano a mano che si avvicinava il giorno della mio “primo compleanno” avevano cominciato a tornare con estrema chiarezza, diventando quasi una personalità dissociata dentro alla mia testa, una specie di grillo parlante.

Arrivato il giorno fatidico, ormai Bella Swan era completamente risvegliata in me. Il primo desiderio che venne in quel momento fu di tornare dove tutto era ricominciato, da sola.

E infatti in quel momento ero lì, distesa sul pavimento della mia vecchia camera da letto, nella casa di mio padre Charlie. Non ci ero più entrata dal giorno in cui mi ero sposata.

Rimasi interdetta quando ci rientrai. Era rimasta tale e quale all’ultima volta che l’avevo lasciata. Come se non me ne fossi mai andata via. Quel giorno, l’ultimo da Isabella Swan, avevo provato il mio abito bianco, e poi la notte Edward se ne era andato via insieme ai suoi fratelli Emmett e Jasper, per la sua festa di addio al celibato. Una festa che comprendeva Orsi e Puma, come da preferenze di famiglia. Edward era uscito proprio da quella finestra, la stessa da cui ero entrata poco fa, silenziosa come solo un’esponente della mia razza poteva essere.

Nella camera ogni cosa era al suo posto, come un anno fa. Secondo gli standard umani non c’era neanche un po’ di polvere sui mobili. Charlie la puliva in continuazione. Il mio olfatto mi permetteva di sentire il suo odore che permeava la stanza, e soprattutto il cuscino su cui una volta dormivo. Un odore pungente e salino. Lacrime.

La mia partenza, non solo dalla sua vita, ma anche dal mondo degli umani, lo aveva distrutto psicologicamente. Poco contasse che mi vedesse in continuazione. E che vedesse di continuo anche sua nipote, mia figlia Renesmee. Non ero più la sua bambina.

Quando lo compresi, rimpiansi veramente che questo mio corpo assurdamente bello non fosse più capace di piangere. Mi sarebbe servito, e sarebbe servito anche alla Bella Swan, che nei sotterranei della mia mente stava lasciandosi andare ai bei ricordi di quando ancora il suo cuore batteva.

Adesso mio padre dormiva, ovviamente. Lo sentivo, con il mio udito sopraffino, nella stanza affianco. Si stava agitando nel sonno. Il suo battito cardiaco era accelerato. Probabilmente stava sognando ancora una volta la mia partenza. Era un incubo ricorrente di cui mi aveva parlato. Ed era qualcosa a cui io non potevo porre rimedio. Non più ormai. Avevo fatto la mia scelta già tanti anni fa, conscia di quanto dolore mi potesse provocare.

Sentivo il dolce sapore del suo sangue, che mi fece bruciare la gola dalla sete, ma come sempre l’amore che provavo per lui mi permetteva facilmente di mantenere il controllo.

Ero distesa sul pavimento perché, se mi fossi stesa sul letto, Charlie, in una delle sue crisi di pianto sul mio cuscino avrebbe capito che ero stata lì, e ciò lo avrebbe fatto di sicuro soffrire ancora di più. Il mio odore era facilmente riconoscibile. Sul pavimento non se ne sarebbe accorto più di tanto. Sarebbe stato meglio così.

Guardavo assorta le venature del soffitto, ripensando a quanto mi era accaduto nei due anni precedenti, di sicuro i più belli e nel contempo i più pericolosi della mia vita.

A pensarci bene, sembra quasi un sogno. La trama di un libro.

Quando venni a Forks, l’unico mio desiderio era di passare un po’ di tempo con mio padre, in attesa che mia madre trovasse un posto fisso insieme a suo marito, giocatore di Baseball.

Io odiavo Forks, cittadina di poco meno di tremila anime, nel cuore della penisola olimpica, con la più alta concentrazione di giorni piovosi annuali di tutto il New England. E io ho sempre odiato qualsiasi cosa fredda sulla mia pelle.

Paradossalmente, adesso questa sempiterna pioggia mi aiutava a vivere in mezzo alla gente. Scordatevi però tutti quei cliché tipici dei romanzi o delle leggende, o delle puntate di Buffy the vampire slayer. Noi non andiamo in briciole alla luce del sole. Molto peggio, ci mettiamo a splendere come sfere da discoteca.

Anche tutte le altre cose, come croci, aglio e bare in cui dormire, sono solo idiozie. Anzi, noi non dormiamo affatto, cosa che rende tremendamente noiosa, certe volte, la nostra esistenza eterna.

Ma dopotutto io ero in questo stato solo da un anno, non avevo motivo di lamentarmi. Mio marito aveva ottant’anni più di me, e di sicuro ne ha avute di peggiori di queste crisi!

Tra l’altro, non è che nell’ultimo anno io ed Edward abbiamo passato le notti “discutendo di come risanare il debito pubblico”…

Assorta in quei pensieri non mi accorsi subito di quell’odore. Era buono, muschiato. Pino, ginepro, acero,  corteccia d’abete, resina, foglie e fiori. Una strana mescolanza di aromi naturali che mi ricordavano il profumo della radura dove Edward mi mostrò la sua sfavillante natura di vampiro, che veniva rivelata dalla luce del sole.

Veniva da fuori, dalla strada. Si stava avvicinando qualcosa.

Mi alzai di scatto e in un lampo fui subito alla finestra. Anche nella notte buia e sferzata dalla pioggia io ci vedevo benissimo, quindi non ci misi che pochi istanti per notare, coperto da un’ombrello, il povero essere umano che, in preda a qualche strana mania masochistica, stava girando per le strade buie di Forks in piena notte con un tempo da lupi.

E il vampiro che lo stava seguendo, probabilmente per aggredirlo.

Da quando ero diventata una “sanguisuga” avevo cercato, inutilmente, di fare pace con la mia coscienza quando vedevo un atto del genere perpetrarsi in tutte le città che ho visitato in viaggio con Edward.

Ma non potevo sopportare di vederlo accadere davanti ai miei occhi, nella mia città. Uscì subito dalla finestra, richiudendola dolcemente, poi mi aggrappai all’albero di fronte, osservando l’evolversi della scena, pronta ad intervenire.

L’umano in quel momento girò l’angolo, scomparendo alla mia vista. Il suo agile inseguitore con un balzo scese dal tetto da cui lo stava seguendo, toccando il suolo senza emettere rumore.

Era di sicuro un errante esperto, sarebbe stato di sicuro molto difficile farlo desistere.

Mi preparai a parargli la strada, impedendogli di proseguire, quando il sentore naturale che avevo avvertito poco fa si fece ancora più intenso. Non me ne ero resa conto, non proveniva da lui. C’era un terzo vampiro.

Lo aveva percepito anche lui, dato che si fermò.

Annusava l’aria, cercando di capire da dove provenisse, digrignando le mascelle. Temeva che quel nuovo arrivato gli sottraesse la sua “preda”.

Guardò anche nella mia direzione, ma per qualche strano motivo non mi scoprì.

Incominciò a correre, seguendo la scia dell’umano, non era lontano.

Non potevo più aspettare, scesi dall’albero e scattai anche io all’inseguimento. Dovevo fermarlo, a qualunque costo.

Ma non ero neanche arrivata a metà della strada quando sentì, nella direzione presa dall’umano, un urlo lancinante, tanto potente che sembrava squarciare il velo stesso della notte. Mi resi subito conto di due cose, in rapida successione.

Uno, ero arrivata troppo tardi.

Due, quell’urlo non era umano.

Tre, anche se erano due le cose di cui mi ero accorta, in contemporanea con l’urlo, un falò aveva incominciato a brillare in mezzo alla traversa che avevo appena varcato, mentre la tempesta infuriava. Ed era un falò che emanava un odore terribilmente dolce.

L’umano era lì, a terra. Nonostante la confusione riuscivo a vederlo respirare. Era ancora vivo, ma svenuto.

Accanto a lui c’era un’altra persona, di spalle. Non aveva l’ombrello, e si stava prendendo la pioggia coperto solo dal cappuccio della sua felpa nera. Con una strana facilità raccolse da terra l’uomo e lo posò sotto il portico di una casa vicina, poi si allontanò con calma. E fu a quel punto che mi notò.

Il fuoco del rogo mi permetteva di scorgere solo una parte del volto. Ma di tutto il viso che riuscivo a scorgere, non riuscì a guardagli altro che gli occhi.

Rossi scarlatti del sangue più puro.

Vampiro.

E vibravano d’odio. Diretto verso di me.

Mi osservava senza muoversi, ma notavo che ogni suo muscolo, mascelle comprese, era in tensione, pronto a scattare.

Per la prima volta in vita mia, o almeno nella mia vita da Vampira, ebbi davvero paura di morire.

Indietreggiai, un passo alla volta, allontanandomi da quell’inquietante essere.

Poi cominciai a correre.

Mi lanciai nel bosco vicino alla casa di mio padre come un fulmine, saltando di ramo in ramo senza quasi toccare terra, diretta alla residenza della mia nuova famiglia.

Avevo una marea di domande nella mia testa, delle più disparate, dal chi era quel tizio al come avesse dato fuoco all’altro vampiro in mezzo ad una tempesta.

Domande su domande che si accavallavano nella mia mente spaziosa. Ma non trovavo risposte soddisfacenti.

Dovevo fare quelle domande all’unica persona che sapevo avrebbe sicuramente trovato una risposta.

Il padre adottivo di mio marito, il capostipite della famiglia Cullen. Carlisle.

Stavo andando a casa sua.

  
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